L’ho scritta di getto
stasera, proprio quando sapevo di non riuscire a scrivere =..= (lo dimostra il
fatto che ho dovuto correggere sei volte la parola “riuscire” per scriverla in
modo giusto =..=). Ma non potevo fare altrimenti u.u l’idea mi è venuta mentre
ero in palestra, e come al solito la mia mente è andata oltre questa semplice
OS. Tuttavia non ho la forza mentale e materiale per allungarla, non ancora. Se
mi viene un finale decente, comunque, potrei anche farci un pensierino u.u
Piccola nota: l’avvertimento
OOC è d’obbligo perché credo che Lily lo sia, soprattutto verso la fine.
Intendiamoci: nella mia testa fila tutto, ma unendo la mia capacità di non
scrittura di questa sera al fatto che la OS è solo una OS, beh, e quindi
limitata… Ho preferito non rischiare. Semmai la cosa si trasformasse in una
long, o ci scrivessi una serie, o cose simili… Beh, potrei spiegarvi al meglio
la mia idea u.u nel frattempo, metto le mani avanti =)
Fatemi sapere che ne pensate
=)
Un bouquet di fiori bianchi e una maschera
d’argento
Lily
osservava la propria immagine allo specchio.
Aveva
i capelli raccolti, il trucco impeccabile; le mani erano fasciate da guanti
lunghi fino al gomito, bianchi, come il vestito vaporoso che, sotto lo stretto
corpetto, si apriva in una grande gonna a campana piena di tulle. Nella mano
destra stringeva un bouquet di fiori, anch’essi bianchi.
Tremava.
Il
visto, sotto al trucco, era pallido.
Le
amiche, che prima la circondavano festanti, sembravano non essersi accorte di
nulla, tuttavia Lily le aveva cacciate giusto qualche secondo prima, perché
aveva bisogno di stare da sola e riflettere.
Si
stava per sposare. Con James Potter.
E
la sera prima aveva avuto un crollo. E in quel momento ne stava avendo un
altro.
Ieri
si era illusa che fossero i nervi tesi, l’emozione, l’eccitazione. Oggi, dopo
aver passato la notte sognando il volto di quel
ragazzo, capiva che non era più neanche solo paura.
Lily
non amava James. Era solo questo. La sensazione di sbagliato in quello che si
apprestava a compiere quel giorno era così prepotente, dentro di lei, perché,
paradossalmente, era quella giusta.
Non
poteva più percorrere la navata che la separava da James, un bravo ragazzo, ma
non quello giusto per lei; non poteva più neanche solo uscire da quella stanza,
il luogo in cui finalmente si era decisa ad affrontare la realtà; non poteva
neppure correre dall’uomo che amava veramente, da quel ragazzo, che ormai la
disprezzava. Per via del suo sangue.
L’unica
cosa che si prospettava nella sua mente, in quel momento, era la fuga.
Lily
strinse di più il bouquet e assottigliò le labbra.
Sarebbe
scappata come una vigliacca. Avrebbe lasciato James ad attendere una sposa che
non sarebbe mai arrivata. Si poteva quasi figurare il suo volto da cane
bastonato, l’espressione delusa delle sue amiche, quella comprensiva e un po’
triste di Remus… Ma doveva andare.
Nella
vita, aveva sbagliato tutto. Aveva sbagliato sin dal principio, non era stata abbastanza
forte.
Abbastanza
per arrendersi a quei sentimenti.
Abbastanza
per tentare di cambiare lui, per
afferrare la mano che lui le tendeva.
Abbastanza
per restare sola, nonostante il suo cuore implorasse quella vicinanza, arrendendosi
ad una pallida imitazione di un sentimento che, lo sapeva, provava solo per
quella persona, così dannatamente sbagliata.
Doveva
fuggire. No, forse non era la parola giusta.
Doveva
tornare.
Tornare
ai quei tempi felici, prima che una guerra insulsa li dividesse.
Tornare
in quel luogo dove tutto era stato un paradiso, l’inizio, dove loro due erano
soli in una bolla di felicità.
Tornare
a quando c’era ancora speranza, a quando lui non era ancora così cambiato.
Tornare
apposta per cambiarlo, per farlo andare nell’altra direzione, per legarlo a sé.
Sapeva
che non ci sarebbe riuscita, che era tardi, che lui non ci sarebbe stato. Lo sapeva
ma era l’unica cosa che le fosse venuta in mente.
Non
poteva più stare lì.
Sempre
stringendo il bouquet di fiori, Lily si smaterializzò.
Ricordava ancora il loro posto segreto,
sulla riva di quel fiume un po’ sporco, dove si erano conosciuti e si erano
scambiati le prime confidenze.
Ricordava ancora di aver appreso proprio
da quel ragazzino un po’ pallido e trascurato, immerso nei vestiti sbagliati,
di essere una strega, di appartenere ad un altro mondo.
Ricordava ancora la meraviglia quando
era arrivata ad Hogwarts, quando aveva capito davvero che lui non la stava
prendendo in giro, che poteva iniziare a credere che entrambi fossero parte di
un mondo strano e meraviglioso.
Ricordava ancora i pomeriggi passato a
studiare, a confidarsi, a parlare, sotto lo sguardo attonito della gente.
Ricordava ancora gli scherzi stupidi di
Potter, che la facevano così infuriare e che umiliavano lui, così ingiusti.
Ricordava ancora quel sentimento che
pian piano era nato nel suo cuore, osservando quel naso un po’ grande e quei
capelli sempre un po’ unti, quella tenerezza mista ad affetto e quel desiderio
di averlo sempre più vicino, così vicino da poterlo toccare.
Ricordava anche con rammarico gli amici
di lui, così sbagliati, che l’avevano portato via, che gli avevano fatto
prendere una strada sbagliata.
Ricordava il male, dopo quelle terribili
parole, dopo che, convinta da tutte le sue amiche, aveva detto basta
definitivamente a quel rapporto malsano.
Ricordava la colpa di non essere stata
abbastanza.
Ricordava il dolore di una separazione
forzata e, in fondo, non voluta.
Ricordava l’amore, che nonostante tutto
continuava a tenerla legata a lui.
Severus
stava guardando fuori dalla finestra, l’espressione vacua e la maschera
d’argento stretta fra le dita.
Oggi
sarebbe stato un grande giorno. Poco dopo mezzogiorno lo attendeva la prova
finale, quella che avrebbe decretato il suo ingresso nel mondo dei Mangiamorte:
l’omicidio di un innocente.
Non
se l’era figurata così.
Era
stato imbrogliato, tratto in inganno da parole velenose che gli si erano
conficcate dentro, anni e anni prima, che avevano alimentato il risentimento
verso un padre che non gli aveva mai dato affetto.
Avevano
giocato su questo. Avevano giocato anche sulle sue continue umiliazioni, sugli
scherzi di Potter, sulla sua sete di vendetta.
L’avevano
fatto allontanare dall’unica persona importante, l’unica che, per lui, contasse
veramente, e per cosa?
Non
era più un ragazzino.
Non
c’erano più bulletti scapestrati a tormentarlo.
Non
c’era neppure più suo padre, ma lui era ininfluente, dato che non c’era mai
stato.
E
che cosa si ritrovava ad avere?
Amici
superficiali.
Amici
che non avrebbero esitato un attimo ad ucciderlo, se solo Voldemort lo avesse
ordinato, se solo fosse servito a farli entrare nelle sue grazie.
Amici
che non erano neppure da considerare tali; viscidi servitori di una persona
spregevole; un mondo di promesse infrante non appena aveva messo piede fuori da
Hogwarts.
Altro
che gloria ed onore, rispetto e considerazione.
Solo
un mondo marcio, gente pazza, gente che rideva ed esultava per vite innocenti
strappate. Solo per una colpa che non avevano mai avuto, solo per via del sangue.
Ogni
volta che qualche compagno Mangiamorte tornava da una delle missioni – che poi
non erano altro che omicidi intrisi di divertimenti perverso e senza nessuna
utilità, la maggior parte delle volte – lui tremava e pregava che il sangue di
cui erano intrisi, che avevano versato, non fosse il suo.
L’avrebbe
saputo, no, se fosse morta?
L’avrebbe
saputo.
Aveva
saputo anche del matrimonio. Per quello aveva deciso di diventare proprio quel
giorno un Mangiamorte a tutti gli effetti: non aveva altra scelta.
Credeva
di non avere altra scelta.
Il
fatto era che, sebbene dover uccidere uno sconosciuto lo ripugnasse, cos’altro avrebbe
potuto fare? Le sue scuse non erano servite a niente una volta. Anche se fosse
tornato con la coda fra le gambe; anche se avesse implorato Silente per poter
entrare a far parte dell’Ordine; anche se avesse, con il tempo, dimostrato che
le voci, che sicuramente si sarebbero sentite, sul suo essere una spia per
conto di Voldemort non erano per niente vere… Lei non sarebbe più stata sua.
Non
era mai stata sua, in verità. Ma poi non lo sarebbe più stata definitivamente.
Severus
era confuso.
Cosa
doveva fare?
Era
tardi, tardi per qualsiasi cosa.
Avrebbe
voluto avere più tempo. Avrebbe voluto rendersi conto prima di determinate
cose. Avrebbe voluto ascoltare, ascoltare davvero, la verità che lei gli urlava
addosso, negli ultimi tempi della loro amicizia.
Avrebbe
voluto solo tornare indietro.
Forse
era quella la soluzione.
Tornare.
Decidere. Cercare di superare il risentimento verso l’altro, cercare di tramutare
l’amore per lei in affetto, cercare di fare, forse per la prima volta in vita
sua, la cosa giusta.
Doveva
tornare, doveva capire.
Ricordava la prima volta che l’aveva
vista, lei che si dondolava sull’altalena, i capelli rossi al vento e gli occhi
chiusi in un’espressione di gioia.
Ricordava la sua meraviglia nel
constatare che lei non era fuggita davanti al suo aspetto strambo, anzi, che
era stata ad ascoltarlo, che pendeva dalle sue labbra.
Ricordava l’ingiustizia che aveva
compiuto nei confronti di sua sorella, il suo senso di colpa, il suo rendersi
conto di essere sbagliato, diverso; di non meritarsi la sua amicizia.
Ricordava che, nonostante tutto, lei non
le aveva negato il suo sorriso luminoso, le sue chiacchiere, la sua compagnia.
Ricordava il profumo dei suoi capelli,
l’amicizia che diventava attrazione, desiderio, amore.
Ricordava gli scherzi di Potter e della
sua combriccola, ricordava il desiderio di sentirsi forte, più forte di lui, di
schiacciarlo, di diventare migliore.
Ricordava le parole velenose di Mulciber
e Avery, di averle ripetute a pappagallo fino quasi crederci, con la sola ed
unica eccezione che riguardava lei.
Ricordava la sensazione di aver trovato
degli amici oltre a lei, un posto nella scuola, la promessa di una vita di
gloria ed onori.
Ricordava quel terribile giorno e quelle
terribili parole, quelle scuse che non erano state abbastanza, quel suo
sentirsi così disperatamente perduto.
Ricordava di aver già allora capito, di
sentirsi disgustato da ciò che stava diventando, di essersi arreso comunque
perché, se lei non lo voleva più, allora credeva che fosse l’unica cosa che gli
era rimasta, l’unica strada da percorrere.
Ricordava gli anni passati in cerca di
un suo sguardo, di un suo perdono, di un riavvicinamento.
Ricordava il suo immergersi fino al
collo in quella strada sbagliata, il suo negare i suoi stessi sentimenti.
Ricordava la sensazione di gelosia acuta
quando Potter era riuscito a sottrargli anche la speranza di un
riavvicinamento.
Ricordava quando aveva saputo, infine,
delle nozze, quando aveva capito che era troppo tardi, quando aveva
compreso che, ormai, lei era persa per sempre.
Ricordava l’amore, che nonostante tutto
continuava a tenerlo legata a lei.
Era
seduta sotto ad un albero – quell’albero,
il loro albero – in riva ad un fiume – quel
fiume, il loro fiume – e piangeva, Lily. Il vestito enorme l’avvolgeva ed
era attorno a lei come la neve che avrebbe iniziato a cadere di lì a poco; come
una barriera verso il mondo esterno. Il bouquet era abbandonato per terra,
accanto al suo corpo, mentre lei aveva le mani premute sul viso e non faceva
altro che singhiozzare, ricordando momenti passati e quel viso che era sempre
stato scolpito nel suo cuore.
L’aveva
trovata così, Severus, e si era bloccato, impietrito, come se qualcuno gli avesse
lanciato una pastoia. La fine maschera d’argento era scivolata fra le sue dita
ed il lieve tonfo che aveva prodotto scontrandosi con il terreno aveva avuto
l’effetto di far alzare gli occhi a Lily.
Lei
l’aveva visto.
Lui
continuava ad osservarla.
Nei
loro occhi, solo lo stupore.
Poi
il mondo riprese a girare. Lily si alzò in piedi e, con uno scatto fulmineo, si
gettò fra le braccia dell’uomo che sì, ormai era riuscito ad accettarlo
pienamente, amava. Che aveva sempre amato, sin da bambina.
Severus
rimase immobile, rigido; non poteva credere a quello che stava succedendo, non
poteva credere di averla trovata davvero, lì,
non poteva credere che in quel momento fosse fra le sue braccia… Quel
particolare lo riscosse. Lily era fra le sue braccia. Lo stringeva come se
fosse la cosa più cara che avesse e singhiozzava contro il suo petto.
Severus
la circondò e ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé.
Non
importava, in quel momento, che non capisse il perché.
Importava
solo che Lily fosse lì, in quel posto, aggrappata a lui.
Dopo
un tempo che parve infinitamente lungo, Lily smise di singhiozzare e si staccò
lievemente da Severus, allungando le mani per prendergli il volto, asciugandosi
rabbiosa gli occhi per essere certa di vedere davvero. Per essere sicura che
fosse davvero lui.
“Severus.”
disse, guardandolo negli occhi e trovandoci confusione “Severus… Ti prego,
dimmelo ancora.”
“Co…
Cosa?” chiese lui, incredibilmente spiazzato. Le sue guance erano arrossate
dall’emozione di stringere la donna che amava fra le braccia, ma non capiva a
cosa lei si riferisse.
“Chiedimi
scusa. Dimmi che non credi a quello che mi hai detto, dimmi che non t’importa
che io sia una schifosa sanguesporco… Dimmi che, nonostante tutto, mi vuoi bene
ancora.”
Le
lacrime avevano di nuovo preso a scorrere sul suo viso. L’ultima parte della
frase non era proprio come avrebbe voluto, ma sarebbe stato eccessivo anche
solo sperare che Severus ricambiasse
i suoi sentimenti. Prima di tutto, voleva accertarsi che lui non credesse
davvero a quello che gli era stato inculcato durante gli ultimi anni scolastici,
e sicuramente anche dopo.
Doveva
credere che fosse così, doveva credere che, se lui era lì, un motivo doveva
esserci. Un motivo legato a lei, che non c’entrasse con il disprezzo.
Severus
si fece subito serio. Dentro di sé era meravigliato, incredulo; non pareva vero
che gli si presentasse una simile occasione. Ma, fuori, doveva mostrare solo
determinazione. Doveva fare in modo che Lily, quella volta, si convincesse
delle sue parole.
“Scusami,
Lily. Sono stato uno stupido, le parole che ti ho rivolto erano talmente
scorrette che sono tutt’ora il mio più grande rimorso. E poi… Certo che ti
voglio bene. Te ne vorrò sempre.”
La
sua voce parve incrinarsi sull’ultima parola. Non era quello che avrebbe voluto
dire, ma si rendeva conto che era meglio non tirare la corda. Se solo avesse potuto
riavere Lily, anche solo come amica, anche solo per un po’… Il resto, se ci
fosse stato, sarebbe venuto da sé.
Lily
rise. Rise fra le lacrime, il cuore leggero, poi gli strinse la nuca e si alzò
sulla punta dei piedi.
Lo
baciò, così, senza preavviso, e si staccò senza dargli neppure il tempo di
realizzare.
Un
bacio leggero, non un bacio profondo, eppure le labbra erano premute in modo
forte sulle sue.
Riabbassò
la testa e la rituffò nel suo petto.
Severus,
che si era irrigidito durante il bacio, prese ad accarezzarle la schiena con
movimenti delicati.
Lily
riemerse quasi subito dal mantello dell’uomo, l’espressione stavolta grave e preoccupata.
Si staccò da lui, gli prese il braccio sinistro e gli alzò la manica del mantello,
scoprendone l’avambraccio.
Il
sollievo che la pervase quando scoprì che era immacolato e pallido come lo era
sempre stato le fece venire di nuovo le lacrime agli occhi. Se lo avvicinò alle
labbra, lo sfiorò con esse, appoggiò la guancia laddove ci sarebbe dovuto
essere il Marchio.
“Meno
male…” sussurrò, e Severus fu improvvisamente felice di non essersi ancora
marchiato.
Spinto
dalla vicinanza di Lily, o forse dal luogo che gli ricordava la loro infanzia e
le loro confidenze, decise di parlare, stringendola a sé con la mano libera.
“Doveva
essere oggi.”
Lily
lasciò andare il braccio e riallacciò le mani dietro alla sua nuca, fissandolo
intensamente.
“Sono
arrivata in tempo, allora.” disse, capendo subito a cosa lui si riferisse
“Perché non l’hai fatto?” chiese poi, il tono dolce e contrito.
Lui
sviò l’argomento.
“Anche
il tuo matrimonio doveva essere oggi. Perché non ti sei sposata?”
Lily
abbassò lo sguardo, le guance in fiamme, e decise di essere sincera. Non solo
con se stessa.
“Lui
non era te.” mormorò, in un sussurro a malapena udibile.
Lui non era te.
Non era te.
Te.
Quella
parole non avrebbero potuto avere un sapore più bello, per Severus. Strinse
ancora con più forza Lily e affondò il viso nei suoi capelli, sospirando.
“Non
hai risposto, Severus.” disse lei, dopo un po’.
“Neanche
lui era te.” sentì sussurrare lui, ancora con il viso immerso fra i suoi capelli.
Allora
capì.
Capì
che erano stati degli stupidi, che sarebbero bastate poche parole, poche
azioni, poche frasi. Che erano stati sul punto di perdersi per sempre per una
banale incomprensione, che avevano ingigantito le cose sbagliate e non quelle
importanti, che avevano sbagliato tutto.
Lily
si staccò lievemente da lui e lo fissò negli occhi, l’espressione ardente.
“Sev,
sposami.” disse, e vide la meraviglia farsi spazio sul suo viso.
“Cosa?”
“Fuggiamo.
Scappiamo, sposiamoci. Via da una guerra che non perdona, via da questa
situazione schifosa, solo io e te. Insieme. Felici.”
Lui
continuava a fissarla, come se fosse un’aliena.
“Ma…
I tuoi principi, l’Ordine della Fenice, tutto quello in cui hai sempre
creduto…”
Il
suo volto parve oscurarsi, ma il sorriso non s’incrinò.
“Torneremo.
Forse. Ma prima… Prima ho bisogno di trovare me stessa, Severus. Lontano da
tutto questo. Con te. Insieme, assaggiare la felicità, provare quello che mi
sono preclusa – che ci siamo preclusi – per tutto questo tempo. Sempre se mi
vuoi.”
“Sì…
Sì. Non c’è neanche da chiederlo. Ti voglio, Lily, non ho mai desiderato altri
che te.”
Lei
rise, di nuovo, di cuore. E, di nuovo, si alzò sulle punte, maledicendo l’abito
troppo grande e vaporoso, per poggiare le sue labbra sulle sue.
Stavolta
fu un bacio profondo, passionale, desiderato. Ardente, come lo erano loro,
mentre si stringevano e desideravano di più, ancora di più, sempre di più.
“Dove
andremo?” chiese infine Severus, il fiato corto e le guance sempre più rosse,
quando si staccarono.
“Ho
dei soldi babbani da parte. Prendiamo un aereo, voliamo lontano da qui. Andiamo
dall’altra parte del mondo, sposiamoci, cerchiamo la nostra felicità.”
Severus
sorrise, a quelle parole.
“Facciamolo”
rispose, prima di baciarla di nuovo.
Di loro non rimase che un bouquet un po’
sgualcito, composto solo da fiori bianchi, e una maschera d’argento, dall’aria
vagamente inquietante. Se ne stavano ai piedi di un albero imponente, custode
di segreti che non avrebbe mai potuto rivelare.
La neve aveva già incominciato a
scendere, ma lui li proteggeva con le sue immense fronde.
Chissà: forse, qualcuno, prima o poi li
avrebbe trovati.