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Autore: makeba    28/09/2007    1 recensioni
Quindi, presi il coraggio a due mani, e te li dissi. Ti dissi tutti, ma proprio tutti i motivi per cui ti lasciavo. Ti lasciavo perché dovevo partire. Ti lasciavo perché non volevo restare qui. Ti lasciavo perché mi saresti mancata troppo. Ti lasciavo perché ti amavo. Che cosa squallida.
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Incontri -

II parte

 

 

Fotografie.

Piccoli frammenti di te.

Momenti che sembravo di aver dimenticato, riprendono vita dinnanzi ai miei occhi, guardando volti che avevo rimosso.

Guardando luoghi che mi avevano emozionato.

È strano, osservare il passato attraverso questi piccoli pezzi di carta.

E ritrovarti, sempre bella, allegra e testarda.

Ritrovare le lentiggini che ti puntellavano dolcemente il naso e le gote. L’avevo dimenticato questo piccolo particolare. Avevo dimenticato quanto amavo percorrerle, fingere di poterle toccare.

Di colpo sembra non essere passato nemmeno un mese.

Ed invece ne è passato di tempo.

 

Troppo forse.

 

Cercando i documenti dei miei, ho trovato la mia scatola.

Quella dei ricordi.

Un trenino di legno, un foglio di carta ingiallito con una data di cui non ricordo l’avvenimento, un fiore secco e un nastro rosso.

E poi tante, tante foto.

Ieri sera è stato...incredibile sentirti parlare con quel tono pieno di rimorsi e rabbia repressa.

Mi sento un verme per essermene andato.

Ma mi sento ancor più viscido quando mi rendo conto che in fondo non mi dispiace affatto che tu sia stata male per me.

 

Almeno mi hai pensato.

 

Getto nella scatola l’ennesima tua foto sorridente e con un sospiro la lascio il fondo all’armadio dove l’ho trovata.

Questa casa mi sembra così vuota dalla morte di mia madre.

Ricordo quando successe.

Appena due anni dopo la mia partenza.

Ricordo il tuo volto rigato dalle lacrime, e mio padre che non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi, tanto il dolore che aveva dentro.

Mia madre...la donna che ci fece incontrare, ricordi?

Quando eravamo piccoli, e giocavamo ancora con trenini e bambole.

Quando non sapevamo ancora niente del mondo al di fuori di questo piccolo paese di campagna.

Quando non sapevamo cosa fosse l’amore, la sofferenza, la delusione e la morte.

 

Quando non sapevamo ancora cosa fossero le lucciole.

 

Ricordo che avevi lunghe trecce castane, e ti dondolavi continuamente su un’altalena improvvisata con tre metri di corda e un pezzo di legno.

Parlavi con Mel, la tua sorellina immaginaria.

E io ero un bambino come tanti, un tantino più grande di te.

Dicevo a tutti che aiutavo mio padre a lavorare il campo per far colpo sugli altri bambini.

Ma tu non ci credesti, perciò mi colpisti.

“Secondo me tu sei solo un bimbo stupido. E non è vero che lavori con tuo padre, perché sei pigro e giochi ancora con la plastilina. Me l’ha detto Mel!”

Mentre correvi via, riuscii ad urlarti:“Mel non esiste, bambina viziata!”

Cominciò così la nostra amicizia, se così è possibile chiamarla.

Per quanto abbia apprezzato e a volte addirittura amato le donne con cui ho vissuto e sono stato, ti posso assicurare, che tu le batti tutte.

Non c’è nessuna come te, Jane.

Non c’è mai stata.

Almeno per me.

 

La grossa finestra della cucina fa un po’ di capricci prima di aprirsi del tutto.

Ed il campo, con le prime luci del mattino, è se è possibile, ancor più bello della sera.

Un uomo passa in bicicletta e mi saluta con una mano.

Io ricambio, pur non sapendo il suo nome.

È un’abitudine che ho sempre apprezzato in posti come questo.

Non conosci le persone, eppure loro ti salutano, e non vi trovano niente di strano pur non avendoti mai visto prima.

È qualcosa che non trovi in nessuna grande città.

La fiducia reciproca.

L’armonia.

È fantastico.

Decido di andare a fare una passeggiata in paese.

Il mio arrivo di un paio di giorni fa è stato un po’ improvviso.

Sapevamo che la morte di mio padre sarebbe stata imminente, ma non credevo che accadesse così in fretta.

Anche se, tutto sommato, non ci vedevamo spesso, sono in momenti in cui la perdi che ti rendi conto davvero della persona splendida che ti ha accompagnato per tutti gli anni della tua vita.

Non voleva un funerale. Ha sempre odiato le manifestazioni dei sentimenti, qualunque essi fossero.

Era un po’ scorbutico, con due grosse sopraciglia che mettevano paura i bambini più piccoli.

Ma era affettuoso a modo suo ed è stato un buon padre.

Così ho esaudito il suo desiderio di essere seppellito nel campo. Solo io come testimone, insieme al vento che sempre lo accompagnava quando lo guardavo dalla finestra, passeggiare tra i fili di grano.

Poi ho saputo, dall’uomo che mi ha aiutato negli scavi, che eri in paese per qualche giorno, come me, e mi si è riempito il cuore.

Ma il testamento e le varie proprietà, mi hanno tenuto completamente occupato.

Ok, lo ammetto, non ho avuto il coraggio di farmi vedere in paese per paura di incontrarti.

Di incontrare il tuo sguardo infuriato, o peggio, i tuoi occhi indifferenti.

Ora che ho finito, non ho più scuse.

Credo che mi divertirò a rivedere i posti dove giocavo da bambino e dove oziavo, una volta adolescente.

Prendo la bici che sta sul retro della casa.

Ogni volta che venivo, i miei mi obbligavano ad usarla, anche in dicembre inoltrato, perché si ostinavano a credere che il rumore e lo smog dell’auto rovinasse il raccolto.

Ed in effetti, è un peccato distruggere il paesaggio con un’auto grigia, nuova di zecca.

Pedalo fino alla panetteria e mi fermo a salutare i proprietari.

Poi è la volta del piccolo super market, unico nella zona, del barbiere e dei proprietari del bar.

Loro li lascio per ultimi.

Sono i tuoi genitori.

Entro un po’ imbarazzato, ma Grechel, tua madre, mi accoglie con un caloroso abbraccio.

- Oh, caro, che piacere averti qui! Mi dispiace tanto per il tuo caro padre.

- Grazie Grechel.

- Ma siediti, vieni, raccontami del tuo lavoro.

- Mi sto specializzando per diventare chef, per ora lavoro in un ristorante vicino al mio appartamento.

I suoi occhi si illuminano.

- Oh, Louis, senti come parla? Il mio appartamento! È proprio un uomo di città, ormai.

Sorrido a Louis e gli stringo la mano.

Da quando ero bambino, l’ho sempre ed inevitabilmente, paragonato ad un grosso orso bruno.

Ed il suo carattere premuroso, non ha influito affatto nell’ammorbidire la sua figura possente.

- Lo so cara, l’ho sempre saputo. È un piacere rivederti, giovanotto.

- Grazie.

Louis e Grechel sono un po’ come i miei due secondi genitori.

Tua madre è sempre stata molto affettuosa con me, come se fossi figlio suo, mentre Louis, ben sapendo ciò che c’era tra noi, mi guardava con un po’ più di sospetto.

Ma ora sembrava che quel periodo fosse sparito.

Mi tratta come se io non fossi l’uomo che ha spezzato il cuore a sua figlia, tanto tempo fa.

O forse sto esagerando troppo.

Forse ciò che è successo per gli altri non è importante quanto lo è per me.

 

E per te?

 

- Hai già incontrato Jane?- chiede ingenua tua madre.

Louis le da una leggera gomitata, impossibile da passare inosservata.

Non posso fare a meno di sorridere.

- Si, l’ho incontrata ieri sera.

- Oh! Ricordi quando vi fidanzaste?- chiede ancora, ignara dei segnali che le lancia tuo padre.

Si, certo che ricordo.

Un giorno qualunque, alla fermata dell’autobus.

Pioveva ed era mattino presto. Dovevo andare in città per un affare di mio padre che era a casa influenzato.

La sera prima avevamo litigato, una cosa stupida mi pare di ricordare.

Magari qualcuno che aveva allungato troppo le mani su di te...

Non era neanche colpa tua, ma mi arrabbiai lo stesso.

Così ti trovai lì, ad aspettarmi, nonostante piovesse.

Mi dicesti che non dovevo essere geloso, che tu non avevi occhi che per me.

È stato strano sentirtelo dire, ho provato qualcosa che provai solo quando stemmo insieme per la prima volta...

Dentro di me si è acceso un fuoco...e di colpo la pioggia ed il freddo sono scomparsi.

Ti ho baciato, mosso dal sentimento più grande che potessi provare.

Tremasti.

- Fa troppo freddo qui. Andiamo a casa?- dissi.

- Perché no?

 

Perché no?

 

Sono rimasto imbambolato qualche secondo di troppo.

Tuo padre prende la parola, lanciando un’occhiataccia a Grechel.

- Vieni con me, George, ti faccio vedere una cosa.

Mi porta sul retro del bar, oltre una piccola serra.

Il vostro vigneto si estende a vista d’occhio dinanzi a me.

Bello come lo ricordavo.

Viola come lo ricordavo.

È stato lì, una sera che non era andata come speravamo, che mi hai donato la tua giovinezza.

È stato lì, che abbiamo fatto parte l’un dell’altra, per minuti che sono sembrati un’eternità.

Per minuti che sono sembrati troppo perfetti per essere reali.

 

E tu sei lì, un cappello di paglia in testa, china su una vite.

Ti giri appena e poi ti allontani lentamente, cercando di passare inosservata.

- Jane, cara, visto chi ci è venuto a trovare?

- Si, papà.

Restiamo in silenzio per un po’.

Evidentemente tuo padre si è reso conto che non mi hai né degnato di uno sguardo né salutato.

Decide che sia meglio lasciarci soli.

- Mi sa che mi sta chiamando Grechel. George, tu resta a controllare l’uva.

Mi fa l’occhiolino e sparisce dentro.

Mi avvicino a te, cautamente, quasi avessi paura di una tua fuga improvvisa, come fanno i gatti.

- Che ci fai qui?

- Sono venuto a salutare i tuoi. Tu che fai?

- Controllo che vengano su bene.

- Il colore è perfetto. Come sempre, giusto?

- Giusto.

Cambi un’altra volta vite, allontanandoti ancor di più.

Ti seguo.

- Come va il giornale?

- Bene.

- Come mai sei qui?

- Qui al paese?

- Sì.

Esiti.

- Ho pensato di farci un salto. Non fa male ogni tanto tornare alle proprie origini.

- Quando partirai?

- Il prima possibile.

- Che sarebbe...?

Mi guardi, con aria di sfida.

- Se te lo dico cosa farai? Metterai le crocette sul calendario?... Ops, scusa tu ora hai un palmare! Oppure cercherai di trovare un volo prima di me, così che mi batterai ancora una volta. No, George?

Sono ferito da ciò che mi hai detto.

Come hai potuto pensare queste cose?

 

Possibile che una cosa successa dieci anni fa, torni a bruciare così tanto, anche solo attraverso uno sguardo?

 

- No.

Taci, spostandoti di nuovo.

So che la conversazione è finita qui.

 

Quando esco per salutare i tuoi genitori, Frank è al bar, che beve una birra. Mi vede.

Forse non mi riconosce subito, ma quando lo fa mi salta quasi addosso.

Siamo cresciuti insieme ed è sempre stato il bambino che m’ha protetto dagli altri bulletti.

Ora è un uomo, sulla trentina, in jeans strappati, i capelli castani lunghi sino alle spalle e quel maledetto pizzetto che porta da quando aveva sedici anni.

- George, amico mio! Ti sei degnato di tornare tra noi! Se ti vedesse Mary!

Mary e Frank si conobbero ad una festa, nel paese accanto al nostro, ricordi?

Le chiedemmo un indicazione e la rincontrammo poi accanto all’uomo dello zucchero filato.

Frank si innamorò del suo sorriso, e da quel giorno sono diventati inseparabili.

E dopo dieci anni eccoli, ancora insieme, ormai sposati.

È incredibile come certe cose siano scritte chissà dove.

Come un amore è destinato ad andare avanti, per così tanto tempo.

 

Non pensi, Jane?

 

- Giusto in tempo per la festa del paese. Stasera verrai?

- Credo di sì.

- Ci saranno anche le majorette!- dice, facendomi l’occhiolino.- Io sono un uomo sposato ormai, ma tu, hai ancora la libertà!

Sorrido.

- A proposito, sai che Jane è in paese?

- Si, l’ho incontrata...- dico restando appositamente sul vago.

- E cos ha detto?

Stringo involontariamente i pugni, senza però abbandonare il mio sorriso.

- Non mi va di parlarne Frank, raccontami un po’ tu invece!

Restiamo a parlare di come vanno le cose nel suo ranch, di come sia l’uomo più felice sulla faccia della terra e poi racconto io, di cos ho fatto in tutti questi anni. Di come sia riuscito a diventare ciò che desidero.

E nonostante sbirci ripetutamente su quella porta che conduce alla serra, tu non esci.

Dopo un po’ mi porta a casa sua.

Mary è sempre più bella, nonostante la gravidanza.

E il piccolo Tommy ha quegli enormi occhi azzurri della madre che potrebbe incantare tutti.

Quando torno a casa è ormai buio.

Giusto il tempo per cambiarmi, e sento la banda cominciare a suonare.

Ricordi Jane, quando ci divertivamo a prendere in giro i musicisti, per quei tremendi abiti tradizionali?

Ricordi quando correvamo tra la folla, tenendoci per mano, per raggiungere uno stand di caramelle?

E l’odore della festa, dei biscotti della signora in fondo alla strada?

E ricordi quella strega che ci predisse il futuro?

Ricordi cosa disse?

 

- Cosa vedo qui...?
Ridacchi e mi guardi sconcertata alzando le spalle.
Non so perché mi sono fatto trascinare in questa roulotte che puzza di gatto morto per ascoltare una vecchia pazza che guarda dentro un palla di vetro.
Ah, certo.
Perché sei tu che me l’hai chiesto.
- Vedo un albero di mele... e un cane.
Ti mordi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
La donna alza lo sguardo:- Vi potrebbe ricordare qualcosa?
- Beh, si, il melo che abbiamo piantato da bambini.- dici.
Mi dai una gomitata ed io annuisco.
Non abbiamo mai piantato un melo, a dire il vero, non abbiamo mai piantato niente.
- Esatto! Ma rappresenta anche l’albero della vita. Lo vedo rigoglioso. Avrete una vita fortunata. E una bella famiglia. Il cane sta a significare questo.
- Ma  insieme?- chiedi con un gesto della mano.
La vecchia pazza ci scruta per un momento.
- Aprite la bocca e guardate in alto.- dice.
Un po’ esitanti, obbediamo.
Lei borbotta qualcosa per un po’, mentre noi stiamo cercando in tutti i modi di sembrare seriamente concentrati in quel che facciamo.
- Si. Direi di si. Le vostre anime sono complementari. E due anime così sono inscindibili

 

Inscindibili.

Quante risate facemmo ripensando a quel momento.

Solo ora temo che quella donna abbia davvero avuto ragione.

Che non sia stata un pazza.

Che quel che ha detto sia vero.

 

Entrambi abbiamo sempre amato questa festa.

Dovresti essere di buon umore stasera.

Dovremmo esserlo entrambi.

E allora perché ora sembra così triste?

Perché tu non ci sei?

O per via di questo cielo nuvoloso che non promette niente di buono?

Chissà.

Forse stasera riuscirò a parlarti.

Forse stasera qualcosa cambierà.

Forse stasera non vedrò le lucciole

   
 
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