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Autore: micRobs    12/03/2013    5 recensioni
Nick/Jeff | Long Fic | AU, Fluff, Angst lieve, Lime | Romantico
"Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza."
Dal capitolo 1: "Per essere giugno inoltrato, la temperatura non era esattamente delle più estive. L’aria di quella sera era fresca e frizzante e il cielo minacciava pioggia da un momento all’altro. Nick premette il piede sull’acceleratore, desideroso di mettere quante più miglia possibili tra se stesso e quella strada desolata. Era partito da circa sei ore e quel viaggio, già di per sé infinito, stava prendendo una piega ancora peggiore a causa di quella deviazione che lo aveva costretto ad abbandonare la sicurezza della statale in favore di quel tratto sterrato e ignoto. Il suo navigatore sembrava conoscere la direzione, però, quindi Nick si era ciecamente affidato a lui nella speranza che lo avesse condotto sano e salvo a Chicago."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pairing: Nick/Jeff
Genere: Sentimentale / Romantico / Commedia / Fluff / Angst accennato.
Avvertimenti: Slash, AU, Lime.
Rating: Arancione.
Capitoli: 2/10
Introduzione: Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza.
Note d’autore: As usual, tante e alla fine.
Note di Betaggio: Un nome, una garanzia. Un milione di volte, grazie. Vals.
 
 



From my colourless.

 
 

Aveva smesso di piovere nel momento esatto in cui avevano lasciato la stazione di servizio. Era stato un po’ problematico raggiungere il posto e poi ritornare a recuperare l’auto con il carro attrezzi ma, una volta compiuta l’opera, la situazione si era svolta in maniera relativamente veloce. Il proprietario di quella piccola struttura gli aveva fatto notare che imprevisti del genere non erano particolarmente frequenti da quelle parti – vista l’esigua quantità di automobilisti che decideva volontariamente di percorrere quella strada invece della statale – e che quindi non avevano mai ritenuto necessario essere forniti di un meccanico specializzato per quel genere di danni. Ci erano voluti tre quarti d’ora e un giro non indifferente di telefonate – oltre che la parlantina accelerata di Jeff e una buona dose delle imprecazioni colorite di Nick – per riuscire a contattare il centro città più vicino e farsi mandare qualcuno che potesse mettergli a posto la macchina. Quando aveva visto la sua vettura essere caricata dal carro attrezzi e allontanarsi verso un’ignota officina di Cleveland, Nick aveva sospirato a metà fra il sollievo di aver risolto la situazione e i sensi di colpa per il fastidio che aveva arrecato a tutte quelle persone a causa di un suo capriccio.

Elemosinare un passaggio da un perfetto sconosciuto e implorare – e pagare in anticipo e profumatamente – il responsabile dell’officina di Cleveland di andare a recuperare la sua macchina, facendosi assicurare di custodirla fino a data da destinarsi, erano concetti che non si amalgamavano granché bene con la sua idea di autosufficienza. Purtroppo, la situazione gli era inesorabilmente sfuggita di mano e, mentre si sfilava i vestiti fradici in favore di qualcosa di caldo e asciutto, aveva convenuto che fosse giunto il momento di mettere da parte quel comportamento immaturo e lamentoso – che comunque non gli si addiceva per nulla – e cercare almeno di essere riconoscente a Jeff per la sua gentilezza e provvidenza, senza fargli pesare la sua presenza.

Il ragazzo gli aveva fatto caricare le valigie nella sua auto, senza perdere quel sorriso luminoso ed entusiasta che Nick gli aveva visto sul viso sin dal primo momento in cui si erano incontrati, e poi lo aveva invitato a salire, come se si conoscessero da una vita e non da poco più di un paio d’ore.

«Sicuro che non ti crea problemi?» Domandò Nick, per quella che era almeno la quarta volta da quando erano partiti. Sebbene Jeff non avesse fatto nulla per mostrarsi infastidito da quell’imprevisto, Nick non riusciva a smettere di chiedergli conferma.

L’altro scosse la testa, continuando a guardare la strada dinanzi a sé. «Nick, ci vogliono almeno altre sette ore per arrivare a Chicago, hai intenzione di trascorrerle così?»

Il ragazzo sospirò e si abbandonò al sediolino, nonostante si sentisse abbastanza a disagio nel provare a mettersi comodo nell’auto sconosciuta di un ragazzo sconosciuto.

«Sì, hai ragione» si scusò comunque. «Questa era l’ultima.»

Jeff parve apprezzare quella concessione, tant’è che sorrise di più e accelerò leggermente, mentre Nick volgeva la sua attenzione al panorama che scorreva fuori dal finestrino. Stavano percorrendo una strada sterrata e secondaria e la vista alla sua destra era piuttosto monotona; qualche raro lampione illuminava fiocamente il tragitto e, complessivamente, non vi era granché attrattiva su cui concentrarsi, se si escludevano i radi alberi che costeggiavano la strada e il contorno sfuocato di edifici in lontananza. L’insieme tra il cielo compatto e scuro, la stanchezza accumulata e la monotonia del paesaggio, lo rendeva pericolosamente intorpidito, ma la sua mente, sebbene annebbiata e in procinto di addormentarsi, sembrava essere concorde con lui che non potesse assolutamente concedersi un lusso del genere.

Fortunatamente, ci pensò a Jeff a riempire l’abitacolo di chiacchiere e sorrisi e Nick gliene fu immediatamente grato perché non era certo di essere in grado di sopportare un viaggio così lungo all’insegna di ovattato e imbarazzante silenzio.

«Immagino tu abbia una motivazione piuttosto interessante per spiegare il tuo viaggio verso Chicago in auto, uh?» Domandò, all’improvviso.

L’altro fece una smorfia. «Suppongo che valga lo stesso anche per te.»

E Jeff rise. «È vero, ma la domanda l’ho fatta prima io.»

Nick non sapeva come disporsi nei suoi confronti. Jeff sembrava un ragazzo a posto, pieno di entusiasmo e voglia di fare conversazione, ma lui era sempre stato abituato a essere diffidente nei confronti degli estranei e con gli anni aveva imparato a non aprirsi al primo sorriso carino che incontrava – sebbene quel sorriso fosse particolarmente carino.

Alla fine, decise di mantenersi sul vago. «In realtà, Chicago è solo una tappa intermedia: da lì poi devo prendere un aereo per arrivare a Los Angeles.»

Jeff aggrottò la fronte e lo fissò con sguardo dubbioso, poi tornò a concentrarsi sulla guida. «Posso chiederti perché…»

«Non sono partito direttamente da New York, invece di impantanarmi in questo casino?»

Se possibile, l’espressione dell’altro ragazzo si fece maggiormente scettica ma, quando poi parlò, non vi era traccia di incertezza nella sua voce. «Sarebbe stato decisamente più furbo» convenne.

Nick scrollò le spalle e si morse l’interno della guancia, indeciso sul genere di informazioni da fornirgli. Optò per la via più semplice.

«Siccome dovrò stare a Los Angeles per tutta l’estate, avevo bisogno di imbarcare l’auto con me» mentì spudoratamente, «ma da New York non ho trovato voli che mi permettessero di farlo.»

Era un pessimo bugiardo, non ci voleva un genio a comprendere che quella era un’ipotesi altamente improbabile, se non addirittura impossibile, ma Jeff ebbe il buon cuore di non domandargli spiegazioni e Nick gliene fu profondamente grato.

«E quindi passerai le vacanze a Los Angeles» commentò distrattamente, mentre si immetteva nuovamente su una strada principale.

L’altro si sentì improvvisamente molto più a suo agio. «Sì, vado a» esitò un momento, «trovare i miei genitori.»

Non che non fosse la verità ma, se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito trascorrere l’estate a New York e quindi non era esattamente quello il motivo per cui era partito. Di nuovo, decise di tenere Jeff al di fuori dei suoi affari e conservare quei dettagli per sé.

Il ragazzo annuì, perso nei propri pensieri; puntò un gomito sul finestrino aperto e si passò una mano tra i capelli biondissimi: Nick lo osservò di sottecchi, immaginando quale potesse essere la prossima mossa. Forse, pensò, aveva capito che gli stava propinando solo bugie e stava considerando l’eventualità di abbandonarlo sul ciglio della strada?

Fortunatamente, la sua fantasia correva più veloce dell’istinto di conservazione di Jeff, perché quest’ultimo riprese a parlare e sorridere con tranquillità.

«E cosa ci fai a New York?» Domandò, sinceramente incuriosito.

Nick sbatté un paio di volte le palpebre, preso in contropiede. Il fatto che Jeff, oltre ad averlo gentilmente salvato dalla strada, sembrasse davvero interessato a fare la sua conoscenza, aumentava di gran lunga i suoi sensi di colpa per le menzogne che gli stava rifilando.

Almeno, però, a quella domanda poteva rispondere con sincerità. «Mi sono da poco laureato alla NYU» spiegò, «e sono rimasto lì a cercare fortuna.»

«Hai studiato alla NYU?» Chiese conferma Jeff e sembrava realmente… sorpreso?

Nick annuì. «È quello che ho detto, sì» ripeté, aggrottando la fronte. «Mi sono laureato in economia lo scorso febbraio.»

Neanche finì di parlare, che Jeff si aprì in un sorriso incerto ma ugualmente luminoso. «Anche io ho studiato alla NYU» rivelò.

E quello era decisamente inaspettato e anche vagamente inquietante. Nick sgranò gli occhi: quante probabilità c’erano che l’unica persona che si fosse fermata a soccorrerlo, nel bel mezzo del nulla e a svariate miglia da casa, avesse studiato nella sua stessa città?

«Sei di New York?»

«Di Atlantic City, ma ho preso un appartamento a New York con un mio amico per l’università.»

Nick annuì, mentre nella sua testa quella strana situazione iniziava a prendere forma. Non aveva mai avuto problemi a credere nelle coincidenze, ma quello era oltremodo sconcertante.

«Questo è…»

«Strano, sì» completò per lui Jeff, voltandosi a rivolgergli un sorriso complice.

Per un po’ fu facile fare conversazione. Avevano trovato un punto di contatto tra le loro due vite e quindi, tra un “ma dov’è che hai casa di preciso?”, un paio di “ci sei mai stato in quel…?” e innumerevoli “ma non è che per caso conosci…?”, il tempo passò senza che i due ragazzi riuscissero a percepirlo come dimensione effettivamente importante.

Era piacevole avere a che fare con Jeff, notò Nick, piacevole e semplice. Semplice perché il ragazzo sembrava sinceramente entusiasta e interessato a qualsiasi argomento intavolavano e Nick si stupì più di una volta della sintonia che dimostrava di avere con lui dopo appena poche ore di conoscenza.

Quando si ricordò di guardare l’orologio, scoprì che erano da poco passate le due del mattino: quello significava che erano ripartiti da quasi quattro ore e che erano circa a metà strada. Fortunatamente, a quell’ora della notte, la carreggiata era sgombra e tranquilla e Jeff riusciva a viaggiare a velocità sostenuta senza eccessivi problemi.

«Vuoi che guidi un po’ io?» Domandò Nick, con apprensione; non voleva risultare invadente, ma Jeff era partito da New York e quindi era in viaggio pressappoco dal suo stesso tempo: magari lui stesso non era esattamente fresco e limpido come di prima mattina, ma sperava almeno di essere gentile e dimostrargli che desiderava sdebitarsi in qualsiasi modo.

Il ragazzo scosse la testa, continuando a fissare la strada davanti a sé. «Non dirlo neanche» rispose con sicurezza. «Quando ho incontrato te, ero ripartito da meno di un’ora: mi sono riposato abbastanza in motel.»

Nick annuì, non potendo impedire a un “oh” sorpreso di lasciargli le labbra. Beh, almeno uno dei due era in condizioni di portarli fino a Chicago sani e salvi.

«Tu piuttosto» proseguì Jeff, allungando un braccio alla cieca verso i sedili posteriori e facendo sbandare pericolosamente l’auto. Okay, forse non sarebbero comunque arrivati vivi a destinazione.

«Faccio io» propose Nick, sospirando quando il ragazzo riportò entrambe le mani sul volante.

«Vedi» lo indirizzò Jeff, «dietro il tuo sediolino, ci dovrebbe essere un sacchetto di plastica.»

Nick seguì le indicazioni, recuperando l’oggetto in questione, mentre Jeff aggiungeva un «Speriamo che il contenuto non si sia sparso ovunque» che lo fece ridere sommessamente.

Quando ritornò a sedersi composto, Jeff lo fissò con la coda dell’occhio e sorrise. «Ho comprato qualcosa da mangiare per il viaggio» spiegò, «ho dimenticato di dirtelo prima.»

Il ragazzo schiuse le labbra, sorpreso, e rimase – anche in maniera piuttosto comica – con il sacchetto tra le mani, senza che il suo cervello realizzasse che magari ci si aspettava che lo aprisse e ringraziasse Jeff per quella gentilezza.

L’altro dovette prendere il suo silenzio come un invito a fornirgli spiegazioni, però, tant’è che si affrettò a raccontargli del momento in cui si era trovato davanti al banco frigo della stazione di servizio e aveva pensato bene di fare scorta per il viaggio, mentre lui era intento a cambiarsi i vestiti bagnati.

«Ho preso un paio di focacce e qualche tramezzino» sorrise, continuando a guardare la strada. «Non sapevo quali fossero i tuoi gusti, così ho improvvisato. Io vado matto per i cheeseburger, non so se piacciono anche a te.»

Nella busta vi erano tre o quattro incarti giallastri, un paio di confezioni plastificate di quelle che a prima vista sembravano patatine fritte o qualcosa che vi somigliava vagamente. Nick rimase sconcertato a quel gesto assolutamente disinteressato, sentendosi immediatamente colpevole non solo per tutte le bugie che aveva rifilato a quel ragazzo dal sorriso solare e dall’animo nobile, ma anche e soprattutto per ciò che stava, purtroppo, per rivelargli.

«Jeff» iniziò con voce incerta ed evitando accuratamente di guardarlo negli occhi. «Sei stato veramente incredibile e ti garantisco che non era necessar-»

«Non dirlo neanche» lo interruppe l’altro, «sembrava non mangiassi decentemente da giorni e, qualsiasi cosa tu abbia ingerito prima del viaggio, l’hai sicuramente bruciata per inventare tutta quella serie di insulti coloriti che hai riversato su quel povero malcapitato» ridacchiò lievemente, poi tornò serio. «Dico davvero, hai passato una brutta giornata: mangia qualcosa, così provi almeno ad aggiustarla così. E poi, stai per salire su un aereo ed è risaputo che il cibo che viene servito durante il volo sia immangiabile.»

Nick si morse un labbro, rammaricato; Jeff rendeva tutto più difficile e lui già era stanco e faceva fatica a stargli dietro: se lui continuava a subissarlo di parole in quel modo, non sarebbe riuscito a trovare la forza di intervenire nel discorso e dirgli ciò che gli premeva.

Jeff continuò a parlare per qualche altro secondo e Nick ne approfittò, quando si fermò per riprendere fiato.

«Ti ringrazio davvero» assicurò, mettendo in quelle parole tutta la sincerità di cui era a disposizione. «Ma, non so neanche come dirtelo.»

«Non ti piacciono le focacce? Ne ho presa una di ogni tipo, così è più facile trovarn-»

«In realtà, sono vegano.»

Vi furono un paio di secondi di silenzio, il tempo in cui Nick sospirava per essere riuscito a parlare e in cui le labbra di Jeff si schiudevano in un muto “oh” di sorpresa.

«Quindi niente carne» considerò il ragazzo alla fine e Nick annuì. «E niente… un sacco di altre cose pure» aggiunse, grattandosi una guancia, mentre l’altro annuiva ancora.

«Ho apprezzato tanto la tua premura, credimi» provò a correre ai ripari Nick. Non sapeva il motivo esatto, ma si sentiva schiacciato dai sensi di colpa e dalla consapevolezza di essere il responsabile dell’espressione delusa di Jeff. «Ma davv-»

«No» saltò su il suo compagno di viaggio, ricominciando immediatamente a sorridere, «non azzardarti a scusarti di nuovo, Nick!» Tacque per un istante, poi ricominciò a chiacchierare con tranquillità. «Avrei dovuto immaginare un’eventualità del genere e mi dispiace non averla prevista, ma non sono solito pensare prima di agire – il mio coinquilino dice sempre che dovrei decisamente imparare a collegare il cervello alla bocca e alle mani prima di azzardarmi a fare alcunché – e nella gran parte dei casi, finisco con l’essere impulsivo e fare disastri e… vuoi sapere di quella volta che ho quasi dato fuoco alla cucina? Quella è una storia davvero divertente.»

E Nick non poté impedirsi di ridere di gusto, perché con Jeff era impossibile non farlo e perché – mentre il ragazzo iniziava a raccontare quell’aneddoto assurdo, con il suo sorriso enorme, gli occhi che brillavano e la notte che avvolgeva la strada come un guanto e rendeva tutto più intimo e surreale – quelle che sembravano patatine fritte alla fine si rivelarono esserlo davvero e l’espressione esultante che si dipinse sul volto di Jeff, nel realizzare che non lo avrebbe lasciato completamente digiuno e che non era poi un disastro così totale, lo accompagnò per la restante parte del tragitto, cullandolo nel torpore in cui cadde lentamente e rimanendogli davanti agli occhi, anche quando cedette definitivamente al sonno.
 


Si svegliò qualche ora più tardi, quando i muscoli atrofizzati divennero impossibili da sopportare oltre e le palpebre lasciarono trasparire i primi raggi di luce del mattino. Quando aprì gli occhi, in una sinfonia di mugolii e ossa che scricchiolavano, l’orologio sul cruscotto segnava quasi le sette del mattino e l’abitacolo della vettura era silenzioso e deserto.

Si passò una mano sul viso, sbadigliando e strizzando gli occhi, mentre si guardava intorno alla ricerca della chioma bionda di Jeff, che però non sembrava essere da nessuna parte. La prima cosa che notò fu che la sua valigia era ancora sul sedile posteriore, il che voleva dire che Jeff non era scappato con tutti i suoi averi, lasciandolo con un’auto che, probabilmente, non serviva più a nulla. Si diede mentalmente dell’idiota, non appena la sua mente finì di formulare quel pensiero. Alla luce del sole, oltretutto, poté concentrarsi meglio su tutta quella serie di dettagli che la sera prima non era riuscito a notare. Jeff non doveva essere una persona molto ordinata, pensò: l’interno della vettura era un caleidoscopio di fogli sparsi e appallottolati, scontrini vecchi di chissà quanto tempo, carte di caramelle, volantini colorati e post-it attaccati sul cruscotto con appuntate le cose più disparate – “fai benzina”; “ore 15.00 – Tisch” ; “42 – 08 – 36”; “Ho rubato il tuo CD degli Incubus, non credo lo riavrai” –; nel vano porta oggetti, faceva bella mostra di sé una serie non indifferente di quaderni di varie dimensioni, matite e penne senza tappo, CD gettati alla rinfusa e la custodia di un paio di occhiali. Il quadro era completato da quello che sembrava un peluche a forma di drago deforme, attorcigliato intorno allo specchietto retrovisore e con la coda che penzolava. Nick sorrise inconsciamente, pensando alle condizioni diametralmente opposte in cui versava la propria auto, e gettò uno sguardo più attento fuori dal finestrino.

Il paesaggio intorno a sé era caotico e variopinto: il ragazzo ci mise poco a comprendere di trovarsi in un centro abitato e ancor meno a realizzare che non si trattava di una zona residenziale ma del parcheggio dell’aeroporto. Dunque, erano arrivati a Chicago e Jeff era sparito.

Stava appunto per scendere dall’auto e sgranchirsi un po’ le ossa, nell’attesa che il ragazzo ricomparisse, quando un paio di colpi secchi risuonarono sul finestrino alla sua destra e lui sobbalzò per lo spavento, prima di voltarsi e trovarsi davanti all’espressione divertita e sghignazzante di Jeff.

Il ragazzo gli fece segno di raggiungerlo e, un attimo dopo, lui si ritrovò fuori al suo fianco.

«Ben svegliato» lo salutò, sorridendo, mentre si allungava e recuperava un bicchiere di carta dal tettuccio della macchina. «Caffè? Non puoi dire di no, stavolta! Sono stato attento.»

Come faceva a essere così pimpante ed entusiasta a quell’ora del mattino? Senza aver dormito e dopo aver guidato per tutta la notte, per giunta?

«Come fai a… ?» Sbadigliò, portandosi una mano davanti alla bocca e facendo ridacchiare l’altro.

«Ne ho già presi due» spiegò Jeff, «e i muffin alle gocce di cioccolato mi avviano la giornata come nient’altro al mondo.»

Nick si limitò ad annuire e a prendere il bicchiere che Jeff gli porgeva, non sicuro che la sua voce avesse carburato abbastanza da mettere insieme più di due parole di senso compiuto.

Lasciò che il caffè lo riscaldasse dall’interno, scuotendo via un po’ di quell’intorpidimento che ancora si portava dietro e risvegliando i suoi sensi sopiti; Jeff giocherellava con il cellulare, mentre Nick si svegliava e riprendeva i contatti con il mondo. Così come era avvenuto con l’interno dell’auto, la luce del sole illuminò i dettagli della persona che aveva di fronte e che non aveva avuto modo di notare la sera prima – vuoi per il buio, vuoi per lo stress, la preoccupazione, la fretta. Aveva già avuto modo di rendersi conto che Jeff fosse molto più alto di lui, ma in quel momento – mentre lui era ancora assonnato e un po’ ingobbito per la stanchezza e l’altro ridacchiava sotto i baffi, concentrato sul telefono – quella differenza sembrò molto più consistente. Jeff aveva un viso fine e tratti gentili e delicati, incorniciati dai capelli biondi e lisci che gli ricoprivano completamente la fronte. Nick si soffermò per qualche secondo di troppo sulle sue labbra piene e sugli zigomi rosei, prima di costringersi a distogliere l’attenzione e percorrere con lo sguardo la linea sottile del collo che terminava nella T-Shirt celeste che indossava. Era un bel ragazzo complessivamente, Nick non poté evitare di pensarlo; particolare nella sua semplicità, nella pelle chiara che contrastava con i punti arrossati in cui aveva preso il sole, nei ciondoli che gli pendevano dal collo e che sparivano oltre il bordo della maglia, nei polsi avvolti in una serie infinita di bracciali di cuoio e di fili colorati intrecciati, nella tracolla bianca – la cui superficie era quasi totalmente ricoperta da disegni e scritte fatte con un pennarello nero – che gli cadeva sul fianco, nelle Converse dello stesso colore della maglia. 

«A proposito» esordì quello, dopo qualche attimo di silenzio, sollevando lo sguardo su di lui. La sera prima, i suoi occhi gli erano sembrati profondi e scuri ma, alla luce del giorno, Nick fu costretto a ricredersi ancora: erano verdi, o castano chiaro, non riusciva a definirlo con esattezza, perché si muovevano veloci e lui non si sentiva particolarmente a suo agio a studiarlo con così tanto interesse. «Sono andato a prendere i caffè al bar dell’aeroporto e ne ho approfittato per vedere i voli, così non ti toccava andarci di nuovo.»

Nick sgranò gli occhi e boccheggiò, colto alla sprovvista per l’ennesima volta. Le cose erano due: o quel ragazzo era la quintessenza della bontà e del disinteresse, o non era abituato a sentirsi utile per gli altri. Nick sperò vivamente che non si trattasse della seconda ipotesi, perché aveva già troppe sensazioni contrastanti che gli si agitavano nel petto – tra sensi di colpa e gratitudine – e non ci teneva affatto ad aggiungere quell’ennesimo punto alla lista di motivi per cui si sentiva in debito con lui.

«Non era necessario» ripeté per quella che era almeno la terza o quarta volta da quando lo conosceva. «Ci sarei andato io dopo, non dovevi disturbarti.»

L’altro scosse la testa. «Nessun disturbo» assicurò. «Tanto ero già lì» si morse un labbro, poi proseguì. «Comunque, il volo per Los Angeles è partito circa trenta minuti fa, il prossimo è» gettò uno sguardo all’orologio che aveva sul polso e fece un’espressione buffa e pensierosa. «Tra circa… undici ore, più o meno.»

Nick schiuse le labbra e si passò una mano tra i capelli. Dieci ore erano un sacco di tempo, come lo avrebbe impiegato? Aveva una crescente necessità di farsi una doccia per rilassarsi un po’ e lavare via il disastro che era stata quella giornata e Jeff dovette leggergli nel pensiero, perché si aprì in un sorriso enorme e suggerì: «Magari possiamo trovare un ostello o un Bed & Breakfast in cui riprendere fiato e poi pensare con calma a come organizzarci.»

Annuì, considerando che quella era l’opzione migliore che avevano a disposizione e realizzando solo in quel momento di non avere idea né del perché Jeff fosse lì con lui, né dell’eventualità che avesse effettivamente qualcosa da sbrigare in quella città.

«Non voglio vincolarti a me, però» gli rese noto. «Magari avrai degli impegni che – cioè, sicuramente avrai qualcosa da fare qui e ti sei già messo troppo a disposizione per me, non mi va di farti perdere altro tempo.»

Jeff sorrise e inclinò leggermente la testa su di un lato. «Nessuna perdita di tempo, te lo garantisco. Avevo già intenzione di, uhm, fermarmi qui per un paio di giorni, prima di proseguire.»

Fu solo in quel momento che Nick si rese conto che aveva parlato con lui per ore, che si era più o meno esposto e confidato e che avevano conversato di argomenti di vario genere, ma che non aveva ancora idea di dove fosse diretto Jeff. Glielo aveva chiesto? No, aveva dato per scontato che la sua destinazione fosse quella e non si era preoccupato di indagare oltre.

«Non è la tua fermata definitiva questa?» Domandò, come a volersi scusare di non averlo fatto prima, mentre poggiava la schiena alla portiera dell’auto.

Jeff sollevò le spalle e si passò una mano tra le ciocche bionde con disinvoltura. «Io sono un viaggiatore» spiegò. «Non sono fatto per stare fermo troppo a lungo» poi ridacchiò divertito e scosse la testa. «No, in realtà sono in viaggio per, non lo so, “visitare luoghi nuovi” suona abbastanza all’avanguardia?»

Nick sorrise e annuì, domandandosi dove Jeff volesse arrivare con quel discorso. «Direi che sia il fine di ogni viaggio, no?»

L’altro fece una smorfia, soppesando le sue parole. «Sì, sono d’accordo, ma io intendevo proprio nel senso stretto del termine» fece schioccare la lingua. «Mi sono regalato questo viaggio per la laurea e per soddisfare il mio amore per l’arte e l’architettura.»

«Nel senso che farai un tour alla scoperta dei luoghi più belli che il nostro Paese ha da offrire?»

«Sembra la brochure di un’agenzia di viaggi» ridacchiò il ragazzo, «ma più o meno è così: ho preparato un itinerario, ho caricato l’auto e sono partito all’avventura.»

Nick inarcò entrambe le sopracciglia, ammirato. Jeff era il suo esatto opposto, considerò. Lui non sarebbe mai riuscito a salutare tutti e partire così, senza un programma dettagliato, un’organizzazione puntigliosa e precisa, un margine di tempo in cui muoversi, un progetto a lungo termine. Non erano esattamente il genere di situazioni in cui lui si sentiva a suo agio, lui preferiva gli schemi ben precisi e la calcolata prevedibilità dei numeri, perché lo facevano sentire al sicuro e perché riuscivano a infondergli tranquillità, nella loro organizzata disposizione.

«Ti senti rilassato nell’affrontare un viaggio così da solo?» Domandò, semplicemente.

Jeff scrollò le spalle con naturalezza e fece una smorfia. «Non è che corra tanti rischi» considerò. «Cioè, magari sì, ma ho lo spray al peperoncino e so cambiare una gomma e la macchina ha le sicure che funzionano e… e poi sono stato io a trarre in salvo te» gli ricordò, con un sorriso giocoso. «Direi che sono perfettamente in grado di badare a me stesso e non solo.»

L’altro si mise a ridere, subito imitato dal compagno, e gli diede ragione. «Touché.»

Osservò Jeff mordicchiarsi un labbro e ingaggiare una strenua lotta interiore contro le parole che evidentemente premevano per uscire dalla sua bocca; stava appunto per domandargli se ci fosse qualche problema, che il ragazzo parve decidersi e si aprì in un sorriso enorme e abbagliante.

«Senti» iniziò con un entusiasmo genuino e coinvolgente. «Tu hai la giornata da impegnare ed io ho la prima tappa del mio viaggio fissata qui a Chicago.»

Oh.

«Ti va di farmi compagnia per qualche ora?» Propose, poi aggiunse immediatamente. «Poi ti riaccompagno qui in tempo per prendere l’aereo, giuro.»

Nick si ritrovò ad accettare ancor prima che Jeff finisse di parlare.
 
 


 

 
Buon salve e ben trovati, come andiamo? A me sorprendentemente bene e, vi dirò, il merito è in gran parte vostro. Siete già tantissimi ed io credo di non avere parole per esprimervi tutta la mia gratitudine per l’accoglienza che avete riservato a me alla mia bimba :3

Dunque, parlando brevemente del capitolo: forse potete già iniziare a capire dove ci porterà questa storia, ma io sono stata abbastanza attenta da rimandare chiarimenti e dettagli importanti ai prossimi capitoli, così da lasciarvi crogiolare nel dubbio per un’altra settimana o due.

Come avevo promesso, in questo capitolo, la personalità di Jeff viene fuori in tutta la sua esplosività e nei suoi colori cangianti – da qui, il titolo del capitolo, dettaglio di cui parlerò da un paio di righe. Jeff è un personaggio fondamentalmente pieno di entusiasmo genuino e ottimismo contagioso: io mi sono semplicemente basata su queste due caratteristiche per gettare le fondamenta della sua caratterizzazione, caratterizzazione che verrà meglio delineata nei capitoli successivi, ma che qui inizia a prendere corpo. E Nick vegano era assolutamente necessario per ovvie ragioni.

Come dicevo, Robs ha deciso di provare a essere trasgressiva e fare questa cosa che si chiama “dare titoli decenti ai capitoli”. Mi sono consultata con la mia meravigliosa beta e alla fine ho deciso di cimentarmi in questa nuova ed esaltante novità. Fino ad ora – LOL – i titoli sono stati scelti tutti da Vals, quindi io ho fatto ben poco, lo ammetto. Ci tenevo solo a specificare che i titoli dei singoli capitoli altro non sono che il continuo naturale del titolo della storia. Incredibile, eh? Spiegazione inutile, lo immaginavo, ma vabbè.

Per la mia Jeff: hai notato qualche *dettaglio* familiare, uh? xD

Inoltre, ho un paio di comunicazioni di servizio da farvi: la prima è che sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di cambiare nickname qui su Efp, vi avverto così, se la prossima volta doveste trovarvi davanti qualcosa di diverso da “Lady_Thalia”, saprete comunque che sono io; la seconda è che stavolta non linko il mio profilo di Facebook, perché sto pensando di creare una pagina autore apposita e quindi la cosa avrebbe relativamente poco senso.

In ultimo, ma non meno importante, un grazie enorme a quelle sessanta meravigliose – e folli – persone che mi hanno aggiunta tra gli autori preferiti, dandomi quindi prova della loro fiducia, che io spero di meritare e rispettare.

E niente, non posso fare altro che darvi la mia parola che il prossimo capitolo arriverà tra una settimana precisa.
 
Robs.
 
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