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Autore: metaldolphin    11/03/2013    5 recensioni
Quando qualcuno ti salva la vita, in qualche modo vuol dire che tiene a te?
E' ciò che si chiede Nami in un momento particolare per la ciurma.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’acqua del mare era gelida, ma ormai non le importava più: affondando sempre più verso il buio degli abissi la sua priorità era l’aria, che i polmoni reclamavano con sommo dolore. La pressione che si andava facendo sempre più insopportabile le torturava i timpani, forse sarebbe diventata sorda, ma anche questo poteva considerarsi un particolare trascurabile, ormai, dato che  presto, molto presto, sarebbe morta.
Morta nell’abbraccio freddo e letale dell’oceano.
Mentre sentiva i timpani dolere sempre più, si accorse che i sensi l’abbandonavano, misericordiosamente, portando con se il male e la paura.

Tepore e morbidezza: le prime parole che le vennero in mente erano, inaspettatamente, quelle che si riferivano alle sensazioni che il risveglio le stava dando.
“Un letto” pensò “mi trovo in un letto, caldo ed asciutto.”

La scosse un brivido di freddo, come per ricordarle che il pericolo non era ancora del tutto passato. Qualcuno, al suo fianco, continuava ad osservarla con una certa preoccupazione.
Odore di tabacco.
Sanji.

La vista  appannata non le restituiva un’immagine chiara, ma poteva distinguere la bocca del cuoco aprirsi e chiudersi, senza, però, emettere suoni.
Si sforzo’ di capire, ma nulla… non sentiva, ora che ci faceva caso, neppure i consueti rumori di bordo: un silenzio ovattato avvolgeva il mondo.
Dall’oblò percepì un lampo, ma non seguì nessun tuono.
Le si riempirono gli occhi di lacrime: aveva perso l’udito?
Cosa era successo?
Riportando l’attenzione su Sanji, vide che era allarmato per qualcosa, quindi lo osservò uscire dall’infermeria senza richiudere la porta alla sue spalle.
Le doleva ogni muscolo, non riusciva a muoversi.
Non dovette attendere molto: dopo pochi minuti era circondata dall’intera ciurma sorridente.
Robin le mostrò una lavagnetta, corredata da gessetti multicolori, quindi se la pose a favore e vergò solo qualche breve parola.
-Una ondata improvvisa, durante la tempesta, ti ha scaraventato in mare, durante la navigazione: hai vari piccoli traumi ed una sordità momentanea, dovuta alla profondità che hai raggiunto, senza compensare la pressione interna.-
Impiegò qualche minuto per mettere correttamente a fuoco quelle parole rassicuranti.
Sorridendo, rincuorata, guardò la sua famiglia radunata a malapena nella piccola infermeria.
C’erano tutti, con un sorriso tirato sul volto e gli occhi lucidi.
Non proprio tutti, constatò, mentre il sorriso che le era nato sulle labbra morì improvvisamente. Zoro non c’era.
“Evidentemente, non gli sta molto a cuore la mia presenza” pensava, con amarezza, la navigatrice.
Con molta amarezza, dato che per lui nutriva un sentimento profondo, che mai aveva visto ricambiato.
Tornò con gli occhi su Robin,  seduta al posto che era stato del cuoco; sorrideva, ma mestamente.

C’era qualcosa che non andava: Nami lo lesse nello sguardo azzurro dell’altra donna.
Quella la capì al volo e scribacchiò qualcos’altro sulla lavagnetta.
-Abbiamo perso Zoro. Si è tuffato per recuperarti, ti ha legata alla cima che lo assicurava alla nave, ma non è riuscito a reggersi, tra le ondate che si abbattevano sulla Sunny… lo abbiamo perso di vista e, anche se ora il mare è un po’ più calmo, non ne abbiamo trovato traccia.-
Ora le lacrime scorrevano libere dagli occhi della rossa, in un continuo stillicidio verso il guanciale, che presto, si bagnò attorno al suo capo e ai suoi capelli sciolti.
Lui l’aveva salvata e forse aveva perso la vita per questo, e lei cosa aveva creduto?
Che non gli importasse niente della sua presenza a bordo!
Come poteva sbagliare così tanto sul conto di Zoro?
Non era la prima volta che la salvava da un pericolo mortale, ma lei continuava a giudicarlo negativamente.  
“Che stupida!” rimproverava sé stessa. 
Immobile nel letto, gli occhi chiusi nel dolore.
La Ciurma andò via, in silenzio.
Rimase solo Chopper a controllare che stesse bene.

Era passata la notte e l’alba portava con sé la nascita di una giornata serena, almeno meteorologicamente.
Nami, riacquistate un po’ di forze, aveva insistito per uscire dalla soffocante infermeria.
Arrivò nella sala dell’acquario e notò subito, poggiate sul divano, le katane di Zoro.
Lo immaginava sganciarle, abbandonarle sul ponte di coperta, e gettarsi nel mare tempestoso, tra la pioggia e il vento gelido, in un disperato tentativo di salvarla.
Si avvicinò a quelle armi, ormai sole, e prese in mano quella bianca, la sua preferita. La Wado-qualcosa, un nome che non aveva nemmeno tentato di imparare.
Perché ne era gelosa.
Tremendamente.
Lo osservava, spesso, curarla come un amante premuroso, pulirla e mantenerle il filo con amore.
La sguainò lentamente, tenendo l’impugnatura con la mano destra e il fodero chiaro con l’altra.
La lama immacolata era lucidata a specchio e Nami poté osservare il riflesso del suo sguardo; aveva gli occhi gonfi ed arrossati, per il lungo pianto.
Chissà quante volte lo spadaccino vi aveva scorto la propria immagine, tra il suo sangue e quello degli avversari che più di una volta l’aveva ricoperta.
Avvertì una presenza alle spalle e, voltandosi, vide Sanji che la fissava preoccupato, dicendo qualcosa che lei non riusciva ancora a sentire. Quando se ne ricordò, si diede una manata sulla fronte e andò a recuperare la lavagna di ardesia e un gessetto.
Stette qualche minuto concentrato su ciò che stava scrivendo e porse alla navigatrice la sua opera d’arte: in un tripudio di cuoricini di tutte le misure, spiccava la frase: -Aspetta un attimo, il tuo Sanji ti prepara un manicaretto coi fiocchi, mia Dea!
Ma la ragazza scosse la testa: stringendo la spada chiara al petto, si avviò all’esterno, dove il resto della ciurma si stava dando da fare per sistemare i disastri che la tempesta  aveva causato alle parti scoperte della nave.
La accolsero con gioia, ma lei non riusciva ancora a sentire le loro voci, felici di vederla già in piedi.
L’entusiasmo, però, fu smorzato dall’oggetto che lei portava con sé.
Avevano cercato lo spadaccino in lungo e in largo, ma non ne avevano trovato traccia e Rufy si era intestardito a restare di vedetta sulla coffa, sicuro che avrebbe ritrovato l’amico disperso.
Ma anche quel giorno era al termine e non ne avevano trovato traccia.
Il tramonto colorava il cielo e il mare di sfumature impossibili e, col cuore pieno di dolore, Nami andò a coricarsi nella sua cabina, incurante dei compagni che la incoraggiavano a mettere qualcosa sotto i denti.
Aveva tenuto la katana sempre con se’, senza preoccuparsi dei commenti altrui.
Non aveva intenzione di separarsene nemmeno la notte che si accingeva a passare, inebetita nel ricordo di quel taciturno ragazzo che aveva visto diventare uomo.
Quel nome si ripeteva all’infinito nella sua testa, come un disco rotto “Zoro...Zoro…”
Perché non aveva mai espresso più chiaramente i suoi veri sentimenti, invece di stare a litigare? Quanto tempo aveva sprecato!
“Maledetto orgoglio!” era a causa sua che non aveva mai aperto il cuore al compagno di ciurma, per paura del possibile rifiuto.

Era ormai buio, quando aveva udito il grido di Rufy, debole ma chiaro.
Iniziava a sentirci di nuovo!
-Un peschereccio a babordo! Ci fa segno di accostare! Franky! Usop! Manovrare!-
“Allora è capace di dare gli ordini giusti come un vero capitano!” rifletteva la navigatrice. Poi, il cuore le si bloccò dolorosamente in gola, sentendo Rufy invocare la presenza di Chopper: le era parso di udire il nome dello spadaccino…
Corse anche lei sul ponte di coperta, col suo vestitino leggero e a piedi nudi.
La spada era rimasta nel tepore delle lenzuola sul letto di lei.
Con cautela, le navi si erano accostate e gli equipaggi fecero conoscenza.
I pescatori conoscevano la nave di Cappello di Paglia di fama e ne erano positivamente colpiti.
Poi Jacques, il loro capitano, aveva fatto un cenno ai suoi uomini e due di essi scomparvero sottocoperta per risalirne, poco dopo, portando una barella su cui si intravedeva una strana capigliatura verdastra.
-Questo appartiene a voi?- aveva detto l’altro capitano a Rufy.
Al boato d’esultanza dell’equipaggio della Sunny, Jacques li aveva frenati con poche parole: -Lo abbiamo tirato su in una delle nostre reti non più di un paio d’ore fa; sembra in ipotermia, fino ad ora non ha ripreso conoscenza.
Facendosi largo tra i compagni, Nami aveva urlato il suo nome e aveva raggiunto la barella.
Allungò una mano timidamente, per sfiorargli la fronte: era gelata e non dava nessun segno di vita.
Salutarono calorosamente l’altro equipaggio e lo ringraziarono per aver riportato a bordo della Sunny lo spadaccino.

Nel frattempo, Chopper e Nami erano corsi in infermeria, impegnati a cercar di fare riprendere il povero Zoro, ancora inerme, sul letto che fino a qualche ora prima, aveva occupato la rossa.
Zoro non aveva un bell’aspetto: solo il suo fisico eccezzionalmente forte gli aveva permesso di sopravvivere tutte quelle ore in mare.
Anche se ormai al caldo, era scosso da brividi visibili anche ai loro occhi e tutte le coperte che avevano messo su di lui sembravano non bastare ancora.
Aveva perso troppo calore e il suo corpo non riusciva a compensare la grande perdita di energia.
Con stupore di Nami, Chopper lo aveva rapidamente denudato, asciugato, tamponandone con delicatezza la pelle, evitando di strofinarla, e messo su un fianco, tra un gran numero di coperte. Gli aveva coperto anche il capo, spiegandole che erano tutte manovre fondamentali alla sopravvivenza, in questi casi.
-Ad una temperatura così bassa, è un miracolo che gli arti non siano andati in necrosi. Ora dobbiamo sperare che la sua temperatura risalga lentamente ma costantemente.– aveva spiegato. Poi aggiunse: -Sorveglialo, vado a dare a Sanji indicazioni per preparare qualche liquido caldo da fargli bere. Non dargli alcolici; potresti ucciderlo: sono vasocostrittori e il suo sistema circolatorio è già abbastanza in sofferenza!-
Nami annuì. Quante cose sapeva quel piccolo medico!
Calore… doveva riprendere calore. Nami non esitò più: tolse ciò che aveva addosso, restando in intimo, e si infilò sotto le coperte con Zoro, aderendo alla sua schiena fredda per aiutarlo col suo stesso calore.
Lo cinse con le braccia, portandosi la testa dell’uomo sotto il mento, per riscaldargli anche la testa.
Pochi minuti dopo, sentì Zoro rilassare i muscoli sotto il suo abbraccio, non tremava quasi più.
Gli posò un bacio tra i capelli che ancora sapevano di sale.
-Non farmi brutti scherzi, Zoro- mormorò la rossa -Non ti ho ancora ringraziato abbastanza per avermi salvato la vita!
Sorrise, Nami, quando sentì le grandi mani di lui spostarsi lentamente sulle sue. Erano già tiepide.
Chopper tornò, seguito da Sanji, che portava un vassoio con una scodella di biondo e limpido brodo caldo. Lo aveva appena poggiato sul tavolo quando si voltò sentendo l’esultanza del piccolo medico.
-Nami! Sei un genio! Ottimo, ottimo!- annuiva alla navigatrice, complimentandosi per l’idea avuta.
Il cuoco, invece, vedendo la testa della rossa sporgere dalle coperte sotto cui stava Zoro e notando i vestiti femminili sulla sedia accanto al letto, quasi svenne, per poi correre all’esterno al grido di: -PERCHÈEEEEEE...
Rise, Nami, stringendo a sé lo spadaccino.
In quel momento non le importava altro: era vivo, sentiva la sua temperatura continuare a salire e, accucciata con lui sotto le coperte, era il posto migliore al mondo che potesse trovare, in quel momento.
   
 
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