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Autore: kiara_star    10/03/2013    9 recensioni
[Crossover | Magnus Martinsson (Wallander BBC); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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" La rabbia velocizza i miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che nessuno se lo ricordi.
[...]
«Polizia?» Sposta lo sguardo sul distintivo. «Non hai la faccia da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi occhi sono di nuovo su di me. "
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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8.Un incontro inaspettato
Detective Martinsson



VIII. Un incontro inaspettato



Orrendo livido sullo zigomo, macchia imbarazzante di sugo sul maglione, espressione da ebete stampata sulla faccia. Dulcis in fundo, battito cardiaco indecentemente accelerato.
Cosa noterà per primo?
«Eric, che ci fai qui?» Certo non mi sono dimenticato che lui e la signora Fustern non sono propriamente due vicini amorevoli l’uno per l’altra.
«Ti sei dato alla cucina?» Macchia imbarazzante di sugo sul maglione: ottima scelta!
Un sorriso divertito gli piega le labbra mentre fa scivolare l’elsa del martello nella fibbia della grossa cintura che gli cade sui fianchi.
Tiro un sorriso a stento ma sento le guance deformarsi in una smorfia che non ho il coraggio di domandarmi come appaia ai suoi begli occhi.
Magnus, contegno!
«Stavo girando il sugo e... » Ma che fai, gli rispondi pure?
Indico con il pollice la pentola alle mie spalle ma le parole rimangono incastrate nella gola, parcheggiate fra un’imprecazione ed una richiesta di aiuto divino.
«Venga qui, detective.» La signora Fustern ritorna in cucina con un piccolo spray fra le mai. «Fra dieci minuti non si vedrà più nulla.» E mi salva da un ulteriore imbarazzo. Credo.
«Oh, non doveva preoccuparsi, signora.» Ma ha già spruzzato quella che sembra della schiuma bianca sul mio maglione. Abbasso lo sguardo sulla nuova macchia e spero davvero che fra dieci minuti non si veda più nulla.
«Ho bisogno di altri chiodi.» La voce di Eric mi si versa nelle orecchie prima che lo veda sorpassarmi ed uscire dalla porta che dalla cucina dà sul retro, con ancora un residuo di risolino divertito sulla bocca. Lo seguo con gli occhi e noto solo in quel momento la Ford blu parcheggiata.
Come ho fatto a non farci caso prima? Devono essere state tutte le chiacchiere soporifere della gentile vedova...

«Signora Fustern, mi perdoni, ma lei non mi pare avesse molta simpatia per il suo vicino. Che ci fa qui?» Non lo consideravi un pericoloso ladro? Eh? E mi hai pure mandato a casa sua per complicarmi la vita, nonnina diabolica!
«Oh, detective!» Si porta una mano al petto con fare scenico mentre poggia il coperchio sulla pentola. «È un caro ragazzo. Sbagliavo a considerarlo in modo così ingiusto.» Butto ancora un occhio all’esterno dove Eric pare intento a cercare qualcosa nel suo cofano posteriore. «Mi ha salvato la vita.» Cosa?
«Le ha salvato la vita?» Quando? Dove? Perché fra le miriadi di chiacchiere inutili non ha menzionato l’unica che aveva una minima rilevanza?
«L’altro giorno la mia canna fumaria ha preso fuoco. Non può capire che spavento!» Si accomoda su una sedia passandosi una mano sul viso. «Non sapevo cosa fare. Non riuscivo neanche a chiamare i vigili, ero pietrificata dalla paura. Sono solo uscita in giardino in cerca di aiuto. Ma come può vedere, è una zona molto isolata. Eric però deve avermi sentito gridare e me lo sono trovata davanti come un angelo.» Angelo? Non è proprio l’appellativo più consono ad uno come Eric Huntsman. Per me è più simile ad un demone che si è impossessato della mia mente e su cui sembra inefficace qualsiasi esorcismo! Credo dipenda dai punti di vista. «È stato tanto gentile… Ed io che lo consideravo un tipo pericoloso.» L’ultimo sembra più un richiamo a se stessa che altro. Torno a guardare la sagoma di Eric che chiude il portellone per rientrare in cucina.
«Eric caro, vuoi del caffè?» Eric caro?
«Non si preoccupi. Torno al lavoro, così entro stasera avrò finito, signora Fustern.» Ok. Da quando è diventato così garbato e gentile? Con quella che lui stesso ha definito una vecchia senza simpatia?! Questi due hanno chiaramente intenzione di mandarmi in confusione.
Lo vedo sparire nuovamente verso le scale e mi chiedo se ho abbastanza lucidità per rimanere ancora in questa casa.
«Mi raccomando, detective, non crei problemi a quel ragazzo!» Definire la mia espressione sconcertata è un eufemismo.
«Signora, perché mai dovrei creargli problemi?» Ormai tutti mi considerano alla stregua di uno stalker. Ma qualcuno si ricorda ancora che fra i vari compiti di un agente di polizia c’è anche quello di indagare su ogni possibile sospettato? Sospettato, che fra l’altro, è stata proprio lei ad indicarmi.
«Non dia importanza a quello che le raccontai quel giorno. Sbagliavo. Eric non è un ladro.» Ladro, forse no, di certo è uno che crea parecchi grattacapi, soprattutto a me.
Prendo aria e con essa il tempo necessario per acquisire un po’ di pazienza.
«Può stare tranquilla. Ho fatto tutte le indagini necessarie e non c’è alcun motivo per ritenere il signor Huntsman implicato in qualche maniera nel suo furto.» Sorride rasserenata e mi limito ad un cenno della testa.
«Ora, devo andare.» Ho bisogno di uscire di qui. Sono già stato sbeffeggiato abbastanza. E le tintorie chiudono alle 19.00!
«Di già? Volevo mostrarle prima qualcosa.» Non mi dà il tempo di chiedere nulla ché la vedo dirigersi verso un cassetto del salotto. Assottiglio lo sguardo per cercare di farmi un’idea di cosa stia facendo, ma non riesco a comprendere finché non torna da me con un piccolo portagioie di velluto rosso. «Questi sono gli orecchini di mia nonna.» Mi mostra due piccoli pendenti d’oro con una goccia di perla sul fondo. «Sono in completo con la collana. Era una parure. Ho pensato che potessero essere d’aiuto alle sue indagini.»
«Perché non hanno preso anche questi?» Chiedo aggrottando le sopracciglia e lei piega le labbra sottili in una linea tirata tristemente in su.
«Li avevo portati dal gioielliere per farli riparare. Questo aveva la chiusura rotta. Me li hanno consegnati stamattina... Al mio povero Arthur piacevano tanto.»
Semplice casualità. Beffarda, casualità.
Un cimelio di famiglia, uno di quegli oggetti che sono un pezzo di noi. È questo per Amanda Fustern la collana di sua nonna. Delle seimila corone non ha mai fatto parola. Non gli interessa di altro che di quella collana.
Non ha figli, non ha nipoti. Non ha nessuno a cui donarla, eppure la rivuole. Forse rappresenta quella famiglia che l’ha lasciata. Suo marito è morto anni addietro e lei è rimasta sola in questa casa isolata con tanti pregiudizi e tanta polverosa solitudine.
Non ho il diritto di sminuire il suo dolore. Ho solo l’obbligo di trovare quei ladri e restituirle ciò che le appartiene.

Raccolgo il piccolo cofanetto con cura.
«Grazie mille. Saranno di certo utili, signora.» Vedo i suoi occhi diventare lucidi prima che qualche piccola lacrima scenda lenta. È una dimostrazione di gratitudine che non mi merito.
Infilo il portagioie nella tasta della giacca appesa alla sedia, e sono più che deciso a far ritorno alla centrale e fare quanto in mio potere per ritrovare quella collana. Per qualche attimo dimentico perfino che Eric Huntsman è in questa stessa casa, al piano di sopra, ad armeggiare con le finestre. Dimentico che mi ha ridicolizzato di nuovo, e che per poco non arrossivo come una verginella...
«Detective, potrebbe cortesemente portare una tazza di caffè a quel giovane?» Ma la gentile vedova ci mette poco per rinfrescarmi la memoria. La guardo con un piglio confuso che la sprona a darmi una spiegazione che non posso che accettare senza possibilità di replica: «Andrei io, ma non vorrei che si attaccasse lo stufato.»

Non so perché lo sto facendo. Non so perché tengo stretta con forza questa tazza contro il palmo della mano, senza curarmi del calore ustionante che si riflette sulla mia pelle. Non so perché salgo lentamente ogni piolo con la stessa solennità di un condannato che si avvia alla forca.
Forse perché voglio risposte, forse perché semplicemente voglio rivedere quel sorriso. Magari la verità è che in me c’è una leggera vena masochista.
Svolto l’angolo e mi incammino verso il rumore di martello che odo. Ogni colpo lo sento rimbombare nella testa e nel petto. Quando sbuco davanti alla porta, mi affaccio di poco, giusto per scorgere la schiena di Eric curva su di un’asse.
Busso con la nocca dell’indice sulla porta aperta e lui si volta.
«La signora Fustern ti ha mandato del caffè.» Allungo il braccio cercando di essere il più distaccato possibile.
Tre sono i secondi che mi dedica prima di riprendere a martellare.
«Lars ti ha lasciato un bel ricordino.» Una sottile risata segue le sue parole.
Lars Silvstedt è il marinaio che al porto ha litigato con Derek Bellman. Il marinaio contro cui non ho poi più sporto denuncia, il marinaio che mi ha dato un bel cazzotto sulla faccia. È ovvio che Eric lo conosca. È altresì ovvio che la mia disavventura sia diventata argomento di dialogo fra tutti gli operai. Argomento su cui farsi due risate, potrei aggiungere.
«È stato un incidente.» Preciso percorrendo con gli occhi ogni piega che prende la stoffa chiara sulla sua schiena. Eric continua a picchiare i chiodi senza pausa. Di nuovo una maglia di cotone, ma stavolta ha la decenza di indossarne una a maniche lunghe. Io invece non ho la decenza di distogliere lo sguardo dal suo corpo. «Sono i rischi del mestiere.» E alle mie stesse orecchie l’ultima frase sembra un lento sospiro osceno. Cerco di ritrovare una certa lucidità e mi schiarisco leggermente la gola.
Ormai mi sento scomodo nella mia stessa pelle. Non riconosco le emozioni che provo, non sono miei i brividi che mi avvolgono quando lui si volta con un mezzo sorriso. Sono istinti che non mi appartengono, desideri estranei che mi provocano timori a cui non posso oppormi con alcuna pistola.
Sposto lo sguardo sul bordo in ceramica della tazza, lo percorro con gli occhi quasi non lo vedessi realmente ed ho l’impulso di fiondarmi a buttar giù tutto il caffè bollente pregando che anneghi ogni cosa. Che anneghi questo stupido e fastidioso bisogno di...
«Tutto bene?» Di te. Alzo di colpo la testa ed incrocio i suoi occhi che mi guardano interrogativi. Quegli occhi che mi tormentano ogni volta che chiudo i miei.
«Sì... sì, è tutto ok.» Tiro su le labbra per comodità, ma dentro di me ho solo voglia di nascondermi in un angolo e picchiare la testa contro il muro finché non si tingerà di rosso, o finché non sverrò - dipende quale delle due funziona prima.
Eric continua a guardarmi senza dire nulla, con il legno del martello stretto nella mano, con la capacità di mettermi a disagio con la sua sola presenza.
Ha capito che mentivo, ha capito che no, non sto bene. Mi chiedo se non abbia capito anche altro. Il solo pensiero è agghiacciante e potrei smettere di respirare all’istante se scoprissi che lui sa.
Cosa fai in questa casa? Perché hai aiutato quella donna? Perché continui a stordirmi senza che io possa oppormi? Perché? Perché, Eric? Perché provo quello che non dovrei provare?
Vorrei urlarlo, vorrei afferrarlo per le spalle e scuoterlo finché non mi avrà dato ogni risposta. Vorrei prenderlo a pugni fino a rompermi le dita! Vorrei, vorrei, vorrei e poi vorrei ancora. Voglio tante, troppe cose, e non sono in grado di averne alcuna.
Resto qui, in silenzio, con il suo sguardo a trafiggermi, con il mio a perdersi sul suo viso, su quella perfezione che è un supplizio.
Ho di nuovo 13 anni, l’apparecchio sui denti e sto fissando Susanne Gallstad senza avere il coraggio di darle il suo regalo di compleanno.
«È per me?» Fa un cenno con la testa per indicare la tazza che sosta calda nella mia mano. Ci impiego un po’ per far funzionare il cervello rimasto totalmente appannato dal suo sorriso.
«Oh, io... Sì, la signora Fustern mi ha chiesto di portatelo.» Gliela tendo ancora una volta e prego che il mio braccio non mi giochi contro iniziando a tremare. «Non poteva salire... Il suo stufato poteva bruciarsi, credo.» Ti prego, prendi il caffè e fammi andare via.
«Ah, capisco» E questo cos’è, sarcasmo? Pochi passi e mi è di fronte. «Allora grazie.» Susanne mi strappò il regalo dalle mani senza neanche degnarsi di guardarmi in faccia. E non le piacque neanche.
Quando Eric afferra la tazza, le sue dita sfiorano le mie per pochi secondi, e quando me la porta via il freddo si appropria della mia mano, il mio stomaco invece, è nelle fiamme più alte.
Stomaco? Dovresti ripassare un po’ di anatomia, detective Martinsson.
Un sorso che non vedo perché mi dà nuovamente le spalle, e poi poggia la tazza a terra. Ne approfitto per passarmi una mano fra i capelli avvilito, arrabbiato, totalmente in balia del caos più totale.
Prendo un respiro e soffio l’aria cercando di far meno rumore possibile. Quando i miei polmoni si sgonfiano, Eric torna a guardarmi. Non dice nulla e come se mi stesse studiando.
Lui? Sono io che dovrei studiarlo, che dovrei capire come accidenti faccia a farmi sentire così!
Devo riprendere il controllo di me e della situazione. O mi volto ed esco da questa stanza o afferro il toro per le corna. Azione, basta annegare nella mera riflessione!
«La signora Fustern mi ha raccontato della canna fumaria.» Buon argomento, sono quasi fiero di me. «È stato un bel gesto il tuo.» Avverto la divisa del poliziotto ricoprirmi e Dio solo sa quanto questo mi sia d’aiuto.
«L’ho solo sentita urlare» abbozza prima di tornare al suo lavoro. Prende una manciata di chiodi e li blocca fra i denti. Testa l’asse sinistra del telaio e poi riprende a martellare.
Sento una leggera sicurezza guidare passi e parole, ed entro più a fondo nella piccola stanza. Mi guardo un po’ in giro. Sono stato qui la mattina di... Oh, quella mattina, ovvio!

Pareti coperte di carta da parati verde con sottili linee porpora verticali. Un letto singolo di legno chiaro alla mia destra. Dello stesso colore il comodino accanto. Una abat-jour, un piccolo posacenere. Una trapunta rosa confetto con dei grossi fiori bianchi adorna la branda. Sulla parete di fronte, un armadio a due ante di un legno più scuro. Null’altro.
Deve essere una stanza per gli ospiti, ma di ospiti non deve averne avuti da un po’. Me lo suggerisce la coltre sottile di polvere, me lo conferma il ricordo degli occhi lucidi di Amanda Fustern.
Con un sentimento di tenerezza nel petto sposto ancora la mia attenzione ed il mio sguardo sulla figura di Eric Huntsman.
«Mi era parso di capire che fra di voi non ci fosse molta simpatia.» Mi infilo alla prima pausa di martello e una leggera risata anticipa la sua risposta.
«Avrei dovuto ignorare le sue urla?» Ed ora ho di nuovo il suo sguardo su di me.
«Certo che no! Volevo solo dire che è un gesto inatteso da parte tua. Ecco tutto.»
«Ah sì?» ghigna afferrando dalle labbra l’ultimo chiodo prima di piantalo con pochi colpi sull’asse destra. La leggera sicurezza sta scemando via via dal mio corpo. Potrei fare un passo indietro o potrei farne uno in avanti. Il mio buonsenso mi suggerisce la prima, il mio folle bisogno, la seconda.
«Ammetterai tu stesso che non ti era molto simpatica. E adesso le stai anche sistemando le finestre...» Vince la seconda.
«Tu aiuti la gente in base alla simpatia?» Credo che abbia terminato. Fa qualche passo indietro e ne controlla la riuscita prima di tornare ad agitarmi con il suo sguardo.
«Ovviamente no.» Non riesco a rimanere indifferente a quel sorriso sghembo né alla sua chiara voglia di provocarmi. «Ma io lo faccio di mestiere.» La tua scusa qual è?
«E sei bravo?»
Attento Magnus, qui finisce male.
«Nel mio lavoro? Abbastanza.» Dalla mia voce non trapela incertezza e quasi mi stupisco di come stia riuscendo a gestire questa insolita conversazione.
Forse ho riempito la mia testa di inutili paranoie per un’intera settimana, forse Eric Huntsman non è poi così indecifrabile come credevo.
«E come mai ancora non hai trovato quei ladri?» E poi erano i poliziotti a fare troppe domande, eh?!
«Le indagini richiedono tempo.» Annuisce e sposta lo sguardo sulla testa ferrata del martello. Pondera una risposta o ammette la sconfitta? Perché, è una sfida? Quando lo è diventata?
«Hai fatto anche indagini su di me, immagino...» Il tono è più basso, il suo sguardo più sottile. E la mia sicurezza si infrange come un cristallo sul pavimento.
Deglutisco una nuova inquietudine e sento che ogni passo verso di Eric fatto in questa manciata di minuti potrebbe essere annullato nei successivi secondi. La mia risposta è un’unica pallottola in canna.
«Ovvio.» Premo il grilletto e sono pericolosamente senza difese.
Il silenzio è la sua prima replica e ne approfitto per tentare di scoprire se la mia sincerità sia stata o meno un suicidio.
«E cosa hai scoperto?» La domanda scivola lenta sulla sua lingua mentre infila il manico del martello nuovamente alla cintola. Un brivido lento mi percorre la spina dorsale quando le dita di Eric scorrono su tutta la lunghezza dell’impugnatura. Ho di nuovo il battito indecentemente accelerato e non ho più saliva da mandar giù né santi in cielo a cui rivolgermi, ma sono in ballo e tanto vale gettarsi senza pensarci troppo.
«Dovresti saperlo.» Cerco di contenere cuore ed emozioni ma non posso fare a meno di incollare gli occhi ai suoi mentre un bianco sorriso si disegna fra la barba.
«Già... A voi poliziotti piace impicciarsi della vita degli altri, vero?»
«È un lavoro, Eric. Non è un hobby né un piacere.» Sono sincero alla prima ma mento spudoratamente alla seconda. Anche se “piacere” sarebbe meglio sostituirlo con “necessità psico-fisica”.
Ho passando l’ultimo periodo a giustificarmi con chiunque per una cosa di cui, onestamente, non dovrei. Prima Ringdal, poi la Fustern, adesso Eric stesso... Sono la legge, dannazione, non il crimine. Io sto dalla parte degli angeli[1].
Mi ritrovo a serrare la mascella quando Eric mi si avvicina con lenti passi. Non indietreggio, non mostro cedimenti. Non posso spogliarmi adesso della divisa e mostrargli tutte le mie insicurezze.
«Sospetti di me, Magnus?» alita sommessamente ad un soffio dal mio viso.
Se la soggezione fosse un qualcosa di materiale, avrebbe i suoi occhi.

«No... Non ne ho motivo, Eric.» Non credevo di potergli essere così vicino e non crollare sulle mie stesse ginocchia. Cosa mi tenga in piedi non lo so, magari è solo un residuo di dignità che non voglio perdere nonostante tutto.
I palmi delle mie mani sono sudaticci e le mie labbra tirano per la secchezza. Le sue si piegano leggermente all’insù in un sorriso che pare essere più una minaccia.
«Bene» sospira infine senza però avere intenzione di spostarsi dalla sua posizione.
Io ti avevo avvisato, stupido poliziotto!
«Detective!» È la Fustern. «Detective Martinsson?» La voce sale lenta dal piano di sotto, ma posso udirla senza troppi problemi.
«Ti stanno chiamando, detective.» Ma non riesco a spostarmi di qui. Ho i piedi incollati a terra e le ginocchia cementate. «Forse dovresti andare. È il tuo lavoro... no?» E quando il suo viso sparisce dal mio campo visivo mentre va a raccogliere gli attrezzi sul pavimento, solo allora mi accorgo di aver trattenuto il respiro per gli ultimi venti secondi.
La voce della signora Fustern giunge nuovamente alle mie orecchie. Per fortuna.

«Così pensavo che potesse esserle d’aiuto.»
«Ogni particolare è d’aiuto. Qualsiasi cosa ricordasse, anche in futuro, mi chiami senza problemi.»
«Sono felice che sia lei ad occuparsi del mio caso, detective.» Sollevo lo sguardo dal block-notes. «Sono sicura che riuscirà a ritrovare la mia collana.» Rimango a guardare quegli occhi grigi chiedendomi se sono davvero meritevole di essere chiamato detective. Annuisco con un sorriso ed appunto l’ultimo dettaglio ricordato dalla donna. Probabilmente si rivelerà di poca utilità, ma non voglio più fare meno di quanto devo.
Sono ancora occupato a scrivere quando Eric entra nella cucina. Speravo di riuscire ad andarmene prima del suo arrivo.
«Tutte le finestre sono sistemate» proclama. «Si aprono senza problemi, ma se dovesse avere qualche difficoltà mi chiami.»
«Non so come ringraziarti, caro!» All’ennesimo “caro” non riesco ad impedire all’angolo destro della mia bocca di sollevarsi. Indugio sul taccuino più del dovuto perché non oso alzare gli occhi e rischiare di incrociare lo sguardo di Eric.
«Allora io vado, devo solo raccogliere-»
«Non se ne parla!» Ma a quel tono deciso la mia testa si solleva automaticamente. «Non pensare che ti lasci andare a quest’ora senza neanche farti cenare.» Il viso della donna è una maschera di risolutezza.
«Non credo sia il caso, io-»
«Niente scuse!» Eric viene zittito nuovamente. «Ho fatto la stufato di alce e tu adesso ti siedi e mangi.» Lo afferra per un polso e lo trascina alla sedia di fronte a me. «È quasi pronto.» Ed io rimango adorabilmente sconcertato dalla facilità con cui questa anziana donna è riuscita a piegarlo alla sua volontà. Con me non c’era poi questa gran sorpresa, ma con uno come Eric... E lui non pare mostrare alcuna intenzione di ribattere.
«Signora, non deve- »
«Oh per l’amor del cielo, Eric. Non vuoi accettare i soldi, per lo meno accetta una cena.» Zittito per la terza volta consecutiva. Dovrei prendere esempio... «Non credi che questa povera vecchia si meriti la compagnia di due giovanotti almeno ogni tanto?!» Due giovanotti? Quel plurale mi mette in allarme. Infilo veloce il taccuino nella tasca e mi affretto ad alzarmi. Sento gli occhi di ghiaccio seguire i miei gesti ma non ho tempo per lasciarmi frenare. Questa giornata si è rivelata già abbastanza assurda, non la farò concludere con una cena che avrebbe del grottesco.
«Signora Fustern devo tornare in centrale.» Ora sono quattro gli occhi su di me.
«A quest’ora?» L’orologio appeso alla parete della cucina da cui fa capolino una grossa gallina gialla, indica le 19 passate. Dannazione, hanno già chiuso! Ma non è questo che mi preoccupa. Dal commissariato non è arrivata alcuna chiamata, teoricamente il mio turno è terminato cinque minuti fa.
Valuto velocemente le possibili vie di fuga: insistere sul rientro alla centrale; fingere una chiamata d’emergenza mai arrivata; inventare un impegno inesistente. Nessuna mi sembra adatta, tutte puzzano di menzogna lontano un miglio, e questa donna non ne merita più.

«Non vorrei disturbare...» sospiro grattandomi la nuca e rispondendo a quella domanda in modo quasi sincero.
Anche se non posso vederlo, perché mi sono categoricamente imposto di non guardarlo, posso percepire il ghigno divertito di Eric.

Come se tu fossi riuscito a sottrarti alla sua volontà, “caro”!
«Ma quale disturbo!» Amanda Fustern mi tira giù per un braccio e mi ritrovo nuovamente seduto sulla sedia e stavolta non posso proprio evitare quegli occhi.
«Non essere scortese, Magnus...» Di nuovo un brivido lungo la schiena.
Non conosco molti dettagli della vita di Eric Huntsman, il buco nero di incognite è ancora lì. Non ho idea di chi sia realmente quest’uomo, eppure una cosa è certa: ora, più che mai, voglio scoprire cosa si cela dietro quegli occhi.

















Continua...




[1] Dalla parte degli angeli è una frase, anche se con qualche variante, ©Sherlock (BBC) [ndr. Oh, Moriarty...]



NdA.
Siamo così giunti al settimo appuntamento con il detective più inutile carino della storia!
Spero sia stato di vostro gradimento, a me ha fatto molto piacere scriverlo e mi auguro di non aver maltrattato troppo i personaggi. Con Eric ho sempre qualche dubbio, perché in SWATH non è che si sia molto capito che tipo di uomo è. A me ha dato l’impressione di essere fondamentalmente un buono con la scorza ruvida. Poi, boh, come al solito avrò preso un abbaglio!
Un abbraccio a tutte voi ed un ennesimo grazie ^^
Alla prossima puntat- ehm, volevo dire, al prossimo capitolo ^w^
kiss kiss Chiara

p.s. ancora non ho capito quale malsana voglia l’abbia guidata, ma la gentilissima e bravissima Callie_Stephanides ha creato questo stupendo video su Magnus ed Eric *w* 
Vi invito caldamente a guardarlo perché, cavoli, merita cento volte di più di tutta la mia fic u.u



un bacio speciale, Sara >x<
  
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