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Autore: Shinsey    12/03/2013    0 recensioni
Neville. Racconto in prima persona.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock | Coppie: Luna/Neville
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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*Le piastrelle grigie incastonate nel pavimento del castello continuavano a scricchiolare, di tanto in tanto, al mio passaggio.
Mi muovevo con cautela, cercando di fare meno rumore possibile.
Tuttavia si era fin da subito rivelata un'impresa ardua, quella di non dare nell'occhio.
Tutto ciò che mi circondava sembrava accorgersi della mia presenza.
Cose, oggetti, persone. Non volevo essere al centro dell'attenzione.
Mi bastava essere in mezzo al corridoio, ed era già abbastanza.
Volevo trovare un modo per rendermi invisibile, ma ancora non ne conoscevo alcuno.
Tentavo di schivare lo sguardo di chi non smetteva mai di giudicarmi, deridermi e commentare in modo ridicolo ogni cosa facessi, che fosse girovagare in giro per le stanze dell’edificio, mangiare o perfino studiare.
 Non ne potevo più di quella situazione imbarazzante che ormai era diventata abitudine, ossessione. 
Un tormento che non faceva altro che  pesarmi addosso.
Ero rinchiuso in una gabbia.
E tutto ciò mi ricordava il manicomio.
All’improvviso pensai ai miei genitori,torturati fino alla pazzia. Perché? Perché avevano avuto coraggio.
Coraggio di ribellarsi, di farsi valere e di proteggere i loro ideali.
Con il pensiero giunsi fino ad un alto edificio bianco.
Non era una scuola, nemmeno una casa. E io lo riconobbi subito. L’avevo visitato diverse volte con mia nonna.
Il San Mungo non era altro che un posto di ricovero. Per malati, per feriti.
Lì non vi era alcuna distinzione per quanto riguarda l’onore. I coraggiosi erano tra la gente stupida, vigliacca.
E qualunque cosa facessero coloro che avevano lottato e perduto le forze, forse pure la testa come era capitato ai miei, non significava nulla per nessuno. Il loro sacrificio valeva un letto d’ospedale in una stanza umida e scrostata.
Tale e quale a chi si era nascosto nel crimine dell’impotenza e della sottomissione ai prepotenti.
Dentro di me sentivo rabbia e frustrazione.
Voglia di ribellarmi e desiderio di porre fine a questa ingiusta situazione. Ma come potevo fare? Cosa? Quando? Sapevo il perché, ma non ero nemmeno sicuro di sapere cosa volessi esattamente, se pace o gloria.
I miei passi si fecero più pesanti, forse segno che la mia autostima aveva oltrepassato il limite critico, ed era talmente bassa che arrivava al livello dei piedi.
E mi schiacciava a terra. Una pressione che non ero sicuro centrasse del tutto con la forza di gravità.
Certo, di sicuro c’era il suo zampino, ma era aiutata pure dal mio umore sotto terra. 
Intorno a me sentivo le risate dei membri delle varie case. Parlavano di me. Ovviamente.
Avevo sempre sognato di essere sulla bocca di tutti, ricordato per il mio coraggio. Ma questo era un incubo. L’unica cosa per cui si ricordavano il mio nome era la goffaggine. Lo ammetto, non ero un asso quando si parlava di agilità o destrezza, né fisicamente, né con la magia. Ma un giorno avrebbero tutti cambiato idea, di questo ne ero sicuro. Perché io, col mio coraggio, con la mia forza, con le capacità che ancora in quel momento mi erano sconosciute, avrei dato loro motivo per farlo.
E rendere così fieri i miei. Diventare un eroe ai loro occhi.
Perché ero di famiglia, e glielo dovevo.  I Paciock erano forti.
E io ero Neville Paciock.

Qualcuno urlò frasi del tipo “Paciock, goffo come sei potresti cadere nel caffè e a quel punto ti mangeremo al posto del pane e ciock”, oppure, ancora più fastidioso, ancora più conosciuto era il motto: Paciock, goffo e caga sotto!*.

Svoltai l’angolo.
Dovevo assolutamente trovare Oscar prima che cominciasse la lezione di trasfigurazione.
Non mi accorsi e andai a sbattere contro una ragazza con i capelli argentati: Luna.
In quel momento non sapevo cosa provare, a quali emozioni dare sfogo.
Era apparsa così all'improvviso, mi aveva colto di sorpresa e alla sprovvista.
Ero stupito, non mi aspettavo di incontrarla.
* Ti ho fatto male?* dissi riprendendo possesso della facoltà di parlare, che mi era mancata in un primo tempo.
Le ero andato addosso, scontrandomi e non sapevo se la collutazione l'avesse ferita.
Ero sempre così sbadato! Per questo mia nonna mi aveva dato la Ricordella.
 *Luna* dissi tutto d’un fiato per paura che gli altri mi sentissero e potessero così avere ulterior argomento con cui infastidirmi *per caso hai visto Oscar?*
Non sapevo perchè, ma la sua presenza mi aveva calmato.
Sentivo che mi potevo fidare di lei.
 Dopotutto eravamo nella stessa barca, e ad entrambi avrebbe fatto comodo stringere un'alleanza. Un'amicizia.
In quel momento seppi di aver bisogno di lei.
 Della sua calma e sincerità, della sua stranezza e della sua complicità.
Avevo bisogno di una vera amica. Luna.
Era incredibile come mi fissava.
Sembrava guardasse altrove.
Come se fosse attratta da qualcosa. Incantata. Ipnotizzata. Assente. E incantava lei stessa. Con la sua bellezza.
I suoi capelli argentei erano come un’aureola che sovrastava il suo corpo, la sua anima. E la pelle bianca e rosea sulle guancie non era altro che lo scrigno che proteggeva l’angelo al suo interno.
Perché Luna era la ragazza più pacifica che conoscessi.
 Perché Luna non era capace di ferire nessuno. Il mio contrario, insomma.
*Che sfortuna*dissi*è scappato, quel rompiscatole.*
Sorvolai il fatto che fosse colpa mia, che l’avessi lasciato cadere dalla sua ‘casetta’.
La sua colpa consisteva solo nell’aver seguito la libertà. E io ora mi sentivo come un ladro, pronto a rubare qualcosa che non mi apparteneva. Oscar era solo un rospo. Non poteva capire la mia situazione.
Non aveva a che fare con la Mc Granitt. No, lei non faceva parte della sua vita, e non la condizionava per niente, se non con le varie trasformazioni a cui veniva sottoposto. Io invece, avevo avuto modo di conoscerla.
E non volevo prendermi un castigo proprio quel giorno. Perciò Oscar doveva pur trovarsi da qualche parte, e dovunque fosse, l’avrei trovato a qualunque costo.

Stavo ancora parlando con Luna quando lo vidi.
Non proprio tutto il corpo, ma solo sue zampine.
Stava scavalcando il muretto per andare in giardino. Probabilmente aveva visto l’acqua del piccolo stagno e voleva fare un bagno.
Ma il tempo era poco. Mi sarei dovuto presentare in classe entro pochi minuti e non potevo permettermi un ritardo. Perciò decisi che il bagno di Oscar avrebbe aspettato. Corsi e cercai di afferrarlo.
Lo presi.
O forse lui prese me.
Sta di fatto che ci ritrovammo nell’acqua.
Sgocciolando tra le ninfee galleggianti. Il fango in faccia copriva parte della mia visuale.
Le mie orecchie no. E riuscivo a sentire le risate degli altri. “è bella l’acqua, sirenetta?”
 Non sapevo cosa dire.
Erano troppe le parole che volevano farsi strada,una gara che nessuna avrebbe vinto. Avevo un nodo tremendo alla gola. L’unica cosa che uscì dalla mia bocca fu l’acqua. Litri di acqua sporca mista a fango che vomitavo in continuazione mentre Oscar stava pacificamente prendendo il sole sopra la mia testa.
Sentii la voce della Mc Granitt che diceva di portarmi in infermeria. Chiusi gli occhi.
Dalla vergogna, dalla stanchezza.
Quando li aprii mi trovavo in infermeria.
Con Oscar che saltellava da una parte all’altra del cuscino.
Richiusi gli occhi e mi addormentai, sperando di ottenere conforto. 
Ma ciò che ottenni non fu l’effetto desiderato. Mi apparve mia nonna. Stava seduta sulla sedia a dondolo davanti al camino spento.
E intanto scuoteva la testa. In mano aveva la lettera della mia espulsione da Hogwarts.*     
  
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