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Autore: Akuma    26/09/2007    2 recensioni
L'unica cosa che conta è uccidere. L'unica vita importante è la propria. Il cuore nascosto da strati di ghiaccio puro, per non cadere vittima di sofferenza, angoscia e follia.
"Hai dei bellissimi capelli."
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Freezer, Nuovo personaggio, Zarbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo I

Capitolo VII - Creature di ossa e tenebra, il futuro dell’impero


L’amore che provo è la mia vita,

che scorre veloce come il fiume

durante le piene dell’autunno,

che scivola in sereno abbandono.

Le mie canzoni sono una sola cosa

col mio amore, come l’acqua che mormora

con le sue onde, le sue correnti.

-Rabindranath Tagore-


Il vento tirava forte e pungente sulle alture di Nirvos, il quinto pianeta dell’Est.

I suoi occhi aurei scrutavano l’orizzonte mentre una figura femminile lo raggiungeva al di fuori della navetta, sbadigliando.

- Che guardi così interessato?- fece, stiracchiandosi.

- Questo pianeta. E’ strano...- Zarbon si voltò verso di lei.

- E cos’è quel sorriso da squilibrato?- Niime alzò un sopracciglio, quindi il compagno sciolse la sua espressione ambigua e le rivolse uno dei suoi sorrisi concilianti.

- Avanti, vieni!- l’afferrò per un braccio, prendendo a correre giù per la collina, verso il centro abitato. La ragazza non oppose resistenza, si lasciò semplicemente trasportare dal guerriero tra la curiosità e la sorpresa di un’azione tanto insolita e repentina.


- Mi permette, signorina?- le chiese offrendole il braccio.

- Hn...- Niime stava per alzare le spalle, ma poi afferrò il braccio del suo accompagnatore e disse chiaramente - Non capisco ancora cosa tu abbia in mente, siamo in villeggiatura? Sbaglio o dovevamo conquistarlo, questo sasso?-

- Non sbagli.- annuì lui - Siamo solo in vacanza. Questa è una pausa, perciò da questo momento in poi sono vietate le parole combattere, distruggere, conquistare e... Freezer.- fu l’allegra risposta che ne seguì.

- Avevo ragione...- le sfuggì un sorrisetto.

- A proposito di che?- domandò l’altro, alzando un fine sopracciglio. Niime fece qualche passo avanti di corsa e si voltò mettendosi le mani dietro la testa.

- Tu sei proprio sciroccato!- assottigliò lo sguardo e si esibì in una smorfia che Zarbon ritenne adorabile.


Incredibile come fosse confortevole quel posto.

Si specchiò nelle acque limpide in cui era immersa sino alla vita e vide il suo corpo riflesso.

La pelle era come una scorza diafana ricoperta qua e là da cicatrici e vecchi tagli.

Ogni centimetro della sua carne era esposta al vento caldo e quasi inesistente di Nirvos.

Era bella, Niime.

Atletica, longilinea, non troppo alta, né troppo incattivita.

Bella e silenziosa come il messaggero dalle piume di sangue e dalla chioma d’opale che nelle leggende e nella visione comune di molte civiltà lontane giungeva accompagnata da eventi nefasti.

Dopotutto non ci andavano nemmeno troppo lontane, poteva essere una metafora piuttosto realistica, un’annunciazione.

Zarbon aveva deciso che, dal momento che erano in anticipo sulla tabella di marcia, potevano ben concedersi una pausa. Non l’aveva contraddetto. L’avrebbe fatto, in passato, l’avrebbe costretto, l’avrebbe attaccato, l’avrebbe disapprovato finché lui non avesse ceduto, o finché non fossero venuti alle mani.

Invece in quell’occasione non aveva visto motivo di farlo. Forte delle parole e dell’abbraccio che lui le aveva regalato qualche sole anteriore, si sentiva ancora stretta in un calore estraneo, avvolgente e rassicurante, talmente tanto da farle credere di poter avvalorare una menzogna, quella di un futuro, quella che sentiva reale quando i suoi occhi incontravano l’oro.


La sorgente era vuota.

Calda e limpida scorreva l’acqua, meravigliosa e fluida come argento vivo dall’alto pendio scosceso, per poi tuffarsi con impercettibili suoni e scrosci nell’insenatura nascosta dalla rada.

La fissava, mentre i capelli nerissimi ed ancora gocciolanti disegnavano sulla sua nuca linee umide e perfette.

La sua espressione era serena.

La serenità a prima vista abulica del suo viso di ghiaccio.

Ma era stupenda anche così.

La freddezza glaciale era lo scudo che racchiudeva cuore e sangue palpitanti di emozioni.

E mentre gli si avvicinava si sentì ancora una volta rapito dalla concupiscenza di quello sguardo di sangue e quel corpo fasciato di stoffa d’ebano.

Doveva essersi concessa un bagno nella sorgente, mentre lui era andato a perlustrare il centro vicino. Lo dedusse semplicemente dai capelli semi bagnati.

Quando gli fu accanto, lui si portò una mano sulla spalla e parlò.

- Poco lontano c’è un rifugio. Se...-

- Andiamo.- lo interruppe lei, impedendogli di portare a termine la frase.


La sua sposa...”

Zarbon si strinse nelle spalle, massaggiandosi distrattamente un muscolo dell’avambraccio.

L’alieno che li aveva accolti aveva detto proprio così: “Se lo desidera, per lei e la sua sposa c’è una stanza nel terzo androne.”

Non aveva fatto in tempo a scorgere la reazione di Niime, perché questa si era voltata per raggiungere l’alloggio.

Ora lei era seduta con le gambe distese su quel davanzale di finestra coperto da un vetro rigido.

Anche se avessero sollevato obiezioni, avrebbero dovuto comunque accontentarsi della stessa stanza, dal momento che era l’unica libera in quella specie di rifugio per viandanti spaziali.

Infatti, pur essendo di dimensioni non troppo importanti, quel pianetino era trafficato. Un viavai di navette solcava il cielo di giorno, costellandolo di diverse decine di raggi bianchi che accompagnavano i vettori in atterraggio. Le vie ed i luoghi più impensabili erano percorsi da una miriade di alieni di razze ed etnie diverse, giunti sul crocevia per svariate ragioni, ognuno recante il proprio fardello.

Le si avvicinò e si sedette di fronte a lei, con un telone pesante che infondeva un gradevole calore sulle spalle, per proteggersi dal freddo che era calato inesorabile. La notte, era risaputo, era gelida e pericolosa da quelle parti, tanto che dell’andirivieni delle ore diurne non rimaneva nemmeno una minima ombra.

Niime fissava il paesaggio distante. I suoi occhi erano lontani, disattenti e non realmente focalizzati su qualcosa, come schermi disturbati dalle mille continue interferenze.

- Hn...- fece per attirare l’attenzione, ma lei non si voltò.

- Niime...?- la chiamò per nome, risvegliandola dai suoi pensieri - Che c’è che non va?-

Il suo volto semi illuminato dalle tre lune si voltò verso di lui, lasciando che le gocce delle piogge corrosive del pianeta seguitassero a cadere imperterrite con un ticchettio simile a dei passi minacciosi nel buio.

- Qui si riparano tutti di notte.- rispose.

- Beh, - Zarbon sorrise - credo che nessuno sia interessato a provare l’effetto di queste piogge notturne sulla propria pelle.-

- Se distruggessimo tutte le abitazioni, tutti gli anfratti... se riducessimo ad una pianura unica questo pianeta, faremo più in fretta a sterminare ogni cosa.- affermò l’altra, con voce fredda.

Il guerriero si fece serio. Niime aveva ragione. In quel modo la notte successiva nessuno sarebbe rimasto in vita, nessuno avrebbe avuto dove ripararsi e così sarebbe certamente caduto vittima delle piogge caustiche.

E loro sarebbero già stati lontani, su un altro mondo.

- E’ ora di smetterla di recitare.- asserì dopo poco, il volto contratto a fissare sé stessa nel tenue e debole riflesso che le rimandava la vetrata.

Ed in un attimo il petto del guerriero si spaccò in due ed ogni cosa, viscere, emozioni, aspettative, cominciò a cadere in una voragine tetra.

- E’ stato bello questo volersi prendere una vacanza.- lo sguardo debole, fiacco - Ma noi non siamo creature felici.-

Zarbon fu perso, consapevole che presto o tardi si sarebbe giunti a quel punto. Smarrito di nuovo tra l’isteria e l’odio, deglutì amaro e si alzò in piedi, lasciando scivolare la tela dietro di sé.

Niime lo fissava senza alzare il capo, con il movimento degli occhi di porpora. Non aggiunse nulla, tanto che il silenzio piombò nella stanza.

E fu di nuovo isolato dal resto dell’universo.

Solo.

Per l’ennesima volta.

Ad un tratto, repentine come un lampo, le visioni del passato tornarono a tormentarlo.

Un cucciolo di changeling che veniva allevato dai collaboratori personali di Freezer, per diventare un giorno il più grande tra i suoi guerrieri.


- Perché Freezer se ne sta sempre delle ore chiuso nel suo vestibolo?- chiese il piccolo Zarbon dallo sguardo infantile e dorato. Il suo allevatore, un alieno grande e grosso dalla pelle violacea e rugosa si voltò verso di lui, continuando a percorrere il corridoio.

- Per riflettere sui suoi piani di guerra.- fu la risposta più che ovvia.

- Ma non stanca mai? É sempre solo! Bisogna mostrare il proprio volto, se si vuole che gli altri ti ammirino.- l’ingenua ma ipocrita curiosità del piccolo allievo si disegnò sul suo volto, mentre trotterellava accanto all’istruttore.

- No. Lui non ha tempo per pensare alla solitudine. E tutti lo temono già, non serve che mostri la sua faccia.- l’aria grave e seria della guida lasciava intendere che lui era una delle guardie più vicine al tiranno.

- Non parlavo di timore, ma di adorazione. Sai, quando tutti ti guardano e ti invidiano perché sei migliore di loro.- sospirò il ragazzino, spazientito, con l’aria superba di chi sapeva bene ciò che stava dicendo - Ma comunque... non ce l’ha qualcuno da cui tornare, dopo le missioni?-

Il pensiero dell’altro volò a Re Cold, gigante dal cuore di ghiaccio, opportunista e camaleontico. Troppo impegnato per badare alla galassia del Nord, troppo fiducioso nel figlio per controllare da vicino i suoi progressi. Ad ognuno il suo impero.

- No, non ce l’ha.-

- Allora è come me!- innocente, il futuro guerriero giunse alla conclusione d’essere, dopotutto, simile ad un tiranno che aveva da sempre visto come un dio.

Il colosso distolse lo sguardo dai suoi occhi aurei, mentre la propria espressione si fece ancor più seria. Quel cucciolo di changeling sarebbe presto diventato uno dei più grandi, avrebbe sovrastato i rivali, sarebbe cresciuto con l’animo stoico di chi è destinato a diventare il braccio destro di un sovrano.

- Merzor?- lo chiamò di nuovo, incuriosito dall’aria scostante dell’altro.

L’alieno si voltò verso il suo protetto e gli lanciò il fermaglio.

- Prendi, legati i capelli, andiamo ad allenarci.-

E mentre Zarbon faticava a legarsi i corti fili verdi che gli cadevano a malapena sulle spalle, Merzor lo fissava con gli occhi severi di chi già sapeva il futuro, di chi già era a conoscenza di ciò che sarebbe divenuto.

Tuttavia non poteva certo permettersi di dimostrargli il suo affetto, fortuna voleva che quel moccioso pareva non essere per nulla interessato al volere del prossimo, tutto concentrato su sé stesso e sul farsi piacere un’orrenda armatura grigia. Narcisista ed egocentrico.

Zarbon era stato strappato a sua madre appena nato, così come tutti i guerrieri predestinati a evolversi nel meglio dell’elite di Freezer. E lui, il vecchio Merzor, ci aveva provato con tanti... aveva visto crescere decine di cuccioli, ma solo pochi di loro erano sopravvissuti per dirsi un giorno parte del battaglione del tiranno.

Ora sperava con tutto sé stesso che quell’arrogante piccolo changeling di nome Zarbon diventasse il numero uno. La sua vita era ormai al termine, non poteva certo permettersi di allenare altri ragazzini... Zarbon era l’ultimo, il più dotato... ma anche il più predisposto a sognare un futuro differente. Lo capiva da come si guardava intorno, da come desiderava essere il più bravo ed il più attraente di tutti, da come si atteggiava verso il prossimo. E forse questa era una debolezza, una gran debolezza, perché sicuramente, una volta scoperta la durezza della vita accanto a Freezer, nella sua impossibilità di essere qualcosa di diverso, avrebbe sofferto molto.

Soprattutto se per comprenderlo la sua esistenza si fosse vista costretta ad incrociare il cammino di altri assassini freddi e disinteressati, i quali però avevano accettato il proprio destino, nell’impotente impossibilità di cambiarlo.


- Merzor non era un grande oratore, ma credo avesse capito.- sussurrò - Aveva capito che prima o poi tutti prendono coscienza di ciò che sono. Alcuni in punto di morte, ma comunque succede ad ogni guerriero.-

Niime aprì lievemente gli occhi. Merzor, l’allevatore di assassini. Era stato certamente un tipo accorto quand’era in vita, aveva da sempre badato agli allievi più che a sé stesso, granitico, inflessibile, cresceva dei veri e propri assassini. Per volere di Freezer.

Davanti ai suoi occhi dovevano essere transitate decine e decine di aspiranti guerrieri, nessuno di essi era riuscito a tenere i propri segreti per sé, Merzor leggeva dentro le persone. Ma non esternava nulla. E forse per questa sua tacita consapevolezza era stato considerato severo e volutamente riservato; desiderava che i suoi allievi apprendessero da soli la durezza della vita spesa per il tiranno, che comprendessero con le proprie forze cosa significava annullare sé stessi per l’impero.

- Zarbon.- pronunciò il suo nome e niente più.

Lui alzò gli occhi e si specchiò nelle tenui, impreviste lacrime rosse della ragazza.

- Niime...- e tutt’un tratto fu trasportato in un immaginario, inconsistente paradiso dove non c’era altro che lei a tendergli la mano.

- Forse se fossimo nati in un altro mondo...- fece con voce rotta, lasciando che una prima, muta stilla trasparente le solcasse lo zigomo - Forse... avremmo potuto essere felici.-

Liberi dalle catene.

Liberi dalla colpa, dai crimini; le mani pulite e non macchiate del sangue di mille individui.

Liberi di sorridere. Liberi di vivere.

Il compagno fu da lei in un istante, cingendola ed accogliendola con veemenza, regalandole un nuovo abbraccio. Un nuovo calore, lasciando che lacrime non sue gli inumidissero il volto.

Niime stava piangendo, incanalando tutto il rancore che possedeva, tutto l’odio che aveva provato fino a quel momento, e lasciandoli sciogliere in un bruciante nodo soffocato in gola.

E tutto ciò che era stata ebbe termine.

Tra le braccia di Zarbon - che le circondavano ancora una volta il corpo e la stringevano, spingendola fin dentro al suo petto - la zavorra intossicante della presa di coscienza fu come se si fosse fatta più leggera, sostenuta da lui, venuto in suo soccorso come un principe.

Cingendogli il collo con le mani, la ragazza si discostò impercettibilmente del compagno, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi.

- Non siamo creature felici.- sospirò, ripetendo le parole di poco prima.

Lui scosse il capo.

- Se un giorno tu desiderassi morire, ti accompagnerei.- glielo sussurrò sulle labbra, come una confessione. Forse nemmeno troppo sicuro di ciò che le aveva appena mormorato, ma del tutto certo che qualsiasi desiderio di Niime sarebbe divenuto un imperativo assoluto da quel momento in poi.

L’altra sbarrò gli occhi.

Le lacrime si sospesero inesorabili tra terra e cielo. Ed il respiro le morì in gola.

- Tu... moriresti con me?-

- Solo se potremo rinascere. Insieme.- confermandoglielo, le asciugò il volto con il dorso di una mano e tutto il sudore versato, la morte che avrebbero e che sino a quell’istante avevano portato, la vita e la potenza combattiva sempre da incrementare... tutto, in quel momento, parve futile e senza significato.

- Zarbon...- di nuovo il suo nome, ma questa volta non volitivo, il tono che usò suonò così lontano e affranto che il guerriero si chiese se non l’avesse ferita, se non avesse aggiunto una spina in più al suo cuore già dolorante.

Ma Niime sorrise.

E questa volta senz’alcuna fatica.

Libera dagli obblighi quali la freddezza glaciale per evitare la sofferenza e la vulnerabilità.

Ed il compagno ne fu investito, travolto, innalzato e illuminato. Le carezzò i capelli, racchiudendola dentro sé, tra le proprie spalle, tra torace e bicipiti.

- Hai dei bellissimi capelli, Niime.-

Senz’aggiungere altro, questa lasciò che le proprie labbra si posassero sulla fonte di quell’impensato ed inaspettato vortice di affetto. Nuovo, sconvolgente, forse quasi terrorizzante.

Socchiusero gli occhi nel medesimo istante e, come se fossero stati due metà divise da millenni, tornarono ad essere un’unica anima.

   
 
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