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Autore: Gan_HOPE326    29/09/2007    10 recensioni
Un bambino si sveglia.
E scopre che il mondo non esiste più.
Genere: Horror, Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Una breve one-shot scritta di getto grazie ad un lampo di ispirazione

Una breve one-shot scritta di getto grazie ad un lampo di ispirazione. E’ anche la mia seconda fanfiction su Naruto, e la prima con un argomento “serio”. Enjoy!

 

Into the void

di Gan_HOPE326

 

Il bambino si svegliò bruscamente e si ritrovò immerso nell’abbagliante luce del mattino. Era sudato e pervaso da uno strano senso di malessere, come chi emerge da un incubo di cui non ricorda bene la sostanza, ma la cui ombrosa presenza ancora lo opprime e lo intristisce.

Si mise a sedere, mentre le sue percezioni del mondo erano quelle, confuse e indefinite, del momento in cui ancora non si è del tutto abbandonato il sonno. Scoprì di stare respirando con affanno, pesantemente. Non era malato, però: piuttosto, si sentiva spossato, sebbene si stesse svegliando da una intera notte di sonno profondo. Gli sembrava di aver compiuto – anzi, di stare compiendo tuttora – qualche gravoso sforzo fisico. Cercando di scuotersi di dosso questa strana sensazione e gli ultimi brandelli di sonno, si alzò in piedi, scosse la testa bruscamente.

La nausea improvvisa lo costrinse a piegarsi in due, tornando a sedere sulle coperte, con le gambe molli.

Era successo qualcosa che non capiva. Aveva semplicemente mosso la testa. Ci riprovò. Di nuovo, la nausea, un senso di capogiro e vertigine. Era come quando, per gioco, come fanno tutti i bambini, si metteva a girare su sé stesso fino a cadere a terra; ma questo era diverso, mille volte peggio. Gli bastava spostare di un millimetro le pupille perché il mondo intero gli vorticasse intorno più e più volte. La testa gli girava fino a fargli male e, quando tentò di scendere dal letto e alzarsi, dovette poggiare prima il piede sul pavimento, tastarlo, per potere trovare un minimo di equilibrio. Si tirò su; barcollò. Intorno c’era tanta, troppa luce, e non riusciva a distinguere bene la stanza. Credeva che fosse ancora l’effetto dell’abbagliamento dovuto al brusco passaggio dal comodo buio del sonno alla luce di quella splendente mattinata, ma ormai erano passati diversi minuti da quando aveva aperto per la prima volta gli occhi, e nulla cambiava. Sembrava quasi che la luce filtrasse attraverso i muri della stanza, oltre ad entrare dalla finestra.

Mosse qualche incerto passo verso il muro; o verso dove sapeva esserci il muro. Non vedeva nulla, solo luce bianca, luce bianca ovunque. Poi sentì qualcosa che urtava violentemente contro il suo volto e si ritrovò a terra, con il naso che perdeva qualche goccia di sangue. Tese le mani. Il muro era lì: poteva toccarlo, era solido e concreto, abbastanza da poterci sbattere contro. Sentiva sotto le dita la ruvida carta da parati che lo rivestiva, passava i polpastrelli sulle sue pieghe. Ma non lo vedeva. Cercò di metterlo a fuoco, e d’un tratto provò un nuovo capogiro, ancora peggiore di quello di prima. Il muro divenne bruscamente solido di fronte a lui, con tanta rapidità e violenza da fargli temere che si stesse materializzando solo per schiantarglisi addosso; poi svanì di nuovo; barcollava avanti e indietro tra l’esistenza e la non esistenza, e infine restò a mezza strada. Aleggiava nell’atmosfera come un fantasma, trasparente, inconsistente ma nonostante tutto visibile, leggermente tremolante.

Il bambino si ritrasse improvvisamente terrorizzato. Il respiro, già affannato, gli si fece ancor più rapido e spezzato. Il cuore accelerò bruscamente. Voleva vedere il resto della stanza, scoprire se anch’essa si fosse fatta eterea come il muro davanti a lui; pensò di voltare lo sguardo, e poi si rese conto, sempre più spaventato, che non ne aveva bisogno. Vedeva tutto ciò che lo circondava, intorno a sé. La stanza gli si stendeva nella mente, l’intera vista della stanza, srotolata davanti ai suoi occhi come una mappa. Nulla era più solido. Nulla fermava il suo sguardo. Un inspiegabile e spettrale vuoto lo circondava, anzi, l’aveva divorato.

“Sono morto!” pensò, “Sono morto e sono diventato un fantasma!”

Ma poi vide il sangue, tenue come un trasparente vetro rosso, gocciolare sulla sua mano cristallina dal naso contuso. I fantasmi non perdono sangue. Lui era vivo. Era peggio, molto peggio. Era qualcosa che non si poteva capire. A morire non era stato lui: era stato il mondo.

“Il mondo è diventato un fantasma!”

Strizzò gli occhi, sperando di trovare serenità nel buio, o che fosse tutto un sogno, e di potersi svegliare così facendo. Era inutile, non si sfuggiva. Anche le sue palpebre si erano fatte inconsistenti, non gli nascondevano l’orribile vista di quell’incubo che era diventata la realtà meglio di quanto avesse fatto un sottile velo di vapore. Si rannicchiò a terra e cercò di piangere di paura; ma i suoi occhi, troppo tesi nel sovrumano sforzo di afferrare tante inconcepibili visioni, non riuscivano a far sgorgare le lacrime. La voce gli si era seccata in gola, e l’angoscia lo aveva ormai attanagliato a tal punto da paralizzarlo. Notò un nuovo particolare: persino il mondo sotterraneo che si stendeva ai suoi piedi, le fondamenta della casa e ancora più giù, non aveva segreti per lui. Vedeva i singoli vermi strisciare nella terra umida e profonda. Ne provò ribrezzo, ma una cosa tanto piccola non poteva bastare ad aumentare ancor di più il suo già enorme terrore.

-         Signorino, si è svegliato?

Kino, la domestica che curava la pulizia della sua stanza, entrò annunciandosi con la sua voce squillante. Il bambino l’aveva già vista, lontana, oltre la porta, stagliata contro il bianco che pervadeva tutto, che si avvicinava, ma non le aveva prestato attenzione. Ora che era entrata, concentrò la sua attenzione su di lei, voltandosi di scatto a fissarla e tentando disperatamente di metterla a fuoco. Che almeno lei diventasse concreta! Il suo viso amico forse gli avrebbe regalato un po’ di serenità e sarebbe stato un soccorso.

La vide definirsi meglio, finalmente; ma quando fu completamente solida, il bambino lanciò uno strillo. Kino era diventata un mostro emerso da qualche orrido incubo. Il suo aspetto era ondeggiante e mutevole come lo scorrere di un fiume. La sua figura era ora vestita, ora nuda; a volte il suo volto era visibile perfettamente, ma la carne del torace e del ventre si faceva trasparente, rivelando grovigli di viscere schifosi e pulsanti; altre volte gambe e braccia ondeggiavano, amputate, nell’aria, sostenute da un corpo invisibile; o magari un corpo normale sosteneva un teschio che, spaventoso, fissava il bambino con due liquidi e roteanti bulbi oculari, confitti nelle orbite spalancate.

La domestica si fece più avanti, e il bambino si ritrasse spaventato, trovò finalmente la forza di alzarsi in piedi, fuggì via. Cominciò a correre nei corridoio della grande casa, e vedeva intanto tutto il villaggio, intorno, vorticare confuso ad ogni suo minimo movimento. Sbatté più volte, si ferì, non ci fece caso, continuò a correre. Voleva che finisse tutto, in un modo o nell’altro. Gli andava bene anche morire sfinito da quella corsa rovinosa che lo lasciava sempre più malconcio e dolorante: purché finisse. Intorno, altri mostri come Kino erano emersi, cercavano di fermarlo, gli gridavano di calmarsi. Volevano portarlo con loro, pensò il bambino, portarlo con loro e trasformare anche lui in un mostro. Erano arrivati i demoni durante la notte. Erano venuti a mangiare tutti e a trasformare tutti in mostri, e solo lui era stato risparmiato, chissà perchè.

-         Papà! – chiamò disperato. – Papà!

E lo vide, suo padre. In fondo al corridoio: un mostro anche lui. Il bambino cercò di sfuggire, ma venne afferrato.

 - Calmati, ti prego, è tutto a posto, ora finisce! Finisce subito!

Il bambino, allora, si strinse a lui, abbracciandolo forte, più forte che poteva. Sentiva la tenerezza di quella stretta, la stoffa morbida e le braccia che ora lo cingevano, sicure e affettuose come sempre erano quelle di suo padre; ma vedeva ancora lampeggiargli davanti, bruscamente, orride visioni di intestini e ossa e muscoli e tendini.

Il padre premette le dita sul collo del bambino, toccando pochi punti precisi; e all’improvviso il mondo tornò in sé, alla sua solida normalità.

Il bambino riuscì finalmente a piangere. Prese a singhiozzare con tanta violenza da mozzarsi il fiato. Lasciò che la paura scorresse via con le lacrime mentre chiudeva gli occhi e rivedeva, finalmente, il buio.

-         Sta’ tranquillo, Neji. – bisbigliò suo padre, accarezzandolo - Non devi averne paura. Imparerai. Col tempo, imparerai…

 

Il Byakugan, l’abilità innata del clan degli Hyuga, viene in genere sviluppata solo con lunghi e duri allenamenti, grazie ai quali è possibile imparare ad esercitare il necessario controllo sul chakra.

Molto di rado accade che alcuni soggetti particolarmente dotati riescano a svilupparlo spontaneamente. In questo caso l’abilità si manifesta intorno ai quattro-cinque anni di età, senza che l’utilizzatore riesca ad esercitare su di essa alcun controllo.

 

  
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