Una breve one-shot scritta
di getto grazie ad un lampo di ispirazione. E’ anche
la mia seconda fanfiction su Naruto, e la prima con
un argomento “serio”. Enjoy!
Into the void
di Gan_HOPE326
Il bambino si svegliò bruscamente e
si ritrovò immerso nell’abbagliante luce del mattino.
Era sudato e pervaso da uno strano senso di malessere, come chi emerge da un
incubo di cui non ricorda bene la sostanza, ma la cui ombrosa presenza ancora
lo opprime e lo intristisce.
Si mise a sedere, mentre le sue
percezioni del mondo erano quelle, confuse e indefinite, del momento in cui
ancora non si è del tutto abbandonato il sonno. Scoprì di stare respirando con
affanno, pesantemente. Non era malato, però: piuttosto, si sentiva spossato,
sebbene si stesse svegliando da una intera notte di
sonno profondo. Gli sembrava di aver compiuto – anzi, di stare compiendo
tuttora – qualche gravoso sforzo fisico. Cercando di scuotersi di dosso questa
strana sensazione e gli ultimi brandelli di sonno, si alzò in
piedi, scosse la testa bruscamente.
La nausea improvvisa lo costrinse a
piegarsi in due, tornando a sedere sulle coperte, con le gambe molli.
Era successo qualcosa che non
capiva. Aveva semplicemente mosso la testa. Ci riprovò. Di nuovo, la nausea, un
senso di capogiro e vertigine. Era come quando, per gioco, come fanno tutti i bambini, si metteva a girare su sé stesso fino
a cadere a terra; ma questo era diverso, mille volte peggio. Gli bastava
spostare di un millimetro le pupille perché il mondo intero gli vorticasse intorno più e più volte. La testa gli girava fino
a fargli male e, quando tentò di scendere dal letto e alzarsi, dovette poggiare
prima il piede sul pavimento, tastarlo, per potere trovare un minimo di equilibrio. Si tirò su; barcollò. Intorno c’era tanta,
troppa luce, e non riusciva a distinguere bene la stanza. Credeva che fosse
ancora l’effetto dell’abbagliamento dovuto al brusco passaggio dal comodo buio
del sonno alla luce di quella splendente mattinata, ma ormai erano passati
diversi minuti da quando aveva aperto per la prima
volta gli occhi, e nulla cambiava. Sembrava quasi che la luce filtrasse
attraverso i muri della stanza, oltre ad entrare dalla finestra.
Mosse qualche incerto passo verso il
muro; o verso dove sapeva esserci il muro. Non vedeva nulla,
solo luce bianca, luce bianca ovunque. Poi sentì qualcosa che urtava
violentemente contro il suo volto e si ritrovò a terra, con il naso che perdeva
qualche goccia di sangue. Tese le mani. Il muro era lì: poteva toccarlo, era
solido e concreto, abbastanza da poterci sbattere contro. Sentiva sotto le dita
la ruvida carta da parati che lo rivestiva, passava i polpastrelli sulle sue
pieghe. Ma non lo vedeva. Cercò di
metterlo a fuoco, e d’un tratto provò un nuovo capogiro, ancora peggiore
di quello di prima. Il muro divenne bruscamente solido di
fronte a lui, con tanta rapidità e violenza da fargli temere che si stesse
materializzando solo per schiantarglisi addosso; poi
svanì di nuovo; barcollava avanti e indietro tra l’esistenza e la non
esistenza, e infine restò a mezza strada. Aleggiava nell’atmosfera come
un fantasma, trasparente, inconsistente ma nonostante tutto visibile, leggermente
tremolante.
Il bambino si ritrasse
improvvisamente terrorizzato. Il respiro, già affannato, gli si fece ancor più
rapido e spezzato. Il cuore accelerò bruscamente. Voleva vedere il resto della
stanza, scoprire se anch’essa si fosse fatta eterea
come il muro davanti a lui; pensò di voltare lo sguardo, e poi si rese conto,
sempre più spaventato, che non ne aveva
bisogno. Vedeva tutto ciò che lo circondava, intorno a sé. La stanza gli si
stendeva nella mente, l’intera vista della stanza, srotolata davanti ai suoi
occhi come una mappa. Nulla era più solido. Nulla fermava il suo sguardo. Un
inspiegabile e spettrale vuoto lo circondava, anzi, l’aveva divorato.
“Sono morto!” pensò, “Sono morto e sono diventato un fantasma!”
Ma poi vide il sangue, tenue come un
trasparente vetro rosso, gocciolare sulla sua mano cristallina dal naso
contuso. I fantasmi non perdono sangue. Lui era vivo. Era peggio, molto peggio.
Era qualcosa che non si poteva capire. A morire non era stato lui: era stato il
mondo.
“Il mondo è diventato un fantasma!”
Strizzò gli occhi, sperando di
trovare serenità nel buio, o che fosse tutto un sogno,
e di potersi svegliare così facendo. Era inutile, non si
sfuggiva. Anche le sue palpebre si erano fatte
inconsistenti, non gli nascondevano l’orribile vista di quell’incubo che era
diventata la realtà meglio di quanto avesse fatto un sottile velo di vapore. Si
rannicchiò a terra e cercò di piangere di paura; ma i suoi occhi, troppo tesi
nel sovrumano sforzo di afferrare tante inconcepibili visioni, non riuscivano a
far sgorgare le lacrime. La voce gli si era seccata in gola, e l’angoscia lo
aveva ormai attanagliato a tal punto da paralizzarlo. Notò un nuovo
particolare: persino il mondo sotterraneo che si stendeva ai suoi piedi, le
fondamenta della casa e ancora più giù, non aveva segreti per lui. Vedeva i
singoli vermi strisciare nella terra umida e profonda. Ne provò ribrezzo, ma una
cosa tanto piccola non poteva bastare ad aumentare ancor di più il suo già
enorme terrore.
-
Signorino,
si è svegliato?
Kino, la domestica che curava la pulizia
della sua stanza, entrò annunciandosi con la sua voce
squillante. Il bambino l’aveva già vista, lontana, oltre la porta, stagliata
contro il bianco che pervadeva tutto, che si avvicinava, ma non le aveva prestato attenzione. Ora che era entrata, concentrò la sua
attenzione su di lei, voltandosi di scatto a fissarla e tentando disperatamente
di metterla a fuoco. Che almeno lei diventasse
concreta! Il suo viso amico forse gli avrebbe regalato un po’ di serenità e
sarebbe stato un soccorso.
La vide definirsi meglio,
finalmente; ma quando fu completamente solida, il bambino lanciò uno strillo. Kino era diventata un mostro
emerso da qualche orrido incubo. Il suo aspetto era ondeggiante e mutevole come
lo scorrere di un fiume. La sua figura era ora vestita, ora
nuda; a volte il suo volto era visibile perfettamente, ma la carne del torace e
del ventre si faceva trasparente, rivelando grovigli di viscere schifosi e
pulsanti; altre volte gambe e braccia ondeggiavano, amputate, nell’aria,
sostenute da un corpo invisibile; o magari un corpo normale sosteneva un
teschio che, spaventoso, fissava il bambino con due liquidi e roteanti bulbi
oculari, confitti nelle orbite spalancate.
La domestica si fece più avanti, e
il bambino si ritrasse spaventato, trovò finalmente la forza di alzarsi in
piedi, fuggì via. Cominciò a correre nei corridoio
della grande casa, e vedeva intanto tutto il villaggio, intorno, vorticare
confuso ad ogni suo minimo movimento. Sbatté più volte, si ferì, non ci fece caso, continuò a correre. Voleva che finisse tutto, in
un modo o nell’altro. Gli andava bene anche morire sfinito da quella corsa
rovinosa che lo lasciava sempre più malconcio e dolorante: purché finisse. Intorno,
altri mostri come Kino erano emersi, cercavano di
fermarlo, gli gridavano di calmarsi. Volevano portarlo con
loro, pensò il bambino, portarlo con loro e trasformare anche lui in un
mostro. Erano arrivati i demoni durante la notte. Erano venuti a mangiare tutti
e a trasformare tutti in mostri, e solo lui era stato
risparmiato, chissà perchè.
-
Papà!
– chiamò disperato. – Papà!
E lo vide, suo padre. In fondo al
corridoio: un mostro anche lui. Il bambino cercò di sfuggire, ma venne afferrato.
- Calmati, ti prego, è tutto
a posto, ora finisce! Finisce subito!
Il bambino, allora, si strinse a
lui, abbracciandolo forte, più forte che poteva. Sentiva la tenerezza di quella
stretta, la stoffa morbida e le braccia che ora lo cingevano, sicure e
affettuose come sempre erano quelle di suo padre; ma vedeva ancora
lampeggiargli davanti, bruscamente, orride visioni di intestini
e ossa e muscoli e tendini.
Il padre premette le dita sul collo
del bambino, toccando pochi punti precisi; e all’improvviso il mondo tornò in
sé, alla sua solida normalità.
Il bambino riuscì finalmente a
piangere. Prese a singhiozzare con tanta violenza da mozzarsi il fiato. Lasciò
che la paura scorresse via con le lacrime mentre chiudeva
gli occhi e rivedeva, finalmente, il buio.
-
Sta’
tranquillo, Neji. – bisbigliò suo
padre, accarezzandolo - Non devi averne paura. Imparerai. Col tempo,
imparerai…
Il Byakugan,
l’abilità innata del clan degli Hyuga, viene in
genere sviluppata solo con lunghi e duri allenamenti, grazie ai quali è
possibile imparare ad esercitare il necessario controllo sul chakra.
Molto di rado
accade che alcuni soggetti particolarmente dotati riescano a svilupparlo
spontaneamente.
In questo caso l’abilità si manifesta intorno ai quattro-cinque
anni di età, senza che l’utilizzatore riesca ad
esercitare su di essa alcun controllo.