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Autore: Laylath    12/03/2013    2 recensioni
Una storia che narra l'arrivo del giovanissimo soldato Kain Fury nel team del Colonnello Mustang.
Non sempre gli inizi sono facili, soprattutto quando si è privi di esperienza e si ha a che fare con compagni così diversi da se stessi: bisogna lavorare bene l'impasto per creare un team affiatato.
E soprattutto bisogna saper crescere
Storia finita di revisionare l'11 novembre 2013
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 12. Il coraggio di guardarsi negli occhi.

 

La mattina dopo la sveglia nei dormitori suonò impietosa, tirando giù i soldati dai loro letti e obbligandoli ad iniziare una nuova giornata di lavoro.
Nella sua stanza Fury aprì gli occhi e si mise a sedere nel letto: si sentiva svuotato e sfinito e per qualche istante ebbe l’illusione che tutto quello che era successo il giorno prima era stato solo un bruttissimo sogno. Ma quando vide di indossare ancora i pantaloni e la camicia della divisa e di avere addosso una coperta, la realtà dei fatti gli piombò addosso come un macigno.
Per qualche secondo fu tentato di rifugiarsi sotto quella coperta, serrare gli occhi e riaddormentarsi, cullandosi nell’oblio, ma non era abituato a nascondersi dietro questi sotterfugi e così, con un sospiro si alzò.
Mentre si dirigeva verso il bagno per farsi una doccia si accorse che nella scrivania, accanto ai suoi occhiali, vi era un bicchiere pieno di mozziconi di sigaretta. Si fermò a prendere in mano quell’improvvisato posacenere e si chiese quanto i suoi compagni fossero rimasti in quella stanza, anche dopo che aveva ceduto al sonno. La loro presenza, così forte e tangibile, era riuscita a confortarlo… tuttavia, non poteva dire di stare bene: qualcosa era stato spezzato e si sentiva dolorosamente diverso.
Facendosi la doccia si trovò a ripensare a quanto si vantassero i suoi compagni di Accademia quando stavano al poligono di tiro.
“Ucciderò un sacco di nemici”
“Con questa pistola farò fuori un sacco di gente
Quante volte aveva sentito frasi simili?
Ed invece, per ironia della sorte, quello che era il più giovane e meno bravo, probabilmente era stato il primo ad avere questo discutibile onore: sparare a una persona.
Sperò vivamente che nessuno di loro dovesse mai provare quello che aveva passato lui ieri.
Con questi cupi pensieri, finì di prepararsi e uscì dalla stanza.
Non aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.
 
Man mano che si avvicinava all’ufficio sentiva il suo cuore che si faceva pesante.
Teneva lo sguardo basso: aveva paura di incontrare i suoi compagni, il tenente, il colonnello; aveva il terrore che, guardandoli, li avrebbe considerati diversamente e la stessa cosa sarebbe accaduta a loro. Avrebbe dato chissà cosa perché tutto ritornasse indietro, perché nessun rapporto finisse sul tavolo di Mustang e, di conseguenza, nessuna missione sotto quella pioggia… niente spari, niente sangue.
“Eccoti qui, soldato. Rischiavi di farci fare tardi.” salutò la voce di Breda.
Fu costretto a dare una fugace occhiata e vide con sorpresa che insieme al robusto soldato c’erano Havoc e Falman: erano tutti fuori dalla porta e si rese conto che lo stavano aspettando. Per un secondo fu tentato di mormorare qualche parola di scusa e scappare via, ma non se lo meritavano dopo quello che avevano fatto per lui ieri notte.
Trattenendo il fiato alzò lo sguardo e si stupì.
Negli occhi azzurri di Havoc, così come in quelli grigi di Breda e quelli di Falman c’era una profonda comprensione, un tacito riconoscimento: tutti loro sapevano cosa voleva dire uccidere, provare l’angoscia di levare la vita a una persona. Non se ne vantavano: probabilmente anche loro avevano passato la notte a cercare di allontanare la vista del sangue che avevano versato. E questa ferita dell’anima era sempre stata nei loro occhi, ma lui non l’aveva saputa leggere fino a quel momento. Ma adesso poteva: era un soldato e loro erano i suoi compagni, i suoi fratelli. E avevano bisogno l’uno dell’altro.
Fu come se un macigno gli fosse stato levato dall’anima: non si sarebbe mai più trovato da solo.
Un primo timido sorriso riuscì ad affiorargli sulle labbra: adesso era pronto ad affrontare di nuovo la sua vita.
 
Roy Mustang sedeva alla scrivania e guardava l’ufficio ancora vuoto. Era arrivato presto quella mattina, non sapeva perché. Forse era preoccupato per quello che poteva vedere nel momento in cui sarebbero arrivati i suoi uomini: aveva tanto vantato il fatto che il ragazzo fosse forte, ma aveva paura di veder entrare una creatura spezzata.
Fury era diverso: non era come Havoc, Breda e Falman che erano entrati al suo servizio già grandi e con il loro bagaglio di esperienza. Quel ragazzo, con i suoi appena diciotto anni, era arrivato ancora innocente, pieno di idealismo e di entusiasmo e di un’incrollabile fiducia e ammirazione nei confronti del suo superiore. Lui, in quanto tale, avrebbe dovuto essere maggiormente responsabile e pensarci due volte prima di coinvolgerlo così presto in una missione armata. Forse ora Fury l’avrebbe guardato come il peggiore dei criminali, come il mostro che gli aveva ordinato di compiere quell’orribile gesto. Adesso il ragazzo sapeva cosa voleva dire uccidere e questo lo poteva portare a rivalutare un cosiddetto eroe della guerra di Ishval: e non avrebbe avuto nemmeno tutti i torti.
Forse con lui era stato davvero un genitore che ha sbagliato tutto.
Non ebbe tempo di fare altre riflessioni che la porta si aprì e quattro soldati entrarono, andando a sedersi ai loro posti. Il colonnello fece finta di niente, rispondendo vagamente ai loro saluti.
Poi si decise ad affrontare la situazione:
“Fury, vieni qua, subito!” ordinò.
Si alzò in piedi e attese che il giovane arrivasse davanti alla scrivania:
“No, vieni qui, oltre la scrivania, accanto a me.”
Attese di sentire quella presenza al suo fianco e poi si girò e abbassò lo sguardo su quel soldato così piccolo di statura, pronto a prendersi la responsabilità di quanto avrebbe visto; e fu con notevole autocontrollo che rimase impassibile.
Dietro le lenti, quegli occhi neri, lievemente arrossati per le lacrime che sicuramente aveva versato ieri notte, lo fissavano aspettando il suo ordine. Non c’era odio o repulsione, ma la stessa fiducia di sempre: come un bimbo che guarda il suo eroe. Ma al posto dell’innocenza di un bambino, nel profondo dello sguardo, c’era una nuova, dolorosa, maturità, così strana in quel viso ancora infantile.
“Signore?” chiese Fury interrompendo i suoi pensieri.
“Ieri hai lasciato la tua M5 sul campo di battaglia, soldato Fury.” disse prendendo l’arma in questione dalla cintura e porgendogliela.
Non ci fu esitazione nella mano che si allungò a prendere l’impugnatura della pistola: il giovane la ripose nella fondina, senza dire nulla, senza smettere di incontrare il suo sguardo.
Mustang allungò la mano destra e la mise sui capelli neri e dritti. Rimase così per un interminabile secondo, cercando di trasmettergli con quel gesto tutto il sollievo e l’orgoglio che provava nei suoi confronti…
Poi strinse le ciocche scure con fermezza e scrollò la testa del ragazzo.
“Ahia! Colonnello, mi sta facendo male!”
“Dannazione a te, Fury! – disse seccamente mentre lo scrollava - La prossima volta che ti do un ordine non devi avere nessuna esitazione ad eseguirlo, mi sono spiegato? Se ti dico di sparare lo devi fare subito, chiaro? Potevi restarci secco e io mi sarei dovuto cercare un nuovo esperto di comunicazione, senza contare che quell’assassino sarebbe scappato costringendoci a fare gli straordinari!”
“Ahi! Sissignore! - guaì Fury arrossendo – Le giuro che non si ripeterà mai più!”
“Me lo auguro vivamente. Adesso fila subito all’ufficio investigazioni! – terminò l’alchimista lasciando la presa – Devi ancora fare il tuo rapporto per quanto successo ieri. Spero che avrai il buon gusto di non dire niente del tuo canale segreto altrimenti ci procurerai solo noie.”
“Vado subito, signore” disse il soldato massaggiandosi la testa, tra le risate soffocate di Havoc e Breda.
Come Fury fu uscito il sottotenente biondo si accese una sigaretta:
“Va tutto bene, colonnello: il soldatino è forte e sa rialzarsi.”
“Non ho mai avuto dubbi in merito, Havoc.” mentì Mustang seccato girandosi a guardare fuori dalla finestra. Si sentiva dannatamente fiero del piccolo della squadra: ora aveva la certezza che tutta la sua famiglia l’avrebbe seguito ovunque.
E lui era determinato ad arrivare in cima e a non lasciare indietro nessuno di loro.
 
Il tenente Hawkeye rientrò in ufficio all’ora di pranzo, dopo aver passato la mattinata a sbrogliare le questioni diplomatiche relative alla cattura dell’infiltrato all’interno dell’esercito. Il colonnello si era preso la briga di spiegare la situazione solo al Generale Grumman, ma al resto dei superiori dell’esercito aveva dovuto pensarci lei, come al solito.
Si era aspettata di non trovare nessuno ed invece fu con sorpresa che vide Fury chino al suo posto intento a sistemare i piccoli apparecchi radio che avevano utilizzato durante la missione: se anche si accorse della sua presenza, il ragazzo non disse nulla.
In silenzio la donna si accostò alla scrivania e guardò quella testa bruna che volgeva tutta l’attenzione al suo lavoro. Le mani si muovevano sicure e delicate su quei meccanismi così piccoli: avrebbero dovuto fare sempre quello e non premere un grilletto.
“Tenente?” chiamò con voce timida il ragazzo, senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
“Dimmi, Fury.”
“Aveva ragione, tenente, – iniziò con un sospiro dopo una prima esitazione – è qualcosa che ti cambia completamente la vita. Sa… mia madre mi diceva sempre che non c’è nulla di irreparabile, ma mi sono reso conto che non è così.”
“Mi dispiace - mormorò la donna abbassando lo sguardo su uno degli auricolari che giacevano nel tavolo – avrei tanto voluto che evitassi quest’esperienza almeno per qualche tempo. Avrei dovuto…”
“Non fa niente. Del resto sono un soldato, no? - continuò la voce di Fury – Adesso so che cosa si prova ad uccidere a una persona e se devo essere sincero non vorrei farlo mai più in vita mia. Mi è bastata una volta per... non saprei nemmeno come descriverlo. Però sono deciso ad  andare avanti, senza venire meno ai miei doveri, per quanto dura possa essere.”
Aveva detto tutto sommessamente, ma con una fermezza del tutto nuova.
Il tenente alzò lo sguardo e incontrò quello del soldato.
I suoi occhi neri le sembrarono così diversi: in essi c’erano una nuova consapevolezza, che lei conosceva troppo bene, ma anche profonda determinazione; come se avesse fatto i conti con la propria anima e con quello che aveva dovuto fare il giorno prima, accettando le responsabilità che ne derivavano.
“Sono fiera delle tue parole, Fury.” sorrise. E lo era davvero, ma non poteva fare a meno di sentirsi triste nel constatare che il ragazzo che aveva tanto protetto non c’era più, costretto a crescere così all’improvviso.
Si stava rassegnando all’idea di non poter più vedere quella dolcezza infantile che tanto le aveva scaldato il cuore, quando Fury riprese a parlare: 
“Sa, il colonnello si è parecchio arrabbiato con me perché ho esitato a eseguire gli ordini. – confessò con un sorriso contrito passandosi la mano tra i capelli neri, più arruffati del solito – Però  dopo mi ha anche detto che il canale che ho creato è stato davvero utile per la missione e che devo tenerlo sempre pronto per qualsiasi eventualità. Allora ho pensato che posso renderlo ancora più potente in modo da avere una maggiore copertura: crede che sia una buona idea? Non si sa mai con il colonnello…” e c’era la solita energia in quelle affermazioni, il solito entusiasmo che cercava la sua approvazione. La morte gli aveva ferito l’anima, ma lui non aveva rinunciato a se stesso: non si era perso.
“Sì, mi sembra un’ottima idea. – riuscì a dire la donna trattenendosi a stento dall’abbracciarlo – Non si sa mai con il colonnello.” 
“Tenente?” la chiamò di nuovo dopo una lieve esitazione.
“Sì?”
“Non l’ho mai ringraziata per essersi presa cura di me per tutto questo tempo… per avermi tenuto le mani quella sera, e per avermi stretto in un momento così difficile come ieri: grazie di tutto, davvero.” le guance del ragazzo erano arrossite lievemente, come accadeva sempre quando si trovava a dire qualcosa che lo  imbarazzava.
“Sei un membro della squadra, Fury. Qui ci aiutiamo tutti a vicenda” sorrise lei concedendosi di sistemargli una ciocca di capelli neri.
“E’ vero. In fondo… è come una famiglia, non trova?”  
“E’ un buon paragone – ammise piena di orgoglio per il suo piccolo soldato. Poi cambiò argomento – Comunque non so se l’hai notato, preso come sei dai tuoi grandi progetti: ha finalmente smesso di piovere e le nuvole si stanno aprendo. Non eri tu che avevi detto, qualche giorno fa, che non vedevi l’ora che uscisse il sole?”
“Davvero? – si girò lui verso la finestra con il viso illuminato dalla gioia – Finalmente! Questo tempo era proprio insopportabile!”
Vedendo quell’espressione Riza Hawkeye sorrise e ripensò con gratitudine a quel giorno di qualche mese fa quando la vecchia radio si era rotta ed era servito un tecnico. Perché anche se quel ragazzo non poteva essere la redenzione dei suoi peccati, le aveva appena fatto scoprire che una parte di lei non era andata irrimediabilmente perduta nelle sabbie di Ishval, come invece aveva creduto.
  
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