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Autore: _Trixie_    11/03/2013    5 recensioni
Sto per traslocare in Europa, dove una famosa clinica tedesca mi ha offerto un posto di lavoro. Imballo e racchiudo tutte le mie cose, tutta la mia vita, in anonime scatole di cartone che presto partiranno per andare oltreoceano, quando in fondo a un armadio trovo una vecchia scatola di latta. Un’unica parola scritta sul coperchio: Seattle.
La apro con mani tremanti e i ricordi di vent'anni prima affiorano prepotentemente.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Callie Torres, Erica Hahn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione, Nel futuro
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Per chi non ricorda l’ultima apparizione di Erica Hahn - beati voi - consiglio di guardare il video, dopodiché, buona lettura! ;D
 


A K. perché non sa dirmi no.

 

 
Almost

 
 
 

In the heat of the fight I walked away
The other side of the door , Taylor Swift
 

 
 
Sto per traslocare in Europa, dove una famosa clinica tedesca mi ha offerto un posto di lavoro. Imballo e racchiudo tutte le mie cose, tutta la mia vita, in anonime scatole di cartone che presto partiranno per andare oltreoceano, quando in fondo a un vecchio armadio trovo una vecchia scatola di latta. Un’unica parola scritta sul coperchio: Seattle.
La apro con mani tremanti e i ricordi di vent’anni prima affiorano prepotentemente.
 

Rientrai in casa mia sbattendo la porta e mi presi la testa tra le mani. Respirai a fondo, cercando di calmare i miei nervi a fior di pelle.
Suonò il campanello, facendomi sobbalzare.
Passarono alcuni istanti: chiunque fosse non avevo intenzione di vederlo.
«Erica? Erica, apri!»
Spalancai gli occhi, nel riconoscere la voce di Callie.
«Erica, lo so che ci sei, apri!»
Guardai la porta e deglutii. Perché mi aveva seguita fino a casa?
«Erica!»
Aprii la porta, trovandomi davanti quella fantastica donna in tutta la sua bellezza, con le guance arrossate per il freddo o, forse, per la corsa che aveva fatto nel tentativo di raggiungermi e con le labbra dischiuse, come a volermi invitare a baciarle. Ne fui distratta.
«Erica» Callie ripeté il mio nome, in un sussurro, inclinando la testa di lato.
Distolsi lo sguardo dalla sua bocca.
«Cosa ci fai qui?»
«Voglio parlare, voglio chiarire».
«Non c’è nulla da dire, Callie, io non so chi tu sia» dissi con freddezza, mentre sapevo esattamente chi fosse.
Era la donna di cui mi stavo innamorando. O, forse, di cui ero già innamorata.
«Fammi entrare, almeno» disse, indicando l’interno di casa mia con un cenno della mano, mentre il signor Michaelson attraversava il pianerottolo diretto al suo appartamento.
Studiai la donna di fronte a me per qualche secondo, poi mi scostai per farla entrare.
Il signor Michaelson sporse il collo per osservare meglio la scena. Vecchio pettegolo.
Chiusi la porta alle spalle di Callie e solo allora mi accorsi di indossare ancora il cappotto.
«Perché te ne sei andata?»
Averla lì, in casa mia, mi confondeva.
Presi tempo, slacciando lentamente i bottoni della giacca, uno ad uno.
«Smettila» mi intimò Callie. Le mie dita si fermarono e alzai lo sguardo su di lei. Stava fissando le mie mani.
Sospirò, poi deglutì, cercando i miei occhi.
«Scusami, è solo che…»
«Ti capisco» sorrisi mio malgrado, finendo di slacciare i bottoni e sfilando il cappotto. Lo lasciai cadere sul divano poco distante. Io e Callie rimanemmo entrambe in piedi. Lei non accennò a togliersi la giacca e io non la invitai a farlo. Fosse stato per me, le avrei tolto tutto.
«Me ne sono andata perché è giusto così» dissi, senza nemmeno sapere se quelle parole corrispondessero al vero o meno.
«Come, scusa? Ti sembra giusto lasciarmi da sola nel bel mezzo del parcheggio dell’ospedale durante una discussione?» domandò di rimando, allargando le braccia in segno di incredulità.
«Calliope…»
«Non chiamarmi Calliope, anzi, non chiamarmi affatto, Erica! Stavamo parlando, abbiamo espresso due opinioni diverse e tu te ne sei andata» mi accusò, alzando il tono di voce.
Mi piaceva anche così, accaldata e su di giri, appassionata e decisa.
«Non puoi andartene ogni volta che discutiamo!».
«No, infatti, su questo almeno hai ragione. Non ci saranno altre discussioni, Callie, non ho intenzione di rimanere».
Presi la decisione all’improvviso. Viverle accanto, frequentarla al lavoro ogni giorno, sentire il suo profumo, la sua voce. No, non avrei potuto sopportarlo e lei… lei non era nemmeno lesbica, lei era una quasi lesbica.
«Cosa?»
«Me ne vado. Questo posto non fa per me» spiegai semplicemente, con un’alzata di spalle.
«Non puoi andartene da un giorno all’altro».
«Mi prenderò qualche giorno di ferie, organizzerò il tutto, mi trasferirò nel giro di un paio di settimane. Gli ospedali fanno a gara per avermi».
Quello, almeno, era vero. Nel mio lavoro ero brava, eccome.
«E io? E noi?» chiese in un sussurrò da bambina, che mi spezzò il cuore.
Conoscevo bene il cuore umano, per questo capii subito che non sarei mai più riuscita a sanare il mio, non dopo Callie.
«E tu torni da Mark. E il noi… il noi, sarà come se non ci fosse mai stato» risposi scuotendo la testa.
«Ma c’è stato, Erica, siamo noi».
In realtà, non me ne stavo andando perché era giusto, non era per questo, no, era per i suoi occhi, sempre colmi d’amore per il mondo, era per le sue labbra, così morbide e calde, era per il suo collo, dal profumo inebriante, e per il suo seno, i suoi fianchi, le sue gambe, era per lei, che me ne dovevo andare, perché per me era tutto o niente. Non volevo una Calliope a metà, la volevo tutta, ma non potevo costringerla a questo.
Mi avvicinai per accarezzarle una guancia, la guardai negli occhi.
«È meglio che tu vada a casa, Callie».
«Ho attraversato mezza Seattle per vederti e tu nemmeno mi ascolti» disse, con le lacrime agli occhi. «Dovevamo avere paura insieme».
Mi allontanai da lei e le aprii la porta. Callie chiuse gli occhi e quando li riaprii le lacrime erano sparite. Era una donne forte.
«Ti aspetto, domani, in ospedale» sussurrò passandomi accanto.
Prima di chiudere la porta vidi il signor Michaelson uscire da casa sua, ma non me ne preoccupai.
Mossi qualche passo fino al divano, su cui mi lasciai cadere pesantemente, e iniziai a piangere.
Composi più volte il numero di Callie sul display del mio cellulare, ma non ebbi mai il coraggio di chiamarla. Alla fine, l’unico numero che chiamai la mattina seguente, dopo una notte passata tra le lacrime, fu quello del capo Webber, per annunciargli che quel giorno non mi sarei presentata al Seattle Grace Hospital.
 

Piango come allora, stringendo tra le mani il biglietto del ristorante dove l’avevo portata per il nostro primo appuntamento.
Piango, immergendo il volto nella sciarpa che un giorno aveva dimenticato per sbaglio nella mia auto e che non ho mai avuto modo di restituirle. Forse mi sbaglio, ma credo che abbia conservato il suo profumo.
Piango, perché sono sola, senza di lei, e so di essermi lasciata sfuggire dalle mani l’amore della mia vita.
E piango, raccogliendo tra le mie vecchie mani da cardiochirurgo i cocci del mio cuore, che da allora non batte più.
 
 

 
Nda
Da convinta fan di Callie e Arizona devo ammettere che parlare di Erica Hahn e farla sembrare umana è stata un’impresa immane, che credo non si ripeterà mai più!
Non dico di odiare la Hahn, però… Insomma, meglio che sia lei ad avere il cuore a pezzi che Callie o Arizona, ecco!
Grazie per aver letto,
Trixie :)

   
 
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