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Autore: Layla    11/03/2013    3 recensioni
Bound, legati. Tom e Anne sono legati da un filo che si è stretto tra loro per unirli fin da quando erano adolescenti. Un filo tenace, che non si spezza nonostante i tentativi di Tom di reciderlo e la sua decisione di sposare Jen. Un filo che inesorabilmente li attira di nuovo uno verso l'altra.
{"“Tu mi ami ancora, vero Anne?”
Io annuisco.
“Sì, lo sai. L’hai sempre saputo. Tu?”
“Ho bisogno di tempo per pensarci.”
Sul mio volto si dipinge un sorriso amaro.
“Tranquilla, non ci metterò anni.
Dammi una settimana.
Tra una settimana su questa panchina, ok?”}

[Tratto dal secondo capitolo.
Paring:Tom/Anne]
Genere: Romantico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Tom DeLonge
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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3) Sweet home, Salem

 

 

White stones of hollow eyes
Death comes you better hide
Never rest in town
Fall in my arms again
Full moon on a rotten night
Eighteen and a wind came by
Not a soul around
Fall in my arms again
Again

 

Ci sono certi avvenimenti che sono come treni speciali: passano solo una volta e se li perdi per vigliaccheria non te lo perdonerai mai.
L’appuntamento con Tom è uno di quelli, me lo dico mentre faccio le valigie per tornare a San Diego da Londra. Ho festeggiato il Natale con Mark e mi è sembrato fosse un Natale un po’ sottotono: forse è perché il futuro del mondo è incerto, forse perché la piovosa Londra è diversissima dall’assolata California o forse perché l’entusiasmo di mio fratello e Skye non riesce a nascondere del tutto il fatto che questo somigli più a una fuga che a un trasferimento.
Mark è sempre stato uno che ha amato visceralmente il sole, lo skate, la California, l’informalità e quando si è trasferito qui e ha iniziato a comportarsi come un mezzo lord e ad appassionarsi persino al calcio (lui da sempre amante del football americano!) è suonato strano a tutti.
Vuole sradicarsi per ritrovare sé stesso, ma non sono convinta che la cosa stia funzionando, in ogni caso a quarant’anni è grande abbastanza per prendere da solo le sue decisioni.
È però pur sempre il mio fratellone, il mio consigliere da sempre e gli ho raccontato di Tom e chiesto cosa dovessi fare.
Lui è rimasto a lungo in silenzio, poi si è alzato per andare in cucina ed è tornato con una birra.
La sua faccia era incredibilmente seria.
“Ho pensato tanto a quello che mi hai detto l’ultima volta che ci siamo visti.
Hai ragione, ho sempre voluto non vedere quanto tu amassi Tom e come lui a tuo modo ti amasse ancora. “I’m lost without you” è stata scritta per te, idem per “Shove” e “My Heroine” degli Ava e anche “Disaster” dell’ultimo ep è per te.
C’è qualcosa tra di voi che non si può spezzare, qualcosa legato a tutte quelle cose soprannaturali a cui non credo. Ora ne ho preso coscienza e per questo motivo, anche se ho paura che tu soffrirai ancora e che io mi incazzerò ancora con DeLonge, ti dico di andare.
Ascolta quello che ha da dirti e decidi.
Io ho fiducia in te e poi è meglio vivere di rimorsi che di rimpianti, no?”
Io ho sorriso.
“Giusto, Mark.
Ti voglio bene, fratellone!”
“Anche io, sorellina!”
Ci siamo abbracciati e per un attimo mi sono sentita protetta come quando avevo sei anni e avevo paura dei temporali e l’unica cosa che potesse calmarmi era stare abbracciata a lui.
Ho finito di preparare le valigie, di là sento Mark e Jack urlare come dei matti per un gioco alla play a cui stanno giocando, mio fratello non cambierà mai.
“E così te ne vai subito, eh Anne?”
Una voce femminile mi fa sobbalzare: è una sorridente Skye.
“Sì, ho un treno a cui non posso dire di no.”
“E allora digli di sì, buona fortuna Anne.”
“Grazie, Skye!”
Vado di là e saluto mio fratello e mio nipote, entrambi mi travolgono con due abbracci impetuosi, come solo loro sanno fare.
“Ciao zia, spero di vederti presto. Non è che mi porti anche Ava la prossima volta?”
Mi fa ammiccante, io mi chiedo come faccia a sapere che probabilmente la prossima volta che ci rivedremo sarò la compagna di DeLonge.
“Ci proverò, peste.”
Abbraccio Skye e mi faccio portare all’aeroporto da Mark.
Sulla soglia delle partenze internazionali mio fratello mi abbraccia di nuovo e mi sussurra all’orecchio di fare la brava.
Io annuisco con gli occhi leggermente lucidi e me ne vado seguita dal mio trolley.
Il volo si svolge senza problemi e quando sbarco a san Diego il sole è accecante e fa caldo, così mi tolgo il cappotto e rimango solo con il maglione sapientemente bucato, i pantaloni e gli anfibi.
Prendo un taxi e arrivo a casa mia, lancio le chiavi nel piattino che c’è sul mobile dell’ingresso, mollo il trolley e la giacca e mi butto sul divano.
In un ultimo soprassalto di educazione mi tolgo gli anfibi e poi crollo a dormire sfinita.
Mi sveglio che è pieno pomeriggio e mi accorgo che è il giorno in cui devo incontrare Tom.
Merda!
Mi butto sotto la doccia e ne esco completamente sveglia.
Metto un paio di jeans stretti e bucati da cui  si intravvedono delle calze verde acido, una maglia nera bucata– sorella minore del maglione beige con cui mi sono addormentata – da cui si intravvede una maglia dei blink sui toni del verde acido.
Mi trucco, prendo il cappotto e la borsa e mi fiondo fuori casa, non voglio arrivare in ritardo.
Il traffico è scarso in questi giorni di festa, così arrivo quasi subito alla marina e trovo parcheggio vicino alla via.
Prendo un frappuccino allo stesso starbuck e comincio a passeggiare nervosa, a ogni metro che mi avvicino alla nostra panchina sale la voglia di scappare.
Mi faccio forza perché so che non posso perdere questa occasione. Ho trentasette anni, sono adulta e non posso più permettermi di scappare come una ragazzina perché ho paura.
Forza, Anne!
Mi siedo sulla panchina e finisco in apparente tranquillità il mio frappuccino, in realtà continuo a guardare l’orologio: Tom è leggermente in ritardo.
Guardo il mare ancora per un po’ e poi mi accendo una sigaretta.
Quando sono arrivata più o meno a metà arriva lui: ha un’aria rilassata, sembra ringiovanito di dieci anni ed è sexy come al solito.
“Ciao Anne.”
“Ciao Tom.”
“Come sono andate le vacanze?”
Chiediamo insieme per poi scoppiare a ridere come bambini.
Decide di parlare lui per primo.
“Bene, Ava e JoJo sembrano avere digerito bene l’assenza di Jen, Ava soprattutto.
Adesso li ho portati da mia madre che non vede l’ora di spupazzarseli.
Tu?”
“Sono andata da Mark a Londra, non è stato male. Jack gli somiglia ogni giorno di più.”
“Come sta Mark?”
“Bene.”
Lui sorride sincero.
“Bene, finiti i convenevoli seguimi che vorrei portarti in un posto.”
Io annuisco e seguo quest’uomo che a trentasette anni indossa giacche di pelle e jeans stretti come un moderno ventenne fino alla sua macchina.
Entro e mi allaccio la cintura.
“Dove andiamo?”
“Sorpresa.”
Lui esce dal parcheggio e si dirige verso la periferia di San Diego, imbocca l’autostrada in direzione di Poway, io non dico nulla, lui fischietta tranquillamente.
Arrivati all’uscita di Poway non si dirige verso il centro della nostra cittadina, ma verso il deserto, i brividi iniziano a salirmi come quella sera lontana.
“Non dirmi che andiamo a Salem, Tom.”
“Doveva essere una sorpresa, ma tu ci sei arrivata da sola.”
“Cosa ci andiamo a fare lì?”
Dico con la voce incrinata dal panico.
“Vedrai tra poco.”
Parcheggia la macchina e mi fa segno di seguirlo. Io ho un attimo iniziale di paralisi – ricordando come è finita l’ultima volta in cui si siamo addentrati dentro questa ghost town maledetta – ma poi lo seguo. In fondo siamo gli unici esseri di Poway che non hanno nulla da temere da quelli di Salem.
Lentamente arriviamo all’ingresso della cittadina, è tutto come quindici anni fa: stessa sabbia che vola di qua e di là, stesse insegne cigolanti, stessa aria di
abbandono totale.
Ah, Salem…

{“Mi annoio!”L’affermazione di Tom segue a un suo ennesimo tentativo di abbattere una bottiglia di birra con una palla da baseball.“Andiamo nel deserto in cerca di alieni.”Butto lì la prima idea che mi viene in mente, ignara delle conseguenze.“Buona idea, ma non andremo nel deserto in cerca di alieni, ma a esplorare Salem.”Il solo nome mi fa rabbrividire. La cittadina conosciuta a Poway come Salem – in realtà il suo vero nome è New Heaven – è una ghost town situata nel deserto a pochi chilometri lontano da qui.In altre città la ghst town sono state ristrutturate e valorizzate qui invece Salem giace nel più totale abbandono e tutti se ne sono praticamente dimenticati l’esistenza.I vecchi sconsigliano di andarci e ci sono storie terribili sussurrate a mezza voce su quello che vive a Salem. Non muoio dalla voglia di andarci.“Perché Salem? Non mi sembra una buona idea.”“Hai paura delle cazzate di quattro vecchi?”“E i cadaveri che periodicamente saltano fuori dal deserto, Tom?Quelli morti tutti dissanguati?”Lui fa spallucce.Per me Salem è solo un ammasso di ruderi, figo da visitare con il buio. Non è che hai paura Annie-Annie?”
Odio quando mi chiama così e odio quando insinua che ho paura di qualcosa, non voglio mai fare la figura della femminuccia frignona.
Scendo di scatto dal cofano della sua macchina.
“Va bene, andiamo.”

Lui sorride e dopo essere entrati nella sua vecchia Mustang mette in moto e ci dirigiamo verso il deserto. Io sono inquieta, la sicurezza che ho mostrato solo pochi minuti fa era tutta un bluff: anche io ho paura di Salem.La strada che percorriamo è deserta e questo non aiuta la mia ansia, ma Tom sembra calmo e tranquillo, canticchia la canzone dei Descendent che stanno mandando alla radio in questo momento.Si ferma in una piazzola da cui si vede l’ammasso di ruderi che una volta era presumibilmente una fiorente cittadina e parcheggia la macchina.
Scendiamo e io mi stringo di più nella mia felpa nera, nel deserto la notte fa sempre freddo anche d’estate. Camminiamo per un quarto d’ora guidati solo dalla luna, blu come ulteriore presagio di sventura.
Alla fine ci ritroviamo davanti alla strada principale della cittadina: le insegne cigolano mosse dal vento, qualche refolo di sabbia svolacchia e la luna proietta ombre lunghe.

Iniziamo a percorrere il viale e sento strani rumori – diversi dai cigolii – come se qualcuno si nascondesse sempre all’ultimo secondo per non farsi vedere e le ombre mi sembrano piene, brulicanti di qualcosa di indefinito.
Il saloon è alla nostra destra, alla sinistra c’è l’ufficio dello sceriffo, per il resto sono vecchie case di legno con tanto di balconi cadenti, c’è persino un bordello.
“Tom, abbiamo visto Salem abbastanza, che ne dici di tornare indietro?”
I miei piedi sprofondano leggermente nella sabbia, Tom non sembra avermi ascoltato: è attratto dall’unico edificio di pietra del posto, una chiesa.
“Prima visitiamo la chiesa.”
Io ho il sospetto che sia una pessima idea, ma sto zitta e lo seguo rabbrividendo.
La chiesa è in fondo al viale, davanti a noi si stende un cortile lastricato da cui spunta dell’erba secca e poi una scalinata larga che porta alla chiesa leggermente sopraelevata.
Percorriamo il cortile, Tom sembra non sentire i sibili di protesta al rumore amplificato dei nostri passi.
“Tom, non mi sembra il caso, dai!”
Lui scuote la testa e sale la scala, io mi affretto a seguirlo, non rimarrei in questo cortile da sola per tutto l’oro del mondo.
Apre il portone di legno ed entra. L’interno è polveroso e buio, tranne l’altare illuminato da una luce di provenienza ignota.
“Tom…”
“Shhh!”
Lui avanza lungo la navata e io lo seguo titubante, dopo pochi passi la porta si chiude con un colpo secco dietro di noi e dall’altare salgono le prime mote di un organo suonato da chissà chi.
Proseguiamo fino a quando lui non si ferma e io sbatto contro la sua schiena, mi sposto per vedere quello che lo ha fermato e rischio che il cuore mi esca dalle costole: un essere ossuto, illuminato, dalla luce, è sul pulpito con le mani alzate.
“Il cibo è arrivato, fratelli!
Prendete e mangiatene tutti!”
Finita questa macabra parodia dell’Eucarestia, un gruppo di vampiri si fa avanti come un’orda famelica.  Sibilano felici e si lanciano verso di noi.
Tom li guarda sconvolto e alza una mano, io lo imito. Non so come sia possibile, ma questo genera un’onda d’urto che li ributta indietro e scuote la chiesa fino alle fondamenta.
Io rimango imbambolata, fino a che realizzo dove sono e in quali guai sia, questo mi dà la forza di iniziare a correre insieme a Tom.
Riassumendo: sono in una vecchia chiesa e corro verso l’uscita seguendo l’alta figura di Tom davanti a me come se da questo dovesse dipendere la mia vita. Effettivamente è così, se mi fermassi sarei perduta, diventerei anche io come le creature che vivono qui.
Vampiri in pieno ventesimo secolo, chi l’avrebbe mai detto? Solo Stephen King probabilmente.
Il mio cuore batte a una velocità anormale – temo che scoppi da un momento all’altro – un po’ per la corsa, un po’ per la paura. Dietro di me sento urla, rumori di corsa e di calcinacci che cadono, temo che questa merdosa chiesa abbia deciso di cadere a pezzi proprio adesso.
Il rumore più forte di una caduta e un dolore lancinante al piede destro mi fanno cadere lunga e distesa.
Merda.
Nervosamente mi giro sulla pancia e constato che sul mio piede è caduto uno di quei fottuti calcinacci e che per me è troppo pesante da spostare.
“TOM!”
Urlo al colmo della disperazione e con le lacrime agli occhi.
Lo vedo tornare indietro e sento che qualcuno dietro di me sta rallentando la corsa.
Deglutisco.
La figura dietro di me si inginocchia senza quasi fare rumore, l’unico che sento è quello del mio cuore impazzito.
Tum- tum-tum
Una mano pallida e con lunghi artigli neri al posto delle unghie mi risbatte a terra.
Tum-tum-tum-tum.
Tom muoviti.
Tum-tum-tum.tum-tum.
Due canini si conficcano nella carne tenera del mio collo, questa è l’ultima sensazione fisica precisa che ricordo, perché poi inizio a urlare.
Come non ho mai urlato.
Fino a rompermi le corde vocali.
Sto andando a fuoco, c’è del fuoco che circola nel mio sangue e mi sta corrodendo!
Percepisco solo vagamente Tom che sbatte via la figura e che mi carica sulle sue spalle larghe, sento solo il fuoco nelle vene e il pulsare di qualcosa di diverso dal mio cuore.

Poi finalmente il buio cala su di me.

 

Are you scared of the dark my friends?
What do you fear my love?
Your soul it will float like a dove
Your words they will scream loud enough
Your lips they will stutter with flavor
You can't shake the taste of the blood
Hold on you're breaking up


Sono in una stanza che non conosco e il mio corpo è steso su un letto ignoto e avvolto in una coperta indiana. La cosa più strana è che io lo vedo staccato da me, come se stessi fluttuando nell’aria.
Forse sono morta, forse il fuoco che sentivo nelle vene mi ha bruciato.
Sento la voce di Tom e di uno sconosciuto nella stanza accanto e decido di raggiungerli.
Capisco che siamo in una delle case della riserva indiana di Poway perché l’uomo con cui sta parlando Tom è un vecchio indiano dai capelli grigio chiaro e dalla pelle scolpita e cura come il cuoio.
“L’unico modo per salvarla è bere questo intruglio e farti mordere da lei, ma questo vi legherà a vita, sei sicuro di riuscire a reggere, ragazzino?”
Lui sospira, ha gli occhi bassi e i segni delle lacrime sulle guance.
“Non lo so, ma io non voglio che lei muoia o diventi una di quelli. Rivoglio la mia Anne.”
“E sia, ma ricordati delle conseguenze. Non si stringono patti a caso.”
Lui annuisce e il vecchio si mette a rimestare in un calderone, l’odore è nauseante e mi rispedisce all’istante nel mio corpo.
Cosa mi è successo?
Sento il calore del fuoco sotto la ceneri nella mia anima.
Ho bisogno di sangue – un fottuto bisogno che invade ogni fibra del mio corpo – purtroppo sono ancora troppo debole per alzarmi e sentire l’odore meraviglioso del sangue di Tom e del vecchio indiano nell’altra stanza è una tortura.
Devo nutrirmi o morirò.
Cibo, cibo, cibo.
Il mio cervello in fiamme urla solo quello come un disco rotto.
Passa una mezz’ora terribile prima che io possa riprendere il controllo del mio corpo, poi finalmente riesco ad alzarmi dal letto e con uno scatto secco mi tolgo la coperta di dosso.
Sto per fare irruzione e nutrirmi del sangue del ragazzo che amo quando la porta si apre e me lo trovo davanti.
Per puro istinto mi lancio sul suo collo e lo mordo senza trovare resistenza da parte sua: bevo giusto un paio di sorsate quando il fuoco che ho nelle vene diventa più forte.
Mi stacco e urlo con tutte le mie forze, portandomi le mani sulle orecchie, ho l’impressione di esplodere!
In un attimo sono in un mondo fatto di cenere, da cui altra cenere piove dal cielo e una figura vestita di bianco con un tocco gentile sulla fronte mi fa cadere a terra.
Torno a essere me stessa – senza bisogno di sangue o fuoco nelle vene – e mi accorgo di essere sdraiata sul pavimento della camera da letto dell’indiano, con Tom a pochi passi di distanza che si tocca il collo da cui ancora esce del sangue.
“Cosa è successo?
Dove sono?”
Chiedo con un filo di voce, provo ad alzarmi, ma la caviglia manda un dolore lancinante e sarei di nuovo a terra se le braccia di Tom non fossero svelte ad afferrarmi.
“Andiamo di là, piccola.”
Mi prende in braccio e mi stende su un divano, un vecchio indiano si fa avanti sorridendo.
“Mi chiamo Michael Clearwater, adesso darò un’occhiata alla tua caviglia.”
Io annuisco.
“Io mi chiamo, Anne Hoppus, piacere.”
Lui la tasta a lungo e infine scuote la testa.
“Non è rotta, è solo una brutta storta.”
Mi fascia il piede e poi – con l’aiuto di Tom – mi siedo al tavolo e mangio la zuppa che mi viene servita: sarà perché ho una fame pazzesca, ma mi sembra buonissima.
“Cosa è successo?”
Chiedo dopo aver deposto piano il cucchiaio sul tovagliolo.
“Sei stata morta dai vampiri di Salem e rischiavi di diventare uno di loro.”
“Cosa?”
“Il vampiro ti aveva morso con l’intenzione di ucciderti, ma il tuo ragazzo te lo ha staccato di dosso prima che finisse il suo lavoro e in questo modo avevi in circolo il veleno.
Ti ha portata via da Salem ed essendoci incontrati per caso nel deserto, ti abbiamo  portata qui e ti abbiamo somministrato un antidoto.”
Mi suona troppo facile.
“Che genere di antidoto?”
Lui sospira.
“Tom ha bevuto una zuppa contenente l’antidoto e tu l’hai assunto mordendolo, in questo modo però siete anche legati da una connessione.
Potete leggere uno i pensieri dell’altro e siete legati a vita, solitamente anche a livello sentimentale.
Tu non potrai amare nessun altro all’infuori di lui e lui amerà sempre te.”
Il volto di Tom si scurisce: mi ama, ma non è pronto ad assumersi un impegno così gravoso, ne sono certa.
“Grazie per avermi salvato la vita.”
“Non c’è di che.”
Rimaniamo ancora un po’ a parlare con il signor Clearwater, poi Tom mi riaccompagna a casa e durante il soggiorno non spiccica una parola-
È un brutto segnale.
Nei giorni seguenti mi ignora e una settimana dopo usciamo a mangiare insieme da Sombrero. La sua faccia è scura e le mani gli tremano leggermente, si vede che deve dirmi qualcosa e sicuramente non sarà piacevole.
“Anne.”
A fine pranzo si decide a guardarmi.
“Anne, io non sono pronto a stare insieme a te per sempre, è meglio se la chiudiamo qui.”
“Mi stai lasciando?”
“Sì.”
“Ok.”
Metto i soldi per il mio pranzo sul tavolo e poi esco dal locale come in trance.
Il mio cuore sta esplodendo.
Esco dal locale e la pioggia mi risveglia: inizio a correre lungo il marciapiede urlando come una pazza.
Il mio cuore è andato in pezzi e le schegge infuocate che si sono conficcate in me mi stanno uccidendo.}


Il flashback è finito, sento la mano calda di Tom stringere la mia – gelida – e tirarla poi leggermente.
Siamo davanti al sagrato della chiesa di Salem, là dove tutto è cominciato.
“Vieni, piccola.
Sei pronta a finire quello che abbiamo cominciato quindici anni fa?”
Io annuisco e insieme apriamo il portone della chiesa, provocando i gemiti delle creature che vivono al suo interno.
Bentornata a Salem, Anne!

Angolo di Layla.

Spero che questo terzo capitolo vi piaccia, adesso sapete perché c'è questa connessione tra Tom e Anne e intuirete come finirà tra loro.

Siamo già arrivato al penultimo capitolo.

Ringrazio: giulss182, imperfectjosie, killallyourfriends, LostinStereo3 per le recensioni e mi scuso per non avere risposto.

 

 

   
 
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