Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: flamin    12/03/2013    19 recensioni
Gli piaceva rispolverare tra i vecchi scatoloni; le dava una sensazione quasi rassicurante, come se maneggiandoli riuscisse a conservare e proteggere quei piccoli eppure fondamentali pezzi di storia che raccontava di sé.
Ultimamente perdeva davvero più tempo rispetto al programmato, ed era una cosa che suo marito non riusciva a contestare: capiva che Diana avesse l’ istinto naturale di sedersi a terra sul tappeto morbido e osservare quegli sprazzi di ricordi che riaffioravano così bruscamente e inaspettatamente dal retro della sua mente, piuttosto che limitarsi a risistemarli sugli scaffali disposti ordinatamente in soffitta.

~
L’ultima pagina conteneva pochissime righe:
“Volevo solo ringraziarti per avermi ascoltato senza aprir bocca né per raccontare niente a nessuno, né per giudicarmi. Ora ho capito a cosa serve un diario segreto. E scusa, scusa se ti ritenevo pressappoco inutile e scusami per averti chiamato Svetlana. Sono un’idiota. Un’idiota cresciuta. Grazie ancora.”
~
Nella sua mente ancora annebbiata dai pensieri di una ragazzina che cresceva fino a diventare una giovane donna con una luce consapevole negli occhi, Diana riusciva a sentir riecheggiare ancora le voci di quei cinque ragazzi tra le pareti, in un fioco ricordo di un rumoroso ed indimenticabile concerto.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 




 
Di pomeriggi piovosi e vecchi ricordi









 
Il rumore delle gocce di pioggia che ticchettavano sul vetro della finestra del soffitto, creava un’atmosfera calda e accogliente; lì l’aria dei condizionatori non arrivava come avrebbe dovuto, ma Diana, noncurante di tutto, si strinse la sciarpa al collo, giusto per sentire un’ondata di calore in più.
Cambiare casa gli aveva consentito di riordinare –e, occasionalmente, buttare- una parte della sua storia racchiusa tra i vecchi scatoloni d’imballaggio che aveva trascinato fino alla sua nuova casa.
 
Gli piaceva rispolverare tra i vecchi scatoloni; le dava una sensazione quasi rassicurante, come se maneggiandoli riuscisse a conservare e proteggere quei piccoli eppure fondamentali pezzi di storia che raccontava di sé.
Ultimamente perdeva davvero più tempo rispetto al programmato, ed era una cosa che suo marito non riusciva a contestare: capiva che Diana avesse l’ istinto naturale di sedersi a terra sul tappeto morbido e osservare quegli sprazzi di ricordi che riaffioravano così bruscamente e inaspettatamente dal retro della sua mente, piuttosto che limitarsi a risistemarli sugli scaffali disposti ordinatamente in soffitta.
 Quel pomeriggio, un po’ come aveva iniziato a fare da tre giorni a quella parte, la giovane donna aveva portato con se un po’ di cioccolata calda; prese tra le mani il vecchio manoscritto decorato vivacemente e iniziò a leggere, sorseggiando un po’ di quella bevanda calda e rinvigorente.
Ancora a venticinque anni di età, Diana adorava starsene per i fatti suoi a leggere qualcosa per cui valesse la pena perdere tempo e quello, certamente, ne valeva almeno il doppio.
Aveva ritrovato il suo vecchio diario personale, era solo un’adolescente quando aveva iniziato a scriverlo, eppure l’energia che impiegava nel farlo, sembrava essersi conservata intatta fino al momento in cui lei stessa, ormai venticinquenne, aveva sfiorato con i polpastrelli la vecchia carta rugosa e ormai ingiallita.

“Caro diario”, dicevano la primissima riga dello scritto, andando subito in capoverso. “Voglio chiarire subito una cosa: non ho avuto intenzione di scriverti perché sono una giovane asociale in cerca disperata di un amico. No, anzi, trovo che scrivere ed, in un certo senso, parlare ad un accozzaglia di pagine sia la cosa più imbarazzante che abbia mai fatto, seconda solo a quella volta in cui caddi durante la scalata in Calabria e il ragazzo del terzo mi afferrò.
“Ma, vedi, non avevo altra scelta: inizio a vedere cambiamenti in me: e non parlo esclusivamente di fisicità, io sto cambiando davvero, me lo fa notare anche mia madre, capisci? A sua detta, sono più cupa, più insicura, più strafottente. Non sono sicura di disprezzare questa ultima cosa, ma in ogni caso il problema è che qui nessuno mi ascolta! Cazzo –e, fidati, mi avrebbero ripreso anche per aver detto una stupida e insignificante parolaccia-, sento un bisogno assurdo di parlare, parlare con qualcuno. Ma nessuno mi ascolta. Nessuno mi calcola quando urlo dentro, quando sento i miei occhi bruciare di un fuoco sconosciuto, figuriamoci se dicessi apertamente “sento che qualcosa non va”. Ecco, Diario, voglio raccontarti non le stronzate che mi succedono continuamente, ma come mi sento io. Ti va bene? E’ un patto, un segreto tra me e te.”
 
Diana sorrise, leggendo le ultime righe, scritte con un tratto di penna più incerto, come se fosse di fretta: “Ah, suppongo che debba darti un nome, chiunque tu sia. Non voglio darti un nome tutto snob come facevano sempre le mie compagne che tra elementari e medie ne avevano uno. Chi dice che io non possa darti un nome originale? Nessuno! D’oggi in poi, ti chiamerai Svetlana, il diario-vittima.”
E la parola ‘vittima’ era stata cancellata con qualche scarabocchio.
Diverse pagine dopo, probabilmente dopo mesi e mesi di distanza, c’era un appunto un po’ diverso, che la donna ricordò con una familiare sensazione di emozione e stretta al cuore.
Anche a giudicare da come quella pagina era scritta, quel giorno doveva essere stato tra i più emozionanti della sua vita, perché le parole erano scritte frettolosamente come l’appunto sul nome del diario, solo con qualcosa di diverso, che si notava, non solo dall’entusiasmo, ma anche dalla soddisfazione.
 
“Come te la passi, Svetla? Oh, al diavolo, non so nemmeno come iniziare questa pagina di diario. Ricordi quando ti dissi che non avrei mai raccontato qui quello che mi succede perché la mia vita è una palla? Ecco, dimenticalo. Non perché la mia vita sia diventata un film di Indiana Jones, ma perché finalmente ho trovato qualcosa di degno di essere scritto. La mia migliore amica ha trovato un biglietto! Un biglietto anche per me, ti rendi conto? Quando, durante l’Up All Night Tour non riuscii ad ottenere il biglietto, rimasi delusa, ma mi limitai a guardarli con ammirazione velata, dal basso verso l’alto, con gli occhi che mi brillavano perché cazzo, ero felice per loro. I ragazzi che avevano realizzato il loro sogno, e niente. Finiva lì.
“Quando invece ci fu il Take Me Home Tour e i biglietti furono tutti sold out in due minuti e, per la seconda volta, non riuscii ad ottenere i biglietti, ci rimasi letteralmente di merda. Perché diversamente dall’anno precedente, avevo iniziato a pensare ai miei, di sogni. Insomma, ho quindici anni e può sembrare banale, ma io sento come la necessità di abbracciarli, di poterli ringraziare per tutto quello che anno fatto per me, anche nemmeno conoscendomi. Voglio sentirli dal vivo, ora che il vevo mi ha anche rotto il cazzo, concedimelo.
Ricordo che alla volta del Take Me Home tour passai intere giornate a piangere, persino qualcuna a digiuno.
Non perché volevo attenzioni, quanto perché volevo sparire. E non parlo di suicidio, la vita è troppo preziosa per “cazzate del genere”, ne sono consapevole. Parlo delle mie emozioni: pensavo sarebbe stato più bello vivere così, per caso. Senza sentire niente. Così evitavo di farmi del male.
“Niente di più sbagliato, o al momento non sarei qui a sclerare. Avevo pensato “Ma a che cazzo serve piangere per delle persone che non hai mai incontrato e che non sanno nemmeno della tua esistenza?”. Lo so, è un pensiero depresso, e anche stupido, ma era diventato ricorrente.
Pensavo di aver sprecato l’ultima possibilità di incontrarli perché in Italia venivano davvero poco, a stento la calcolavano, in tema di concerti. Evidentemente mi sbagliavo. Dovrò aspettare un bel po’, ma finalmente potrò dire di esserci stata.”
 
Diana scorse velocemente le altre righe e sfogliò diverse pagine, alcune delle quali vuote, finché non arrivò allsultima pagina. Segnata in Luglio 2014.

“Svetlana, non ci sentiamo da un bel pezzo, non ti pare? E’ cambiato tanto. Sono definitivamente diversa e nonostante non sia più la ragazzina entusiasta per ogni dannata cosa, ormai. Quasi mi commuovo, pensando che tu mi abbia conosciuto e visto crescere per bene in questi anni più di quanto abbia fatto, che so, mia madre stessa. Che poi odio, vedi te.
“28 giugno ’14… quella data rimarrà per sempre con me. Concerto di Milano, chi si sarebbe mai immaginato che un giorno, anche io ci sarei riuscita?
Le lacrime scendono, mi sento così stupida a piangere ancora mentre ci ripenso...
Louis, Liam, Harry, Niall e Zayn, cantavano dal vivo, cantavano per noi ragazze.
“Non ero l’unica commossa: accanto a me, ce ne erano tantissime che non potevano credere di stare sotto quel fottutissimo palco.
Alla vecchia, bellissima Little Things si è affiancata un’altra canzone, che decanta sempre la loro gratitudine verso di noi e la voglia di vederci sorridere. Sembra sciocco, ma loro sanno che spesso chi sorride sempre, la notte, si rifugia a piangere sotto le coperte, cercando di smorzare i singhiozzi.
Sono cambiate diverse cose. Da giovane quattordicenne, adesso ho quasi diciassette anni, e sento la vera maturità sempre più prossima. E loro ormai sono uomini, mi chiedo quale pieghe prenderanno le nostre vite.
“Io andrò al college, mi sposerò e vivrò in pace con la mia famiglia, ma loro? Continueranno? O verranno sopraffatti dallo stress e dalla pressione dei media? Non lo so, quasi non voglio pensarci.
“Loro sono delle persone meravigliose, e noi siamo sempre più fiere. Inseguivano il loro sogno e adesso sono diventati il mio.”
 
Diana aveva letto abbastanza. Abbastanza perché le sue lacrime iniziassero a scendere copiose dai suoi occhi, rigandole il viso, fino a cadere pian piano sulla vecchia pagina del diario sciupato che teneva in mano.
Sentì il sapore salato delle calde lacrime solleticargli il labbro inferiore, così alzò lo sguardo, gli occhi iniettati di sangue dalla commozione recente e, con calma, si strofinò il bordo della manica del maglione sul viso e sugli occhi.
L’ultima pagina conteneva pochissime righe:
“Volevo solo ringraziarti per avermi ascoltato senza aprir bocca né per raccontare niente a nessuno, né per giudicarmi. Ora ho capito a cosa serve un diario segreto. E scusa, scusa se ti ritenevo pressappoco inutile e scusami per averti chiamato Svetlana. Sono un’idiota. Un’idiota cresciuta. Grazie ancora.”
 
Nella sua mente ancora annebbiata dai pensieri di una ragazzina che cresceva fino a diventare una giovane donna con una luce consapevole negli occhi, Diana riusciva a sentir riecheggiare ancora le voci di quei cinque ragazzi tra le pareti, in un fioco ricordo di un rumoroso ed indimenticabile concerto.
 


 
                                                                                                                                                                      'Your Hand fits in mine
like it’s made just for me
but bear this in mind
it was meant to be
and i’m joining up the dots
with the freckles on your cheeks
and it all makes sense to me’



 
 
“Mamma?” la mora si voltò abbastanza da riuscire a vedere la sua piccola Louise, di sei anni, che incespicava a fatica camminando a grandi falcate verso di lei, cercando di evitare gli scatoloni.
“Si, amore?” le rispose allora la madre, accennando un sorriso forzato, ma fiero, nel vedere cosa fosse riuscita a costruire in quegli anni. Louise era il ritratto della felicità, un po’ come lo era lei stessa alla sua età: aveva i suoi stessi occhi azzurro ghiaccio, solo che i capelli biondi li aveva presi dal padre, Will.
“Papà ha trovato questa e mi ha detto che forse era meglio riportartela. Cos’è un idolo?”
Diana tirò un sospiro profondo. Si chiese cose avesse portato sua figlia, una bambina di sei anni, a chiederle una cosa così semplice, eppure così complicata... subito dopo si diede della sciocca, perché molto probabilmente William aveva accennato qualcosa alla bambina, ma voleva che fosse la donna a risponderle.
“Mamma, stai piangendo!” si preoccupò la bambina, una volta raggiunta la madre e vedendola con della occhiaia più marcate ed il viso stravolto da una felicità diversa, che sfociava nell’emozione e poi nella commozione. Gli occhi le brillavano ancora a causa delle lacrime rimaste che premevano per uscire. Diana le spinse dentro. Nonostante fosse un pianto sornione e sereno, non voleva piangere in quel modo di fronte alla piccoletta dai lunghi capelli dorati.



 
You can’t go to bed
without a cup of tea
and maybe that’s the reason
that you talk in your sleep
and all those conversations
are the secrets that i keep
though it makes no sense to me





L’abbracciò e l’accarezzò delicatamente. Asciugò in fretta le lacrime sfuggite al suo controllo, con il dorso della mano, nuovamente e passò lo sguardo sul vecchio diario, che racchiudeva i sogni e le speranze di un’adolescente che affrontava la crescita.
Un giorno anche Louise lo avrebbe passato e lei voleva essere lì, ad aiutarla e a confortarla, se necessario.
“Va tutto bene, tesoro.” Sorrise. “Cosa dovevate farmi vedere tu e papà?”
“Queste!”
La bambina le porte un piccolo fascio di quelle che sembravano foto. Un paio caddero e Diana si chinò per raccoglierle, riconoscendole immediatamente, si bloccò a fissare e a passare in rassegna ogni particolare che i suoi occhi avrebbero potuto individuare.
Cinque ragazzi giovani e dal viso allegro, abbracciavano e scherzavano con una ragazza più bassa di loro, dal viso allegro e saccente, forse un po’ sarcastico, anche se imbarazzato. Individuò, nelle foto singole, le piccole rughe che si formavano alla base degli occhi di Lou  quando sorrideva, il principio di barbetta di Zayn e la ricrescita di Niall. Cose così. Ma la cosa più importante lo individuò in se stessa. I capelli leggermente scompigliati, gli occhi consapevoli, il viso leggermente arrossato ed il sorriso, il sorriso di una ragazza che è finalmente completa.
 
“Siediti piccola, adesso ti racconto tutto.” Un ultimo flebile sorriso e si mise a sedere con la figlia, che sorrideva raggiante. Iniziò così il lungo racconto…
 
 
 
 








 
 


Oh, ecco...
Non so di preciso perchè ho pubblicato questa One Shot…forse perchè ogni tanto ci penso veramente. L’ho scritta tempo fa ed oggi ho deciso così, quasi dal nulla, di pubblicare. Probabilmente perché avevo voglia di condividere con voi.
Come potete vedere questa non è  la solita fan fiction in cui lei incontra loro ecc ecc.. (non ho nulla contro, ma permettetemi se dico di “odiarle”, perché in qualche modo intasano il server e soprattutto la nostra fantasia).
Essendo la mia prima Fan Fiction sui ragazzi (e, in generale, la prima che pubblico su questo sito), avevo deciso di staccarmi un po’ dalla monotonia…
L’ho scritta in un momento un po’ giù, in cui l’angst la faceva da padrone, basandomi su discorsi e pensieri fatti da me, o raccolti qua e là, tra twitter e vita reale.
Ammetto che all’ inizio della sua ideazione, la trama era completamente diversa, ma poi, non so nemmeno come, ho cambiato. so che la trama, comunque, anche se piuttosto diversa, non è tra le più originali, probabilmente ce ne potranno essere altre che trattano della stessa cosa, in questo sito, ma come si dice, io ho detto la mia.
e spero che apprezziate questo scritto, o quanto meno il mio stile di scrittura che comunque deve ancora evolvere.
Ah tengo a precisare che la data è inventata c:
Detto questo... spero di ricapitare nel fandom, alla prossima!
Un bacio,

Flamin
   
 
Leggi le 19 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: flamin