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Autore: Shinsey    12/03/2013    0 recensioni
E' il momento di Harry!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter | Coppie: Harry/Luna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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*Sarebbe stata una tiepida e tipica mattina di un autunno inoltrato, se quel giorno non ci fosse stato il vento gelido che scuoteva senza sosta i rami degli alberi spogli.
 Era un vento insistente e pungente, ma non abbastanza forte da spostare le nuvole, grosse nubi che sovrastavano tutta la natura e il dolce quadro autunnale che pareva starsene per conto suo, governato dal silenzio della nebbia palpabile che sembrava non fosse intenzionata a lasciare un minimo squarcio di cielo da cui la luce del sole avrebbe potuto filtrare.
Ma non era un  mio problema.
Non ero né un romanticone che se ne stava fuori contemplando il cielo o l’ambiente circostante,maledicendo il tempaccio che aveva osato interrompere la ‘poesia della natura’, né tanto meno un barbone o un senza tetto che si sarebbe potuto ammalare alla prima folata leggermente più fredda delle altre. 
No.
Io ero dentro, in un edificio comunemente chiamato casa, ma che io lo definivo semplicemente come un luogo dove rimanere, passare due o tre notti e poi sloggiare per poi trasferirmi in un’ altra dimora.
 Io non appartenevo a niente e nessuno; la mia vita non doveva essere legata a nulla di particolare, nemmeno ad una promessa.
Avevo acceso il camino, non perché avessi freddo, per quello non ne avevo bisogno, bensì perché sentivo di doverlo fare.
Mi piaceva guardare il fuoco, osservarlo in tutto il suo splendore, il suo colore vivo, il suo movimento infinito e imprevedibile.
Un serpente scivolava lentamente sul mio braccio, stringendolo, ma senza stritolarlo.
La sua presenza, stranamente, mi incuteva sicurezza e potere in quella casa deserta e buia.*
E’ solo una sistemazione provvisoria* dissi con una strana cantilena e una esse trascinata.
Accarezzai Nagini, che ormai aveva raggiunto l’altezza delle spalle. Con la mano destra presi un calice, dentro il quale vi era un liquido dalla consistenza simile a quella dell’olio. Lo avvicinai alle labbra, come per berlo, e a quel punto vidi il mio riflesso, o meglio, quello di una figura pallida, quasi bianca, calva e dagli occhi rossi. Un essere famigliare, forse troppo, che dalla mia percezione visiva pareva fossi io.
E invece era Voldemort.

Mi svegliai all’improvviso, grondante di sudore. Cosa poteva significare tutto ciò?
Gurdai fuori dalla finestra:  il sole pallido di un giorno di luglio era nascosto da nubi che minacciavano pioggia e davano al cielo un aspetto tetro, di solitudine, malinconia e inadeguatezza, ma degli alberi spogli e tutto ciò che avevo visto non vi era traccia, se non nella mia mente.

Sentii qualcuno gridare da dietro la porta e battere violentemente i pugni  sull’uscio.  “HARRY POTTER!!!” *inutile ignorarlo: zio Vernon era capace di tutto, o forse lo era un tempo, quando ancora non sapeva che avrei frequentato Hogwarts.
In ogni caso, decisi di non infierire sulla sua rabbia, dopotutto non mi serviva a nulla farlo infuriare ancora di più.
Quindi presi gli occhiali e andai ad aprire la porta della mia camera, controvoglia. Girai la chiave e feci in modo che si aprisse, zio Vernon, dalla foga, quasi si lanciò contro di me, ma si trattenne non appena vide lo stato in cui riversavo.
“Ragazzo” borbottò, le sopracciglia inarcate, gli occhi ridotti a fessura e le rughe sulla fronte rese ancora più visibili dal  suo nuovo taglio di capelli; mi fissò come un ebete, poi si avvicinò, paonazzo;  attese qualche secondo, contemplandomi, poi riprese come scosso da un ricordo che dal nervoso gli procurò un tic all’occhio, che continuò ad aprire e chiudere come sotto incantesimo.
“Vai a farti una doccia e spicciati che voglio mangiare presto!” mi seguì con lo sguardo, poi avanzò dietro di me e mi diede una pacca sulla nuca, bofonchiando sotto i baffi.   Avrei voluto ribattere, ma quando mi girai, lui era già sparito in cucina, dalla sua cara dolce metà (psicologica e fisica).
Mi feci una doccia veloce, cercando di alleviare i postumi di un incubo insistente che non mi lasciava spazio ad altri pensieri.
Feci scendere prima l’acqua fredda, per scrollarmi di dosso quella sensazione di umido e il sudore che mi infastidiva, poi optai per una doccia più calda.
Girai la manovella e la mia pelle fu invasa da brividi nonostante la temperatura a cui era sottoposta.
Mi sentivo uno straccio: volevo solo riposarmi, ma nello stesso tempo, avevo paura di addormentarmi, per via di quello che sarebbe potuto succedere e  per quello che avrei visto.  Assecondai le richieste dei Dursley senza perdere troppo tempo, così mi ritrovai presto nella mia stanza.

Mi sedetti, o meglio, mi abbandonai disteso sul letto, armato di penna e pergamena: volevo, dovevo scrivere a qualcuno, qualcuno che mi ascoltasse e sapesse darmi buoni consigli. Ron ed Hermione non avevano ancora risposto all’ultima lettera che avevo spedito loro, e io avevo bisogno di una certezza il più presto possibile.
Decisi quindi di rivolgermi ad un’altra persona, anch’essa fidata: Luna.
Le raccontai del mio incubo subito dopo averle chiesto come stesse. Sì, forse era un atto da egoista, eppure, in quel momento, ero attanagliato da troppi dubbi pressanti, e l’ultima cosa che mi serviva era affogarmi in questioni inutili e di sfondo. Convenevoli a parte, andai subito al punto.*

“Cara Luna,
Come stai? Ho urgente bisogno di una tua risposta quantomeno rassicurante, anche solo un semplice “ciao” andrà bene, l’importante è che mi ascolti, so che mi posso fidare di te.
 […]
Mi raccomando non raccontare nulla ad Hermione, per adesso.
Grazie,
Harry”.

{...}

Dalla finestra non filtrava che un timido raggio di sole, l’ultimo, prima del suo tramonto definitivo, del quale ormai non si intravedeva altro che luci ed ombre, sempre più ombre, sempre più scuro, sempre più notte.
Il giorno se ne andava, e con esso, le vacanze estive.
Quando calò definitivamente il buio, sentii uno strappo al cuore a cui non sapevo che causa attribuire.
Non c’era un motivo, non uno, che ne spiegasse l’origine, no, ma forse perché ce n’erano troppi.
In quel momento ero in conflitto con me stesso, con ogni mia forza vitale.
Edvige non era ancora arrivata e io mi sentivo in bilico su un filo teso, legato alla speranza di sopravvivere determinata da una semplice risposta che sembrava non arrivare mai.
Come al solito, a me era concessa solo l’attesa, una lunga e inesorabile perdita di tempo durante la quale mi struggevo consapevole di non poter fare nulla per alleviare il dolore che l’ansia mi procurava.
La testa mi girava e avevo una strana voglia di urlare, o ancora, vomitare. Mi sentivo un peso sullo stomaco e, per quanto fossi stanco, non riuscivo a far a meno di continuare ad andare avanti e indietro per la camera.
Dopo non so quanto tempo, decisi di fermarmi. A quel punto mi accorsi di avere il fiatone e una grande sete. Presi dell’acqua che mi ero portato sul comodino e bevvi.
 Il bruciore alla gola si placò, ma non la sensazione di deserto dentro di me: avevo sete di verità, e a quanto pareva, in quel momento ero destinato a soffrirne, senza poterne godere un misero sorso.
Ero nervoso, e avevo paura.
Guardai fuori: la luna splendeva.
Io in quello spicchio riuscivo a vedervi solo un sorriso traditore, beffardo.
Volevo la mia rivincita, ed ero sicuro che l’avrei ottenuta, ma in quel momento tutto poteva aspettare.
Ad un certo punto mi sentii pesante, la testa ciondolava, gli occhi mi si chiudevano, ma non volevo addormentarmi: il mattino dopo mi sarei svegliato più invecchiato di un giorno e, anche solo mettere un piede fuori dal letto avrebbe voluto dire andare incontro al mio inesorabile destino.
Un destino che la fortuna non teneva in considerazione, che mi lasciava preda di un incostante desiderio di fuga e felicità del quale mi mostravo solo immagini, speranze, ma non fatti.
Ero frustato, la rabbia e il timore sembravano possedermi. Perchè a me?
Decisi di immergermi nella pulizia della mia valigia, cosa che non facevo da anni. 
Rovistai e scartai robacce inutili che misi da parte, sfogliai le pagine di quei libri che già mostravano le pieghe e il giallore dato dallo scorrere del tempo.
E mi imbattei in ricordi, un film di immagini che si muovevano mosse da sensazioni felici: se avessi incontrato un Dissennatore in quel momento, sicuramente non avrei perso lo scontro.
Sentii una voce che sapevo apparteneva ad Hagrid “Tu sei un mago, Harry”. E mi ero improvvisamente rivisto undicenne.
*Tu sei un mago, Harry*
 Da quel momento mi ero sentito vuoto, stordito, confuso. Per tutto il tempo passato ero stato costretto a subire gli effetti e le conseguenze di quelle menzogne così famigliari con le quali avevo convissuto. Ma perché? PERCHE’?
 
 Quelle parole continuavano a rimbombarmi non solo nella testa, ma tutto il corpo era pervaso da una strana sensazione. Se prima, con i Dursley mi sentivo un emarginato, adesso mi sembrava di essere proprio un estraneo.
 Tutto ciò era impossibile, incredibile, e io non sapevo dove e come muovermi: mi pareva di essere intrappolato in una finta realtà, che mi opprimeva e mi oscurava la mente.
Per anni, 11 interi anni, avevo vissuto in una sorta di bolla che mi escludeva dalla verità.

E ora, quella botta inaspettata e improvvisa mi aveva riportato su una strada che speravo di percorrere da solo, libero dalla prigione in cui ero stato rinchiuso senza aver commesso alcuna colpa, una cella dalla forma di una normale villetta inglese corrispondente al numero  4 di Privet Drive, Little Whinging, nel  Surrey.
Alzai gli occhi *Hagrid ma..* Troncai la frase a metà.
Se n’era andato. Non aveva più senso parlare, ero rimasto solo, ancora una volta, nuovamente abbandonato.
Intorno a me c’era un sacco di gente: donne, bambini, uomini.
Tutti che si divincolavano per passare, e correvano per i corridoi pur di conseguire il loro scopo, un fine che, dato il luogo, era rappresentato dall’arrivo e partenza di un treno, che li avrebbe portati chissà dove, chissà quando, ma sicuramente, avrebbe portato una svolta nella loro vita.
Anche io aspettavo quel momento, quella svolta:  volevo un futuro frutto delle mie scelte e delle mie decisioni, cosa che in passato mi era stato rifiutato.
Ed eccomi lì, in balìa di speranze e aspettative, immobile, perso fra la gente normale.
Come li aveva chiamati Hagrid? “Babbani”. Strano termine, non l’avevo mai sentito, ma a quanto pare, quello che credevo di conoscere era messo in dubbio da quella dimensione di cui io avevo negato l’esistenza.
Tu sei un mago, Harry.. un mago..

Era assurdo crederci, mi aveva preso alla sprovvista e, quella figura che buttava giù la porta, una specie di gigante che aveva messo a tacere i miei zii e aveva dato una sana lezione a Dudley, era ancora più bizzarra.
La sua comparsa era alquanto discutibile, ma io sapevo che lui era reale, e se invece fosse stato un sogno, allora io ci credevo, e  potevo dirlo a tutti.
All’inizio pensavo che fosse una bella cosa, strana, ma divertente; col passare del tempo, però, crebbe il senso di responsabilità  legato a quella stessa parola che da bambino mi aveva fatto sognare.
Se “mago” voleva davvero dire quello che avevo dovuto sopportare io tra troll, tradimenti, vittorie, sconfitte, incantesimi e morti, allora sì, lo ero. Ma fino a quale punto ero disposto a lottare?
Fino a quel momento avevo creduto di combattere qualcosa contro di me, ma se come aveva suggerito il mio incubo, il mostro aveva qualche collegamento con me, e io non ero altro che una pedina del suo gioco, allora tutto quello che avevo creduto non aveva più senso.
Era solo un piccolo castello di carta, una maschera.
Era “Harry” il pericolo contro cui dovevo lottare veramente?
Diedi un pugno al muro, la testa mi doleva e la cicatrice bruciava, avevo i nervi a fior di pelle.
Udii l’eco propagarsi una seconda volta, ma come constatai  poco dopo, ciò che avevo sentito non era il rumore delle mie ossa sul cartongesso, bensì lo scontro di una civetta sul vetro.
*Edvige!* 
Esclamai tutto d’un fiato.
Mi sentivo sollevato, e la mia gioia accrebbe non appena vidi che mi portava buone notizie: Luna mi aveva risposto.
Decisi di non raccontarle più niente tramite lettera, dovevo esporle i miei dubbi di persona, perciò scrissi:

“Luna,
Grazie. Troviamoci a Diagon Alley.
Decidi tu quando, ma ti prego, il prima possibile.
Harry “

Non mi fidavo molto di suo padre, certo, secondo quanto scriveva sul suo giornale, sembrava mi appoggiasse, eppure.. Troncai il pensiero sullo svolgersi, non dovevo pensare male della famiglia di Luna, dopotutto lei era una brava persona.
Sì, lo era, ma la mia sicurezza ricopriva solo lei; non avevo mai visto il signor Lovegood e non potevo dire che mi sarei affidato completamente a lui.*
  
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