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Autore: Haibara Stark    12/03/2013    1 recensioni
"Se fosse stato un po’ più attento, come era sempre solito fare, probabilmente Sherlock Holmes avrebbe sentito il cuore del dottore incrinarsi. Segretamente sperava di cogliere questo leggero suono, lo stesso che aveva fatto il suo di cuore quando aveva capito che non sarebbe riuscito a convincere il vecchio amico a restare, a non sposarsi. Ma lui non sapeva niente di sentimenti, era risaputo, e non si accorse di come esso ebbe invece prodotto un suono forte e sordo. " || Holmes lascia il Paese per seguire un caso ed al suo ritorno porta con sé una (s)gradita sorpresa al dottor Watson. Misteri, bugie e segreti. I nostri protagonisti si trovano ad affrontare i loro fantasmi, mentre un nuovo antagonista cospira avvolto nell'ombra.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
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Se fosse stato un po’ più attento, come era sempre solito fare, probabilmente Sherlock Holmes avrebbe sentito il cuore del dottore incrinarsi. Segretamente sperava di cogliere questo leggero suono, lo stesso che aveva fatto il suo di cuore quando aveva capito che non sarebbe riuscito a convincere il vecchio amico a restare, a non sposarsi. Ma lui non sapeva niente di sentimenti, era risaputo, e non si accorse di come esso ebbe invece prodotto un suono forte e sordo. Il caro buon dottore, dal canto suo, si sforzò di sorridere, cercando di dissimulare quel terribile mix di stupore, terrore e incredulità che stava provando. Per non parlare del dolore che lo  aveva colpito infondo allo stomaco. Passò lo sguardo da lui a lei più volte, sperano che il detective se ne uscisse che era tutto uno scherzo e che era stato uno spasso vedere il suo volto sbigottito. Ma ciò non avvenne.
“Mio caro Holmes, questa è una notizia incredibile!” Forzò maggiormente i muscoli facciali. “Deve avere delle splendide qualità per essere riuscita ad accalappiare il mio amico.” Disse rivolgendosi a Hope, alla quale strappò una risata cristallina.
“La ringrazio, dottor Watson, ma non mi ritengo una persona speciale.”
“Dovrebbe invece.” Spostò lo sguardo su Holmes, questa volta con un’espressione tale da potergli trasmettere i suoi pensieri. La cosa dovette dare i suoi frutti dato il repentino cambio di espressione del detective, che si voltò verso la moglie per sfuggire a quegli occhi di ghiaccio.
“Vieni cara, ti mostro le nostre stanze.”
Così dicendo la condusse nella sua camera da letto. Watson li osservò, pietrificato, finché non scomparvero dalla sua visuale. Continuava a ripetersi che non poteva essere vero, che Sherlock Holmes non era tipo da matrimonio e che, se fosse accaduto, certamente non lo avrebbe fatto a sua totale insaputa, con una donna che aveva conosciuto solo qualche giorno innanzi. La sua incredulità era totale e al contempo si sentiva offeso dal fatto che Holmes l’avesse tenuto all’oscuro di tutto e non lo avesse coinvolto. Gli balzò anche alla mente l’idea che in realtà non fosse partito per un caso, ma esclusivamente per sposare Miss. Hope, che, parlando francamente, era fin troppo giovane per lui. In quel momento provò un moto di rabbia verso di lui, ma anche verso sé stesso perché aveva creduto a quelle fandonie che lo avevano tenuto a Baker Street. Udì dei passi svelti e, tornando con lo sguardo sulla porta della stanza, vide che Holmes gli si stava avvicinando.
“Si spieghi.” Disse con tono pungente.
“Prego?” Rispose l’altro, fintamente perplesso.
“Lo sa benissimo.”
“In fede mia Watson, non so di cosa stia –”
“Sposato!” Alzò le braccia e il tono con fare esasperato. “Sposato, Holmes! Lei! E a mia insaputa!”
“Non sapevo di doverle rendere nota di tutto ciò che faccio.”
“Mi ritengo altamente offeso da questa affermazione!”
“Perché dovrebbe?”
“Perché dovrei! Sono suo coinquilino, collega e migliore amico da anni e non le è sovvenuto il dubbio che avrei voluto sapere delle sue nozze o farne parte?!”
“E’ stata una cosa molto informale…”
“Lei come al solito non mi ascolta!”
“Questo non è vero! Io ascolto sempre ciò che dice.”
“Oh, ma davvero? Allora mi dica, che cosa ho appena detto?”
“Che è geloso.”
“COS –??”
“Sherlock?”
Entrambi si voltarono verso la porta, dove Hope stava in piedi ad osservarli.
“Perdonatemi se vi interrompo, ma volevo chiederti se saresti  tanto gentile da venirmi a dare una mano.”
“Ma certamente!” Rispose prontamente il detective, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori, per poi raggiungerla a grandi falcate e chiudersi la porta alle spalle. Watson rimase sbigottito. Non aveva mai visto il suo amico comportarsi in tal modo e si chiese cosa avesse quella donna di tanto speciale. Strinse i pugni convulsamente  e andò a sedersi sulla sua poltrona, prendendo con un gesto stizzito il giornale dal tavolino. Lo aprì con fare deciso, stringendolo tra le mani con più forza dovuta e rischiando quasi di strapparlo in due. Cercò di concentrarsi sulla lettura, anche se si rivelò ardua cosa, e notò come i giornalisti continuassero a parlare con fervore dei vari furti avvenuti nel mese scorso. Non che la cosa lo stupisse. Erano avvenuti nelle case di alcuni dei più alti esponenti della città di Londra e nelle circostanze più misteriose. L’unica cosa certa era il nome con cui il ladro si faceva chiamare: the Man. Ad esser del tutto sinceri, il dottor Watson era rimasto stupito dal fatto che Holmes avesse declinato la richiesta d’aiuto degli yard in tal merito, quando, qualche giorno prima della sua partenza, avevano fatto visita al 221B. Ma aveva anche ritenuto che il motivo stesse nell’implicazione di Holmes in un caso di cui lui, invece, sapeva poco o niente. Provò una fitta allo stomaco a quel pensiero, collegandolo immediatamente al matrimonio. Come aveva potuto fargli un torto simile? Holmes era stato il primo a venir a conoscenza del suo fidanzamento con la sua compianta Mary e gli aveva fatto da testimone. Mentre lui, invece, non era stato messo a conoscenza di nulla. Ma se lo avesse saputo, come avrebbe reagito? Come si sarebbe sentito al riguardo? Ovviamente sarebbe stato felice per Holmes, anche se giustamente stupito. Il dottore si fermò su quel pensiero, fissando la pagina stampata senza batter ciglio. Quale immensa menzogna aveva appena detto a sé stesso.
Bussarono leggermente alla porta, facendolo riscuotere dai suoi pensieri.
“Avanti.”
Mrs. Hudson fece capolino nella stanza tenendo in mano un vassoio con sopra una teiera e tre tazzine facenti parte del suo servizio buono, insieme all’immancabile piatto coi biscotti. Si guardò intorno curiosa, certamente cercando Mrs. Holmes.
“Avete visto dottore? Che cosa incredibile!” Disse tutta concitata, mentre avanzava verso il tavolo. “Mr. Holmes sposato! Lei ne sapeva qualcosa?”
“No, niente.” Rispose lui con tono infastidito, guardandola da sopra il giornale.
“Non se la prenda a male. Lo conosce, sa com’è fatto.” Poggiò accuratamente il vassoio e poi si diresse verso la camera di Holmes. Bussò una volta. “Mr. Holmes? Volevo avvertire lei e la sua consorte che vi ho portato il tè e alcuni biscotti.” Parlò con tono gentile, lo stesso che solitamente riservava solo a Watson e mai al detective. Pareva che a Mrs. Hudson, rifletté il dottore, fosse piaciuta molto l’idea che Holmes si fosse finalmente sistemato. Ne ebbe la conferma quando tornò verso di lui sussurrando: “E’ proprio una cara ragazza. Molto gentile ed educata.” Sorrise ampiamente, per poi aggiungere, inarcando le sopracciglia: “Mi domando cosa abbia trovato in lui, ma certamente Mr. Holmes è stato molto fortunato.”
Mrs. Hudson non poteva certo immaginare che con quelle parole aveva provocato nel dottore ancor più malessere di quanto già non provasse. E se ne andò, borbottando qualcosa che somigliava molto a “Speriamo sia dotata di molta pazienza”. I coniugi Holmes non si mostrarono per il tè e nemmeno per la cena, portando la mente di Watson a vagare in vie che un gentiluomo non dovrebbe percorrere.
Il povero dottore dormì poco o niente, tanto era preso dagli avvenimenti che si erano verificati nel tardo pomeriggio, e, quando le lancette dell’orologio da taschino si soffermarono sui numeri nove e uno, decise che era inutile crogiolarsi ancora nelle calde coperte e nell’angoscia e si alzò. Nell’entrare in salotto per la colazione, rimase sorpreso nel vedere che Mrs. Holmes si trovava in piedi davanti alla finestra. Osservava con attenzione al di là del vetro, tenendo le mani giunte all’altezza del ventre. Aveva i capelli raccolti sulla nuca ed indossava un vestito dal corpetto color crema e la gonna color amaranto, che metteva in risalto la sottigliezza della sua vita. Si voltò verso di lui e si sciolse in un sorriso.
“Buongiorno dottor Watson.”
“Buongiorno Mrs. Holmes.” Il dottore sentì un groppo alla gola nel mentre pronunciava quelle ultime due parole.
“La prego, mi chiami Hope. Mrs. Holmes è così formale.”
“Come desidera.” Fece qualche passo verso il tavolo apparecchiato. “Holmes è in casa?”
“Oh no, è uscito molto presto stamane, ancor prima che io fossi scesa dal letto. Ma suppongo sia cosa normale data la sua inusuale abitudine al non dormire. E lei, dottore? Lei ha dormito?”
Si voltò a guardarla, accigliato, rimanendo sospeso nell’atto di sedersi.
“Prego?”
“Mi perdoni, tendo sempre a parlar troppo. Non volevo mancarle di rispetto o essere scortese. Ho solamente notato le leggere ombre sotto i suoi occhi ed ho pensato che non avesse avuto un buon sonno. Magari è dovuto al materasso. L’ho trovata anche un po’ rigida nei movimenti.”
Nel momento in cui l’ultima sillaba lasciò le sue rosee labbra, Watson capì cosa Holmes avesse trovato in lei. Ella era decisamente un’ottima osservatrice ed era riuscita a cogliere tutto alla perfezione. Questo, però, il dottore si premurò di non dirglielo, contrariato com’era ancora dalla sua presenza in quella casa, e si sedette, per poi imburrarsi un toast.
“Come vi siete conosciuti lei ed Holmes?” Domandò, fingendo non curanza, quando invece quella domanda gli premeva nelle tempie più di ogni altra cosa.
“Per un caso fortuito, oserei dire. Quante possibilità ci sono che due inglesi si incontrino in Francia durante le indagini di un caso?” Rise leggermente. Watson pensò che ce ne era una su un milione e che, sfortunatamente, proprio lei e il detective erano dovuti entrare in essa. Finì di stendere anche la marmellata e addentò il toast. Hope continuò: “Ci siamo conosciuti in albergo, durante una colazione come questa. Anche qui bisogna probabilmente parlare di fato, considerando le sue abitudini alimentari durante un caso.”
Più che di fato, bisognerebbe parlare di fatalità, pensò il dottore, che cercò di scacciare immediatamente quel pensiero.
“Una vera fortuna.” Disse, invece, alzando lo sguardo su di lei. Nel momento in cui i loro occhi si incrociarono, notò che c’era una strana lucentezza in quelli di lei. Erano, avrebbe potuto giurarlo, tinti di malizia e in quel momento mal si accostavano al suo perfetto sorriso di bambola. Poi un battito di ciglia e tutto svanì. Restarono solo i suoi splendidi occhi color nocciola.
“Sono d’accordo con lei.”
Watson pensò di essere semplicemente prevenuto nei suoi confronti e che fosse stato frutto della sua malcelata insofferenza verso di lei. Si rese conto di essere stato vistosamente troppo freddo e sperò che Hope giustificasse tale comportamento con un nervosismo provocato dalla mancanza di sonno.
“E’ stato un incontro molto romantico ed azzarderei quasi fiabesco.” Si affrettò a dire. “Dev’esser molto orgogliosa nel raccontarlo.”
“Ed infatti lo sono.” Si mosse dalla finestra, camminando sinuosamente verso la libreria e incominciò ad accarezzare i libri con lo sguardo, tenendo le braccia incrociate sotto il seno. Il dottore la guardò ancora un attimo, per poi rivolgere totalmente la sua attenzione alla colazione.
 
•••

I giorni scorsero veloci e John Watson dovette riconoscere nella nuova coinquilina una piacevole compagnia. In quel periodo Holmes raramente si faceva trovare a Baker Street, portando i due a passare amabilmente le giornate insieme conversando degli argomenti più svariati, che finivano sempre, inevitabilmente, nello sfociare  in aneddoti riguardanti il detective.
Hope era una donna di larghe vedute e dalla buona cultura, di cui metteva sfoggio in ogni argomentazione senza mai vantare superiorità della sua conoscenza, come era solito fare, invece, il marito. Mrs. Hudson, come già premesso, l’aveva presa in simpatia, del tutto ricambiata da Mrs. Holmes, che si adoperava anche ad aiutare la padrona di casa in cucina e nelle faccende. Se si fosse dovuto darle un aggettivo, quello sarebbe stato perfetta. Ma nessuno lo è mai realmente. Ed era esattamente quello che stava pensando il dottore, quel pomeriggio di metà Febbraio, mentre osservava di tralice Hope, che leggeva stando compostamente seduta sul divano. C’era sempre qualcosa d’affettato nei suoi gesti, che li rendeva quasi inumani, e, quando si rivolgeva a lui in special modo, nelle sue parole una cadenza quasi divertita. A volte Watson si era ritrovato a immaginarla su un palcoscenico tanta era forte la sua impressione che stesse recitando una parte. Ma non sempre era così. Accadeva quando si sedevano insieme in quel salotto e chiacchieravano del più e del meno. I suoi gesti, le sue parole, i suoi sorrisi, divenivano morbidi e naturali e a lui tornavano alla mente le sue serate a Cavendish Place passate con Mary.
“C’è qualcosa che la turba, dottore?” Domandò, senza spostare gli occhi dal libro. Il dottore non si sorprese affatto. Era troppo abituato ai comportamenti di Sherlock Holmes e Hope in questo gli somigliava molto.
“No, alcunché, Hope.”
Passarono altri giorni, ma la strana sensazione di sospetto che provava nei confronti di lei non parevano essere intenzionati a lasciarlo e i suoi propositi di parlarne col vecchio amico cadevano sempre a vuoto, per via che passava la maggior parte del suo tempo fuori, evidentemente ad investigare su qualcosa, ed in compagnia della moglie, provocando sempre fastidio nel dottore. Fu in una sera di Marzo che le cose iniziarono ad avere finalmente delle risposte.

•••

  
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