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Autore: HisLovelyVoice    12/03/2013    1 recensioni
Stavo male ogni giorno a causa sua.
Quasi non riuscivo ad andare avanti per il macigno che stanziava nel mio cuore.
Mi faceva sentire uno schifo.
Mi faceva sentire un giocattolo usato e poi gettato.
Perché era quello che quell’essere faceva.
Mi usava e poi mi gettava all’angolo della strada.
Riuscivo a malapena a camminare, le forze mi mancavano e spesso mi capitava di addormentarmi sul marciapiede.
Tutto era scomparso, tranne le ferite, che mi ricordavano la mia sofferenza.
Volevo solo un po’ di felicità, chiedevo troppo?
Forse si, perché quella felicità tanto ambita non arrivava mai, c’era sempre qualcosa che rovinava tutto.
Io continuavo a sperare, anche se lei non c’era sapevo che prima o poi sarebbe arrivata.
Sapevo che avrebbe portato un po’ di luce nella mia semplice vita.
Forse era già arrivata quella luce.
Forse dovevo solo aprire il cuore e farla entrare.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I need happiness'
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1 A new life, because I need happiness
 
 
Camminavo tranquillamente tra le strade del mio quartiere, quando vidi in lontananza mia madre.
Decisi di andarle incontro e di aiutarla a portare le buste della spesa che aveva in mano.
Camminavo, ma non camminavo.
Parlavo, ma non parlavo.
Respiravo, ma non respiravo.
Poi un colpo allo stomaco.
Caddi a terra, dolorante.
Non vedevo più mia madre, solo un uomo davanti a me.
Iniziò a picchiarmi a sangue. Cercai invano di coprire il mio fragile corpo che riceveva colpi su colpi.
Chiusi gli occhi, per evitare di far vedere a quell’uomo le mie lacrime.
- ci si rivede! - sentita la sua voce capii chi era. - sai, non è stato carino da parte tua spedirmi in prigione. Dopotutto, ci divertivamo. - aprii gli occhi e vidi che si era abbassato per guardarmi in faccia. Si mise a ridere, mentre mi sferrava un pugno in pieno volto.
Poi si alzò e iniziò a cercare qualcosa dentro la sua giacca. Esclamò quando ebbe trovato ciò  he cercava.
Tirò così fuori una pistola.
- no, non è stato affatto carino. Ma, come vedi, ora sono fuori. Non mi fermerai più, piccola mocciosa! -
Iniziai a tremare come una foglia.
Era finita, non avrei potuto fare niente per impedire la mia morte.
- di le tue ultime preghiere. - ‘addio mamma. Addio papà. Vi voglio bene.’ - non hai niente da dire? Bene, sarà più facile ucciderti! - scoppiò di nuovo a ridere.
Mi puntò la pistola al petto, leggermente spostato verso sinistra.
Poi silenzio.
Non sentivo più niente, se non un dolore straziante al petto.
Iniziai a vedere tutto sfuocato, non distinguevo più nulla…
 
 
Come al solito mi svegliai sudata.
Continuavo fare sempre lo stesso incubo.
Nella mia piccola stanza entravano i primi raggi di luce, che mi avrebbero comunque impedito di dormire oltre. Rimasi un po' allungata, avevo troppo sonno.
'Forza Camilla, ce la puoi fare.' mi dissi, cercando invano di convincermi.
Scesi giù in cucina, dove mia madre stava preparando la colazione.
- tesoro, sei già sveglia? - annuii, mentre mi sedevo su una sedia. - dormito bene? -
- no, ho rifatto lo stesso incubo. - le dissi storcendo il naso.
- ricordati cosa ha detto la signora Corsi (la mia psicologa),  passerà, devi solo aspettare. Ora prendi la medicina e mangia. - vi starete chiedendo che medicina. Beh, una medicina che serve a rimarginare più in fretta le ferite.
Quello schifo di persona, oltre a infliggermi violenze sessuali, mi picchiava. Avevo ferite enormi su tutto il corpo. Le più grandi erano sulla pancia e sulla schiena. In quei punti coprivano tutta la superficie libera. Le cicatrici sarebbero rimaste, per il momento dovevo far guarire la mia pelle dove c'erano ancora ferite “fresche”. Lo dovevo a me stessa. Dover vedere tutti i giorni quelle ferite mi faceva stare uno schifo.
Presi così la medicina e iniziai a mangiare, anche se bevvi solo un sorso di latte.
- tesoro, devi mangiare. Lo sai cosa ha detto il medico. Sei sottopeso di almeno dieci chili. - come vedete, sono una ragazza particolarmente in salute.
- non ho fame. Mi vado a cambiare. - tagliai corto. Non volevo discutere con mia madre nuovamente. Andai in camera mia e presi i vestiti che avrei dovuto mettere, una felpa di cinque taglie più grandi, per evitare troppo contatto con le ferite, e un paio di pantaloni molto larghi. Mi consolai amaramente, pensando che così non sembravo nemmeno sottopeso. Mi andai a lavare, e odiai ciò che vidi allo specchio. Vidi il corpo di una ragazza distrutto, orribile, con ferite che partivano dalle spalle e arrivano alle caviglie.
Mi buttai sotto il getto dell'acqua calda. Faceva male, molto male. Ma ci stavo facendo piano piano l'abitudine. Passai circa mezz'ora sotto la doccia, dato che non mi riuscivo a lavare bene, nella quale pensai a come sarebbe stata quella giornata. 'Speriamo bene.'
Una volta cambiata, raccolsi i capelli biondi in una coda, presi il mio zaino, rigorosamente a tracolla per non gravare sulla ferita, e tornai da mia madre. Mi sarei fatta accompagnare, avevo troppa paura a prendere l'autobus sola.
- sono pronta. -
- okay tesoro, dammi cinque minuti e arrivo. - mi misi così sul divano e iniziai ad ascoltare un po' di musica, la mia migliore amica. Lei c'era quando ero rimasta sola. Mi faceva sentire meglio. Era come se mi dicesse: tieni duro, il dolore finirà presto.
Era un modo per evadere dalla mia vita.
Misi this is war, dei 30 seconds to Mars.
Questa canzone mi rispecchiava alla perfezione. La mia vita era un continuo dire verità e dire menzogne. Combattevo tutti i giorni per essere reputata come gli altri e per non essere giudicata. Facevo tutto per non soffrire.
Ma, tornando alla nostra giornata, mia madre era pronta e, dopo aver salutato mio padre, uscimmo di casa.
In macchina continuai a pensare alla scuola.  Avrei finalmente potuto scrivere un nuovo capitolo della mia vita. Speravo solo di poterlo scrivere completamente al positivo.
Scesa dalla macchina mi sentii le gambe tremare dalla paura.
- stai tranquilla tesoro. Andrà tutto bene. - sorrisi a mia madre e mi incamminai verso l'ingresso della mia nuova scuola. C'erano molti ragazzi fuori che aspettavano di poter entrare.
Dopo poco ci fecero entrare. Entrai tra gli ultimi, per evitare di essere spinta.
Andai, come mi era stato detto il giorno dell'iscrizione, nell'ufficio del preside. Bussai piano alla porta.
- avanti! - era una voce maschile, molto profonda. Entrai e mi trovai davanti un uomo sulla quarantina, alto con i capelli grigi. Indossava una giacca e una camicia. Mi accolse con un grande sorriso.
- tu devi essere Camilla Lenci. -
- si. - dissi a bassa voce.
- benvenuta in questa scuola! Adesso, fammi vedere in che classe ti abbiamo messo, così ti accompagno. Ho così tante cosa da fare che me ne sono scordato. - era un uomo buffo. Cercava come un pazzo un qualcosa sulla scrivania, ma che non trovava. Poi con un'esclamazione, tirò fuori da una cartellina un foglio.
- ecco qui! Bene, sei in terzo B. È un'ottima classe. - annuii. - possiamo andare. - iniziai a seguirlo per i lunghi corridoi, ormai quasi vuoti, dato che da lì a pochi minuti sarebbe suonata la campanella. Poi finalmente, arrivammo davanti al terzo B.
- questa sarà la tua nuova classe. - disse sempre sorridente. 'Ma questo sorride in continuazione?' lo ringraziai ed entrai. Mi ritrovai gli sguardi di molti ragazzi puntati addosso. Sentii le guance andarmi a fuoco. 'Iniziamo bene...' mi sedetti sulla sedia del secondo banco non appena il preside mi ebbe presentato. Cercando di ignorare quegli sguardi molto pesanti, presi il mio Ipod e iniziai ad ascoltare un po' di musica a volume molto basso.
- guardala, è appena arrivata e non si è nemmeno presentata. E poi se la sente matta e si mette ad ascoltare la musica in classe! - era la voce di una ragazza. Non mi girai, avrebbero capito che sentivo.
- già. È appena arrivata e vuole farsi notare da tutti. - anche questa era una femmina. Come al solito le ragazze erano delle vipere. 'Se sapeste perché ascolto la musica, smettereste di insultarmi.' la musica mi aiutava a non pensare a ciò che mi era successo il mese passato. Era il mio rifugio.
Dopo circa due minuti entrò in classe una donna sulla sessantina. Aveva i capelli corti e biondi tinti. Era bassetta e un po' pienotta. In poche parole, quel tipo di persone che fai prima a saltargli sopra che a girargli intorno(?).
Tolsi velocemente l'Ipod e mi alzai in piedi.
- buongiorno ragazzi! Passato bene le vacanze? - si sentì un forte vociare, poi la professoressa mi guardò.
- oh, tu devi essere Camilla! - aveva un accento tipico delle persone del sud. Annuii, cercando di fare un sorriso più sincero possibile. - stai tranquilla, qui non ti succederà niente! - già, (s)fortunatamente i professori sapevano quello che mi era successo. I compagni di classe no, per fortuna. Continuai a sorridere falsamente annuendo. Dopo poco sentimmo bussare. Entrò un ragazzo alto, capelli marroni molto chiari e occhi azzurri. Mi colpì subito, aveva qualcosa di diverso, forse l'aria da chi si sente il centro del mondo. E sicuramente era così, a giudicare dallo sguardo altezzoso che aveva.
- Rossi! Già in ritardo il primo giorno di scuola!? -
- lo so prof, ma non sono più abituato ad alzarmi presto! -
- entra, veloce! - lo vidi andare velocemente all'ultimo banco, dove un amico gli aveva tenuto il posto.
- ritornando a noi. - riprese la professoressa. - io sono la professoressa Micheloni e insegno matematica. -
- professorè, lo sappiamo! - era stato quel Rossi a parlare. Scoppiarono tutti a ridere.
- se ti fossi degnato di arrivare in orario e fossi stato più attento, avresti visto che c'è una nuova compagna. - poi la professoressa mi fece cenno di andare da lei. Mi alzai lentamente e mi avvicinai. Una volta vicina mi misi ad una debita distanza, per evitare il contatto.
- ragazzi, lei è Camilla, per chi non lo sapesse. - e mentre parlava osservava Rossi.
- aaaaaaaa! - disse lui.
- bbbbbbbb! - rispose qualcuno, causando l'ilarità di tutti. Tranne me, ovviamente.
Tornai al mio posto e passai due ore ad ascoltare ciò che diceva la professoressa.
Finite le due ore, iniziai a mettere a posto il quaderno e a prenderne un altro.
- sai, sei stata la prima persona ad ascoltare le parole della Micheloni in due anni! - sobbalzai sulla sedia per lo spavento. Alzai lo sguardo e vidi Rossi ridere. 'Ride di me...' volevo sotterrarmi dalla vergogna.
- scusami, non volevo spaventarti! Comunque, io sono Federico. - disse, porgendomi la sua mano. La fissai a luogo. Quando capì che non l'avrei stretta, la ritirò.
- io s-sono Camilla. -
- già lo avevo capito. - disse ridendo nuovamente. - comunque benvenuta! - disse allontanandosi.
- grazie... - mormorai.
 

 
FEDERICO
 
'Certo che è strana quella ragazza! Nemmeno una stretta di mano, come se avessi la lebbra. Di solito ho un bell'effetto sulle ragazze!' tornai dai miei amici, continuando a pensare a quei suoi grandi occhi grigi. Dietro quel sorriso tanto tirato e falso che quasi nessuno aveva notato c'era una grande tristezza, che si poteva notare anche solo guardandola negli occhi. 'Chissà cosa le è successo.'
- allora? Che ti ha detto? - chiese il mio migliore amico.
- cosa vuoi che mi abbia detto Simò, mi ha detto il suo nome! Il punto è che quando le ho avvicinato la mano per stringere la sua, lei l'ha solo fissata! -
- è schizzinosa la piccoletta! Già mi sta antipatica. -
- andiamo Sara, nemmeno la conosci! -
- è maleducata! - in quel momento arrivò la prof di inglese e dovemmo sederci ai nostri posti.
 

 
CAMILLA
 
L'ora successiva passò velocemente, con l'insegnante di inglese. Durante la ricreazione presi la merenda e la misi sul banco. Poi presi l'Ipod e continuai ad ascoltare un po' di musica, giocherellando con il panino, senza però mangiarlo.
- guardala, è pure viziata! Sicuramente i panino non è adatto ai suoi gusti! E poi che fa se ingrassa? - altra ragazza, altra vipera.
- viziata, maleducata, schizzinosa e sicuramente antipatica. Ah, ha anche cattivo gusto nel vestirsi. Guardatela, sembra una barbona! Cosa c'è peggio di una persona così? - 'una persona che giudica senza sapere, ecco cosa c'è di peggio.' ricacciai dentro le lacrime che ormai stavano per uscire e continuai ad ascoltare la musica, alzando il volume al massimo per non sentire più tutti quegli insulti che non meritavo.
Nessuno mi rivolse la parola per tutta la giornata. E io non avevo il coraggio di andare da loro. Avrei potuto fargli cambiare idea su di me, ma avevo paura. 'Che continuino a pensare quello che vogliono. Di certo non gli dirò mai ciò che ho passato per farmi ridicolizzare di più.'
All'uscita c'era mia madre ad aspettarmi.
- tesoro! Come è andato il primo giorno? -
- a meraviglia! - 'se escludi tutti gli insulti che ho ricevuto.' iniziai a raccontarle ciò che avevo fatto quel giorno.
- sono felice che ti trovi bene. La mia piccola ha bisogno di un po' di felicità. - le sorrisi, pensando di avere una madre fantastica. Ora si preoccupava solo della mia felicità.
Iniziai a guardare fuori dal finestrino.
- non vedo l'ora di tornare a casa, sono molto stanca. -
- l'hai presa la medicina? -
- emmm... domanda di riserva? -
- tesoro, lo sai che la devi prendere ogni tre ore. Ci credo che ora sei stanca! -
- lo so, mi sono solo scordata. - passammo il resto del viaggio in un imbarazzante silenzio.
Una volta a casa, presi la medicina e mi andai ad allungare in camera mia. Poi sentii qualcosa muoversi sul mio letto.
- Micky! Ecco qui il mio piccolo grande amore. - e così dicendo presi il mio gatto tra le braccia. - tu sei l'unico che mi capisce, il mio unico amico. - come risposta ricevetti solo un 'miao' ma a me bastava. - i miei nuovi compagni di classe pensano che sono viziata, antipatica, schizzinosa e maleducata! - dissi, e senza accorgermene iniziai a piangere. - non credo mi vogliano in classe. Era meglio se me ne rimanevo in quell'altra scuola. - Micky iniziò a fare le fusa, come se sapesse che quello era l'unico modo per calmarmi. - cosa farei senza il mio gattino preferito? - gli diedi un bacio sulla testa e mi allungai, mettendolo sul cuscino, per averlo vicino.
- tesoro, vieni a mangiare, è pronto! -
- non ho fame, mamma. -
- non mi importa. Vieni a mangiare perché non hai fatto colazione e, sicuramente, non hai fatto nemmeno merenda a scuola!. -
- ma non ho fame! -
- Camilla, vieni immediatamente qui! - mi alzai lentamente dal letto e scesi le scale. 'Sapevo che sarebbe finita così, come le altre volte.'
Arrivata giù, c'era mia madre. In una mano aveva la cucchiarella, che teneva puntata verso di me.
- signorina, vai immediatamente a mangiare. - il suo tono non ammetteva repliche.
Andai in cucina e mangiai svogliatamente la pasta che aveva cucinato.
Una volta in camera, rimisi una parte del cibo. Ormai era così, non riuscivo a mangiare, rimettevo quasi tutto. (Voglio precisare che non soffrivo di bulimia, solo che non digerivo ciò che mangiavo.) Mi sbrigai a pulire il pavimento prima che mia madre lo vedesse e spruzzai del profumo per tutta la camera.
Poi, presi i libri e iniziai a studiare come se nulla fosse. Dovevo recuperare molte cose che nella vecchia scuola non avevo fatto.
 
 

HEI!
eccomi qui con il primo capitolo :D
come avevo detto nel prologo, i capitoli sono più lunghi.
penso di aver inventato un personaggio leggermente sfortunato... ma sapete, la mia mente è contorta ed è
capace di creare cose un po' strane
spero vi piaccia c:
un bacio Giulia
  
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