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Autore: Taylor72    11/03/2013    6 recensioni
Ho sempre amato la figura del vampiro, sia nella letteratura che nel cinema/TV.
Uno dei miei preferiti è il vampiro protagonista del telefilm Blood Ties, del 2006, dove è evidenziata una delle caratteristiche che più mi colpiscono: la solitudine di queste creature.
In Blood Ties, così come nei romanzi da cui è tratto, i vampiri, oltre ai problemi che incontrano con gli umani, non possono nemmeno convivere nella stessa città.
In questa fanfiction ho voluto regalargli una possibilità di non essere più solo: saprà coglierla?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1 - UN'OMBRA DAL PASSATO
Alex uscì dalla vasca, si avvolse nel comodo accappatoio di spugna, e si guardò nello specchio.
Ombre scure le cerchiavano gli occhi: quasi un’intera notte passata a spulciare, senza esito, quei tomi polverosi recuperati dalla biblioteca dell’università, aveva lasciato il segno.
Il tentativo di completare almeno un paio di capitoli del suo nuovo romanzo erano stati altrettanto vani. Perciò si era concessa un lungo bagno caldo per allentare la tensione e cercare di rilassarsi.
Non le era mai capitato prima di avere il blocco dello scrittore, ma ultimamente altri pensieri occupavano la sua mente giorno e notte.
Chi sono e da dove vengo, ad esempio, pensò per l’ennesima volta.
Sospirò. In quel momento avrebbe tanto voluto infilarsi una tuta e buttarsi sul divano, davanti alla tv.
Invece l’aspettava una serata lunga e noiosa.
Qualche settimana prima, Francine, la sua migliore amica, le aveva strappato la promessa di accompagnarla alla mostra di un giovane artista, un disegnatore di fumetti piuttosto famoso. L’interesse di Alex era stato pari allo zero, tanto che non ne aveva nemmeno chiesto il nome.
Si maledisse per l’ennesima volta per aver accettato l’invito. Non solo era stanca, in quel periodo, ma odiava le serate mondane con tutto il cuore.
Sospirò di nuovo: ormai la frittata era fatta e non poteva più tirarsi indietro.
Scelse un vestito nero, corto ma non troppo, e i sandali con gli strass, quelli che languivano da mesi in fondo all’armadio. Le scappò un sorriso: un altro dei regali di Francine, che dopo tanti anni, ancora non riusciva a rassegnarsi all’idea che Alex odiasse i tacchi alti e non li portasse praticamente mai.
Facciamola contenta, pensò, allacciando i sandali e facendo qualche passo di prova davanti allo specchio a figura intera.
Scosse la testa e scommise con sé stessa su quanto tempo avrebbe impiegato a pentirsi sulla scelta delle scarpe. Cinque minuti?
Si truccò velocemente, cancellando le occhiaie con il fondotinta e ringraziando sentitamente chi aveva inventato il make-up.

Mentre si vestiva e si truccava, però, i suoi pensieri continuavano a tornare al mistero che stava cercando di svelare ormai da settimane: le sue origini. Era diventata quasi un’ossessione.
Alex era cresciuta con sua madre, Elizabeth.
Essere figlia di una strega, una vera strega, le aveva aperto un mondo nascosto alla maggior parte delle persone.
Nella piccola cittadina in cui Alex era cresciuta, Elizabeth gestiva un piccolo negozio di erboristeria, in cui, da bambina, aveva passato gran parte delle sue giornate. Agli occhi della gente, sua madre era soltanto una donna un po’ eccentrica, ma affabile e gentile, benvoluta da tutti. Il loro segreto era custodito gelosamente: le streghe non venivano più bruciate sul rogo ma la prudenza non era mai troppa. Insegnamento che Elizabeth aveva ripetuto alla figlia fin da quando Alex riusciva a ricordare, dato che non le aveva mai nascosto niente.
Un sorriso amaro piegò le labbra della ragazza mentre finiva di truccarsi.
Non mi ha mai nascosto niente, tranne mio padre.
Quell’argomento era tabù, tra Elizabeth e la figlia.
La donna era stata irremovibile: glielo avrebbe detto soltanto quando fosse stata abbastanza grande.
Purtroppo il destino aveva deciso altrimenti: lei era morta e quel momento non era mai arrivato.
Nei vecchi libri conservati all’università, Alex aveva cercato qualche notizia sulla famiglia di streghe da cui discendeva sua madre. Ricordava vagamente di aver sentito Elizabeth dire di avere una sorella.
Ma qualsiasi indizio era bruciato nell’incendio.
Sperava di avere qualche parente ancora in vita, qualcuno che potesse darle delle risposte.
Ma se ci sono non mi hanno mai cercata, pensò. Eppure devono sapere che sono ancora viva.
All’epoca i giornali avevano riportato la notizia del rogo nelle pagine di cronaca, compreso il suo miracoloso salvataggio.
Se fossi una strega anch’io…avrei potuto fare un incantesimo, per scoprire chi era mio padre.
Alex si riscosse.
Inutile pensarci, non era una strega, quindi avrebbe dovuto cercare le sue risposte in modo tradizionale.
L’unico potere soprannaturale che aveva ereditato era la capacità di “sentire”. Era così che definiva, in mancanza di un termine migliore, le sue capacità innate.
Alex pensava fosse una sorta di “sesto senso”:  riusciva a capire le persone con un istinto infallibile. Sapeva da subito di chi poteva fidarsi e di chi, invece, era meglio non farlo. Oppure “sentiva” il pericolo: quando stava per succedere qualcosa di brutto Alex lo sapeva.
A 16 anni, quando era al liceo,  aveva impedito con la forza a Francine di salire in macchina con un ragazzo che avevano conosciuto da poco.
Il suo gesto aveva fatto incazzare l’amica, salvandole però la vita.
Alex non avrebbe mai potuto spiegarlo, ma aveva saputo, con certezza assoluta, che se Francine fosse salita su quella macchina, non l’avrebbe rivista mai più. Non viva, almeno. L’incidente provocato da quell’idiota, il giorno stesso, aveva causato quattro morti.
C’erano stati altri episodi, nel corso degli anni, ma fino alla sera della mostra, Alex non avrebbe mai pensato di poter toccare con mano quel mondo che aveva sempre e soltanto sfiorato.
Incredibilmente, Francine arrivò puntuale. Già questa poteva essere considerata un’esperienza soprannaturale, perché l’amica era sempre, perennemente, in ritardo. Mentre scendeva le scale, Alex sorrise: questo pittore di cui Fran si era innamorata doveva essere davvero speciale per essere riuscito a cambiare, in così poco tempo, una caratteristica che faceva parte della sua migliora amica come i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Mai avrebbe potuto immaginare che le sorprese non erano finite: che a quell’evento, cui andava a malincuore e soltanto per far piacere all’amica di una vita, avrebbe incontrato l’uomo che già una volta aveva cambiato il suo destino.
L’uomo che, da quella notte in poi, avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

Un paio d’ore più tardi, Alex si annoiava a morte.
Fran le aveva presentato un po’ di gente, prima di sparire con il suo amico, ma Alex non si intendeva d’arte e reggere una conversazione su argomenti che non conosceva…stava diventando decisamente troppo impegnativo. Si limitava a sorridere e annuire, desiderando essere a un milione di chilometri da lì.
Rimpiangeva più che mai le scarpe da ginnastica, i piedi le facevano un male d’inferno, e il vino le aveva dato alla testa.
Non era ubriaca ma, passando davanti alla porta-finestra del terrazzo panoramico, nel tentativo di sfuggire alla soporifera conversazione con una coppia di attempati snob, pensò che un po’ d’aria fresca non le avrebbe fatto male.
Controllò che fuori non ci fosse nessuno, approfittò di un attimo di distrazione dei suoi interlocutori e sgattaiolò, non vista, nella fresca notte di aprile.
Si lasciò cadere su uno dei divanetti bianchi disposti a ferro di cavallo e con un sospiro si tolse i sandali.
Guardò l’orologio: erano soltanto le dieci e la serata si preannunciava molto lunga.
Alex appoggiò il bicchiere ormai vuoto sul tavolino e gettò un’occhiata all’interno, nella sala che aveva appena lasciato, chiedendosi se sarebbe riuscita a filarsela senza dare nell’occhio.
Fu in quel preciso istante che il suo mondo finì a gambe all’aria.
Dal punto in cui era seduta riusciva a vedere quasi tutta la sala e la parete su cui erano esposti alcuni quadri che non aveva ancora visto.
Davanti ad uno di questi, due uomini stavano chiacchierando. L’uomo alto sulla destra era il curatore della mostra, Fran glielo aveva presentato, Zimmerman, si chiamava.
L’altro uomo, più basso e molto attraente, era qualcuno che lei conosceva.
Qualcuno che in nessun modo poteva essere lì.
Ma invece c’è, a meno che io non abbia le allucinazioni.
Alex sgranò gli occhi e rabbrividì, perché ciò che vedeva era impossibile. A pochi metri da lei, in carne ed ossa, c’era Henry Fitzroy.
Si spostò, in modo che la vaporosa tenda bianca la nascondesse.
Appena in tempo. Un secondo dopo, il giovane si voltò a guardare verso la terrazza, con un’espressione sorpresa sul bel viso. Alex si tirò ancora più indietro sul divanetto, mentre un pensiero le balenava in mente, dal nulla: come ha fatto a sentirmi?  
Continuò a osservarlo, mentre lui, ora visibilmente agitato, tornava a parlare con Zimmerman, che invece non si era accorto di nulla.
Riflettendo, Alex tornò indietro nel tempo, a quella notte di tanti anni prima.
Venticinque anni, per la precisione.
Alla notte in cui Elizabeth era morta, nell’incendio che aveva distrutto la loro casa, lasciando Alex sola al mondo.
Era sopravvissuta soltanto grazie al coraggio di quell’uomo che aveva sfidato le fiamme, era entrato in casa ed era riuscito a portarla fuori.
Henry Fitzroy.
Il più caro, e misterioso, amico di Elizabeth.
Alex si sporse appena per vederlo meglio, sempre più incredula.
Altezza media, magro ma muscoloso, capelli castano ramati, lunghi abbastanza da sfiorargli le spalle in morbidi ricci, sui trent’anni.
Ecco perchè non poteva essere lì: l’uomo che l’aveva salvata avrebbe dovuto averne all’incirca sessanta.
Eppure, in quel modo che Alex non sapeva spiegare nemmeno a sé stessa, sapeva di non sbagliarsi.
Quando era piccola era stata molto legata a lui.
Lo adorava: bello come un angelo, con quegli occhi verdi e i lunghi capelli che gli incorniciavano il volto, quel volto di cui lei ricordava ogni più piccolo particolare.
C’era stato qualcosa di inspiegabile tra loro, qualcosa tanto forte da attirarla inesorabilmente verso di lui, pensò Alex.
Come una piccola luna attratta dal suo sole.
Forse per Henry era stato lo stesso, visto l’affetto che aveva sempre dimostrato nei suoi confronti.
Non si stancava mai di giocare con lei, quando faceva visita ad Elizabeth.
Alex non l’aveva mai più rivisto, dopo essere stata affidata alla famiglia che l’aveva adottata.
Per quanto, una volta cresciuta, l’avesse cercato, non era mai riuscita a trovarlo.
Si era sempre chiesta perché fosse sparito nel nulla in quel modo.
Non l’ho nemmeno mai ringraziato per avermi salvato la vita, pensò.
E subito dopo: incredibile, persino il modo in cui si muove è lo stesso. Com’è possibile?
Come poteva essere esattamente uguale a venticinque anni prima, esattamente uguale a come lei lo ricordava?
La risposta era una sola: impossibile, nel mondo che Alex definiva “normale”.
Ma se esistevano le streghe…allora tutto diventava possibile. Sentiva con ogni fibra del suo essere di avere ragione.
Sii prudente, si disse.
Aveva imparato da tempo a  nascondere le sue capacità, che di solito suscitavano, quasi sempre, reazioni sgradevoli: incredulità, derisione, perfino rabbia e odio.
Non poteva certo andare a salutarlo come se niente fosse. Nell’improbabile caso che si stesse sbagliando, che ci fosse una spiegazione perfettamente logica a quello che vedeva, non voleva sembrare fuori di testa e fare una figuraccia.
Aspettò che i due uomini si allontanassero, rientrò e si avvicinò al quadro presso il quale si erano fermati a chiacchierare.
Se mai avesse avuto dubbi, ciò che vide li avrebbe dissolti come neve al sole.
Era un ritratto. Molto bello, fatto a carboncino.
Quello che la fece restare a bocca aperta era il soggetto del quadro: la donna ritratta era Elizabeth, sua madre.

Che diavolo mi succede, pensò Henry?
Un attimo prima stava amabilmente chiacchierando con  Zimmerman, davanti al quadro che gli aveva appena venduto, e un attimo dopo ci era voluta tutta la sua forza di volontà per mantenere il controllo di sé stesso.  
Appena aveva potuto, era scappato al bar, lasciando uno stupefatto Zimmerman a metà di una frase…
Ora stava cercando di calmarsi. Per fortuna gli artisti avevano, quasi sempre, la fama di essere strani e lui non faceva eccezione.
Ordinò un altro bourbon liscio e cercò di darsi un contegno, mentre si guardava nello specchio, appeso dietro al bancone: aveva esattamente la faccia di chi ha visto un fantasma.
Il pensiero, poco prima, totalmente inaspettato, lo aveva gettato nel panico: mi hanno riconosciuto.
Un brivido gli percorse la schiena.
Ricomponiti, maledizione, pensò per la decima volta, cercando di riflettere.
Non aveva visto niente di insolito, nessuno che lo guardava in modo strano, ma era sicuro che qualcuno, lì, tra quelle persone, sapesse chi era.
Chi era davvero.
Nel momento in cui si era sentito osservato, aveva guardato verso la terrazza senza vedere nessuno.
Qualcuno però c’era, Henry aveva sentito chiaramente il battito del suo cuore. Agitato, riflettè, ma non spaventato. Ma non solo…
La persona in terrazza, aveva un non so che di familiare.
I vampiri riuscivano a percepire le persone con cui avevano un legame: gli amici, gli amanti, coloro da cui si nutrivano spesso, anche quando questi ultimi ne erano del tutto inconsapevoli.
È come un profumo, pensò Henry: ognuno aveva il suo, perfettamente riconoscibile, per il vampiro a cui era legato.
Questo umano non faceva parte della cerchia delle persone con cui attualmente aveva legami, ma lo conosceva.
Per fortuna, chiunque fosse, non si era messo ad urlare “vampiro” in mezzo alla gente.
Svuotò il bicchiere in un sorso e stava per alzarsi dallo sgabello quando la stessa sensazione si ripresentò, più forte che mai, e sentì una voce alle sue spalle che diceva:
“E’ libero?”
Si girò e ci mancò davvero poco perchè la sua maschera andasse in frantumi.
Erano passati venticinque anni dall’ultima volta che l’aveva vista, e lei allora era solo una bambina, ma la riconobbe.
Assomigliava moltissimo ad Elizabeth, ed era altrettanto bella, anche se aveva i capelli castani e non neri come sua madre.
Gli occhi scuri invece erano identici.
Alexandra. Alex. La bambina che aveva salvato dalla morte tanti anni prima.
Ecco spiegata quella sensazione così forte, come ho potuto non riconoscerla?
Una fitta di rimpianto gli strinse il cuore.
Elizabeh…la sua migliore amica, una delle poche persone che sapevano tutto di lui, ma gli avevano voluto bene comunque.
Lei e sua figlia erano state quanto di più vicino ad una famiglia Henry avesse mai avuto da quando, quasi cinquecento anni prima, era diventato vampiro.
Elizabeth sembrava convinta che la figlia non avesse ereditato i suoi poteri, Henry non ne era mai stato altrettanto sicuro.
Alex non era una strega, ma lui aveva sempre sentito che la bimba era diversa dagli altri.
In più, il vampiro sapeva che Elizabeth nascondeva un segreto, uno bello grosso, che non aveva mai voluto rivelare nemmeno a lui.
Di sicuro, Henry aveva sempre avuto un legame molto forte con quella piccola peste dalle trecce castane.
La morte di Elizabeth, però, aveva cancellato per sempre la possibilità di sapere come e perché lui e Alex fossero così legati.
L’aveva stupito non poco l’assoluta, immediata fiducia della bimba nei suoi confronti. Come se sapesse, istintivamente, che Henry non le avrebbe mai fatto del male.
La notte dell’incendio lui l’aveva salvata…ma anche Alex aveva salvato lui.
Dopo aver portato la piccola fuori dalla casa, si era lasciato cadere sul prato, con lei in braccio, poi l’aveva fatta sedere sull’erba e si era rialzato, con l’intenzione di tornare dentro e salvare anche Elizabeth. O almeno di provarci.
Prima che potesse muoversi, Alex gli aveva afferrato la manica della giacca, lo aveva guardato negli occhi e aveva scosso la testa.
Nel momento in cui i loro sguardi si erano incontrati, Henry aveva visto qualcosa, immagini, quasi troppo rapide perché potesse distinguerle. Ma il messaggio era stato chiaro: Alex sapeva che per sua madre non c’era più nulla da fare e, cosa ancora più sconvolgente, aveva visto che se Henry fosse entrato per la seconda volta nella casa in fiamme, il fuoco avrebbe ucciso anche lui.
Come potesse saperlo, Henry non era mai riuscito a spiegarselo, ma la certezza che aveva visto in quegli occhioni scuri lo aveva fatto desistere. L’aveva presa di nuovo in braccio e l’aveva tenuta stretta, mentre guardavano la casa bruciare.  
Se non rispondi ti prenderà per un idiota…
Si riscosse e in qualche modo riuscì a balbettare:
“Si, certo, è libero.”
Lei si sedette e ordinò un bicchiere di vino bianco.
Non gli succedeva quasi mai di fare scena muta con le donne ma, in quel momento, Henry non riusciva ad aprire bocca. Il cuore gli martellava la gabbia toracica come se volesse sfondarla e uscirgli dal petto.
Si prese qualche secondo per osservarla: indossava un vestito nero che metteva in risalto il fisico atletico e muscoloso anche se Henry pensò che si sarebbe sentita molto più a suo agio con un paio di jeans e senza i sandali con il tacco alto.
Niente gioielli vistosi, solo una collanina…
O mio dio, pensò, ce l’ha ancora: il ciondolo, la tartaruga di madreperla, che le aveva regalato appena prima di sparire per sempre dalla sua vita. Alex adorava le tartarughe, a lui era sembrato un regalo di addio appropriato.
Si era perso di nuovo nei suoi pensieri e tornò in sè nel momento in cui lei disse:
“Non ti hanno insegnato che è da maleducati fissare le persone?”
La ragazza lo disse sorridendo ma, prima che lui potesse rispondere, si girò e rise ad una battuta del barista.
Lui mormorò “scusa” e tornò a fissare il bicchiere.
Scherzando con il barista, Alex in realtà stava riflettendo sulla reazione di Henry.
Aveva visto l’espressione che gli era passata negli occhi verdi quando se l’era trovata davanti.
Per un secondo, soltanto un secondo, gli era sembrato sconvolto.
L’aveva riconosciuta.
Certo, poteva essere perché assomigliava a sua madre come una goccia d’acqua…ma non era così, pensò.
Quando il barista si allontanò per servire altri clienti, Alex si girò nuovamente verso Henry, che in quel momento sembrava trovare molto interessante il fondo del bicchiere.
Sono in ballo, pensò la ragazza, balliamo.
“Il quadro nel salone, il ritratto,” disse. “L’hai fatto tu, vero?”
Merda, pensò Henry. Devo fare qualcosa.
Si assicurò che nessuno li stesse osservando, poi la guardò negli occhi per soggiogarla, per farle dimenticare di aver visto quel quadro e, soprattutto, di aver visto lui. Le sue pupille si dilatarono fino a nascondere completamente il verde delle iridi. Ma dopo qualche secondo, prima ancora che Henry potesse aprire bocca, lei scosse la testa e disse:
“Devo aver bevuto troppo. Mi scusi un attimo?”
Si alzò e si diresse alla toilette delle signore, lasciandolo esterrefatto a guardarla allontanarsi.
Merda, si ripetè Henry. I suoi poteri di persuasione non avevano alcun effetto. Era immune, come Elizabeth.
Per lui voleva dire soltanto guai…ecco perché l’aveva riconosciuto. Su questo non c’erano dubbi.
Come mi libero di lei, adesso, pensò il vampiro?
Non poteva farle dimenticare quello che aveva visto, quindi se fosse sparito, la ragazza si sarebbe insospettita ancora di più.
Per i vampiri troppe domande, o un sospetto, potevano rivelarsi mortali.
Da quel che ne sapeva, Elizabeth non aveva mai detto alla figlia la verità sul suo conto, quindi come spiegarle adesso, in modo plausibile, che un artista, in apparenza poco più che trent’enne, avesse fatto il ritratto di sua madre, morta 25 anni prima?
Come farle credere di non essere la stessa persona che lei aveva visto da bambina?
Aspettando che tornasse, Henry mise insieme una storiella, sperando che fosse credibile. Se Alex era tenace anche la metà di quanto lo era stata sua madre…bè, lui non aveva una sola possibilità di cavarsela.
Sperò di essere convincente. Molto convincente.

Mentre Henry cercava disperatamente il modo per uscire da quella situazione assurda, Alex, in bagno, si stava rinfrescando il viso.     
L’acqua fredda le aveva schiarito le idee,  lasciandola incerta su quello che credeva di aver visto: gli occhi verdi di Henry che diventavano neri come la notte. Si era sentita stordita per qualche secondo, e non a causa del vino.
Allora cosa, si chiese? Aveva forse cercato di ipnotizzarla? Le scappò da ridere, mentre le passava per la testa un pensiero assurdo: i vampiri possono influenzare gli esseri umani con i loro poteri…
Smettila di vaneggiare, scrivi romanzi horror e la tua fantasia corre, come al solito, a briglia sciolta, è una deformazione professionale. Ok, ma per l’amor del cielo piantala con queste stupidaggini!
Il pensiero successivo però fu: questo spiegherebbe perché lui è ancora giovane…perché dimostra trent’anni quando dovrebbe averne almeno il doppio…
Tua madre era una strega, quindi perchè lui non potrebbe essere un vampiro? O chissà cos’altro?
La determinazione le dipinse un sogghigno sul bel viso.
Bene, piantala di stare qui a cincischiare, pensò, guardando la sua immagine riflessa nello specchio. Torna di là e scoprilo.

Henry era ancora seduto al bancone. Quando Alex si avvicinò notò subito come sembrasse molto più calmo e rilassato.
Gli ho dato il tempo di prepararsi, pensò la ragazza.  Decise di stare al gioco.
Avrebbe sicuramente scoperto molto di più così che aggredendolo o mettendolo alle strette.
Non aveva paura di lui, ma avvertiva distintamente l’aura di pericolo che circondava l’uomo che aveva davanti.
È un predatore, pensò, stupendosi lei per prima dell’assoluta certezza che fosse vero.
Si sedette sullo sgabello e disse sorridendo:
“Ricominciamo dall’inizio. Scusami, prima non mi sono nemmeno presentata, Alexandra Mc Bride. Alex.”
“Henry Fitzroy…jr. Piacere di conoscerti.”
Si strinsero la mano: quella di Henry era forse leggermente più fredda del normale?
Di nuovo quella parola…vampiro…le attraversò la mente.
Ha anche esitato, si disse Alex, prima di dire junior, o me lo sono immaginata?
Henry si alzò e le offrì il braccio.
“Mi hai chiesto del quadro, prima. Vieni, dimmi cosa ne pensi.”
Quando furono davanti al ritratto, la ragazza lo osservò per qualche secondo, mentre Henry sbirciava lei con la coda dell’occhio,  per studiare la sua reazione.
Impossibile non notare la somiglianza tra la donna ritratta e quella che adesso era al suo fianco.
“E’ bellissimo,” disse lei per rompere il silenzio. “Posso chiederti una cosa, Henry?”
Lui fece un tranquillo cenno di assenso, se lo aspettava. Gli piacque che lei fosse così diretta.
“La donna del quadro è mia madre…come hai fatto a ritrarla? È morta 25 anni fa, non puoi averla conosciuta.”
A meno che tu non dimostri trent’anni anche se ne hai…quanti?
Solo una sensazione, ma Alex pensava che la sua età si misurasse in secoli…
La sorpresa di Henry sarebbe sembrata genuina a chiunque. La guardò, poi guardò il ritratto e disse:
“Oddio, ho bevuto più di quanto pensassi…non avevo notato la somiglianza. Ho trovato la foto di questa donna dentro un vecchio libro di mio padre e ho pensato che fosse bellissima. Quando gli ho chiesto chi fosse mi ha raccontato che era una sua vecchia, carissima amica, e che era morta in un incendio…”
Si voltò verso di lei, poi guardò di nuovo il suo quadro.
“Aspetta un attimo…non…non può essere! Tu sei la bambina di cui mi ha raccontato, quella che ha salvato la notte dell’incendio, vero?”
Alex pensò che fosse un attore davvero eccezionale…ma non se ne stupì. Se aveva ragione, Henry aveva avuto tantissimo tempo per imparare a recitare così bene, gli era necessario per sopravvivere.  
“Si, sono io,” rispose semplicemente lei.
“Incredibile! Il mondo è davvero piccolo!”
Henry le sorrise…e il cuore di Alex perse un battito!
Quando sorride è davvero bellissimo, pensò.
“Tuo padre…mi piacerebbe incontrarlo, non ho mai potuto ringraziarlo per quello che ha fatto.”
Il viso di Henry assunse un’espressione triste:
“Sarebbe stato felice di rivederti, ne sono sicuro, purtroppo è morto qualche anno fa.”
“Oh…mi dispiace tanto,” disse lei, mentre pensava: non avevo dubbi, mi sarei stupita del contrario.
Continuarono a parlare, andando a sedersi di nuovo fuori, sulla terrazza.
Henry, scoprì Alex, era una compagnia gradevole: affascinante, gentile, galante…proprio come un uomo di altri tempi.  
Un po’ troppo di altri tempi.
Le raccontò che scriveva fumetti dell’orrore e che a volte, come quella sera, esponeva qualche quadro…lo faceva così raramente che riusciva a venderli subito.
Mentre lui parlava, Alex pensò a come da “morta”, all’improvviso, la serata si fosse trasformata in “estremamente interessante”.
A un occhio poco attento la versione di Henry era credibile. Ma Alex scriveva romanzi, sapeva come costruire una storia, e non credeva ad una sola parola di quello che lui le aveva detto.
Sarebbe stata pronta a giurare che l’Henry Fitzroy che aveva davanti in quel momento fosse lo stesso ragazzo che le faceva il solletico per farla ridere quando era bambina. Lo stesso ragazzo che non aveva esitato a precipitarsi dentro una casa in fiamme per salvarle la vita.
La sua presenza…era come riconoscere un profumo, pensò.
Alex non sapeva come fosse possibile, non sapeva chi o cosa fosse Henry, ma sapeva di aver ragione.

Dopo l’ennesimo bicchiere di vino, Henry sentì un’urgenza improvvisa e, sperando di non sembrare troppo brusco, le disse:
“Sono felice di averti conosciuta, ma adesso ti prego di scusarmi, devo intrattenere anche i miei ammiratori.”
Le strizzò l’occhio, fingendo una calma che era solo esteriore. Doveva andarsene. Subito.
L’ultimo pensiero che aveva avuto, mentre brindavano, era stato: chissà che sapore ha il suo sangue…
Era tornato in sé nel giro di un istante, ma quella sera non aveva ancora mangiato e si sentiva irresistibilmente attratto da lei, esattamente come succedeva quando era piccola.
Solo che allora la fame, o il sesso, non centravano niente, era un’attrazione..diversa.
Adesso invece lei era adulta e…per un vampiro sesso e sangue erano indissolubilmente legati.
All’improvviso era diventato pericoloso starle vicino, la sua fame era emersa in modo quasi incontrollabile.
Non poteva permettersi nessun passo falso: non avrebbe potuto farle dimenticare di essersi nutrito.
Magari, se glielo chiedi, ti lascia assaggiare di sua spontanea volontà…
Quel pensiero fece capire ad Henry che era ora di battere in ritirata.
Dopo tanti secoli, aveva imparato a controllare in modo ferreo i propri impulsi e gli capitava di rado di perdere il controllo.
Ma ogni tanto succedeva e da decenni, ormai, non sentiva una tentazione così forte.
Quella sera, di fronte alla bellissima donna che Alex era diventata, il suo controllo era quasi agli sgoccioli.
Non era nemmeno riuscito a convincerla. Chiaramente lei non gli aveva creduto, aveva soltanto deciso di stare al gioco.
Ragazza intelligente e, si disse, assolutamente decisa a scoprire la verità.
Una verità che, per nessun motivo, doveva conoscere. Ad Henry non venne in mente altro che scappare.
“Certo, scusami tu. Il ritratto comunque è bellissimo,” disse, fingendo di non essersi accorta del lieve cambiamento avvenuto nel suo interlocutore: lo sguardo fisso, l’irrigidirsi della spalle. Per un attimo Alex aveva sentito un brivido percorrerle la spina dorsale.
Non paura, non esattamente, piuttosto una sensazione di pericolo incombente.
Lui si alzò e rispose semplicemente: “Grazie, è stata bello conoscerti.”
Alex stava per chiedergli come avrebbe potuto rintracciarlo, ma in quel momento Francine decise di riapparire come per incanto e la bloccò mentre lui si allontanava:
“Non ci credo! Quello era Henry Fitzroy! Hai agganciato Henry Fitzroy, la preda più ambita della mostra di stasera?! Per fortuna che non volevi nemmeno venirci!”
Alex si sporse sulla spalla dell’amica per vedere dove stesse andando Henry. Non era tornato nel salone a “intrattenere” i suoi ospiti.
Capì che si stava dirigendo verso l’uscita di sicurezza e che se le fosse sfuggito non l’avrebbe rivisto più.
Bisbigliò “torno subito” all’amica e lo seguì.
Raggiunse la pesante porta antincendio, l’aprì e uscì…ritrovandosi in uno stretto cortile.
Circondato da muri alti almeno cinque metri, se non di più. Senza nessun altro accesso se non la porta da cui era passata anche lei.
Un cortile completamente vuoto.
Henry era uscito da lì, ne era sicura. Ma allora dove accidenti era finito?
Non può essere svanito nel nulla…ma questo come lo spieghi?

Perplessa Alex tornò dentro, raggiunse Francine, le disse di essere stanca e che avrebbe preso un taxi per tornare a casa.
“Alex, non puoi andartene, hai conosciuto Henry e vuoi già andare via?”
“A quanto pare non era interessato, Fran, visto che se ne è andato. Cosa sai di lui?” le chiese, fingendo indifferenza.
“Ben poco, a dire la verità. So che disegna fumetti dell’orrore, che vanno a ruba, e ogni tanto espone qualche quadro. Lo fa raramente e ogni volta i suoi lavori si vendono in un attimo. Difficilmente si mostra in pubblico. Cos’altro? Ah, si! E’ bellissimo e molto, molto misterioso. Quando lo rivedi?”
“Non credo che lo rivedrò, non mi ha chiesto il numero di telefono e non mi ha dato il suo.”
Per un buon motivo pensò…ma questo non lo disse.
La delusione spense il sorriso di Francine, facendo invece sorridere Alex: erano anni che l’amica cercava in tutti i modi di accasarla.
Prima che le venisse qualche altra idea, Alex disse:
“Vado, goditi il resto della serata.”
Diede all’amica un bacio sulla guancia mentre lei rispondeva:
“Provo a trovartelo io, il numero!” strizzandole l’occhio e salutandola con la mano.
Alex sorrise di nuovo.
Francine non cambierà mai, pensò.
Uscì in strada e si strinse nella giacca leggera, si era alzato un venticello frizzante che le scompigliò i capelli.
Chiese al portiere di chiamarle un taxi.

Nel tragitto verso casa un mare di domande le si accavallarono nella mente.
Possibile che la storia di Henry fosse vera?
Possibile che la somiglianza tra padre e figlio fosse così straordinaria da farli sembrare la stessa persona?
Da far si che avessero addirittura la stessa voce e lo stesso modo di fare? Alex non ci credeva.
Anche lei assomigliava in modo impressionante a sua madre, ma comunque non erano identiche.
Di Henry, Alex ricordava tutto. Gli occhi verdi. Il sorriso. La grazia con cui si muoveva. Il tono pacato della sua voce.
I suoi modi da gentiluomo vecchio stampo, di quelli che ti aprono la portiera della macchina, o ti spostano la sedia al ristorante.
Henry, “jr” pensò sarcastica, indossava persino gli stessi gioielli, Alex aveva riconosciuto la croce d’argento e tutti gli anelli che portava. Tutto uguale a 25 anni prima.
L’altra cosa che si ricordò in quel momento era più inquietante: anche quando era bambina, Henry appariva soltanto dopo il calare della notte.
Andava spesso a trovare Elizabeth, ma Alex non ricordava di averlo mai visto di giorno, nemmeno una volta.
Vampiro…
Spiegherebbe tutto, si disse ancora una volta.
Non aveva mai scritto un romanzo sui vampiri, ma ne aveva letti a decine.
Aveva visto i suoi occhi cambiare colore e si era sentita stordita per qualche secondo, prima di riprendere il controllo di sé stessa.
Eterna giovinezza…forza e velocità…
Per un vampiro sarebbe stato un gioco da ragazzi saltare quei muri e sparire nella notte.
Ma i vampiri non esistono, giusto? Oppure si?
Quando arrivò al suo appartamento Alex aveva preso una decisione.
Henry Fitzroy disegnava e pubblicava fumetti dell’orrore, doveva esserci la possibilità di rintracciarlo. Forse Francine sarebbe riuscita ad avere il suo numero, oppure si poteva contattare il suo editore, o i negozi che vendevano i suoi fumetti.
In qualche modo, doveva essere possibile trovarlo.
Quale che fosse il suo segreto, Alex aveva intenzione di scoprirlo.





  
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