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Autore: Shinsey    12/03/2013    2 recensioni
Gli ultimi secondi di vita di Fred; monologo in prima persona.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fred Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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*Polvere, muri e statue a pezzi, inutile dire che era un vero disastro.
Luci abbaglianti e colorate, di colori sgargianti e interessanti; sarebbe potuta sembrare una festa, se non avessimo tutti saputo che avremmo potuto perdere la vita.
Quelle luci così invadenti che sprizzavano da tutte le parti erano davvero belle a vedersi, ma non in un contesto come quello.
Finchè le vedi crearsi dalla tua bacchetta, puoi provare soddisfazione, e sentirti potente, ma non quando una di queste ti attraversa, veloce e inarrestabile.
A quel punto, quando la vita si allontana, senti il mondo crollarti addosso, e un attimo dopo sei sommerso dai rimorsi, dai rimpianti, e dalla consapevolezza di non poter fare più nulla, né per te, né per nessun altro.
Sentii  un botto, poi seguirono delle grida.
I Mangiamorte avevano passato la linea di confine stabilita, ora toccava a noi entrare sul serio in azione.
Capii subito che il centro della battaglia si avvicinava sempre di più, e che molto presto sarei finito nel bel mezzo di un combattimento generale, dove era difficile avere la situazione sotto controllo.
Era solo questione di tempo, minuti, secondi, attimi scanditi dal rumore all’esterno dell’edificio che andava sempre più collassandosi, sotto la forza di un impetuoso e incontrastabile destino che avrebbe schiacciato tutti, dal primo all’ultimo; alcuni sarebbero caduti, altri feriti, altri ancora apparentemente illesi fisicamente, ma di sicuro quella forza avrebbe lasciato il segno, nella storia e nella vita di tutto e tutti.
Come sarebbe finita?
In quel momento avrei volentieri dato uno sguardo alla sfera della Cooman, anche solo per una frazione di secondo, solo per avere una debole certezza su cui basarmi, per sentirmi davvero pronto e sicuro di giocare il tutto per tutto.

Una pioggia di vetro mi cadde addosso: con sbigottimento notai che l’esercito oscuro stava avanzando imperterrito, numerose maschere, persone avvolte nel nero del mantello ormai più scuro del cielo: la notte stava volgendo al termine.
Che ore saranno state? Le due, le tre? O prima, o ancora più tardi?
Avevo perso la cognizione del tempo, colpevole anche l’ansia e la paura.
Ad un certo punto non sentii più nulla, mi abbandonai ai ricordi, e il mio battito accelerò.
Tum, tum, tum.
Come se un martello stesse spingendo un chiodo nel mio petto.
Provai dolore rivivendo in un attimo tutta la mia vita, i rimorsi, le cose non fatte, le parole mai dette, e tutte le sconfitte e gli ostacoli che avevo vissuto, che avevo dovuto superare.
Per una frazione di secondo non sentivo altro che il sordo rumore del cuore. Dentro di me la tranquillità aveva preso il sopravvento, ma ciò che provavo non era pace, era amarezza.
Riaprii e accettai qualunque contatto con la realtà, era passato poco tempo, eppure sembravano secoli.

Hogwarts era stata espugnata e ormai era sotto attacco non solo all’esterno, ma le figure nere incappucciate si erano intrufolate nel castello.
Ormai entravano a fiotti e distruggevano tutto.
Scansai diverse maledizioni e, impugnando saldamente la mia bacchetta, ne pronunciai delle altre.
Sentivo il sangue ribollire dentro di me, mi pareva di essere travolto da un uragano e contemporaneamente di essere colpito da un fulmine.
Ero talmente sconvolto, provavo qualsiasi tipo di emozione e sensazione immaginabile, dalla rabbia alla paura, dall’orgoglio ad un’insensata sete di supremazia. Mi buttai in una lotta contro il nemico come se fossi stato in preda al delirio più totale, mi sentivo esplodere dal caldo da un momento all’altro, come invaso da un fuoco che mi divorava, e nel frattempo ero vinto da brividi di freddo e timore. Se prima lo scopo era quello di salvare tutti e diventare un eroe, adesso era semplicemente sopravvivere.
*Avada Kedavra* mi sembrava strano da pronunciare, e ancora più insolito, vederne l’effetto consapevole di averlo provocato io. Non sapevo bene quanti e chi stendevo, privi di sensi, per terra, perché subito mi gettavo contro altri,  schiantandoli o facendo tutto ciò che in quel momento né il cuore né la mente mi suggerivano. Non riuscivo a fermarmi. Non potevo controllarmi.
In realtà non sapevo neanche se lo volessi.
Mi sentivo strano, pervaso di un coraggio che non avevo mai creduto di possedere. L’avevo pensato una volta quando con George avevo osato infrangere le solite regole che rendevano tutto monotono. A quel tempo scherzavamo, dicendo che eravamo tra i migliori, tra i più coraggiosi e che avremmo fatto storia e saremmo sempre stati ricordati come eroi.
L’avevamo detto, sì, ma in quelle parole non vi si celava la convinzione che in quel momento invece occupava i miei pensieri ed era la causa delle mie azioni.
George.. Ron.. Tutti i Weasley.. dove erano?

Ero circondato da volti seminudi, tumefatti e talmente messi male che avrei potuto scambiare un conoscente per uno sconosciuto, un amico per un nemico.
L’idea di battermi involontariamente contro un alleato e magari di ferirlo, bruciava e lasciava dietro ogni mia azione un dubbio e un sospetto che scottava e cresceva man mano mi addentravo nello scontro.
E se qualcuno fosse davvero stato ferito, o ancor peggio, se.. bene, non riuscii a continuare il pensiero, lo troncai sullo svolgersi, consapevole di come avrebbe potuto terminare. Tentai di scacciare tutta la negatività e il pessimismo che mi strappava il cuore, e con esso, lacrime amare, frutto di un dolore lacerante e indisponente.
Con un nodo alla gola e un coltello nelle viscere, mi appoggiai ad una trave, per riprendere fiato, forze e buonsenso. 
E più in là lo vidi. Il tipico rosso Weasley che si agitava tenendo a bada l’avversario.
Era normale per lui, era sempre stato così, anche quando ci aveva abbandonato, forse proprio per questo se n’era andato: detestava che qualcuno gli rovinasse i piani e odiava la nostra imprevedibilità.
Confesso che, in un primo momento, stentai a riconoscerlo, anche se avevo sempre sperato, e in parte saputo, che lui sarebbe tornato da noi, prima o poi, meglio tardi che mai. Certo, il suo ritorno avrebbe significato un’ulteriore riduzione e suddivisione dell’ eredità, ma l’argomento occupava in quel preciso istante, un secondo piano.

Mi avvicinai lentamente a Percy. Si era alzato dall’ultima volta, o forse io lo vedevo così perché nemmeno mi ricordavo davvero come fosse  prima.
Ora che ero libero, senza duellanti alle calcagna, potevo osservarlo mentre, con maestria, ne mandava a tappeto altri due. Chissà se era cambiato, mi domandavo.
Beh, certo, il fatto che fosse dalla nostra parte, testimoniava quello che avrei voluto sapere:  era tornato se stesso, nel pieno delle sue facoltà mentali e fisiche.
Mi accostai accanto a lui e, per pochi secondi, incrociammo lo sguardo.
Un’intesa destinata a terminare, perché fummo subito presi di mira da un gruppo di Mangiamorte.
Con Percy nei paraggi, mi sentivo più forte, ma anche più debole: temevo che venisse colpito, di vederlo cadere a terra, proprio sotto i miei occhi.

Getti di luce da tutte le parti, poi Percy scagliò una fattura contro l’avversario, al quale cadde il cappuccio, mostrando così il viso di un trasandato O’Tusoe.
Era parecchio tempo che non sentivo la sua voce, e forse era proprio quello il momento in cui avrei voluto ricordarmi di quanto grave o acuta fosse.
<< Ah, Ministro! Le ho detto che do le dimissioni?>> semplice, spontanea e appropriata. La battuta di mio fratello, attraversando le corde vocali, era uscita autonomamente dalla sua bocca mentre una smorfia simile ad un sorriso dipingeva il suo volto di una gioia e una liberazione percepibili anche attraverso quei luccichii negli occhi che tradivano, una volta tanto, la fermezza e la compostezza dell’ex caposcuola.
In quel momento provai orgoglio e una strana voglia di ridere e scherzare si fece largo in vari punti del mio cervello, che trovarono sfogo in un’unica frase che, evidentemente, era colma di una fierezza che non aveva fatto fatica a sovrastare quel senso di inadeguatezza che mi opprimeva.
*Hai davvero fatto una battuta, Perce… l’ultima che ti avevo sentito fare era..* avrei voluto continuare a dare aria e suono a questo mio pensiero, ma non ne ebbi tempo.

Ci fu un’esplosione e, i corpi dei Mangiamorte che avevamo battutto volarono in aria, sconfitti da una forza e una pressione maggiori di quella di gravità.
Accadde tutto così in fretta che quasi non me ne accorsi.
Si alzarono chili e chili di polvere scura e densa, che non mi davano la possibilità di vedere a cinquanta centimetri.
Granellini di resti infinitamente piccoli stuzzicarono i miei bulbi oculari e il fastidio azionò quel meccanismo di protezione di cui sono colpevoli le palpebre: chiusi gli occhi, involontariamente.
Sentii il pavimento sotto di me mancare, quasi fossi stato risucchiato, solo poi, al contatto con l’aria che mi frustava, capii che stavo acquistando velocità, e che roteavo, verso una meta sconosciuta.
 
 
Non avevo mai riflettuto sulla mia morte.
Forse perché non avevo voglia, perché mi sembrava lontana, forse perché la sentivo così surreale.
O magari, semplicemente non ne avevo avuto il tempo.
Comunque fosse, non ci avevo mai pensato, punto.
Mi aveva raggiunto all’improvviso, quasi non ero nemmeno riuscito ad accorgermene. 
Ma è dura non riuscire a capire quando realmente le cose stanno prendendo una brutta piega, e la vita scivola di mano come il sangue.
Sì, un fiume di sangue.
Un fiume lungo chilometri, una scia di liquido rosso intenso che macchia i ricordi, le emozioni, la vita stessa.
Queste possono essere solo parole, la vita può essere un’illusione, un sogno o un incubo, e lo è
finchè non cadi, morente e respiri l’ultimo atomo di ossigeno che il tuo corpo può sopportare, mentre tra rantolii e conati non ne cerchi ancora, consapevole di dipenderne.
Finchè non muori sei solo un nome. Quando ti spegni, si arriva ai fatti.
E pian piano, la vita, l’esistenza che tu avevi creato, il gruppo, la famiglia che ti eri scelto, viene strappata come erba marcia, cattiva.
La morte è una ruota, è un gioco, è il domino: cade uno, cadono tutti.
Ma uno si rialza da solo.
Solo.
 Solo come un cane, un eremita, un esiliato.
Ma quando sai che le persone, quelle che ti vogliono bene, esistono, allora sai che non morirai mai, finchè queste dedicheranno anche il loro ultimo respiro, a te, come ricordo di un amore infinito e immortale.
Andai a sbattere contro una parete, o almeno così, credo, o forse era la porta della mia esistenza che si chiudeva, lasciandomi fuori dal mondo che avevo sempre creduto di conoscere.
Sentii urla, grida. Aprii gli occhi, o meglio, alzai di poco le palpebre, ma quello sforzo immane non servii a nulla. Ciò che vidi non aveva forma, né scopo, né niente: era solo un’immagine, una scena confusa, sfumata, i colori mischiati, i confini indefiniti.
Qualcuno urlò il mio nome, o un rumore simile vibrò nell’aria. Mi parve di percepire degli strani movimenti sulla mia pelle, intorno al mio corpo, qualcosa mi sfiorò la guancia. Non sapevo cosa fosse, ma quel freddo gesto che irritò il tatto, fu l’ultima cosa che riuscii a riconoscere.
Non riuscivo a muovermi, avevo i muscoli irrigiditi, avrei voluto correre dagli altri, ma mi sembravano così lontano.
Avrei voluto dire che stavo bene, ma dalla mia bocca non uscì nemmeno un verso.
Ero confuso, mi sentivo strano, impotente di fronte a qualcosa che mi tratteneva come se fossi imprigionato in una bottiglia di Whisky Incendiario che non sarebbe mai stata aperta.
Tentai di tenere gli occhi il più possibile aperti, di trattenere più ossigeno potessi, ma evidentemente non ero forte abbastanza.
Mi abbandonai in un insensato stato di quiete, in cui vidi, per l’ultima volta ciò che prima non ero riuscito a fare: scorsi tutti i più bei ricordi della mia vita farsi avanti velocemente come in un film.
“La vita di Fred” doveva solo aspettare di uscire nelle sale, era pronta, regista, attori, il cast perfetto: i miei amici, la mia famiglia; di sicuro avrebbe fruttato un sacco di soldi.. era a dir poco meravigliosa.
Vidi tutto il bene che avevo fatto e che gli altri mi avevano donato, in ogni occhiata, in ogni sorriso.
Mi venne spontaneo piegare gli angoli della bocca in una sorta di sorriso, ma non so se lo feci veramente.
Quello che so è che lentamente la luce svanì, lo sguardo si abbassava sempre di più, che lo volessi o no, in pochi secondi avrei finito anche di respirare.
Feci filtrare per un’ultima volta un bagliore di colore mentre assaporavo avidamente l’ultima scarsa soffiata di vita che mi invase i polmoni e il cuore, e poi, finalmente, chiusi gli occhi, consapevole che non li avrei mai più riaperti.*
 
 
  
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