Titolo: Le couleur du Désir
Rating: Arancione.
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Capitolo: 2/9
Avvertimenti: Ho modificato alcuni eventi, rispetto all’opera
originale, cercando però allo stesso tempo di mantenere integre le personalità
originali dei protagonisti e di dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Genere: Romantico, malinconico e, naturalmente, storico.
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo personaggio.
Disclaimer: Non possiedo la maggior
parte dei personaggi di questo racconto, poiché essi sono usciti in un primo
momento dalla penna di Victor Hugo e, successivamente, rielaborati dal genio di
Claude-Michel Schönberg. I
soli personaggi che mi appartengono sono quelli che ho io stessa inventato,
ovvero Camille Dupont e la sua famiglia.
I fatti narrati sono in parte inventati da me e in parte sempre ispirati
dall’opera ‘Les Miserables’
di Hugo, seguendo però il filone narrativo del musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’ anche secondo Grantaire. Ma, come ogni uomo mortale,
egli ha anche un lato umano….
Il rosso è il colore
degli uomini irati e del cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le
sfumature di un’anima innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo
Enjolras lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius
glielo spieghi alla vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il
sentimento umano più forte dell’amore?
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Enjoy…
Le couleur
du Désir
A love story behind the barricades.
Part Two: Part of that World.
1829, Paris.
Una
ventata di aria gelida percorse col passo spedito e caotico di un branco di
purosangue in corsa tutta rue de Chaunteverrie,
investendola. Istintivamente, Camille si strinse nello scialle sporco, posato
sulle sue spalle, stringendo a sé sua sorella minore Odette,
scossa dai brividi.
Incredibile
come la sua vita era mutata così tanto in un anno e mezzo.
Dopo
diversi mesi di pura agonia, sua madre era scomparsa, lasciando un grande vuoto
in quella piccola e povera casa. Poi era venuto il tempo di suo padre, di
ammalarsi. Si era accorta che qualcosa non andava una sera, quando, una volta
coricato dopo la cena, aveva sentito il respiro del padre basso e tremolante.
Spento.
Ogni
giorno, quando tornava dal lavoro alla conceria, le sue vesti erano impegnate
di un fetore acido che infastidiva enormemente la ragazza, andando ad annidarsi
anche nei tessuti delle tende o delle sue stesse vesti.
Quell’odore
così fastidioso doveva essere la causa le malessere del padre*,
poiché nulla che puzzasse a quel modo poteva essere salutare. Lo aveva visto
peggiorare progressivamente, fino a non essere più in grado di alzarsi da
letto.
Era
morto anche lui, un paio di mesi prima, a meno di un anno di distanza dalla
moglie, lasciando sole le tre figlie.
I
pochi soldi che portava a casa Eloise non bastavano
più per tutte loro, così anche Camille si era rimboccata le maniche, cercando
anche lei un impiego nella sartoria della sorella.
Purtroppo,
la condizione della Francia sembrava peggiorare di giorno in giorno sempre di
più, e non esistevamo lavori extra per lei.
Così
si era unita alla massa che, giorno dopo giorno, mendicava per le vie di
Parigi, chiedendo qualche moneta per poter acquistare un tozzo di pane, anche
stantio.
Non
importava, poteva abbrustolirlo sul fuoco per renderlo più buono, l’importante
era riuscire a riempire lo stomaco e placare la fame.
Non
vi era nulla peggio della sensazione che portava il non riuscire ad avere
qualcosa sotto ai denti, alle volte per giorni. La fame, alle volte, la
debilitava al punto tale da non riuscire quasi ad alzarsi dal giaciglio di
paglia sul quale era costretta a dormire. Aveva venduto persino il materasso
per poter provvedere ad Odette.
Faceva
tutto il possibile per poterle assicurare il necessario per vivere bene. Non in
modo agiato, solo un miracolo le avrebbe portato giovamento in quel caso, ma
bene. Riuscire a mangiare, avere vestiti caldi….
Tutto
ciò che una bambina meritava di avere.
Però
le cose andavano sempre peggio, così come per la Francia, anche per lei.
Ormai
tutto ciò che le rimaneva, era rinchiudersi in un mondo a parte, fantastico,
racchiuso all’interno della sua mente e protetto dalla notte. In quel mondo, a
vegliare su di lei, c’era sempre un angelo dai ricci capelli dorati e sottili
occhi grigi. Enjolras.
Aveva
provato a scoprire qualcosa su di lui, in quell’anno.
Sapeva
solo che era figlio di un ricco avvocato di corte, una famiglia baciata dai favori
del Re. Un ragazzo così altolocato che non poteva di certo notare una sguattera
come lei. Lo aveva visto un paio di volte, a Place de
la Concorde, camminare trafelato tra le persone insieme ad altri giovani
ragazzi, sicuramente universitari.
Non
lo aveva, però, mai fermato.
Come
poteva pretendere di cogliere la sua attenzione, lei che sedeva sull’ultimo
sudicio gradino della scala sociale?
Non
aveva speranze, con lui….
Nei
suoi sogni, però, poteva prenderlo per meno e sedersi con lui su una balconata
ammantata di verde edera pungente, avvolta da un elegante abito in pizzo color
borgogna.
Ogni
sera si appoggiava al davanzale della finestra, dopo aver fatto addormentare la
piccola Odette, e osservava le stelle, cantando sottovoce un canto di speranza….
Chissà,
magari la fortuna avrebbe girato…. Un giorno forse lo
avrebbe rivisto.
-When's it my turn? Wouldn't I love, love to explore
that shore up above? Out of the sea , wish I could be…. Part of that world-
Nel
tempo, però, aveva smesso di sperare.
Aveva
smesso di aspettare in qualcosa di migliore, che pareva non voler arrivare mai.
Di
certo non si aspettava che qualcosa potesse accadere quella pallida mattina di
dicembre.
Qualche
fiocco di neve aveva preso a cadere dal cielo, quando lei e Odette
arrivarono come sempre all’imbocco degli Champs Elisee. Si sistemarono a sedere sul marciapiede freddo, e
subito Camille sistemò la gonna della piccola così che non patisse troppo
freddo ai piedi nudi. Quando la vide tremare scompostamente non esitò, si sfilò
lo scialle e avvolse la piccola, stringendola poi a sé.
“Non
preoccuparti, tesoro mio. Torneremo presto a casa e se Eloise
avrà preso della legna, ci riscalderemo mentre preparo una buona zuppa con le
lenticchie che Monsieur Lefebvre ci ha portato ieri…”
Non
si rese conto, presa com’era da quelle accortezze verso Odette,
della donna corpulenta che la osservava dall’altro lato della via. Essa infatti
aveva interrotto la presa in visione di un paio di succose verze, che
sembravano perfetta per il minestrone che aveva in mente di preparare, troppo
presa dalla vista di quelle due povere anime. Senza pensarci due volte pagò
quel che doveva all’ortolano, cacciando poi le verze in un cesto e recandosi a
passo spedito verso le due.
Camille
la vide avanzare con passo veloce e immediatamente spostò Odette
su un fianco, cercando di frenare il tremore causato dal freddo, e allungò una
mano.
“Vi
prego, Madame, una moneta.” Sussurrò con vergogna. Nonostante fossero passati
mesi da quando aveva preso a mendicare, l’onta subita ancora non voleva
attenuarsi.
La
donna però la guardò seria, prima di replicare con torno saccente “Ogni favore
ha un prezzo anche innanzi al Salvatore, ragazza. Cosa puoi fare tu per
rendermi quella moneta che io sono disposta a darti?”
Camille
non disse nulla per istanti infiniti, mentre sul suo sguardo cadeva un’ombra.
Poi trovò il coraggio “Non vendo i capelli, non vendo il mio corpo. Non sono
ancora scesa così in basso da dover gattonare per nessun uomo…”
Solo
a quel punto, la donna corpulenta esplose a ridere “Ti sto offrendo un lavoro e
tu sostieni che io possa portarti su un marciapiede? Non è così che si
ringrazia, ragazzina!”
Negli
occhi blu di Camille si accese di nuovo una flebile luce di speranza “Un
lavoro, Madame? Quale tipo di lavoro?”
“Gestisco
un bar, qui vicino.” Le rispose la donna “E io e mia figlia necessitiamo di un
piccolo aiuto. Qualcuno che sia ben disposta a servire i nostri clienti con
sorrisi e a spazzare i nostri pavimenti senza mai lamentarsi. Pensi di poterlo
fare?”
“Potrei
far qualsiasi cosa, per un lavoro che conservi così la mia dignità!”
“Allora
alzati, dobbiamo darti una ripulita o spaventerai i clienti!” la donna porse la
mano ad Odette, che dopo aver guardato dubbiosa e
spaventata la sorella, la accettò con riluttanza. Insieme, le tre si avviarono
per le vie tortuose di Parigi, mentre Camille sentiva ancora di non potersi
fidare totalmente.
Sarebbe
stato troppo bello per esser vero….
*
Madame
Hucheloup si era rivelata una donna dall’animo
franco.
L’aveva
condotta fino al suo bar, le Musain, ma non erano entrate lì. Prima l’aveva portata nei
suoi alloggi, dove le aveva imposto un bagno caldo e un frugale pasto a base di
pane e formaggio.
Ovviamente
non era stata un poi così grande imposizione, visto che a lungo Camille aveva
bramato di poter fare un buon bagno non solo a se stessa ma anche a Odette.
Per
non parlare poi del formaggio. Era passato molto tempo dall’ultima volta che
aveva potuto permettersi un assaggio.
Poi
erano state entrambe vestiti che obiti dimessi dalla figlia di Madame Hucheloup, Julié e, mentre Odette
rimaneva alle cure della ragazza, la proprietaria del bar aveva condotto
Camille nel suo nuovo luogo di lavoro per insegnarle il mestiere.
Le
aveva spiegato sbrigativamente dove trovare le cose che occorrevano e come
comportarsi in determinate situazioni. La ragazza non ci aveva messo molto ad
imparare.
Come
primo incarico, le venne affidata la pulizia totale del locale, in tempo per
l’apertura di quel pomeriggio.
Grata
della possibilità che le si era palesata innanzi, Camille si era sbrigata,
tirando a lucido tutto il bar, dai tavolini, al pavimento, alla scalinata che
conduceva al piano superiore.
Il
legno non era mai stato così lucido, a sentir la proprietaria che subito
stabilì come salario, cinque franchi a giornata.
Camille
quasi non ci credette, era molto più di quanto si
sarebbe mai aspettata. Chiede il motivo di un simile salario – Eloise ne guadagnava solamente tre, e lavorava parecchio
cucendo le divise dei militari- e la risposta fu pratica: fino a che gli affari
andavano bene, poteva permettersi un paio di braccia in più per lavorare e un
paio di mani in più da dover pagare.
Non
lo ammise mai, ma Camille sapeva che aveva scelto lei come aiuto spinta dalla
pena che le doveva aver fatto insieme ad Odette. La
ringraziò più e più volte per quel buon cuore generoso, insieme ai
ringraziamenti rivolti al Signore che aveva, infine, deciso di accogliere le
sue preghiere.
Non
poteva chiedere di meglio, anche se peccando, c’era qualcosa che ancora non aveva
e che tanto bramava.
Mancava,
infine, un’ultima richiesta che il buon Padre forse non avrebbe accolto….
O
magari si.
*
Non
lavorava in quel bar da nemmeno una settimana, quando un pomeriggio accadde ciò
che tanto aspettava ma che, in un certo senso, dava per improbabile.
Se
ne stava al bancone, lucidando un paio di bicchiere e chiacchierando con un
cliente abituale, un tale Grantaire, quando un ragazzo moro fece il suo
ingresso dirigendosi verso di loro.
“Cambeferre!”
disse allegro il moro ricciolino, alzando una bottiglia verso quello che non
poteva essere nient’altro che un caro amico “Ho il supremo piacere di farti
fare la conoscenza della più deliziosa e virtuosa delle fanciulle di tutta
Parigi, Mademoiselle Camille.”
“Incantata
di far la vostra conoscenza, Monsieur Cambeferre!” rispose la giovane,
trillando una risata allegra quando quest’ultimo le prese con delicatezza la
mano conducendola alle labbra, per baciarla come un vero galantuomo.
“Poche
sono le donne rimaste virtuose a Parigi” commentò poi, prendendo posto davanti
a lei su di uno sgabello “Fortunato sarà l’uomo che riuscirà a condurvi
all’altare!”
“Non
gettare mala sorte tra noi, ingrato!” disse Grantaire mentre Camille li
guardava divertita, servendo il nuovo arrivato “Potrei forse esser io quell’uomo, se questo
bellissimo e raro fiore mi concede un appuntamento!”
Camille
sorrise intenerita, prendendo uno strofinaccio per asciugare un paio di boccali
“Siete dolce come miele, Monsieur Grantaire, ma non credo che sarebbe di buon
costume, da parte mia, concedere tale confidenza ad un cliente abituale!”
“Ah,
credo di capire il perché reclinate il mio invito” sussurrò divertito il
ragazzo, passandosi una mano nella zazzera bruna “Il vostro cuore è già stato
preso! Oh me sfortunato!”
Camille
non rispose, limitandosi ad abbassare il capo, mentre Cambeferre prendeva la
parola, ruggendo divertito “Nella tua sfortuna vi è la buona sorte di questa
bella ragazza!”
“Non
faresti ridere nemmeno un ubriaco!”
“Quindi
non sono riuscito a farti ridere, Grantaire?”
La
ragazza ascoltò divertita quello scambio di sottili ma allo stesso tempo
amichevoli malevolenze , non
accorgendosi della porta che veniva nuovamente aperta, stavolta da tre ragazzi.
Grantaire,
che era rivolto in quella direzione, attirò l’attenzione di qualcuno alzando un
braccio “Chiediamo il parere di qualcun altro, va ben? Joly!
Courfeyrac! Venite qui!” disse ridendo, mentre Camille alzava gli occhi
scorgendo due giovani accompagnati da un terzo nascosto dietro di loro “Dite a
Cambeferre che io ho sedotto più donne di quante la sua povera mente stolta
possa vagamente concepire. Tu poi lo sai meglio di tutti, vero Enjolras?”
Il
fragore di vetro in mille pezzi interruppe ogni possibile scambio di battute.
Tutti si voltarono verso il bancone, dove a Camille era appena sfuggito dalla
presa della mani tremolanti un boccale.
“Va
tutto bene, Camille?” domandò stranito Grantaire, mentre Cambeferre si alzava e
andava dietro al bancone ad aiutarla.
“Fate
attenzione Mademoiselle, o vi ferirete!” disse concitato
il rosso, mentre lei tirava un sorriso forzato e tesoro.
“Non
preoccupatevi Monsieur, sono solo sbadata, posso provvedere io stessa!”
Alzò
gli occhi troppo rapidamente e senza pensare alle conseguenze di quel gesto.
Infatti, come colpita da un fulmine, si trovò davanti gli stessi occhi grigi
che per mesi le avevano fatto compagnia in sogno.
*
Enjolras
aveva atteso per molto il momento in cui l’avrebbe rivista, ma si trovò del
tutto impreparato dinnanzi a quegli occhi blu come il cielo notturno, che tanto
aveva desiderato scorgere tra la folla.
Di
certo non si aspettava di scorgerli un tardo pomeriggio di dicembre al Musain, dietro al solito bancone.
Così
non aveva fatto assolutamente nulla, se non prendere posto nell’ultimo sgabello
rimasto libero, quello più traballante, alla sinistra di Grantaire.
Si
era imposto di permettere ai suoi occhi di indugiare eccessivamente sul viso
della dolce ragazza che aveva subito provveduto a servirgli un bicchiere del
miglior vino rosso che avevano, ma si era più volte ritrovato a rimirarla senza
quasi rendersene conto.
Tutto,
in lei, era pure poesia.
Dalle
mani sottili all’apparenza morbide che si muovevano con appena un tocco
delicato di incertezza tra le tante bottiglie poste sulle mensole alle sue
spalle, al modo in cui portava i capelli legati in un chignon esattamente come
la prima volta che l’aveva vista.
Poi
il suo nome.
Camille….
Era
bellissimo, dolce e perfetto esattamente come lo aveva sempre immaginato.
Sembrava
solo sbagliato il modo in cui lo aveva scoperto…. Di
fatto, esso non era uscito dalle labbra rosse della giovane, ma da quelle umide
di alcool di Grantaire, nelle mille volte in cui l’aveva chiamata per attirare
la sua attenzione.
Era
ritrovato infastidito un paio di volte dai comportamenti dell’amico, ma nemmeno
gli altri avevano evitato di dar spettacolo. Sembravano tutti fin troppo felici
di conoscere la nuova cameriera del Musain, per i
suoi gusti.
Di
fatto, aveva passato tutta la serata in silenzio, a bere e ad ascoltare
discorsi filosofici che non avevano alcun senso logico, se non quello di far
sembrare ciascuno dei Les Amis
migliore degli altri agli occhi della giovane.
Camille
sembrava molto divertita dal comportamento dei ragazzi, che la fecero ridere
spesso. Ogni risata era, per Enjolras, una scarica di brividi lungo la schiena.
Anch’essa
era poesia.
Poteva
paragonarla alla musica più bella mai scritta.
Ma
non era lui a suscitarla, anzi…. Si stava comportando
da statua di sale.
Quella
sera, infatti, non fece molto altro se non riscaldare col fondoschiena uno
sgabello traballante dalle imbottiture color panna.
In
cuor suo, si era convinto che non si era presentata l’occasione più propizia
per parlare con Camille.
E
questo avvenne per parecchi giorni.
Non
trovava mai il momento adatto per andare da lei e parlarle come si confaceva ad
una persona dotata di un minimo di educazione.
Mentre
lui non faceva molto altro se non augurarle un ‘Bonjour’
e un ‘Bonsoir’ in base al suo arrivo o al suo
andarsene via, gli altri ragazzi non ci misero niente a socializzare con lei.
Non aveva quindi problemi di timidezza, quella giovane.
Quello
ad avere seri problemi di approccio era proprio Enjolras.
Lui
se ne stava sempre in disparte, ad un tavolino, su uno sgabello o appoggiato
alle scale, mentre Graintaire la invitava a danzare
su una melodia improvvisata da qualcuno che si sarebbe comprato così l’odio di
Enjolras a vita, o discuteva animatamente con Joly e
Cambeferre. Persino Courfyarc, che di donne sapeva
poco o nulla, riusciva a parlarle.
Lui,
che per primo l’aveva vista e che quindi aveva, nella sua testa, più diritti
degli altri, non si era ancora deciso a far nulla.
Era
lei che gli rivolgeva sempre la parola.
Era
lei che si faceva avanti….
Lui
si limitava a rispondere sbrigativo, senza mai guardarla negli occhi.
Era
un suo limite e doveva riconoscerlo.
….
Ovviamente non avrebbe ammesso quella debolezza nemmeno sotto tortura….
“Gradite
qualcosa da mangiare, Monsieur?”
Joly sorrise, voltandosi verso Camille e
guardandola negli occhi mentre ella spolverava la superficie del tavolino dalle
briciole di pane “Se hai cucinato tu qualcosa, allora potrei anche accettare.”
La
ragazza rispose al sorriso, prima di spostare il bicchiere di Enjolras per
poter pulire anche quella porzione di tavolo. Fissò con insistenza il suo volto
sperando che egli avrebbe ricambiato il suo sguardo, le sarebbe bastato, ma lui
non lo fece. Come sempre.
Riappoggiò
il calice e guardo di nuovo Joly “Ho preparato una
zuppa di farro. Nulla di chè, devo ammetterlo, ma è
calda e con dentro qualche crostino di pane sa farsi apprezzare…”
“Ne
prendo una porzione!”
“Anche
io, oggi fa più freddo del solito e voglio qualcosa che mi scaldi” disse
Cambeferre, mentre anche Cour ne chiedeva una anche
per sé.
“Posso
portarvi qualcosa, Monsieur Enjolras?” chiese la giovane, infilando lo straccio
nel cordone del grembiule e guardandolo in attesa. Questi alzò gli occhi dalla
superficie di legno del tavolo, puntandoli per un istante in quelli di Camille.
Poi
scosse il capo “No, vi ringrazio Mademoiselle, non
sono un grande amante del farro.”
“Oh,
come desiderate…” Camille tirò un sorriso pallido,
prima di sparire in cucina.
“Potevi
essere un poco più gentile, cane!” borbottò Cambeferre, tirando una gomitata al
suo migliore amico, ben piazzata sulle costole.
Enjolras
sussultò, portandosi una mano alla zona colpita e lanciando uno sguardo truce a
Cambeferre “Che avrei mai fatto di male??”
“Camille
è sempre così gentile con te” disse Courfeyrac, appoggiandosi col gomito al
tavolo e con una guancia alla mano e guardando esasperato il biondo “In
particolare, con te. Ma tu sei sempre freddo nei suoi riguardi…”
“Dovresti
lasciarti un po’ andare” Concluse Cambeferre, prendendo un sorso di vino. I due
ragazzi avevano capito rapidamente chi era Camille per Enjolras, non ci voleva
di certo un genio per arrivarci. Soprattutto dopo averlo visto arrossire.
Enjolras
che si imbarazza era un evento raro quanto una mucca rosa.
O
vedere Grantaire bere acqua.
Avevano
collegato le cose et voilà, Camille era la famosa
donna che aveva fatto girare la testa al loro amico quella mattina, a Place de la Concorde, un anno prima. Era stato il Destino a
farli incontrare nuovamente ed Enjolras sembrava ben intenzionato a buttare
tutto all’aria perché, come aveva sottolineato anche Feuilly
ad alta voce e con eleganza ‘Enjolras di
donne ne capisce meno che un bambino di politica’.
Ovviamente
erano arrivate delle ritorsioni per lui, una tale frase era pesata parecchio
sull’orgoglio del biondo, che non aveva parlato a Feuilly
per due intere settimane.
Si
erano tutti offerti di aiutarlo nella conquista, ovviamente in differenti
momenti e con differenti livelli di interesse, ma non c’era stato verso di
convincere Enjolras a fare qualcosa. Quella conquista, poi, era vinta prima
ancora di essere iniziata: Camille non aveva occhi che per lui, ogni volta che
lo vedeva si illuminava speranzosa di ricevere anche la più piccola attenzione,
prima di rimanere delusa dall’atteggiamento distaccato del biondo.
Non
poteva farcela…
Non
da solo, per lo meno, e non in quella situazione. Serviva un avvenimento, un
qualcosa che potesse sbloccarlo.
“Stavo
pensando…” Joly attirò
l’attenzione degli amici, prendendo un tiro dalla pipa. Aveva appena
ringraziato più del dovuto Camille, che aveva portato le tre zuppe al tavolo.
Gli occhi del ragazzo si erano illuminati di malizia e ora si era deciso a dire
cosa diavolo gli fosse passato per la testa “Pensavo di chiedere a Camille di
vederci fuori dal Musain.”
Cambeferre
e Courfeyrac lo guardavano straniti, mentre la mano di Enjolras si bloccava a
metà strada verso la bocca, stringendo di più il bicchiere.
“Vedervi…. Per quale motivo?” chiese Cour,
alzando un sopracciglio.
Joly lo guardò ovvio “Per quale motivo, se non
quello di tentare di conquistarla con il mio immenso charme, che voi poveri
buzzurri potete solo sperare di possedere?” Cambeferre alzò gli occhi al cielo,
prendendo successivamente un sorso generoso di zuppa, mentre Cour si voltava verso Enjolras in attesa di una reazione. A
lui si rivolse Joly “Sempre che per te non sia un problema…”
Il
biondo alzò gli occhi così rapidamente verso i suoi da rischiare di farlo
cadere dalla sedia per via di un sussulto violento “Perché dovrebbe toccarmi?”
chiese tagliente, deciso a non aggiungere altro.
Joly scrollò le spalle “Domandavo, visto che
persisti in questo silenzio tombale. Allora vado, non necessito che mi
auguriate buona fortuna.”
“Tieni
i piedi ancorati al pavimento, non vorrei vederti prendere il volo dalla porta
d’ingresso!” Cambeferre lo guardò alzarsi e recarsi al bancone, al quale si
appoggiò rivolgendosi alla giovane che prese ad ascoltarlo immediatamente “Tu
hai la testa più dura di una parete. Se provassi a sbatterla contro di essa,
demoliresti il bar!” aggiunse poi Ferre, guardando
Enjolras con disappunto. Il biondo non sembrava molto interessato, visto che
alternava lo sguardo da Joly e Camille al tavolino di
legno “Lei è laggiù e tu non fai assolutamente nulla per conquistarla,
nonostante non ambisci ad altro. Non sei costretto ad indossare sempre questa
maschera da uomo tutto d’un pezzo, Etienne”
Enjolras
si voltò di scatto “Non chiamarmi così.”
“Ma
così ti chiami”
“Non
ricordarmelo.” Si portò una mano alla fronte, rassegnato, prima di guardare
verso il bancone. Serrò la mascella mentre osservava con attenzione la mano di Joly appoggiarsi sulla spalla lasciata scoperta dallo
scollo del vestito di Camille, e cercò
di trattenere l’istinto omicida che stava provando.
Voleva
bene a Joly, dopotutto era uno dei suoi amici più
fidati, e la ghigliottina non avrebbe risolto niente.
Si
morse le labbra mentre guardava Camille sorridere all’amico, annuendo
lentamente, come se avesse accettato le avance del giovane.
Gli
mancò l’aria, così si alzò.
Chissà
cosa stava continuando a dirgli Ferre.
“Ma
dove vai, si può sapere?” domandò Courfeyrac mentre Cambeferre lasciava
perdere, prossimo alle mani, visto che
con quel testone di Enjolras non si poteva mai discutere.
“A
prendere una boccata di aria fresca, torno tra un istante.” Rispose secco il
biondo, prima di recarsi all’uscita passando davanti al bancone. Non notò lo
sguardo di Camille, che lo seguì fino a che le porte non si richiusero alle sue
spalle.
Si
appoggiò alla parete esterna, chiudendo un istante gli occhi per cancellare le
labbra di Joly che si appoggiavano sulla mano della
donna che lui amava, come a suggellare una promessa.
Chiuse
un istante gli occhi, mentre la voce usciva da sola e incontrollata, dando
forma alla sua tristezza…
-His eyes upon your face…. His hand upon your hand….
His lips caress your skin, It's more than I can stand!!-
Si
affacciò alle vetrate della porta e Joly era ancora
lì, appoggiato con entrambi i gomiti al bancone mentre osservava la mora che
gli stava parlando, stappando una bottiglia di vino.
Se
si fosse innamorata di Joly? L’avrebbe baciato così
come avrebbe potuto fare con lui? E se mai si fossero sposati?
No,
era troppo da poter sopportare.
Enjolras
si incamminò per i viottoli tortuosi, con le mani ben piantati nelle tasche dei
calzoni, deciso a non tornare presto al Musain.
-Why does my heart cry ? Feelings I can't fight! You’re free to leave
me, but just don't deceive me and please believe me, when I say, I love you!-
Enjolras
aveva fatto parecchia strada, quando si rese conto di tre cose: la prima, stava
camminando nella direzione sbagliata. Da quando i suoi genitori avevano
iniziato a fare pressioni su di lui –volevano un matrimonio, poveri illusi-
aveva iniziato a vivere negli alloggi universitari, dall’altro capo di rue de Chaunteverrie.
In
secondo luogo, aveva scordato la sua giacca al Musain.
Se ne rese conto quando riprese a nevicare piuttosto insistentemente e nemmeno
il pensiero più infervorato riuscì ad impedirgli di sentire freddo.
Infine,
non aveva fatto una gran bella figura. Se n’era andato così, senza dire nulla a
nessuno e sicuramente gli altri lo avevano aspettato per parecchio tempo.
Non
riusciva nemmeno a capire da quanto mancasse.
Solo
quando il campanile di Notredame diede un singolo,
squillante colpo di campane capì che era davvero molto più tardi del previsto.
Forse avrebbe addirittura trovato il bar chiuso, quindi a che serviva
affrettare troppo il passo?
Arrivato
trovò tutte le luci spente, come da previsione. Sospirò, alzando gli occhi al
cielo e dandosi da solo del cretino; avrebbe avuto un po’ di spiegazioni da
dare, il giorno successivo.
Si
affacciò per sfizio alle vetrate delle porte, convinto di non scorgere nulla
tra quelle mura, se non il mantello nero pece della notte. Si sbagliava.
Di
spalle rispetto a lui c’era Camille, che spazzava il pavimento lentamente, con
gli occhi volti verso di esso.
Non
poteva sentire bene, ma durante quella contemplazione gli parve quasi che la
giovane stesse cantando. Lentamente, facendo attenzione a non far rumore,
abbassò la maniglia della porta, socchiudendola.
Quello
che sentì gli venir meno il fiato.
Qualche
giorno prima, Camille aveva chiesto una piccola consulenza a Joly. Sua sorella Odette si era
ferita con un fil di ferro mentre giocava con i figli del macellaio che viveva
dalla parte opposta della loro via, e la ferita faticava a risanarsi.
Joly, studente di medicina alle prime armi, le
aveva consigliato dei lavaggi specifici e le aveva portato qualche garza
sterile, chiedendo poi alla giovane di tenerlo informato sulle condizioni della
piccola.
Questo
fu quello che si prefisse di chiederle, mentre si dirigeva al bancone.
Era
però fondamentale che Enjolras credesse davvero che quello era un tentativo da
parte sua di concupirla, o non si sarebbe ingelosito.
Quel
piano geniale non era completamente suo, a dirla tutta. Ci aveva pensato
soprattutto Feuilly, che però non si era presentato
quella sera.
Sicuramente
aveva paura che Enjolras potesse offendersi di nuovo e non parlargli per altro
tempo. Ripicche da bambini e paure stupide, insomma.
Si
appoggiò alla superficie di legno, lanciando una rapida e furbesca occhiata
verso il tavolo. Ferre forse aveva intuito qualcosa
visto che stava parlando al biondo che, naturalmente, non batteva ciglio.
“Camille,
posso farti una domanda, se non suono troppo indiscreto?”
La
mora si voltò stupita verso di lui, annuendo poco dopo “Certo che puoi, Francois”
Joly sorrise. Da quando Camille era diventata
per loro al pari di una sorella, spesso li chiamava per nome. Era una delle
poche persone, eccetto i loro genitori, a farlo.
Il
commento che aveva fatto la ragazza quando Grantaire glielo aveva fatto notare
era stato schietto: sembrava così informale continuare a chiamarli con il cognome, quando ormai conosceva tutte le
birbonate e i misfatti commessi da ciascuno di loro.
Non
aveva tutti i torti, dopotutto.
“Volevo
domandarti come sta tua sorella. Il braccio è guarito?”
“Oh,
perdonami se ho mancato di riferirti le sue condizioni, ma ho la testa altrove.
Sì, la ferita ha cicatrizzato bene, grazie di tutto.” Enjolras passò davanti a
loro, uscendo poi dal café senza guardarsi indietro.
Camille lo seguì fino a che la sua schiena non sparì dietro alla vetrate, poi
si voltò verso Joly. Non le sfuggì l’espressione
vagamente compiaciuta del giovane “Non si sente bene, per caso?”
Joly scosse il capo, prima di voltarsi
nuovamente verso di lei “Parliamo di Enjolras, l’uomo dalle reazioni più
esagerate dell’universo conosciuto….”
La
mora abbassò il capo, prendendo una bottiglia di vino dai ripiani dietro di lei
“Non lo conosco ancora così bene”
Subito,
Joly le poggiò una mano sulla spalla, usando l’altra
per prendere quella della giovane “Imparerete a conoscerlo” le disse,
sorridendo. Lei rispose, annuendo lentamente.
“Me
lo auguro.”
“Sicuramente”
portò la mano della giovane alle labbra, convinto che dietro alla porta ci
fosse ancora il biondo, incapace di smettere di seguire quella scena. Oh, lo
conosceva così bene! “Vi chiedo un’ultima premura, prima di lasciarvi al vostro
mestiere….”
Camille
stappò la bottiglia di vino, prendendo poi due grandi bicchieri. Doveva
portarli velocemente ad un tavolo, stava tardando troppo “Chiedi pure, Francois”
“Domani
potresti portare con te Odette? Così potrò
controllare di persona l’avevanzare della
cicatrizzazione.”
“Va
bene anche nel pomeriggio? Eloise fa sempre storie
quando la porto con me al lavoro, la sera…”
Il
ragazzo annuì “Ve benissimo, passerò verso l’inizio del meriggio, magari per
un’altra porzione di quella deliziosa zuppa”
Si
scambiarono un cenno e Joly tornò al tavolo dai suoi
amici. Camille notò che Enjolras aveva lasciato il cappotto nero sulla sedia,
segno che quindi sarebbe senza dubbio tornato a prenderlo.
Poi
non era da lui andarsene così, levandole il saluto.
Così
attese che le porte si riaprissero per vederlo comparire, ma ogni volta non era
mai lui. Arrivò infine la mezzanotte e con essa la chiusura del locale.
Madame
Hucheloup affidò il locale a Camille, affinché
spazzasse i pavimenti e sistemasse le stoviglie, mentre uno ad uno tutti
lasciavano il locale.
Compresi
Les Amis, che per ultimi
decisero di far ritorno agli alloggi.
“Camille,
posso lasciarti questa?” Cambeferre le porse il cappotto di Enjolras, e lei lo
prese con lieve esitazione “Forse passerà di qui mentre sistemi il locale…. E se così non fosse, lo vedrai prima delle lezioni
di domani mattina. Sicuramente verrà a reclamarla, fuori fa molto freddo e solo
un folle potrebbe uscire in gilet e camicia!”
La
ragazza lisciò un piega sul tessuto, prima di appoggiare il cappotto su uno
degli sgabelli “Sai cosa gli è preso, Fabién?” chiese
a Cambeferre che scrollò le spalle.
“Ha
perso del tutto la testa” asserì Courfeyrac al suo posto, infilandosi il basco
e salutando Camille, prima di uscire fuori seguito dall’amico.
“Allora
a domani, Camille” disse Joly, mentre pagava il conto
“Ci vediamo domani con Odette.”
“A
domani. Buonanotte e grazie ancora.”
Lo
guardò infilarsi il cilindro e sparire a sua volta, facendo una piccola corsa
per raggiungere gli amici.
Trovandosi
del tutto sola, la giovane prese a svolgere il suo lavoro, sistemando le sedie
e pulendo i tavoli, spegnendo di volta in volta tutte le candele fino a
rimanere con una sola, appoggiata sul bancone.
Prese
la scopa dal retro, sospirando.
Come
ogni sera, prese a cantare, cercando di chiudersi per un istante in quel mondo fantastico
che le aveva salvato la vita per tutto quell’orribile anno precedente.
-What would I give to live where you are? What would I
pay to stay here beside you? What would I do to see you smiling at me?-
Strinse
il manico della scopa tra le mani, avvicinandola al petto mentre chiudeva gli
occhi immaginandosi quanto sarebbe stato bello vedere Enjolras sorridere solo
per te. Sentirsi cullata dal tepore del suo abbraccio…
Potergli
anche solo tenere la mano e sentirsi parte del suo mondo.
Ma
non sarebbe mai successo.
Portò
una ciocca di capelli sfuggita al concio dietro all’orecchio, prima di
sospirare e riprendere il suo lavoro.
Enjolras
era un giovane di buona famiglia, uno studente di legge: davanti al suo cammino
brillava uno splendido futuro.
Lei
era solo una cameriera, povera e poteva avere vestiti senza toppe ne fori
solamente perché la padrona del locale non le permetteva di servire i clienti
conciata come una stracciona.
C’era
un abisso tra loro due….
Eppure
in lei viveva quella piccola fiammella di speranza, che bruciava e ardeva nel
suo petto, nonostante tutto.
“Oh
Enjolras, verrà mai il giorno in cui mi guarderai allo stesso modo in cui ti
guardo io?” domandò a se stessa e, inconsapevolmente, la sua voce arrivò ad
orecchie indiscrete, poste dall’altra parte della porta d’ingresso socchiusa….
-Where would we walk? Where would we run? If we could
stay all day in the sun? Just you and me and I could be part of your world-
Non
avrebbe chiesto nient’altro alla vita, se non poter amare quel ragazzo con
tutta se stessa, alla luce del sole. Voleva fare parte di quel mondo non per lo
sfarzo delle classi più altolocate, ma solo perché esso era vivo, reale….
Non
era confinato dentro alle sue palpebre, accessibile solo in sogno.
Poteva
essere attorno a lei, e si trovava a pochi passi da lei, nel sorriso di Enjolras….
Peccato
che lo avesse visto solo un paio di volte e mai era per lei.
Ma
era comunque bellissimo, di una bellezza rara e preziosa.
-I don't know when I don't know how, but I know
something's starting right now watch and you'll see
Someday I'll be part of your world!!-
Aveva
deciso di liberarsi di quelle emozioni, aveva deciso di cantarle alla notte per
poterle almeno condividere con qualcuno.
Ma
si sa, la notte è imbrogliona e illude le persone.
Così
coinvolta, Camille alzò la voce, lasciandola andare del tutto senza alcuna
remora, e non si accorse che la candela sul bancone si era spenta. Così come
non aveva fatto caso alla porta che veniva aperta del tutto e alla figura che
avanzava come in catalessi verso di lei.
Solo
quando si sentì afferrare per un braccio, capì di non essere sola.
La
scopa le sfuggì dalle mani mentre si voltava per fronteggiare chiunque fosse
entrato al Musain alla chiusa. Quando due grandi mani
le catturarono entrambi i polsi lei prese a dimenarsi spaventata, chi poteva
mai essere così perfido da strisciarle alle spalle e aggredirla?
Era
spaventata al punto tale da non riuscire nemmeno ad urlare.
Dalle
labbra le sfuggì solo un singhiozzo, mentre, ormai consapevole che era inutile
continuare a dimenarsi, si rannicchiò appena su se stessa.
“Camille,
fermati!”
Riconobbe
subito quella voce.
Aprì
lentamente gli occhi, voltandosi verso il volto del ragazzo. La luna che
penetrava nella stanza dalle vetrate della porta e dalle finestre lo lasciava
in una cupa penombra, ma i suoi occhi si erano già adattati alle tenebre così
riuscì a scorgerlo.
“Enjolras….?”
“Quello
che stavi cantando, lo pensi veramente?”
Lei
rimase immobile, pietrificata.
Doveva
ammetterlo? Che figura avrebbe mai fatto, quella della ragazzina senza
cervello, persa d’amore per un ragazzo che a stento l’aveva guardata al loro
primo incontro?
“Io…”
“Rispondi!”
disse deciso, tirandola gentilmente per i polsi verso di lui.
Non
voleva spaventarla, ma doveva sapere. Sentiva il cuore galoppargli nel petto
con insistenza, mentre osservava il volto della giovane, stranito ma comunque
bellissimo nel riflesso del pallore lunare.
Lei
deglutì piano, facendosi forza.
A
che sarebbe mai servito negare, a quel punto?
“Si…. Enjolras…. Io sono
innamorata di voi, Monsieur…”
La
presa delle mani del giovane si fece sempre più debole, fino a che non le
lasciò andare i polsi. A quel punto lei abbassò il capo, aspettandosi di
vederlo afferrare il suo cappotto e andarsene.
Ma
non avvenne, perché il biondo appoggiò una mano sul suo fianco mentre l’altra
andava ad sfiorare le sue guance, rosse di imbarazzo.
Stupita,
alzò gli occhi grandi in quelli ceruli del giovane, che si chinò su di lei,
sigillando le loro labbra in un dolce bacio.
Non
era bravo con le parole, e di questo era consapevole.
A
che serviva parlare, dopotutto, quando poteva dimostrarle a quel modo ciò che
provava?
La
colse di sorpresa, certo, ma solo per pochi istanti. Poi Camille appoggiò le
mani sulle sue spalle larghe, ricambiando con lo stesso ardore quel pegno
d’amore.
Qualcosa
era cambiato in loro, rimanendo al contempo lo stesso.
Due
anime affini che si erano trovate e perse, ma che alla fine non avevano potuto
lottare contro al Fato e si erano ricongiunte.
Continua…
Nda.
*Le concerie, nella Parigi del 1800, erano
causa di molto dell’inquinamento delle acqua della città e di molti morti.
Infatti, chi conciava le pelli erano persone che stavano per moltissime ore al
giorno a stretto contatto con gli acidi che servivano per rendere malleabile il
tessuto, ed essi erano altamente tossici. Non è un caso che dopo molto tempo il
padre di Camille si sia ammalato e sia morto. Sicuramente non è mai stato
davvero in salute.
Le
canzoni che ho scelto per questo capitolo sono Part of
Your World (con conseguente Reprise),
cantata da Camille direttamente dal cartone ‘La Sirenetta’ e El Tango de Roxanne, da Mulin Rouge, per quel che
riguarda la parte cantata da Enjolras. Nei prossimi capitoli ci saranno
moltissime altre canzoni di musical famosi, riadattate alla storia.
Spero
che questa idea vi piaccia :D ho deciso di farlo perché, dopotutto, ho tratto
la maggior parte dell’ispirazione dal musical e dal film…
non potevo non mettere qualche canzone!
Il
nomi….
Premetto
che non voglio assolutamente infangare l’opera di Hugo, ma non ho trovato i
nomi dei Les Amis, così ho
deciso di inventarli per un fine puramente di trama.
Qui
di seguito ve li propongo tutti, così potete darmi un parere:
Etienne
Enjolras.
Fabién Combeferre.
Julian Courfeyrac.
Nicolas
Feuilly.
Gaspard Grantaire.
Daniel
Lesgles.
Francois Joly.
Marcel
Prouvaire.
Ho
preso i nomi più comuni e quelli che, a mio parere, potevano suonare meglio col
cognome. Se avete delle note da farmi, non fatevi scrupoli!
Che
altro dire?
La
storia sta andando molto bene e chiedo venia per la lentezza di aggiornamento
ma sto preparando un esame universitario immenso!
Grazie
a chi ha recensito la storia e a chi l’ha aggiunta a preferiti o seguite.
Cercherò
di essere più veloce col prossimo capitolo!
Un abbraccio, Jessy