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Autore: MissMeriRed    12/03/2013    1 recensioni
Questo è un racconto di matrimoni forzati, amori non corrisposti, e ordini del giorno nascosti; un racconto di dolore, ossessione, odio, bugie, segreti, e avidità. Un pericoloso e mortale gioco dove il vincitore riceverà quello che ogni persona ricca sogna e farebbe qualunque cosa, forse anche uccidere, per i soldi. Ci sono regole in questo gioco, e Park Yoochun le ha appena infrante.
- Yoochun, Yunho, Junsu, Changmin, Jaejoong // YooMin, YunJae, YooSu -
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Questa è una fanfiction tradotta dall'inglese da me che voglio condividere con voi. La storia originale si trova su AFF ed è scritta da SunnyELF15.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Traduzione | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Era tardo mattino quando Yoochun aprì gli occhi per la seconda volta quel giorno. Si era svegliato qualche ora prima, quando era ancora buio, aveva un così forte mal di testa che ha dovuto prendere alcuni antidolorifici e poi tornare a dormire. Questa volta svegliarsi era stato meglio. I postumi della sbornia erano passati. Il dolore nel suo petto rimase però. Ma Yoochun sapeva che non c’era modo di liberarsi di quella sofferenza; il dolore era lì per restare. Sospirò e, mantenendo la testa nel cuscino, si guardò attorno nella stanza. Il sole si versava dalla finestra, illuminando la stanza con un vivace calore che non era il benvenuto da Yoochun. Le pareti erano spoglie e niente decorava gli scaffali o la parte superiore dei mobili. Nessuna immagine, tranne per un quadro, che sarà costato probabilmente una fortuna, appeso sulla parete. Se non fosse per le lenzuola aggrovigliate del letto, la stanza apparirebbe completamente priva di vita; come se nessuno ci vivesse. Yoochun sperava che fosse vero.

Si alzò dal letto e camminò verso la finestra. Era splendente e allegro fuori; troppo allegro per Yoochun. Faceva male solo a guardare. Quella persona, quella che aveva il cuore di Yoochun, amava questi tipi di giorni. Ricordarsi di questo lo feriva; si voltò dalla finestra disgustato e camminò verso il bagno. Si preparò in fretta e si avviò giù per le scale. Passò via l’entrata principale e fu sorpreso di vedere che tutte le tende erano state tirate e i noiosi raggi del sole entravano da tutte le parti. Questo fece arrabbiare Yoochun. Aveva chiesto al personale di aprire le finestre? No, non lo aveva fatto di sicuro. Tutto il personale sapeva che preferiva una casa oscura. Si guardò attorno sperando di vedere una cameriera o due per urlarle contro. Urlare ai domestici lo faceva sempre sentire meglio. A suo disappunto non vide nessuno. Bofonchiò una maledizione e entrò in cucina. Si gelò sul posto.

Lì, accanto al bancone, vi era un uomo; una persona che Yoochun non aveva mai visto prima, ma sembrava il minimo familiare. Ma familiare o meno, di certo non apparteneva alla casa di Yoochun.

“Chi diavolo sei tu?” Yoochun reclamò.

L’uomo alzò lo sguardo e Yoochun fu sorpreso di vedere che non sembrava il minimo preoccupato.

“Io?” L’uomo chiese, indicando se stesso.

Yoochun gli mandò un’occhiata feroce. A chi altri poteva parlare?

“Sì, chi diavolo sei?” ripeté.

L’uomo scosse la testa. “Non lo sai?”

Yoochun gli diede un’occhiata da più vicino, ma niente attirò la sua attenzione dell’uomo o gli diede un indizio sulla sua identità. La sua faccia sembrava mostrare i suoi pensieri, e l’uomo scosse di nuovo la testa.

“Sono tuo marito.”

La confusione era sparita ed era rimpiazzata dalla rabbia. Yoochun guardò l’uomo con puro disgusto. Quindi era questa la persona con cui era stato costretto a sposarsi. Questo era l’uomo a cui era stato legato contro il proprio volere. Questo era l’uomo che lo stava fermando dall’andare dalla persona che amava davvero. Yoochun lo odiava a vista. Odiava l’uomo che era ora suo marito.

“Cosa diavolo ci fai qui?” ringhiò.

L’uomo si voltò di nuovo verso il giornale che stava leggendo.

“Vivo qui ora, come te.” Rispose semplicemente.

Yoochun non voleva essere ricordato di quello.

“Quando diavolo sei arrivato?”

“Questa mattina, attorno alle nove,” l’uomo disse “Ho già portato le mie cose nella stanza da letto in fondo al corridoio.”

Yoochun annuì. Bene, l’uomo non aveva nemmeno provato a condividere la stanza da letto principale con lui. Camminò verso il frigorifero e aprì la porta e afferrò una bottiglia di succo d’arancia. Non gli piaceva molto il succo d’arancia, ma a quella persona, quella che amava, piaceva e Yoochun lo beveva ogni mattina come un patetico tributo all’amore che una volta avevano condiviso. L’altro uomo, suo marito (faceva ancora star male Yoochun a pensare a quelle parole) lo ignorò e si concentrò a leggere il giornale.

Yoochun si versò un bicchiere e rimise la bottiglia al suo posto. Il pensiero di offrirne un po’ all’altro uomo non lo aveva nemmeno toccato. A Yoochun non importava, e non gli sarebbe mai importato abbastanza, per farlo. Camminò verso il tavolo e si lasciò cadere su una delle sedie in legno. Bevve un sorso del succo agrodolce e guardò verso il suo nuovo compagno. L’uomo aveva i capelli scuri, tagliati corti in uno stile pratico ai due lati e un po’ più lunghi sopra. Era alto, molto più di quello che era Yoochun. Ripensò al suo orribile matrimonio e pensò che l’uomo doveva essersi chinato per permettere a Yoochun di toccargli le labbra. Yoochun non lo considerava come un bacio. L’uomo aveva la faccia ben formata e le orecchie che sporgevano leggermente fuori. Aveva gli occhi scuri e una pelle chiara. Nel complesso, era bello. Qualcuno che Yoochun vedeva essere preso di mira da sia un sacco di uomini che donne. Era anche giovane, sembrava forse un anno più giovane di Yoochun.

Yoochun odiava l’apparenza dell’uomo. Odiava tutto di lui all’istante. Odiava la sua faccia, i suoi capelli; odiava il modo con cui si appoggiava casualmente al bancone, quasi come se niente nel mondo fosse sbagliato. Yoochun lo odiava e lo avrebbe continuato a fare. Avrebbe odiato l’uomo, ma non lo avrebbe ferito. No, Yoochun non avrebbe sprecato il suo tempo e fatica per ferirlo. Aveva già deciso che lo avrebbe semplicemente ignorato. Yoochun si alzò e, dopo aver ingoiato il resto del succo, si avviò fuori dalla stanza.

“Tua madre ha chiamato,” L’altro uomo disse, fermandolo. Yoochun si voltò. Come osava parlare a sua madre!

“Perché diavolo stavi parlando con mia madre? Cosa ha detto?”

L’uomo scosse la testa. “Onestamente, sei incapace di parlare senza sbraitare? Hai imprecato in ogni frase da quando sei arrivato qui.”

Yoochun gli mandò un’occhiataccia. Cosa importava come parlava? L’uomo era fortunato che Yoochun gli stesse parlando del tutto.

“Cosa voleva mia madre?” ripeté.

L’uomo alzò lo sguardo verso di lui. “Voleva ricordarti che ora che sono tornato, tratterà una festa per celebrare il nostro matrimonio.”

Yoochun notò che l’uomo teneva attentamente una faccia impassibile, ma c’era qualcosa quando disse quelle parole. Yoochun non poteva dire cosa e non gli importava così tanto per scoprirlo. Chiuse gli occhi e sospirò. Aveva dimenticato dei piani di sua madre per la festa. Sapeva che non era possibile evitarle e non ci avrebbe provato. Non avrebbe ferito sua madre in quel modo. Aveva sperato solo che il suo stupido compagno ci avrebbe messo di più a tornare di quando abbia fatto; solo un’altra ragione in più per odiarlo.

“Ha detto che si sarebbe tenuto questo week-end. Ha già fatto iniziare le preparazioni.” Disse l’uomo. “Ha detto che dovremmo arrivare un po’ prima, così che saremo là quando gli invitati arriveranno.”

Yoochun aprì gli occhi e guardò l’uomo. Qual era il suo nome? Yoochun non se lo ricordava.

“D’accordo,” disse Yoochun. Sarebbe andato alla festa, non c’era altra scelta. “Non parlare mai più a mia madre.” Yoochun iniziò a camminare fuori dalla stanza.

“Credo che sarà difficile, visto che sono tuo marito e sarò indubbiamente a contatto con lei ad un certo punto.” L’uomo disse, dietro di lui.

“Questo non è un mio problema.” Yoochun uscì dalla stanza. Forse se sua madre avrebbe pensato che il suo partner era un egocentrico, idiota asociale, l’avrebbe lasciato divorziare. Lo sperava, ma sapeva che non sarebbe successo. Mentre salì le scale, di ritorno alla sua stanza, pensò a com’era bloccato con questo destino per sempre. Sarebbe stato per sempre infelice e senza colui che amava.

Così era il fato di Park Yoochun.

 

 
 




Jung Yunho allungò la mano e si aggiustò la cravatta. Diede un’occhiata al suo riflesso allo specchio e decise che andava bene. Era vestito in uno di quei vestiti eleganti costosi da lavoro che indossava sempre, una lunga cravatta rossa appendeva dalla sua gola. I suoi capelli castani erano pettinati attentamente, come si assicurava che fossero sempre. Suo padre pensava che fossero troppo lunghi, ma a Yunho piaceva come cadevano vicino alle sue orecchie. Credeva che andavano bene così e si diede un ultimo cenno d’acconsentimento prima di uscire dalla stanza e iniziare ad incamminarsi per il corridoio verso lo stabile del suo ufficio.

Era diretto a uno delle tante riunioni che aveva quel giorno. Da quando suo padre gli aveva acconsentito di prendere parte a gestire l’azienda, Yunho era diventato molto occupato, ma non gli importava. Sapeva che rendeva suo padre fiero ed era quello che importava.

Yunho camminò velocemente, annuendo a tutti gli impiegati che incontrò lungo la strada. I lavoratori gli sorrisero e lui ricambiò i cenni. A loro piaceva il ‘giovane signorino’ e la sua attitudine imbattibile. Sentivano di essere visti come persona, e non solo lavoratori. Yunho raggiunse il suo ufficio esterno e fece un cenno di testa alla segretaria.

“Salve, Luna,” la salutò.

Lei alzò lo sguardo e sorrise.

“Buongiorno, Mr. Jung.” Era carina con i capelli tinti di un colore biondo miele, che le arrivavano alle spalle. Era stata assegnata a lavorare per Yunho quando aveva attivamente aderito all’azienda.

“Ho ricevuto qualche messaggio mentre ero via?” chiese mentre camminò oltre alla scrivania.

Lei annuì e diede un’occhiata al foglio che aveva di fronte. “Sì, un promemoria di vostro padre della cena di stasera,” Yunho annuì. Non se n’era dimenticato. “E una chiamata da Mr. Choi,”

Yunho annuì di nuovo. “Grazie,”

Luna ricambiò il cenno e guardò il suo capo mentre si dirigeva dentro al suo ufficio.

Yunho era deluso e un po’ preoccupato che non ci fosse stata nessuna chiamata da parte di Yoochun. Yunho non aveva sentito del suo amico da quando lo aveva chiamato per venirlo a prendere quando era ubriaco. Yoochun di solito chiamava Yoochun il giorno dopo, così che l’uomo non si preoccupasse e sapesse che stava bene. Ma non aveva chiamato, così Yunho era preoccupato. Sapeva che il suo amico era arrabbiato per il matrimonio e sapeva come poteva diventare quando era arrabbiato per qualcosa.

Yunho allungò la mano e prese il telefono. Digitò il numero di Yoochun e si appoggiò indietro sulla sua sedia. Guardò fuori dalla finestra mentre ascoltava gli squilli. Contò fino a cinque prima che ci fosse il bip e la voce  rigida di Yoochun si sentì sulla linea, il messaggio preregistrato che chiedeva a coloro che chiamavano di lasciare un messaggio e la falsa promessa di richiamarli. Yunho sospirò. Perché non stava rispondendo? Si sentì il secondo bip e Yunho lasciò un messaggio.

“Yoochun-ah, perché non mi chiami? Sono preoccupato; non mi piace come ti sei comportato l’altra notte. Chiamami.”

Yunho agganciò. Non si era preoccupato di dire il suo nome. Yoochun conosceva il numero del suo ufficio, di casa e del suo cellulare. Sapeva quando Yunho cercava di contattarlo. I due si conoscevano da quando erano bambini. Si conoscevano abbastanza bene  da sapere quello che l’altro pensava e per questo Yunho era preoccupato.

Sapeva che Yoochun non avrebbe gestito bene il fatto del matrimonio. Non che un matrimonio potesse mai essere gestito con facilità. Yunho sapeva che Yoochun avrebbe trovato un modo per vendicarsi su suo padre. Avrebbe trovato un altro modo per rendere la vita del suo partner miserabile. Yunho sapeva che l’altro uomo aveva i suoi modi per una tenue ed esigente vendetta. A Yunho non piaceva, ma odiava il fatto che Yoochun era stato forzato a sposare qualcuno che non amava un migliaio di volte in più.

Yunho ancora si chiedeva cosa aveva causato al padre per fare questo a suo figlio. Si chiese qual era l’origine di questa improvvisa decisione. Sentiva come se ci fosse una ragione dietro al terribile destino di Yoochun, ma non sapeva quale fosse. Faceva arrabbiare Yunho. Odiava il fatto che il suo amico stava male, odiava il fatto che il suo amico aveva perso la sua libertà. Ma sapeva che, anche se Yoochun non si sarebbe sposato, sarebbe comunque ferito.

Yunho sospirò e chiuse gli occhi. Sapeva che il cuore di Yoochun farebbe male ad ogni modo. Questo era quello che succedeva quando ti innamoravi di una persona che non dovresti. Ti facevi del male e di ferivi. Era un fatto di vita, ma faceva sempre male a Yunho vedere il suo amico con il cuore spezzato. Yoochun poteva mentire bene; poteva prendere in giro chiunque, pure i suoi genitori. Poteva dire una bugia e farla credere a chiunque, tutti tranne Yunho. Yunho lo conosceva da troppo tempo per cascare alle sue menzogne; lui non ci era mai cascato e mai lo avrebbe fatto per le scuse di Yoochun e le sue storie. Sapeva sempre quando l’uomo mentiva. Yunho era felice che lo sapeva, ma a volte, in momenti come questi, quando il suo amico veniva ferito così profondamente e non c’era niente che Yunho potesse fare, sperava che potesse cascare per le sue bugie. Yunho sperava che potesse essere preso in giro dal suo amico. A volte era più facile credere alle bugie e nascondersi dal dolore. Era più semplice, ma finiva sempre per ferirti ancora di più.

Yunho sopirò di nuovo e aprì gli occhi, guardando fuori dalla finestra all’allegra giornata. Le menzogne a volte erano più semplici, ma la verità era quella che veniva sempre rivelata. Yoochun poteva mentire, ma non poteva cancellare la verità. Ma quello che spaventava Yunho di più era che Yoochun poteva prendere in giro chiunque con le sue bugie. Poteva far credere a chiunque se voleva che lo facessero, anche a stesso.

Se c’era una cosa che Park Yoochun poteva fare meglio di mentire agli altri, era la sua abilità di mentire a se stesso.

  
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