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Autore: Mitsuki91    11/03/2013    7 recensioni
Lily è da sempre innamorata di Severus. Ha un crollo proprio il giorno del suo matrimonio, e decide quindi di fuggire... Per tornare dove tutto è iniziato.
Severus ha rimandato fino a quel giorno la sua cerimonia di iniziazione per diventare Mangiamorte. Quando ha saputo che Lily e James si sarebbero sposati, ha aspettato apposta, per essere certo che lei fosse ormai irraggiungibile. Tormentato però dai dubbi, da una vita che non vuole, decide di tornare dove tutto è iniziato.
***
E' una Lily/Severus scritta in un delirio post-palestra. Beh, non ho molto altro d'aggiungere u.u
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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L’ho scritta di getto stasera, proprio quando sapevo di non riuscire a scrivere =..= (lo dimostra il fatto che ho dovuto correggere sei volte la parola “riuscire” per scriverla in modo giusto =..=). Ma non potevo fare altrimenti u.u l’idea mi è venuta mentre ero in palestra, e come al solito la mia mente è andata oltre questa semplice OS. Tuttavia non ho la forza mentale e materiale per allungarla, non ancora. Se mi viene un finale decente, comunque, potrei anche farci un pensierino u.u
Piccola nota: l’avvertimento OOC è d’obbligo perché credo che Lily lo sia, soprattutto verso la fine. Intendiamoci: nella mia testa fila tutto, ma unendo la mia capacità di non scrittura di questa sera al fatto che la OS è solo una OS, beh, e quindi limitata… Ho preferito non rischiare. Semmai la cosa si trasformasse in una long, o ci scrivessi una serie, o cose simili… Beh, potrei spiegarvi al meglio la mia idea u.u nel frattempo, metto le mani avanti =)
Fatemi sapere che ne pensate =)


Un bouquet di fiori bianchi e una maschera d’argento

Lily osservava la propria immagine allo specchio.
Aveva i capelli raccolti, il trucco impeccabile; le mani erano fasciate da guanti lunghi fino al gomito, bianchi, come il vestito vaporoso che, sotto lo stretto corpetto, si apriva in una grande gonna a campana piena di tulle. Nella mano destra stringeva un bouquet di fiori, anch’essi bianchi.
Tremava.
Il visto, sotto al trucco, era pallido.
Le amiche, che prima la circondavano festanti, sembravano non essersi accorte di nulla, tuttavia Lily le aveva cacciate giusto qualche secondo prima, perché aveva bisogno di stare da sola e riflettere.
Si stava per sposare. Con James Potter.
E la sera prima aveva avuto un crollo. E in quel momento ne stava avendo un altro.
Ieri si era illusa che fossero i nervi tesi, l’emozione, l’eccitazione. Oggi, dopo aver passato la notte sognando il volto di quel ragazzo, capiva che non era più neanche solo paura.
Lily non amava James. Era solo questo. La sensazione di sbagliato in quello che si apprestava a compiere quel giorno era così prepotente, dentro di lei, perché, paradossalmente, era quella giusta.
Non poteva più percorrere la navata che la separava da James, un bravo ragazzo, ma non quello giusto per lei; non poteva più neanche solo uscire da quella stanza, il luogo in cui finalmente si era decisa ad affrontare la realtà; non poteva neppure correre dall’uomo che amava veramente, da quel ragazzo, che ormai la disprezzava. Per via del suo sangue.
L’unica cosa che si prospettava nella sua mente, in quel momento, era la fuga.
Lily strinse di più il bouquet e assottigliò le labbra.
Sarebbe scappata come una vigliacca. Avrebbe lasciato James ad attendere una sposa che non sarebbe mai arrivata. Si poteva quasi figurare il suo volto da cane bastonato, l’espressione delusa delle sue amiche, quella comprensiva e un po’ triste di Remus… Ma doveva andare.
Nella vita, aveva sbagliato tutto. Aveva sbagliato sin dal principio, non era stata abbastanza forte.
Abbastanza per arrendersi a quei sentimenti.
Abbastanza per tentare di cambiare lui, per afferrare la mano che lui le tendeva.
Abbastanza per restare sola, nonostante il suo cuore implorasse quella vicinanza, arrendendosi ad una pallida imitazione di un sentimento che, lo sapeva, provava solo per quella persona, così dannatamente sbagliata.
Doveva fuggire. No, forse non era la parola giusta.
Doveva tornare.
Tornare ai quei tempi felici, prima che una guerra insulsa li dividesse.
Tornare in quel luogo dove tutto era stato un paradiso, l’inizio, dove loro due erano soli in una bolla di felicità.
Tornare a quando c’era ancora speranza, a quando lui non era ancora così cambiato.
Tornare apposta per cambiarlo, per farlo andare nell’altra direzione, per legarlo a sé.
Sapeva che non ci sarebbe riuscita, che era tardi, che lui non ci sarebbe stato. Lo sapeva ma era l’unica cosa che le fosse venuta in mente.
Non poteva più stare lì.
Sempre stringendo il bouquet di fiori, Lily si smaterializzò.

Ricordava ancora il loro posto segreto, sulla riva di quel fiume un po’ sporco, dove si erano conosciuti e si erano scambiati le prime confidenze.
Ricordava ancora di aver appreso proprio da quel ragazzino un po’ pallido e trascurato, immerso nei vestiti sbagliati, di essere una strega, di appartenere ad un altro mondo.
Ricordava ancora la meraviglia quando era arrivata ad Hogwarts, quando aveva capito davvero che lui non la stava prendendo in giro, che poteva iniziare a credere che entrambi fossero parte di un mondo strano e meraviglioso.
Ricordava ancora i pomeriggi passato a studiare, a confidarsi, a parlare, sotto lo sguardo attonito della gente.
Ricordava ancora gli scherzi stupidi di Potter, che la facevano così infuriare e che umiliavano lui, così ingiusti.
Ricordava ancora quel sentimento che pian piano era nato nel suo cuore, osservando quel naso un po’ grande e quei capelli sempre un po’ unti, quella tenerezza mista ad affetto e quel desiderio di averlo sempre più vicino, così vicino da poterlo toccare.
Ricordava anche con rammarico gli amici di lui, così sbagliati, che l’avevano portato via, che gli avevano fatto prendere una strada sbagliata.
Ricordava il male, dopo quelle terribili parole, dopo che, convinta da tutte le sue amiche, aveva detto basta definitivamente a quel rapporto malsano.
Ricordava la colpa di non essere stata abbastanza.
Ricordava il dolore di una separazione forzata e, in fondo, non voluta.
Ricordava l’amore, che nonostante tutto continuava a tenerla legata a lui.

Severus stava guardando fuori dalla finestra, l’espressione vacua e la maschera d’argento stretta fra le dita.
Oggi sarebbe stato un grande giorno. Poco dopo mezzogiorno lo attendeva la prova finale, quella che avrebbe decretato il suo ingresso nel mondo dei Mangiamorte: l’omicidio di un innocente.
Non se l’era figurata così.
Era stato imbrogliato, tratto in inganno da parole velenose che gli si erano conficcate dentro, anni e anni prima, che avevano alimentato il risentimento verso un padre che non gli aveva mai dato affetto.
Avevano giocato su questo. Avevano giocato anche sulle sue continue umiliazioni, sugli scherzi di Potter, sulla sua sete di vendetta.
L’avevano fatto allontanare dall’unica persona importante, l’unica che, per lui, contasse veramente, e per cosa?
Non era più un ragazzino.
Non c’erano più bulletti scapestrati a tormentarlo.
Non c’era neppure più suo padre, ma lui era ininfluente, dato che non c’era mai stato.
E che cosa si ritrovava ad avere?
Amici superficiali.
Amici che non avrebbero esitato un attimo ad ucciderlo, se solo Voldemort lo avesse ordinato, se solo fosse servito a farli entrare nelle sue grazie.
Amici che non erano neppure da considerare tali; viscidi servitori di una persona spregevole; un mondo di promesse infrante non appena aveva messo piede fuori da Hogwarts.
Altro che gloria ed onore, rispetto e considerazione.
Solo un mondo marcio, gente pazza, gente che rideva ed esultava per vite innocenti strappate. Solo per una colpa che non avevano mai avuto, solo per via del sangue.
Ogni volta che qualche compagno Mangiamorte tornava da una delle missioni – che poi non erano altro che omicidi intrisi di divertimenti perverso e senza nessuna utilità, la maggior parte delle volte – lui tremava e pregava che il sangue di cui erano intrisi, che avevano versato, non fosse il suo.
L’avrebbe saputo, no, se fosse morta?
L’avrebbe saputo.
Aveva saputo anche del matrimonio. Per quello aveva deciso di diventare proprio quel giorno un Mangiamorte a tutti gli effetti: non aveva altra scelta.
Credeva di non avere altra scelta.
Il fatto era che, sebbene dover uccidere uno sconosciuto lo ripugnasse, cos’altro avrebbe potuto fare? Le sue scuse non erano servite a niente una volta. Anche se fosse tornato con la coda fra le gambe; anche se avesse implorato Silente per poter entrare a far parte dell’Ordine; anche se avesse, con il tempo, dimostrato che le voci, che sicuramente si sarebbero sentite, sul suo essere una spia per conto di Voldemort non erano per niente vere… Lei non sarebbe più stata sua.
Non era mai stata sua, in verità. Ma poi non lo sarebbe più stata definitivamente.
Severus era confuso.
Cosa doveva fare?
Era tardi, tardi per qualsiasi cosa.
Avrebbe voluto avere più tempo. Avrebbe voluto rendersi conto prima di determinate cose. Avrebbe voluto ascoltare, ascoltare davvero, la verità che lei gli urlava addosso, negli ultimi tempi della loro amicizia.
Avrebbe voluto solo tornare indietro.
Forse era quella la soluzione.
Tornare. Decidere. Cercare di superare il risentimento verso l’altro, cercare di tramutare l’amore per lei in affetto, cercare di fare, forse per la prima volta in vita sua, la cosa giusta.
Doveva tornare, doveva capire.

Ricordava la prima volta che l’aveva vista, lei che si dondolava sull’altalena, i capelli rossi al vento e gli occhi chiusi in un’espressione di gioia.
Ricordava la sua meraviglia nel constatare che lei non era fuggita davanti al suo aspetto strambo, anzi, che era stata ad ascoltarlo, che pendeva dalle sue labbra.
Ricordava l’ingiustizia che aveva compiuto nei confronti di sua sorella, il suo senso di colpa, il suo rendersi conto di essere sbagliato, diverso; di non meritarsi la sua amicizia.
Ricordava che, nonostante tutto, lei non le aveva negato il suo sorriso luminoso, le sue chiacchiere, la sua compagnia.
Ricordava il profumo dei suoi capelli, l’amicizia che diventava attrazione, desiderio, amore.
Ricordava gli scherzi di Potter e della sua combriccola, ricordava il desiderio di sentirsi forte, più forte di lui, di schiacciarlo, di diventare migliore.
Ricordava le parole velenose di Mulciber e Avery, di averle ripetute a pappagallo fino quasi crederci, con la sola ed unica eccezione che riguardava lei.
Ricordava la sensazione di aver trovato degli amici oltre a lei, un posto nella scuola, la promessa di una vita di gloria ed onori.
Ricordava quel terribile giorno e quelle terribili parole, quelle scuse che non erano state abbastanza, quel suo sentirsi così disperatamente perduto.
Ricordava di aver già allora capito, di sentirsi disgustato da ciò che stava diventando, di essersi arreso comunque perché, se lei non lo voleva più, allora credeva che fosse l’unica cosa che gli era rimasta, l’unica strada da percorrere.
Ricordava gli anni passati in cerca di un suo sguardo, di un suo perdono, di un riavvicinamento.
Ricordava il suo immergersi fino al collo in quella strada sbagliata, il suo negare i suoi stessi sentimenti.
Ricordava la sensazione di gelosia acuta quando Potter era riuscito a sottrargli anche la speranza di un riavvicinamento.
Ricordava quando aveva saputo, infine, delle nozze, quando aveva capito che era troppo tardi, quando aveva compreso che, ormai, lei era persa per sempre.
Ricordava l’amore, che nonostante tutto continuava a tenerlo legata a lei.

Era seduta sotto ad un albero – quell’albero, il loro albero – in riva ad un fiume – quel fiume, il loro fiume – e piangeva, Lily. Il vestito enorme l’avvolgeva ed era attorno a lei come la neve che avrebbe iniziato a cadere di lì a poco; come una barriera verso il mondo esterno. Il bouquet era abbandonato per terra, accanto al suo corpo, mentre lei aveva le mani premute sul viso e non faceva altro che singhiozzare, ricordando momenti passati e quel viso che era sempre stato scolpito nel suo cuore.
L’aveva trovata così, Severus, e si era bloccato, impietrito, come se qualcuno gli avesse lanciato una pastoia. La fine maschera d’argento era scivolata fra le sue dita ed il lieve tonfo che aveva prodotto scontrandosi con il terreno aveva avuto l’effetto di far alzare gli occhi a Lily.
Lei l’aveva visto.
Lui continuava ad osservarla.
Nei loro occhi, solo lo stupore.
Poi il mondo riprese a girare. Lily si alzò in piedi e, con uno scatto fulmineo, si gettò fra le braccia dell’uomo che sì, ormai era riuscito ad accettarlo pienamente, amava. Che aveva sempre amato, sin da bambina.
Severus rimase immobile, rigido; non poteva credere a quello che stava succedendo, non poteva credere di averla trovata davvero, , non poteva credere che in quel momento fosse fra le sue braccia… Quel particolare lo riscosse. Lily era fra le sue braccia. Lo stringeva come se fosse la cosa più cara che avesse e singhiozzava contro il suo petto.
Severus la circondò e ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé.
Non importava, in quel momento, che non capisse il perché.
Importava solo che Lily fosse lì, in quel posto, aggrappata a lui.
Dopo un tempo che parve infinitamente lungo, Lily smise di singhiozzare e si staccò lievemente da Severus, allungando le mani per prendergli il volto, asciugandosi rabbiosa gli occhi per essere certa di vedere davvero. Per essere sicura che fosse davvero lui.
“Severus.” disse, guardandolo negli occhi e trovandoci confusione “Severus… Ti prego, dimmelo ancora.”
“Co… Cosa?” chiese lui, incredibilmente spiazzato. Le sue guance erano arrossate dall’emozione di stringere la donna che amava fra le braccia, ma non capiva a cosa lei si riferisse.
“Chiedimi scusa. Dimmi che non credi a quello che mi hai detto, dimmi che non t’importa che io sia una schifosa sanguesporco… Dimmi che, nonostante tutto, mi vuoi bene ancora.”
Le lacrime avevano di nuovo preso a scorrere sul suo viso. L’ultima parte della frase non era proprio come avrebbe voluto, ma sarebbe stato eccessivo anche solo sperare che Severus ricambiasse i suoi sentimenti. Prima di tutto, voleva accertarsi che lui non credesse davvero a quello che gli era stato inculcato durante gli ultimi anni scolastici, e sicuramente anche dopo.
Doveva credere che fosse così, doveva credere che, se lui era lì, un motivo doveva esserci. Un motivo legato a lei, che non c’entrasse con il disprezzo.
Severus si fece subito serio. Dentro di sé era meravigliato, incredulo; non pareva vero che gli si presentasse una simile occasione. Ma, fuori, doveva mostrare solo determinazione. Doveva fare in modo che Lily, quella volta, si convincesse delle sue parole.
“Scusami, Lily. Sono stato uno stupido, le parole che ti ho rivolto erano talmente scorrette che sono tutt’ora il mio più grande rimorso. E poi… Certo che ti voglio bene. Te ne vorrò sempre.”
La sua voce parve incrinarsi sull’ultima parola. Non era quello che avrebbe voluto dire, ma si rendeva conto che era meglio non tirare la corda. Se solo avesse potuto riavere Lily, anche solo come amica, anche solo per un po’… Il resto, se ci fosse stato, sarebbe venuto da sé.
Lily rise. Rise fra le lacrime, il cuore leggero, poi gli strinse la nuca e si alzò sulla punta dei piedi.
Lo baciò, così, senza preavviso, e si staccò senza dargli neppure il tempo di realizzare.
Un bacio leggero, non un bacio profondo, eppure le labbra erano premute in modo forte sulle sue.
Riabbassò la testa e la rituffò nel suo petto.
Severus, che si era irrigidito durante il bacio, prese ad accarezzarle la schiena con movimenti delicati.
Lily riemerse quasi subito dal mantello dell’uomo, l’espressione stavolta grave e preoccupata. Si staccò da lui, gli prese il braccio sinistro e gli alzò la manica del mantello, scoprendone l’avambraccio.
Il sollievo che la pervase quando scoprì che era immacolato e pallido come lo era sempre stato le fece venire di nuovo le lacrime agli occhi. Se lo avvicinò alle labbra, lo sfiorò con esse, appoggiò la guancia laddove ci sarebbe dovuto essere il Marchio.
“Meno male…” sussurrò, e Severus fu improvvisamente felice di non essersi ancora marchiato.
Spinto dalla vicinanza di Lily, o forse dal luogo che gli ricordava la loro infanzia e le loro confidenze, decise di parlare, stringendola a sé con la mano libera.
“Doveva essere oggi.”
Lily lasciò andare il braccio e riallacciò le mani dietro alla sua nuca, fissandolo intensamente.
“Sono arrivata in tempo, allora.” disse, capendo subito a cosa lui si riferisse “Perché non l’hai fatto?” chiese poi, il tono dolce e contrito.
Lui sviò l’argomento.
“Anche il tuo matrimonio doveva essere oggi. Perché non ti sei sposata?”
Lily abbassò lo sguardo, le guance in fiamme, e decise di essere sincera. Non solo con se stessa.
“Lui non era te.” mormorò, in un sussurro a malapena udibile.
Lui non era te.
Non era te.
Te.
Quella parole non avrebbero potuto avere un sapore più bello, per Severus. Strinse ancora con più forza Lily e affondò il viso nei suoi capelli, sospirando.
“Non hai risposto, Severus.” disse lei, dopo un po’.
“Neanche lui era te.” sentì sussurrare lui, ancora con il viso immerso fra i suoi capelli.
Allora capì.
Capì che erano stati degli stupidi, che sarebbero bastate poche parole, poche azioni, poche frasi. Che erano stati sul punto di perdersi per sempre per una banale incomprensione, che avevano ingigantito le cose sbagliate e non quelle importanti, che avevano sbagliato tutto.
Lily si staccò lievemente da lui e lo fissò negli occhi, l’espressione ardente.
“Sev, sposami.” disse, e vide la meraviglia farsi spazio sul suo viso.
“Cosa?”
“Fuggiamo. Scappiamo, sposiamoci. Via da una guerra che non perdona, via da questa situazione schifosa, solo io e te. Insieme. Felici.”
Lui continuava a fissarla, come se fosse un’aliena.
“Ma… I tuoi principi, l’Ordine della Fenice, tutto quello in cui hai sempre creduto…”
Il suo volto parve oscurarsi, ma il sorriso non s’incrinò.
“Torneremo. Forse. Ma prima… Prima ho bisogno di trovare me stessa, Severus. Lontano da tutto questo. Con te. Insieme, assaggiare la felicità, provare quello che mi sono preclusa – che ci siamo preclusi – per tutto questo tempo. Sempre se mi vuoi.”
“Sì… Sì. Non c’è neanche da chiederlo. Ti voglio, Lily, non ho mai desiderato altri che te.”
Lei rise, di nuovo, di cuore. E, di nuovo, si alzò sulle punte, maledicendo l’abito troppo grande e vaporoso, per poggiare le sue labbra sulle sue.
Stavolta fu un bacio profondo, passionale, desiderato. Ardente, come lo erano loro, mentre si stringevano e desideravano di più, ancora di più, sempre di più.
“Dove andremo?” chiese infine Severus, il fiato corto e le guance sempre più rosse, quando si staccarono.
“Ho dei soldi babbani da parte. Prendiamo un aereo, voliamo lontano da qui. Andiamo dall’altra parte del mondo, sposiamoci, cerchiamo la nostra felicità.”
Severus sorrise, a quelle parole.
“Facciamolo” rispose, prima di baciarla di nuovo.

Di loro non rimase che un bouquet un po’ sgualcito, composto solo da fiori bianchi, e una maschera d’argento, dall’aria vagamente inquietante. Se ne stavano ai piedi di un albero imponente, custode di segreti che non avrebbe mai potuto rivelare.
La neve aveva già incominciato a scendere, ma lui li proteggeva con le sue immense fronde.
Chissà: forse, qualcuno, prima o poi li avrebbe trovati.
   
 
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