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Autore: Shui_LessHuo    12/03/2013    3 recensioni
Quella persona mi aveva sempre capita, aveva sempre letto nella mia mente e tradotto i miei pensieri.
Chiusi gli occhi.
Un brivido percorse il mio corpo, e un respiro profondo uscì dalle mie labbra.
Aprii le braccia, accogliendo il vento e le goccioline che si posavano su di me. Le onde si infrangevano furiose contro la scogliera, così come il mio animo rabbioso implorava pietà, pregava perché tutto questo giungesse al termine.
Repressi ogni tipo di sentimento, schiacciai ogni sensazione. Tutti i rimpianti erano ora chiusi a chiave in una parte remota del mio cuore.
Svuotai definitamente la mente.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~ NOTE DELL’AUTRICE:
Mi sbrigherò in poche parole.

Mi scuso per aver partorito questa One-Shot, ma ne avevo vivamente bisogno.
Durante l’intera stesura di questa ho ascoltato Expiration Date – Tablo; ha cullato le mie parole e credo che si adatti perfettamente al contenuto della storia, quindi se preferite potreste ascoltarla anche voi durante la lettura.
 
Detto questo, mi scuso ancora e vi lascio alla lettura.

Shui.







Expiration Date
 

  
«Qui è dove sono morta.» 





La mia immagine era riflessa nello specchio.
Mi passai lentamente una mano sul viso traviato dal dolore degli anni, torturato dai sensi di colpa, martoriato dalle ingiustizie donate e ricevute.
Un viso la cui pelle aveva perso la sua luce, dando spazio ad un alone grigio e incombente.
 
La mia immagine era riflessa nello specchio.
Ero persa nei miei stessi occhi. Quegli occhi erano stati protagonisti di una vita ormai perduta, protagonisti di una vita di cui restava solo un ricordo impalpabile e sfuggente. Occhi che avevano versato tutte le loro lacrime.
Occhi spenti.
 
La mia immagine era riflessa nello specchio.
La mia pelle nuda era interamente cattura da quel vetro riflettente, ma non mi riconoscevo. Non riuscivo a riconoscere la persona che avevo di fronte. Mi guardai e cercai di coprirmi con le mani e le braccia, ma quell’immagine non scomparve.
E la vecchia me non tornò.
 
Presi il vestito bianco e lo indossai.
Ricadeva leggero, lungo tutto il mio corpo innaturalmente minuto, lasciando le spalle e le braccia libere.
Mi guadai ancora una volta e quell’immagine provocò una stretta al mio stomaco. Una sensazione che si propagò in tutto il corpo, fino a giungere al cuore.
Un cuore ormai vuoto, ma pesante.
Strinsi la stoffa che mi avvolgeva, ma la mia espressione non mutò, restando impassibile.
 
Misi solo un cappotto lungo, neanche le scarpe, e aprii la porta di casa.
 
Quando la chiusi alle mie spalle, compresi di non poter tornare indietro.
 
Prima di giungere alla meta, percorsi quelle strade che mi avevano vista correre felice e sorridente. Una me senza preoccupazioni e paure. Una persona viva, piena di voglia di vivere e di andare avanti. Qualcuno che di fronte agli ostacoli non si era mai arreso, continuando a masticare la vita con i denti, forti e resistenti, pronti ad ingurgitare ogni tipo di pietanza, buona o disgustosa che fosse.
Ma questa volta ero stata io ad essere ingurgitata e spedita in basso, nel profondo delle mie più riprovevoli azioni.
 
I miei piedi toccavano l’asfalto, pungente e congelato, ignari di dove la mia mente li stesse guidando.
 
Mi addentrai in quel vicoletto, e urla e volti sorridenti si fecero vivi nei miei ricordi.
Ma la mia espressione non mutò.
 
Alzai gli occhi al cielo.
Era una giornata buia e nuvolosa.
 
A momenti sarebbe scoppiata come tempesta.
 
Mi sorpresi di quanto quelle condizioni atmosferiche combaciassero con il mio spirito.
 
Quando fui di fronte la discesa che portava a quella spiaggia abbandonata, arrestai il mio viaggio verso l’ignoto.
 
Mi voltai, verso la strada da cui ero giunta, e davanti ai miei occhi si materializzarono, uno ad uno, tutti quei giorni passati che tanto avevo amato, ma che ora ricordavo con amarezza e ripianto.
 
Ragazzi alle prese con biciclette troppo pesanti per la loro stazza, si sforzavano di trascinarle sulle spalle fino a portarle sulla spiaggia.
 
Poi vidi il fantasma di quella persona, il ricordo più doloroso che potesse mai prendere vita si stava concretizzando davanti a me.
 
Alzò lo sguardo dalla sua bicicletta e mi guardò.
Mosse le labbra, ma nessun tipo di suono ne fuoriuscì.
 
E poi mi sorrise, ed io sentii di nuovo quella stretta al cuore.
 
Iniziò ad incamminarsi verso di me, sempre di più. Ormai era ad un passo da me.
 
Ma avanzò oltre, superandomi, e una folata di vento mi oltrepassò, portando via così ogni frammento di quell’attimo.
 
Mi voltai, ma davanti a me vi era solo la realtà.
 
Mi tolsi il cappotto, facendolo cadere per terra, e lo lasciai lì.
 
Oltrepassai l’arco e scesi le scale per la spiaggia dalla sabbia nera.
 
Lungo la discesa, accarezzai le mura. Quelle mura sulle quali avevamo scritto i nostri nomi.
 
Al termine della scalinata, affondai i piedi in una miscela di sabbia e terreno, e chiusi gli occhi. Mi abbandonai a quegli attimi di reminiscenza per pochi istanti. Poi li riaprii e continuai a camminare, verso gli scogli.
 
Di nuovo quei sorrisi tornarono a riecheggiare nella mia mente e quelle figure evanescenti comparvero su quegli scogli. Correvano, sorridevano e si aiutavano a non cadere.
 
Continuai ad avanzare.
 
Il vento mi scompigliava i capelli e il vestito leggero seguiva l’andatura della brezza marina.
 
Alzai lo sguardo verso quel palazzo, quello dove viveva quella persona. Ma nessuno era affacciato a quel balcone, nessuno agitava la sua mano in segno di saluto, nessuno sorrideva in attesa.
 
Distolsi lo sguardo e tornai a guardare dritto davanti a me, verso gli scogli, dove ero intenta a dirigermi.
 
Poi una voce chiamò il mio nome.
Quella voce.
 
Tornai a guardare quel balcone, voltandomi di scatto.
Quella persona era lì e mi chiamava.
 
Finalmente la mia espressione mutò e le mie labbra si piegarono in un sorriso amaro.
Guardai quella persona a lungo, prima di distogliere nuovamente lo sguardo.
 
Ripresi a camminare, mentre sentivo quella persona chiamare ancora il mio nome.
 
Salii sugli scogli, li percorsi tutti, fino a ritrovarmi ad un passo dal mare.
 
Quel mare era così agitato.
Mi ero sempre rispecchiata nell’umore del mare, e quella volta non fu un’eccezione.
 
Mi voltai ancora una volta verso quella persona.
 
Mi chiamava ancora, ma la sua voce era divenuta allarmata e preoccupata.
Diede un pugno alla ringhiera del balcone ed entrò dentro, correndo.
 
Quella persona mi aveva sempre capita, aveva sempre letto nella mia mente e tradotto i miei pensieri.
 
Chiusi gli occhi.
Un brivido percorse il mio corpo, e un respiro profondo uscì dalle mie labbra.
Aprii le braccia, accogliendo il vento e le goccioline che si posavano su di me. Le onde si infrangevano furiose contro la scogliera, così come il mio animo rabbioso implorava pietà, pregava perché tutto questo giungesse al termine.
Repressi ogni tipo di sentimento, schiacciai ogni sensazione. Tutti i rimpianti erano ora chiusi a chiave in una parte remota del mio cuore.
Svuotai definitamente la mente.
 
E gettai il mio inutile corpo fra le onde.
 
Non mossi un muscolo e lascia alle onde il mio essere privo di volontà.
 
Mi agitavano, mi cullavano, mentre l’acqua mi stringeva in una morsa ghiacciata e penetrante.
 
Durò poco, prima che il mare mi divorasse completamente, tirandomi con forza e prepotenza verso i fondali.
 
Era tutto finito.
Finalmente era tutto finito.
 
Percepii un rumore differente rispetto a quelli a cui mi ero abituata, e sentii il tocco di qualcuno afferrarmi il polso e tirarmi a sé.
 
Presto fui fuori dall’acqua, il mio busto era adagiato sulle ginocchia di qualcuno e le mie gambe erano immerse nella sabbia.
 
Qualcuno urlava il mio nome.
 
Riuscivo a percepire parole strazianti sotto un suono ovatto, riecheggiante nell’aria.
Riuscivo a comprendere solo il mio nome detto da una voce addolorata e lacerata.
 
Poi, avvertii qualcosa di caldo e liquido cadere sulla mia guancia, e aprii lentamente gli occhi.
 
Ero tra le braccia di quella persona, mi stringeva forte, con una forza scaturita e dettata da sentimenti irraggiungibili e tormentati.
 
Piangeva, mentre urlava il mio nome.
 
Alzai una mano con difficoltà, fino a farla posare delicatamente sulla sua guancia rigata delle lacrime.
Spalancò gli occhi e li puntò nei miei.
 
 
Gli sorrisi dolcemente, ormai senza rimpianti.
 
Gli sorrisi con amore, richiamando tutto l’affetto degli anni addietro.
 
Gli sorrisi con tenerezza, e mi abbandonai a quella sensazione.
 
Gli sorrisi, nel tentativo di placare il suo animo tormentato.
 
Gli sorrisi, per fargli capire che ora andava tutto bene, e una lacrima rigò il mio viso, sorprendendomi perché pensavo di averne esaurite.
 
 
 
Il volto di quella persona fu l’ultima cosa che i miei occhi videro, prima di chiudersi per sempre.
  
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