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Autore: eos75    28/09/2007    4 recensioni
Può l'obiettivo di una macchina fotografica leggere nel cuore delle persone? E' quello che scoprirà il più forte portiere della Bundesliga! Tra fotografie, partite e allenamenti, la storia di un'amicizia molto particolare.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Allora?"  avevamo finito gli allenamenti del mattino e stavo riordinando la borsa. Karl era appoggiato con la schiena all’armadietto  a braccia conserte e mi guardava con un sorrisetto furbo. Sapevo a cosa alludeva.
"Allora cosa?"  risposi, facendo finta di niente.
Sbuffò spazientito ed attaccò "Price, non fare il finto tonto! Passi due giorni da solo con una ragazza e io cosa ti dovrei chiedere?"
"Karl… è un’amica!" mi sollevai, buttandomi il borsone sulle spalle e feci per uscire.
"Dai Benji, piantala! Non dirmi che non ti sei accorto che è pure una ragazza!" riattaccò "E una ragazza decisamente carina, quando vuole!"
Mi voltai verso il capitano che mi stava fissando con  disappunto. Sospirai scuotendo la testa e replicai: "Schneider, Elena non mi interessa. E non fraintendermi!"  Lo bloccai prima che ricominciasse con la paternale “Mi sono accorto che è una bella ragazza, non sono cieco! Ma è soprattutto un’amica e con lei non ci proverei mai!"
Un sopracciglio scattò verso l’alto, mentre un’espressione piuttosto meravigliata si dipingeva sul suo volto.
La lunga notte italiana era stata molto importante per me. Ero di nuovo in debito con Elena: mi aveva aiutato ad affrontare una verità che era troppo dura da digerire per il mio stupido orgoglio e le dovevo davvero molto. Il mio cuore era più leggero, mi sentivo finalmente in pace con me stesso.
Il capitano dette un sospiro di rassegnazione, scuotendomi dalle mie riflessioni.
"Ok, allora, visto che è solo un’amica, sarà il caso che ti dica un paio di cosette..."
Lo guardai incuriosito mentre ci avviavamo fuori dagli spogliatoi  “Che ti piace ancora e che, visto che mi è solo amica, vuoi continuare a provarci?"
"Quello sicuro!”  gli occhi azzurri mandarono un lampo. No, il Kaiser non mollava tanto facilmente le sue prede, pensai.
"Ma non solo quello… Vedi, mia sorella e Marjorie, l’amica che convive con Elena, sono un po' preoccupate per lei…"
"Ti ho appena detto..."
"Non c’entri tu amico! L’abbiamo capito che  tu sei tutto meno che un pericolo per lei!” disse sorridendo e scuotendo la testa  "No, il problema è altro…"
"Karl, non farla lunga, che c’è?"  Stavo per perdere la pazienza. Lo guardai socchiudendo gli occhi e lasciando che facesse qualche passo avanti a me.
Si fermò, tirando un sospiro e mi guardò fisso, chiedendomi : “Non ti ha più parlato di quello che è successo, vero?”
Effettivamente… no. Avevo provato, in verità,  ad accennare l’argomento, ma mi si era rivoltata contro come un gatto furioso. Speravo che ne avesse parlato con le sue amiche. Tra donne, forse….
"No, ho rinunciato a parlare dell’accaduto." risposi, scuotendo il capo  "Cosa preoccupa Kristine?"
"Sono almeno due mesi che Elena non esce con nessuno. Solo con te…”  lo guardai sorpreso. Riprese prima che potessi interromperlo  "Non con Kris, non con Sonya, non con Marj. Ho provato anche io a tirala fuori di casa. Nulla. Si sta chiudendo nel suo mondo. Non è colpa tua" mi aveva preceduto di nuovo "tu le stai vicino e ringrazio il cielo che abbia trovato conforto in un amico come te. Ma per il resto, non va…"
Ci scambiammo un’occhiata. Sapevo cosa dovevo fare e Karl aveva fiducia che lo facessi.
"Ci penso io. Non assicuro nulla... E’ quasi più testarda di me!"
Sorrise e mi dette una pacca sulla spalla "Scherzi?! Più cocciuto dell’SGGK non esiste nessuno!"
Concludemmo il discorso con una risata e ci avviammo a casa.


Allenamento finito, meno male! Che freddo!
Ero volata dal mio stallone che non vedevo da tre giorni. Lo avevo riempito di coccole e mi ero fatta un’oretta in sella sotto la frusta di Kristine.
Che bello tornare a montare!
Erano state due splendide giornate. La prima, tutta dedicata a mio padre, la seconda, tutta dedicata al mio amico.
Benjiamin…
Pensavo a lui, ai suoi guai, a quanto aveva sofferto, a come aveva reagito e al muro di ghiaccio che si era costruito intorno. Per non soffrire più, o comunque, il meno possibile.
Com’era diverso dalla persona che avevo conosciuto quella primavera!
Marjorie mi riscosse dai miei pensieri  “Ehi, ci sei o sei ancora a Milano?”  Beccata. Con tono pure un poco geloso.
“Non è successo nulla di quello che pensi, invidiosa!” le risposi mentre continuava a guardarmi male  “Ni-en-te!”  le sorrisi  “Primo: uno come lui, una come me manco se la fila. Secondo: siamo solo amici. Terzo: non voglio storie. Punto”
Mi guardò ancora più seria e decisamente arrabbiata  “Proprio di questo vorrei parlarti!” Mi attaccò.
Stavamo per litigare, lo sentivo.
“Senti un po’, tu!" continuò "Capisco che con quello che ti è successo non voglia trovarti una storiella tanto per, che non mi sembra proprio il caso… Non riesco neppure ad immaginare come sei stata male, ma…”
“Ma?”  mi voltai piuttosto seccata verso la bionda che si era piantata accanto a me a braccia conserte.
“Ma non posso neppure immaginarlo, perché l’unico col quale ti confidi è Price! Dimmi che non devo essere gelosa!”
Capivo: era di me che era gelosa! Accidenti alle amiche...
Sospirai  “Se può farti piacere, non ne ho parlato neppure con lui.”  Così dicendo mi rimisi a fare le fasce a Zingaro.
“No che non sono contenta!”  Marj aveva praticamente urlato, costringendomi a rialzarmi.
“E perché? Sono fatti miei!”  Replicai furiosa. Stavo cominciando a stare male. Non volevo pensare né ricordare.
“Ti stai chiudendo nel tuo mondo. Non esci con nessuno. Solo con lui. Capisco, ti dà conforto e ti senti protetta. Ma visto che è solo un amico, non pensi che sia il caso di uscire dal guscio e ricominciare a farti una vita sociale?”  La bionda aveva buttato fuori il discorso tutto d’un fiato, parlando a pochi centimetri dal mio viso, i grandi occhi azzurri spalancati dalla frustrazione.
Aveva ragione. Sapevo che aveva ragione. Ma non ce la facevo. Era stato troppo per i miei nervi già provati.
Ricordare il dolore, la vergogna, mi fecero stare tanto male che le risposi con rabbia. Anche se non lo meritava affatto. Lei che mi era sempre stata vicina e che, quella volta, avevo escluso dalla mia vita.
“Fatti gli affari tuoi Marj!" risposi alzando la voce "Uscirò con gli altri quando e se ne avrò voglia! Sempre che abbia voglia di ricominciare a uscire con voi!”  Detto questo presi i finimenti e me ne andai in selleria, lasciandola in piedi, sconsolata, accanto a Zingaro.
Quando tornai se n’era andata a casa. Portai lo stallone nel box e proprio in quel mentre arrivò un sms.
“Non molla! Ah no! Benji... Chè vorrà?”  Aprii il messaggio, diceva: “Dobbiamo parlare. Vengo a prenderti alle nove.”
Neanche ciao! Ma cos’avevano tutti?!
Tornai a casa anch’io. Marj non c’era. Mangiai qualcosa al volo e mi cambiai per uscire. In verità non è che ne avessi proprio voglia, ma non avevo neppure voglia di discutere con Benjiamin! Quando si metteva in testa una cosa era praticamente impossibile fargli cambiare idea e sentivo di non avere energie sufficienti a tenergli testa. Tanto valeva cedere...
Alle nove in punto  il rombo della Porche sotto casa annunciò il suo arrivo. Scesi ed aprii la portiera.
“Cioccolata?”  mi chiese senza guardarmi.
“Ho scelta?”
“No.”
Entrammo in un locale tranquillo appena fuori città. Ordinammo due cioccolate. Fino a quel momento non avevamo parlato di nulla d’importante. Partite, allenamenti, lavoro.
Iniziai a preoccuparmi quando appoggiò i gomiti al tavolo, intrecciando le dita davanti alla bocca. Sentivo il suo sguardo penetrante su di me mentre fissavo la bevanda fumante. Dopo almeno cinque minuti di silenzio, sospirai:  “Ok, cosa diavolo vuoi anche tu oggi?!”
Lo guardai ma non ressi il confronto con quelle pozze scure che erano i suoi occhi. Mi sentivo un tantino in trappola.
“Elena,”  cominciò a parlare adagio, con quella voce bassa e profonda che a volte  mi faceva venire la pelle d’oca  “quello che ho da chiederti non ti piacerà. Ma pretendo una risposta. E non ce ne andremo di qui finchè non l'avrò ottenuta!”
Come al solito, non si poteva discutere! Temevo la domanda e dove voleva andare a parare.
“Ho già litigato con Marj, non ho voglia di litigare pure con te!”  Questa volta lo guardai dritto in viso.
“Spiacente, sono qui per litigare!”  rispose, sorridendo appena.
Sapevo che avrebbe vinto, ma sono testarda come un mulo e non mollai. Non subito, almeno.
“Sono quasi tre mesi che non esci con nessun altro al di fuori di me… La cosa mi lusinga, ma non va bene per te.”
“E tu sei convinto di sapere cosa va bene per me?” risposi piccata. Non era facile reggere i suoi occhi neri dritti in faccia. Mi trapassavano, mi guardavano dentro anche se tentavo di oppormi a quella intrusione nei miei pensieri. Quei pensieri che facevano male, troppo male. 
“Immagino che non sia facile parlare di quello che ti è successo. Soprattutto parlarne con un uomo. E infatti non voglio che ne parli per forza con me, ma con le tue amiche, che ti conoscono da una vita, sì!”
“Cos’è? Ti sei messo in combutta con Marjorie?!” Ringhiai e feci per alzarmi.
“Tu non te ne vai di qui!”  Il suo tono non ammetteva replica. Mi risedetti.
“Ti prego, lasciami in pace!” Lo supplicai con un filo di voce.
“No, mi spiace.”  Non riuscivo a reggere il suo sguardo, era una tortura eppure non riusci a staccarmene.
“Non ci riesco. Né con te, né, peggio, con Marj!”  Ripresi. Stavo per mettermi a piangere ed era l' ultima cosa che volevo in quel momento.
“Perché?" chiese "Capisco con me, alla fine mi conosci da poco, ma Karl mi dice che tu e lei siete come sorelle! Non ti capisco!”  Dette un respiro profondo “Vorrei  poterti essere d’aiuto...”  Ancora quel sorriso caldo e dolce, impensabile sul suo viso se lo si conosceva solo superficialmente.
“Direi che hai già fatto troppo e che sono fin troppo in debito con te! Ti pare?”  Non lo guardavo più, fissavo la tazza semivuota che tenevo tra le mani.
“No.” 
Mi sollevò leggermente il mento, costringendomi a mostrargli le lacrime che ormai avevano deciso di rigarmi il viso. Le asciugò con un dito, carezzandomi la guancia in un gesto protettivo “Non ci sono né debiti né crediti tra amici. Ci si aiuta e basta!”
Mi venne da sorridere  “Questa non è tua, Benjiamin Price!” lo punzecchiai.
Sorrise pure lui  “No, infatti l’ho rubata ad uno dei miei  migliori amici! Che mi disse queste parole quando anch’io stavo facendo come te…”
“Oliver.” Ricordai.
“Già.” Rispose, accennando col capo.
“Ma tu stesso hai detto che, dopo quel discorso, tu tornasti sì a vivere ma, in un certo senso, nascondendoti, rinunciando ai sentimenti più profondi...”
“Ma, almeno, sono tornato a vivere. Che poi mi sia volutamente precluso certe cose… beh, è stata comunque una scelta voluta.”
Riprese  “Perché non riesci a parlarne con Marjorie?”
Non mollava. Tipico!
“Ok, mi arrendo! Sei un martello!” Sospirai, lasciandomi andare contro lo schienale e socchiudendo gli occhi.
“Ne ero certo!”  Il solito sorrisetto soddisfatto si dipinse sulle sue labbra. Era a dir poco stremante trovarsi davanti uno ostinato come lui!
“Fammi parlare e non interrompermi. Ora o mai più!”
Tirai un lungo sospiro e parlai. Lui era la persona giusta. Avrebbe capito. Aiutarmi… beh, c’era poco da aiutare!
Non era esattamente vero che Marj non sapeva nulla di quel giorno. In realtà era l’unica persona alla quale avevo raccontato qualcosa dell’accaduto, abbastanza nei dettagli. Non tutto. A parte il dolore e la vergogna che provavo rievocando quel maledetto pomeriggio, era inutile dirle cosa mi aveva fatto veramente male. Non l’avrebbe capito. Non perché fosse stupida o un’oca come molti la consideravano, no! Solo che lei, bella, estroversa, ammirata dagli uomini, certe cose non se le era mai sentite dire.
Io si. Tante volte. Troppe.
Ma quel giorno, sommato a quello che stava accadendo… Sentirti dire da un uomo (uomo?) che ti ha presa di mira perché sei la bruttina di turno, che è stato con te solo per scommessa, che per scommessa doveva venire a letto con te perché eri quella che aveva la fama di essere una santarellina, che non vali neanche la metà di quelle con le quali va di solito…
Quello era il peggio. Quelle parole aveva fatto crollare definitivamente il mio mondo.
Quel mondo ovattato nel quale il brutto anatroccolo che sono, si era rifugiato, scansando le battutine amare dei ragazzi che mi prendevano in giro. Facendo finta di nulla se nei locali e nella vita di tutti i giorni l’attenzione maschile era tutta meno che per me, che vivevo normalmente all’ombra delle mie amiche, belle, perfette, sicure di sè stesse. 
Jacob mi era parso un sogno impossibile… infatti si era rivelato un incubo!
Non ero scottata, ero ustionata! E non avevo voglia di rientrare in quella vita che non faceva altro che farmi male. Avevo paura. E non mi fidavo di nessuno, neppure di Karl, che pure sapevo mi voleva bene ed in quei mesi aveva fatto di tutto per farmi uscire.
No, di un uomo mi fidavo. Ce l’avevo davanti.
Ma lui non era un uomo.
Era un amico.
Marj mi avrebbe preso per pazza a sentirmi dire una cosa del genere!
Allungò nuovamente una mano ad asciugarmi gli occhi dalle lacrime che li riempivano. Mi sollevò il mento con un dito costringendomi a guardarlo. Mi persi per un attimo in quelle pozze scure, mi lasciai cullare dal loro immoto mare scuro che riportò la tranquillità nelle acque agitate della mia mente.
Sorrise. Un sorriso caldo, di quelli che ti fanno capire quanto bene ti voglia una persona.
“Mi dispiace.” Disse semplicemente.
“Benjiamin, io...”
“Tra una settimana c’è la festa di Natale della squadra. Tu ci vieni.”
Categorico.
“Non voglio se. Non accetto ma. Ti ci porto io. Se sarà necessario, di peso.” Aveva preso la sua decisione e nulla l'avrebbe fermato.
Scossi la testa, opponendo una debole resistenza  “Non me la sento… Non… Non reggerei lo sguardo dei ragazzi. Non sopporterei altri giudizi…”
Mi costrinse di nuovo a guardarlo e in quel momento non invidiai chi lo doveva sfidare in durante le partite. Alabastro nero lucido e penetrante, tanto da togliere il fiato.
“Quella che si giudica sei tu e non sei molto buona con te stessa!” Sentenziò.
“Ma…”
“Niente ma! Negli spogliatoi ci sono io coi miei compagni! E, ti assicuro, stamattina  prima di sorbirmi Karl  mi sono beccato una fila di frecciatine perché sono venuto in Italia con te! Non certo perché ti giudicano una brutta ragazza, anzi! E ognuno di loro spaccherebbe volentieri il muso a Jacob, per come si è comportato! Quindi...” disse tirandosi dritto contro lo schienale della sedia ed incrociando le braccia  “ farò il sacrificio di venire con te alla festa di Natale, per poi fare lo sforzo immane di parare  le bordate malefiche dei miei maliziosissimi compagni di squadra!  “ Un sorrisetto tra il furbo e l’arrogante comparve sulle sue labbra mentre un lampo allegro ne illuminava lo sguardo. Sapeva di avere vinto.
Sospirai, scuotendo il capo e mi arresi.

Era passata circa una settimana dalla mia chiacchierata con Elena. Quella sera ci sarebbe stata la  festa natalizia.
Ci eravamo incrociati come tutte le mattine al parco e mentre mi allenavo, la osservavo con la coda dell’occhio.
Guidava con gentile fermezza il grosso stallone nero, che le ubbidiva docilmente. Era uno spettacolo rasserenante: armonia, eleganza, passione. Sorrisi tra me: improvvisamente l’avevo associata ad Oliver. L’amore e la dedizione per il proprio sport erano gli stessi. Solo, lei non partecipava mai a gare o competizioni, montava a cavallo per il puro piacere di farlo.
Mi riscossi dalle mie considerazioni: la mezz’ora di allenamento al prato era finita. L’amazzone aveva allungato le redini sul collo del cavallo, dal cui corpo emanava un leggero vapore dovuto al contrasto col freddo pungente della mattina. Zingaro sbuffò forte, soffiando dalle narici come un piccolo drago e vidi Elena ridere ed abbracciarlo cingendogli il collo. Mi resi conto che non l’avevo mai vista sorridere in quel modo se non quando era in sella. Avvertii una stretta al cuore: mi dispiaceva che la sua vera felicità fosse legata esclusivamente a quei pochi attimi che concedeva alla sua passione. Non era stato facile ascoltare quello che lo turbava, giorni prima. Aveva ragione: mi era difficile comprendere il suo dolore. Ero sempre stato il primo della classe, ammirato ed invidiato. Il mio carattere deciso e orgoglioso mi aveva portato ad essere quello che ero, facendo sì che mi imponessi su chi mi stava attorno. Per lei non era così. Forte, decisa, determinata ma anche timida, forse troppo timida. E sfortunata. Di certo la sua vita sentimentale passata non l'aveva aiutata, anzi. E così il cigno si era richiuso sotto le piume confortevoli e rassicuranti del brutto anatroccolo... 
Decisi di seguirla in scuderia, giusto per ricordarle che quella sera aveva un appuntamento. Testarda com’era sarebbe stata capace di far finta di nulla!
Arrivai alla cascina e trovai Zingaro legato nel mezzo del corridoi della scuderia, senza sella e con in dosso una coperta bordeaux, solo.
“Buon giorno!” dissi.
“Buon dì! Cosa ci fai da queste parti?”  la sua voce proveniva da una selleria in fondo al corridoio. Dopo un istante si affacciò con aria sorpresa  “Allora?” chiese.
Le sorrisi passando sotto alla longhina che teneva legato il cavallo e fermandomi accanto ad esso accarezzandogli il collo sudato  “Sono venuto a controllare che la mia dama di stasera non tenti la fuga!”
Sospirò, roteando gli occhi al cielo e sparendo nuovamente in selleria  “Sei insopportabile, quando ti ci metti! Lo sai?”
Non le risposi. Abbassai la visiera del cappello e tornai all’aperto, ricominciando a fare qualche esercizio leggero, tanto per non raffreddarmi del tutto, rimanendo davanti alla scuderia e a pochi passi da Zingaro che mi guardò borbottando.
“Pensavo te ne fossi andato!” Esclamò, riapparendo alle mie spalle.
“Dò fastidio?” Chiesi ironico.
La sentii sospirare rumorosamente “Mamma quanto sei permaloso! No, nessun fastidio, anzi!”  Tolse la testiera al cavallo e gli infilò una capezza rossa.
“Natale?”  Mi chiese all’improvviso.
“Spagna.” Risposi.
“Spagna? E che ci vai a fare?”  Si era messa accanto a me, arrotolando una fascia, rossa anche quella.
“Oliver ha invitato me ed alcuni ragazzi della Nazionale a casa sua. Se non ti ricordi, quest’anno ha vinto il Pallone d’Oro. Cogliamo l’occasione ed andiamo a festeggiarlo!”
“Ahaaa! Ma se non mi sbaglio anche qualcun’ altro era nelle nomination… Aspetta, stà fermo e renditi utile, tanto che sei qui!”  e così dicendo mi piazzò in mano un capo della morbida stoffa vermiglia, iniziando ad arrotolarla dall’altro.
“Non è la prima volta che entro nelle nomine per il Pallone d’Oro. Se è per questo sono nuovamente anche in quelle per il Migliore giocatore dell’Anno. Ma non mi faccio molte illusioni…”
Le dita veloci si fermarono e mi guardò allibita  “Cooosa? Tu che non ti fai illusioni? No, non ci credo!”  Aveva sgranato gli occhi nocciola sollevando entrambe le sopracciglia.
“Ho smesso di sperarci già parecchio tempo fa! E non fare quella faccia! Non sono impazzito! Solo, mi sono dovuto arrendere all’evidenza che giocando nel ruolo in cui gioco, non sono riconoscimenti che mi verranno assegnati tanto facilmente! Solo un portiere, nella storia del calcio, ha ricevuto il Pallone d’Oro…”
“Yashin, detto “Il ragno nero”. Dinamo Mosca. Nel Giurassico, più o meno! E non guardarmi così! Mica vivo su Marte! Qualcosina di calcio la so pure io!”
Effettivamente stavo per scoppiare a ridere! Elena, che era per l’odio per il calcio per antonomasia, sapeva chi fosse Yashin? Pazzesco! Lesse l’ilarità nei miei occhi, ma venni salvato dalla scarica di invettive di cui stava per ricoprirmi dal suono insistente del suo telefono. Sbuffò, guardandomi storto e togliendomi dalle mani la fascia ormai arrotolata  “Salvo in corner!” e rientrò in scuderia. Ripresi a fare qualche piegamento, soffocando una risata.


“Pronto! Ciao capo! Come va?”  Era stranissimo che Sonya mi chiamasse a quell’ora, soprattutto a campionato fermo.
“Ciao bella. Benissimo, direi! Ascolta, sai mica dove potrebbe essere Price? Il suo telefono suona, ma lui non risponde.”
Mi affacciai al corridoio. Benjiamin aveva ripreso a fare dei piegamenti nel cortile davanti ai box.
“E’ qui, a farmi compagnia." risposi "Sta finendo il suo allenamento mattutino. Perché? E’ accaduto qualcosa?”  Ero un pochino preoccupata da quella stana telefonata.
“Siediti!” Ordinò con tono scherzoso.
“Sonya! Sono in scuderia! Mica ci sono sedie qui!”
“Ok… A pensarci bene, sei la persona più adatta a dirglielo! Reggiti forte!”
“Sono appoggiata al muro, è sufficiente?”  dissi spazientita.
“Ok, ok…” tirò un sospiro e continuò “Ti leggo la comunicazione che mi è arrivata stamane via mail dalla FIFA: “Con la presente siamo lieti di comunicare allo staff del Bayern Monaco F.C. la nomina come Miglior Giocatore dell’Anno 2009 al portiere Benjiamin R. Price!” Fece una pausa “ Ele?... Ci sei?”
Mi ero appoggiata con la schiena al muro, senza fiato ed incapace di parlare. Aveva appena detto che non ci sperava, che aveva smesso di crederci da anni… E quello, lo sapevo, sarebbe stato il suo ultimo campionato. Dopo i Mondiali si sarebbe ritirato per prendere posto accanto al padre.
“Ele!”  la voce di Sonya mi riscosse dai miei pensieri “Eccomi capo! Scusa…”
“Ascolta: l’assegnazione avverrà il 20 a Zurigo. Gli altri non sanno nulla, glielo diremo stasera. Penso che sarà un bel regalo per tutti! A più tardi!”
“A stasera.”  Ripresi fiato e mi riaffacciai a guardarlo oltre il mio cavallo. Era intento nei suoi esercizi. Tranquillo e distaccato come sempre. Sarebbe stato un bel regalo, sì!


Il Pallone d’Oro e il premio come Miglior giocatore dell’anno.Quante volte ero entrato nei primi dieci? Sette? Otto? Non lo ricordavo più. La prima volta ci avevo creduto. Anche la seconda. Ma poi avevo dovuto arrendermi all’evidenza. Il ruolo del portiere difficilmente è considerato come quello di un  attaccante. Anche Kim ci aveva creduto. Ricordai quando lesse della mia nomina tra i candidati il primo anno che stavamo insieme. Era al settimo cielo! Poi  l’espressione amareggiata del suo viso quando il premio fu assegnato a Karl…
Venni riscosso dai ricordi dalla voce di Elena in fondo alla scuderia. Ero piegato sulla gamba destra, le mani sul ginocchio e la fronte a sfiorarle, tenendo la posizione. La sentivo inveire contro la FIFA, il calcio e certi asini ignoranti. Trattenni una risata per non perdere concentrazione. Vidi la sua ombra accanto a me.
“Cavoli! Non è possibile che assegnino i premi con tanta leggerezza! Con tanti giocatori bravi che ci sono, proprio certi asini devono venir premiati! Ma io non lo so! Non è veramente possibile! E’ a dir poco inammissibile! E io che mi lamento dei giudici di dressage!”
Sorrisi. A volte, effettivamente, i giudizi della Federazione avevano sconcertato un poco pure me.
“Capisco che ti hanno comunicato il vincitore del Miglior giocatore, è così?" interruppi il fiume di parole "E chi sarebbe, quest’incapace che ha scatenato le tue ire?” chiesi.
Si piegò su un fianco accanto a me, i lunghi capelli mogano sfiorarono il terreno mentre portava il viso all’altezza del mio.
“Tu.”
Per un attimo non respirai. Gli occhi nocciola mi guardavano a pochi centimetri di distanza, illuminati di felicità. Un sorriso si allargò sul viso della ragazza. Tale e quale a quello che le avevo visto poco prima mentre montava.
“Pronto!? Ci sei?”  Allungò una mano a scompigliarmi i capelli. Mi alzai piano.
“Mi prendi in giro?”
Si risollevò anche lei ed un lampo malizioso le passò sul viso.
“E bravo il mio portiere!”  Mi saltò al collo, abbracciandomi. D’istinto la presi al volo per la vita e rimasi immobile per qualche secondo. La riposai a terra, ma non mollai la presa.”Non stai scherzando, vero?”
Sorrise, socchiudendo gli occhi e scuotendo leggermente il capo  “ Non potrei mai.”
La fissai ancora un istante. Chinò il capo da una parte, dicendomi : “Alla fine non sono mica tanto sorpresa, sai? Te lo meritavi!”  lessi una fiducia indiscutibile negli occhi color dell’autunno. E mi resi conto della portata delle sue parole.
“Baaastaaa! Mettimi giù! Soffro di vertigini e odio volare!”  L’avevo sollevata, iniziando a ruotare su me stesso velocemente, ridendo. Erano anni che non mi sentivo così al settimo cielo! Mi fermai tenendola a qualche centimetro da terra, il viso poco più in alto del mio. Aveva le mani sulle mie spalle, le gote un poco arrossate e lo sguardo rovente “Potrei tornare coi piedi per terra? Sai, non sono abituata a stare con la testa fra le nuvole!”  La posai delicatamente, scoppiando nuovamente a ridere.
“E ora, se non ti dispiace, se mi lasci andare, dovrei finire di sistemare il mio povero stallone!”
Effettivamente la stavo ancora tenendo per i fianchi, mentre mi guardava tra l’ironico e l’indispettito. Le diedi un bacio leggero sulla fronte “Grazie.” le dissi.
Si scostò guardandomi perplessa. Scosse la testa, socchiudendo gli occhi sorniona e fece per slacciarsi dal mio abbraccio.
“Ehi! Tre quarti delle donne di Monaco darebbero non so cosa  per essere abbracciate da me e tu te ne vai scocciata?”
Mi si piazzò davanti a braccia conserte “Ma tu!? Non cambi proprio mai, eh, signorino?”
Raccolse il cappellino che avevo lasciato lì accanto e me lo mise in testa, calandomi la visiera sugli occhi.
“Vedi di non far tardi stasera, capito?” e se ne andò in scuderia, legandosi i capelli con un elastico che aveva al polso.
Passando accanto a Zingaro, lo abbracciò stampandogli un bacio sul muso e gli parlò sorridendo. Stava raccontandogli la felicità per un amico e lo stallone ascoltava paziente la cascata di parole.

   
 
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