3) Sweet home, Salem
White stones of hollow eyes
Death comes you better
hide
Never rest in town
Fall in my arms again
Full moon on a rotten
night
Eighteen and a wind came
by
Not a soul around
Fall in my arms again
Again
Ci
sono certi avvenimenti che sono come treni speciali: passano solo una
volta e
se li perdi per vigliaccheria non te lo perdonerai mai.
L’appuntamento
con Tom è uno di quelli, me lo dico mentre faccio le valigie
per tornare a San
Diego da Londra. Ho festeggiato il Natale con Mark e mi è
sembrato fosse un
Natale un po’ sottotono: forse è perché
il futuro del mondo è incerto, forse
perché la piovosa Londra è diversissima
dall’assolata California o forse perché
l’entusiasmo di mio fratello e Skye non riesce a nascondere
del tutto il fatto
che questo somigli più a una fuga che a un trasferimento.
Mark
è sempre stato uno che ha amato visceralmente il sole, lo
skate, la California,
l’informalità e quando si è trasferito
qui e ha iniziato a comportarsi come un
mezzo lord e ad appassionarsi persino al calcio (lui da sempre amante
del
football americano!) è suonato strano a tutti.
Vuole
sradicarsi per ritrovare sé stesso, ma non sono convinta che
la cosa stia
funzionando, in ogni caso a quarant’anni è grande
abbastanza per prendere da
solo le sue decisioni.
È
però pur sempre il mio fratellone, il mio consigliere da
sempre e gli ho
raccontato di Tom e chiesto cosa dovessi fare.
Lui
è rimasto a lungo in silenzio, poi si è alzato
per andare in cucina ed è
tornato con una birra.
La
sua faccia era incredibilmente seria.
“Ho
pensato tanto a quello che mi hai detto l’ultima volta che ci
siamo visti.
Hai
ragione, ho sempre voluto non vedere quanto tu amassi Tom e come lui a
tuo modo
ti amasse ancora. “I’m lost without you”
è stata scritta per te, idem per
“Shove” e “My Heroine” degli
Ava e anche “Disaster” dell’ultimo ep
è per te.
C’è
qualcosa tra di voi che non si può spezzare, qualcosa legato
a tutte quelle
cose soprannaturali a cui non credo. Ora ne ho preso coscienza e per
questo
motivo, anche se ho paura che tu soffrirai ancora e che io mi
incazzerò ancora
con DeLonge, ti dico di andare.
Ascolta
quello che ha da dirti e decidi.
Io
ho fiducia in te e poi è meglio vivere di rimorsi che di
rimpianti, no?”
Io
ho sorriso.
“Giusto,
Mark.
Ti
voglio bene, fratellone!”
“Anche
io, sorellina!”
Ci
siamo abbracciati e per un attimo mi sono sentita protetta come quando
avevo
sei anni e avevo paura dei temporali e l’unica cosa che
potesse calmarmi era
stare abbracciata a lui.
Ho
finito di preparare le valigie, di là sento Mark e Jack
urlare come dei matti
per un gioco alla play a cui stanno giocando, mio fratello non
cambierà mai.
“E
così te ne vai subito, eh Anne?”
Una
voce femminile mi fa sobbalzare: è una sorridente Skye.
“Sì,
ho un treno a cui non posso dire di no.”
“E
allora digli di sì, buona fortuna Anne.”
“Grazie,
Skye!”
Vado
di là e saluto mio fratello e mio nipote, entrambi mi
travolgono con due
abbracci impetuosi, come solo loro sanno fare.
“Ciao
zia, spero di vederti presto. Non è che mi porti anche Ava
la prossima volta?”
Mi
fa ammiccante, io mi chiedo come faccia a sapere che probabilmente la
prossima
volta che ci rivedremo sarò la compagna di DeLonge.
“Ci
proverò, peste.”
Abbraccio
Skye e mi faccio portare all’aeroporto da Mark.
Sulla
soglia delle partenze internazionali mio fratello mi abbraccia di nuovo
e mi
sussurra all’orecchio di fare la brava.
Io
annuisco con gli occhi leggermente lucidi e me ne vado seguita dal mio
trolley.
Il
volo si svolge senza problemi e quando sbarco a san Diego il sole
è accecante e
fa caldo, così mi tolgo il cappotto e rimango solo con il
maglione
sapientemente bucato, i pantaloni e gli anfibi.
Prendo
un taxi e arrivo a casa mia, lancio le chiavi nel piattino che
c’è sul mobile
dell’ingresso, mollo il trolley e la giacca e mi butto sul
divano.
In
un ultimo soprassalto di educazione mi tolgo gli anfibi e poi crollo a
dormire sfinita.
Mi
sveglio che è pieno pomeriggio e mi accorgo che è
il giorno in cui devo
incontrare Tom.
Merda!
Mi
butto sotto la doccia e ne esco completamente sveglia.
Metto
un paio di jeans stretti e bucati da cui
si intravvedono delle calze verde acido, una maglia nera
bucata– sorella
minore del maglione beige con cui mi sono addormentata – da
cui si intravvede
una maglia dei blink sui toni del verde acido.
Mi
trucco, prendo il cappotto e la borsa e mi fiondo fuori casa, non
voglio
arrivare in ritardo.
Il
traffico è scarso in questi giorni di festa, così
arrivo quasi subito alla
marina e trovo parcheggio vicino alla via.
Prendo
un frappuccino allo stesso starbuck e comincio a passeggiare nervosa, a
ogni
metro che mi avvicino alla nostra panchina sale la voglia di scappare.
Mi
faccio forza perché so che non posso perdere questa
occasione. Ho trentasette
anni, sono adulta e non posso più permettermi di scappare
come una ragazzina
perché ho paura.
Forza,
Anne!
Mi
siedo sulla panchina e finisco in apparente tranquillità il
mio frappuccino, in
realtà continuo a guardare l’orologio: Tom
è leggermente in ritardo.
Guardo
il mare ancora per un po’ e poi mi accendo una sigaretta.
Quando
sono arrivata più o meno a metà arriva lui: ha
un’aria rilassata, sembra
ringiovanito di dieci anni ed è sexy come al solito.
“Ciao
Anne.”
“Ciao
Tom.”
“Come
sono andate le vacanze?”
Chiediamo
insieme per poi scoppiare a ridere come bambini.
Decide
di parlare lui per primo.
“Bene,
Ava e JoJo sembrano avere digerito bene l’assenza di Jen, Ava
soprattutto.
Adesso
li ho portati da mia madre che non vede l’ora di
spupazzarseli.
Tu?”
“Sono
andata da Mark a Londra, non è stato male. Jack gli somiglia
ogni giorno di
più.”
“Come
sta Mark?”
“Bene.”
Lui
sorride sincero.
“Bene,
finiti i convenevoli seguimi che vorrei portarti in un posto.”
Io
annuisco e seguo quest’uomo che a trentasette anni indossa
giacche di pelle e
jeans stretti come un moderno ventenne fino alla sua macchina.
Entro
e mi allaccio la cintura.
“Dove
andiamo?”
“Sorpresa.”
Lui
esce dal parcheggio e si dirige verso la periferia di San Diego,
imbocca
l’autostrada in direzione di Poway, io non dico nulla, lui
fischietta
tranquillamente.
Arrivati
all’uscita di Poway non si dirige verso il centro della
nostra cittadina, ma
verso il deserto, i brividi iniziano a salirmi come quella sera lontana.
“Non
dirmi che andiamo a Salem, Tom.”
“Doveva
essere una sorpresa, ma tu ci sei arrivata da sola.”
“Cosa
ci andiamo a fare lì?”
Dico
con la voce incrinata dal panico.
“Vedrai
tra poco.”
Parcheggia
la macchina e mi fa segno di seguirlo. Io ho un attimo iniziale di
paralisi –
ricordando come è finita l’ultima volta in cui si
siamo addentrati dentro
questa ghost town maledetta – ma poi lo seguo. In fondo siamo
gli unici esseri
di Poway che non hanno nulla da temere da quelli di Salem.
Lentamente
arriviamo all’ingresso della cittadina, è tutto
come quindici anni fa: stessa
sabbia che vola di qua e di là, stesse insegne cigolanti,
stessa aria di
abbandono
totale.
Ah,
Salem…
Odio quando mi chiama così e odio quando insinua che ho paura di qualcosa, non voglio mai fare la figura della femminuccia frignona.
Scendo di scatto dal cofano della sua macchina.
“Va bene, andiamo.”
Lui sorride e dopo essere entrati nella sua vecchia Mustang mette in moto e ci dirigiamo verso il deserto. Io sono inquieta, la sicurezza che ho mostrato solo pochi minuti fa era tutta un bluff: anche io ho paura di Salem.
Scendiamo e io mi stringo di più nella mia felpa nera, nel deserto la notte fa sempre freddo anche d’estate. Camminiamo per un quarto d’ora guidati solo dalla luna, blu come ulteriore presagio di sventura.
Alla fine ci ritroviamo davanti alla strada principale della cittadina: le insegne cigolano mosse dal vento, qualche refolo di sabbia svolacchia e la luna proietta ombre lunghe.
Iniziamo a percorrere il viale e sento strani rumori – diversi dai cigolii – come se qualcuno si nascondesse sempre all’ultimo secondo per non farsi vedere e le ombre mi sembrano piene, brulicanti di qualcosa di indefinito.
Il saloon è alla nostra destra, alla sinistra c’è l’ufficio dello sceriffo, per il resto sono vecchie case di legno con tanto di balconi cadenti, c’è persino un bordello.
“Tom, abbiamo visto Salem abbastanza, che ne dici di tornare indietro?”
I miei piedi sprofondano leggermente nella sabbia, Tom non sembra avermi ascoltato: è attratto dall’unico edificio di pietra del posto, una chiesa.
“Prima visitiamo la chiesa.”
Io ho il sospetto che sia una pessima idea, ma sto zitta e lo seguo rabbrividendo.
La chiesa è in fondo al viale, davanti a noi si stende un cortile lastricato da cui spunta dell’erba secca e poi una scalinata larga che porta alla chiesa leggermente sopraelevata.
Percorriamo il cortile, Tom sembra non sentire i sibili di protesta al rumore amplificato dei nostri passi.
“Tom, non mi sembra il caso, dai!”
Lui scuote la testa e sale la scala, io mi affretto a seguirlo, non rimarrei in questo cortile da sola per tutto l’oro del mondo.
Apre il portone di legno ed entra. L’interno è polveroso e buio, tranne l’altare illuminato da una luce di provenienza ignota.
“Tom…”
“Shhh!”
Lui avanza lungo la navata e io lo seguo titubante, dopo pochi passi la porta si chiude con un colpo secco dietro di noi e dall’altare salgono le prime mote di un organo suonato da chissà chi.
Proseguiamo fino a quando lui non si ferma e io sbatto contro la sua schiena, mi sposto per vedere quello che lo ha fermato e rischio che il cuore mi esca dalle costole: un essere ossuto, illuminato, dalla luce, è sul pulpito con le mani alzate.
“Il cibo è arrivato, fratelli!
Prendete e mangiatene tutti!”
Finita questa macabra parodia dell’Eucarestia, un gruppo di vampiri si fa avanti come un’orda famelica. Sibilano felici e si lanciano verso di noi.
Tom li guarda sconvolto e alza una mano, io lo imito. Non so come sia possibile, ma questo genera un’onda d’urto che li ributta indietro e scuote la chiesa fino alle fondamenta.
Io rimango imbambolata, fino a che realizzo dove sono e in quali guai sia, questo mi dà la forza di iniziare a correre insieme a Tom.
Riassumendo: sono in una vecchia chiesa e corro verso l’uscita seguendo l’alta figura di Tom davanti a me come se da questo dovesse dipendere la mia vita. Effettivamente è così, se mi fermassi sarei perduta, diventerei anche io come le creature che vivono qui.
Vampiri in pieno ventesimo secolo, chi l’avrebbe mai detto?
Il mio cuore batte a una velocità anormale – temo che scoppi da un momento all’altro – un po’ per la corsa, un po’ per la paura. Dietro di me sento urla, rumori di corsa e di calcinacci che cadono, temo che questa merdosa chiesa abbia deciso di cadere a pezzi proprio adesso.
Il rumore più forte di una caduta e un dolore lancinante al piede destro mi fanno cadere lunga e distesa.
Merda.
Nervosamente mi giro sulla pancia e constato che sul mio piede è caduto uno di quei fottuti calcinacci e che per me è troppo pesante da spostare.
“TOM!”
Urlo al colmo della disperazione e con le lacrime agli occhi.
Lo vedo tornare indietro e sento che qualcuno dietro di me sta rallentando la corsa.
Deglutisco.
La figura dietro di me si inginocchia senza quasi fare rumore, l’unico che sento è quello del mio cuore impazzito.
Tum- tum-tum
Una mano pallida e con lunghi artigli neri al posto delle unghie mi risbatte a terra.
Tum-tum-tum-tum.
Tom muoviti.
Tum-tum-tum.tum-tum.
Due canini si conficcano nella carne tenera del mio collo, questa è l’ultima sensazione fisica precisa che ricordo, perché poi inizio a urlare.
Come non ho mai urlato.
Fino a rompermi le corde vocali.
Sto andando a fuoco, c’è del fuoco che circola nel mio sangue e mi sta corrodendo!
Percepisco solo vagamente Tom che sbatte via la figura e che mi carica sulle sue spalle larghe, sento solo il fuoco nelle vene e il pulsare di qualcosa di diverso dal mio cuore.
Poi finalmente il buio cala su di me.
Are you scared of the dark my
friends?
What do you fear my love?
Your soul it will float
like a dove
Your words they will
scream loud enough
Your lips they will
stutter with flavor
You can't shake the
taste of the blood
Hold on you're breaking
up
Sono in una
stanza che non conosco e il mio corpo è steso su un letto
ignoto e avvolto in
una coperta indiana. La cosa più strana è che io
lo vedo staccato da me, come
se stessi fluttuando nell’aria.
Forse sono
morta, forse il fuoco che sentivo nelle vene mi ha bruciato.
Sento la voce
di Tom e di uno sconosciuto nella stanza accanto e decido di
raggiungerli.
Capisco che
siamo in una delle case della riserva indiana di Poway
perché l’uomo con cui
sta parlando Tom è un vecchio indiano dai capelli grigio
chiaro e dalla pelle
scolpita e cura come il cuoio.
“L’unico modo
per salvarla è bere questo intruglio e farti mordere da lei,
ma questo vi
legherà a vita, sei sicuro di riuscire a reggere,
ragazzino?”
Lui sospira, ha
gli occhi bassi e i segni delle lacrime sulle guance.
“Non lo so, ma io
non voglio che lei muoia o diventi una di quelli. Rivoglio la mia
Anne.”
“E sia, ma
ricordati delle conseguenze. Non si stringono patti a caso.”
Lui annuisce e
il vecchio si mette a rimestare in un calderone, l’odore
è nauseante e mi
rispedisce all’istante nel mio corpo.
Cosa mi è
successo?
Sento il calore
del fuoco sotto la ceneri nella mia anima.
Ho bisogno di
sangue – un fottuto bisogno che invade ogni fibra del mio
corpo – purtroppo
sono ancora troppo debole per alzarmi e sentire l’odore
meraviglioso del sangue
di Tom e del vecchio indiano nell’altra stanza è
una tortura.
Devo nutrirmi o
morirò.
Cibo, cibo,
cibo.
Il mio cervello
in fiamme urla solo quello come un disco rotto.
Passa una
mezz’ora terribile prima che io possa riprendere il controllo
del mio corpo,
poi finalmente riesco ad alzarmi dal letto e con uno scatto secco mi
tolgo la
coperta di dosso.
Sto per fare
irruzione e nutrirmi del sangue del ragazzo che amo quando la porta si
apre e
me lo trovo davanti.
Per puro
istinto mi lancio sul suo collo e lo mordo senza trovare resistenza da
parte
sua: bevo giusto un paio di sorsate quando il fuoco che ho nelle vene
diventa
più forte.
Mi stacco e
urlo con tutte le mie forze, portandomi le mani sulle orecchie, ho
l’impressione di esplodere!
In un attimo
sono in un mondo fatto di cenere, da cui altra cenere piove dal cielo e
una
figura vestita di bianco con un tocco gentile sulla fronte mi fa cadere
a
terra.
Torno a essere
me stessa – senza bisogno di sangue o fuoco nelle vene
– e mi accorgo di essere
sdraiata sul pavimento della camera da letto dell’indiano,
con Tom a pochi
passi di distanza che si tocca il collo da cui ancora esce del sangue.
“Cosa
è successo?
Dove
sono?”
Chiedo
con un filo di voce, provo ad alzarmi, ma la caviglia manda un dolore
lancinante
e sarei di nuovo a terra se le braccia di Tom non fossero svelte ad
afferrarmi.
“Andiamo
di là, piccola.”
Mi
prende in braccio e mi stende su un divano, un vecchio indiano si fa
avanti
sorridendo.
“Mi
chiamo Michael Clearwater, adesso darò un’occhiata
alla tua caviglia.”
Io
annuisco.
“Io
mi chiamo, Anne Hoppus, piacere.”
Lui
la tasta a lungo e infine scuote la testa.
“Non
è rotta, è solo una brutta storta.”
Mi
fascia il piede e poi – con l’aiuto di Tom
– mi siedo al tavolo e mangio la
zuppa che mi viene servita: sarà perché ho una
fame pazzesca, ma mi sembra
buonissima.
“Cosa
è successo?”
Chiedo
dopo aver deposto piano il cucchiaio sul tovagliolo.
“Sei
stata morta dai vampiri di Salem e rischiavi di diventare uno di
loro.”
“Cosa?”
“Il
vampiro ti aveva morso con l’intenzione di ucciderti, ma il
tuo ragazzo te lo
ha staccato di dosso prima che finisse il suo lavoro e in questo modo
avevi in
circolo il veleno.
Ti
ha portata via da Salem ed essendoci incontrati per caso nel deserto,
ti
abbiamo portata qui
e ti abbiamo
somministrato un antidoto.”
Mi
suona troppo facile.
“Che
genere di antidoto?”
Lui
sospira.
“Tom
ha bevuto una zuppa contenente l’antidoto e tu
l’hai assunto mordendolo, in
questo modo però siete anche legati da una connessione.
Potete
leggere uno i pensieri dell’altro e siete legati a vita,
solitamente anche a
livello sentimentale.
Tu
non potrai amare nessun altro all’infuori di lui e lui
amerà sempre te.”
Il
volto di Tom si scurisce: mi ama, ma non è pronto ad
assumersi un impegno così gravoso,
ne sono certa.
“Grazie
per avermi salvato la vita.”
“Non
c’è di che.”
Rimaniamo
ancora un po’ a parlare con il signor Clearwater, poi Tom mi
riaccompagna a
casa e durante il soggiorno non spiccica una parola-
È
un brutto segnale.
Nei
giorni seguenti mi ignora e una settimana dopo usciamo a mangiare
insieme da
Sombrero. La sua faccia è scura e le mani gli tremano
leggermente, si vede che
deve dirmi qualcosa e sicuramente non sarà piacevole.
“Anne.”
A
fine pranzo si decide a guardarmi.
“Anne,
io non sono pronto a stare insieme a te per sempre, è meglio
se la chiudiamo
qui.”
“Mi
stai lasciando?”
“Sì.”
“Ok.”
Metto
i soldi per il mio pranzo sul tavolo e poi esco dal locale come in
trance.
Il
mio cuore sta esplodendo.
Esco
dal locale e la pioggia mi risveglia: inizio a correre lungo il
marciapiede
urlando come una pazza.
Il
mio cuore è andato in pezzi e le schegge infuocate che si
sono conficcate in me
mi stanno uccidendo.}
Il
flashback è finito, sento la mano calda di Tom stringere la
mia – gelida – e
tirarla poi leggermente.
Siamo
davanti al sagrato della chiesa di Salem, là dove tutto
è cominciato.
“Vieni,
piccola.
Sei
pronta a finire quello che abbiamo cominciato quindici anni
fa?”
Io
annuisco e insieme apriamo il portone della chiesa, provocando i gemiti
delle
creature che vivono al suo interno.
Bentornata a Salem, Anne!