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Autore: Waanzin    11/03/2013    0 recensioni
Cinque anni dopo gli eventi di Resident Evil 6, misteriosi eventi intrecciano ancora una volta le vite dei protagonisti di quei giorni dell'incubo. Cos'è che accomuna Chris, Jake ed Helena Harper? E perché qualcuno li vuole morti?
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chris Redfield, Jake Muller, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Prendo una pausa dalla vita tormentata di Jake Muller e dalla mia recente raccolta Conseguenze di un padre assente per dedicarmi a questa lunga fic (ma i capitoli saranno tutti relativamente brevi, presi singolarmente, perciò non disperate!) sulla quale pianifico e scrivo già da qualche tempo.

Tra piccoli appunti, idee scartate e schemi lavoro su questa storia si può tranquillamente dire che scrivo da mesi ormai... spero che il risultato sia altrettanto convincente e tenga fede alle ore spese a pianificare il tutto. Come sempre, recensioni, critiche, opinioni e pensieri saranno i benvenuti e verranno tutti letti e valutati ampiamente dal sottoscritto.

Grazie a tutti i lettori e bando alle ciance: su il sipario! 


Contestualizzazione: gli eventi di questa fan fiction si collocano cronologicamente cinque anni dopo il finale della Campagna di Leon in Resident Evil 6.



Prologo: HELENA.

Helena Harper avrebbe voluto qualsiasi colore per il suo appartamento. Qualsiasi. Tutto, eccetto quel soverchiante bianco, che trasformava i suoi risvegli e le sue sbornie in un tormento continuo di flash nelle pupille dilatate.
 
Imprecò alzandosi dal materasso, poi fissò la bottiglia vuota vicino al comodino. Mentre si passava una mano tra i capelli sfatti, lo sguardo ispezionò la linea spezzata delle coperte che s'intrecciavano sul letto, rincorrendosi senza meta. Il cuscino accanto al suo aveva ancora la sagoma di chiunque l'avesse occupato durante la notte.
 
Non ricordava neppure il volto di chi vi era stato. 

Si alzò, con uno sforzo enorme, poi raggiunse il bagno, zigzagando tra i pantaloni abbandonati sul parquet e le scarpe rovesciate accanto alla scrivania di mogano. Il computer, spento, probabilmente brulicava di e-mail e vecchi amori perduti, ma come al solito non lo degnò neppure di uno sguardo.
 
«Si, certo, come no.»
 
Sospirò disillusa quando, guardandosi allo specchio si accorse ch'era stato imbrattato di rossetto. Le parole, scritte frettolosamente ma con una certa grazia, recitavano un semplice quanto brutale "Ti chiamo io".
 
Non si preoccupò neppure di cancellarle mentre si lasciava alle spalle la canotta bianca imbrattata di sudore per abbandonarsi ad una doccia bollente. Si lasciò avvolgere dai vapori caldi mentre la sua mente faceva inevitabilmente il punto della situazione.
 
Una situazione che avrebbe preferito continuare ad ignorare.
 
Non gli sembrava possibile che la sua vita fosse così banale. Erano passati cinque anni da quando Leon l'aveva salutata di fronte alla tomba di sua sorella, ma di quella triste avventura le restava solo il dolore per la scomparsa di Deborah. 
 
Di zombie, agenti governativi e compagnie farmaceutiche neanche l'ombra. Leon sembrava essere svanito nel nulla e, con lui, anche qualsiasi collegamento con quei giorni dell'incubo.
 
All'inizio aveva accettato di buon grado di essere stata ripresa al vecchio distretto, come una semplice poliziotta di quartiere, ma col tempo un vuoto incolmabile si era fatto strada nel suo stomaco, nella sua mente, nella sua anima.
 
Possibile che Deborah fosse morta per nulla? La Neo Umbrella non esisteva più, di questo era certa, ma si poteva dire lo stesso di tutto il resto? Bio-terrorismo, intrighi governativi, mostri che affollavano i luoghi più remoti del pianeta... non poteva scacciare la sensazione che le tenebre proliferassero sotto i suoi stessi piedi, sotto lo sguardo attonito di un mondo ignaro.

...ma ciò che più la tormentava era la sensazione di essere stata tagliata fuori. Niente chiamate, numeri di cellulare inattivi, neanche un'intervista sugli avvenimenti che avevano portato alla quarantena di un'intera città cinese.

Niente di niente. Solo la solita routine, qualche malvivente, chili di scartoffie da compilare e un appartamento nel cuore freddo e disilluso della Grande Mela. La sua solita, stupida vita.

Inutili erano stati, ovviamente, gli alcolici e gl'incontri occasionali, tuttavia continuava a farne uso quasi fossero una droga... ma quelle azioni ormai non erano neppure una risposta a un bisogno, quanto più un'apatica assenza di scelte. Lasciava che fosse la corrente a portarla dove voleva.
 
Scosse la testa mentre si rivestiva, stringendo la fondina della pistola sotto le braccia come tutte le mattine. Controllò l'arma, indossò una giacca di pelle, poi uscì nel corridoio deserto della palazzina.

«Harper. Helena.»

Una voce rigida e profonda la fece girare di scatto. Si trovò di fronte un uomo dal volto corrucciato e i capelli rasati, alto e robusto, avvolto in uno spolverino di pelle marrone che lo copriva fino alle caviglie. 

Nonostante fosse privo della barba rada che portava l'ultima volta, non ebbe difficoltà a riconoscerlo.

«Chris... Chris Redfield? Il collega di Leon?» Chiese, incredula. Non lo vedeva da quando lui e Leon si erano scontrati a Lanshiang. 
 
«Cosa ci fai qui-»

Non ebbe il tempo di concludere la domanda: il pugno di lui, massiccio e inesorabile, si abbatté sulla tempia di lei, lanciandola come un corpo inerte sulla parete alla sua destra. Ebbe pochi secondi per chiedersi il perché di quell'azione e per assaporare il dolore che già si propagava tutt'intorno, prima che il buio si facesse strada dagli angoli del suo campo visivo.

L'inizio di una pessima giornata.


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