Anche
se il titolo rimanda a quello dell’omonima serie televisiva non ha
niente in comune.
Quando ho iniziato a scriverla, su Rai 2 mandavano costantemente in onda la pubblicità di questa e di Castel, per cui,
quando mi sono trovata a dover decidere quale titolo dare alla storia, la mia mente era completamente soggiogata da tali pubblicità e, sinceramente, mi è parso il titolo più congeniale.
Buona lettura.
The Good Wife.
| Sherlock Holmes movieverse | Long | Slash, Het | Arancione | Conan Doyle, Guy Ritchie © |
Quando ho iniziato a scriverla, su Rai 2 mandavano costantemente in onda la pubblicità di questa e di Castel, per cui,
quando mi sono trovata a dover decidere quale titolo dare alla storia, la mia mente era completamente soggiogata da tali pubblicità e, sinceramente, mi è parso il titolo più congeniale.
Buona lettura.
The Good Wife.
| Sherlock Holmes movieverse | Long | Slash, Het | Arancione | Conan Doyle, Guy Ritchie © |
Londra
dormiva alla luce tiepida dei lampioni, leggermente offuscata dalla
tenue nebbia di Febbraio. Passi sordi e affrettati risuonavano nella
via ormai deserta. Il ragazzo correva a perdifiato, cercando di
seminare colui che da bambini chiamiamo l’Uomo Nero. Corse finché
poteva, finché fu certo di essere seguito soltanto dalla sua ombra;
respirava l’aria fredda della notte, guardando con circospezione
d’intorno da sotto la visiera del berretto. Ingoiò un sospiro di
sollievo quando si rese conto che ce l’aveva fatta, era riuscito a
sfuggire alla minaccia. Almeno per
stavolta. Tornò ad osservare la strada, questa volta per cercare
di capire dove la fuga lo aveva portato. Vide un uomo camminare in
senso opposto al suo, avvolto da volute di fumo create dalla sigaretta
che teneva tra le dita. Lo osservò per un po’ prima di schiarirsi la
voce.
“Scusi, sir. In che via ci troviamo?”
L’uomo si fermò, voltandosi verso di lui e soffermando lo sguardo sui suoi abiti sgualciti e sporchi di fuliggine.
“Baker Street, ragazzo.” Rispose, per poi continuare per la sua strada.
“Baker Street.” Ripeté in un sussurro il ragazzo e sulle sue labbra nacque un sorriso compiaciuto. Si avviò a passi lenti, con lo sguardo che scorreva docilmente sulle porte dei palazzi. Ad un tratto si fermò, osservando attentamente il numero civico 221B; alzò gli occhi verso la finestra del primo piano e vide che la luce era ancora accesa oltre la spessa coltre di tende. Si avvicinò alla porta ed alzò un pugno per bussare, ma esitò. Abbassò nuovamente il braccio e, dando una veloce occhiata intorno, infilò la mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse una forcina. Forzò con cautela la serratura ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, per poi avviarsi silenziosamente verso le scale. Salì con le movenze di un gatto fino a raggiungere il piano superiore. Quando si trovò davanti alla porta dell’appartamento esitò di nuovo, ma una voce all’interno lo invitò ad entrare. Il ragazzo sussultò leggermente, ma non tergiversò oltre. Afferrò la maniglia ed entrò. Scorse con gli occhi il salotto in cui si ritrovò, per soffermarli poi sulla figura in piedi accanto alla finestra.
“Entrare nelle case altrui in tal modo è un reato, sa?” Domandò l’uomo, con lo sguardo sempre rivolto verso la strada.
“Lo so. E ne sono costernato.” Rispose il ragazzo. “Ma volevo evitare di svegliare più gente di quanto non fosse necessaria.”
L’uomo si voltò a guardarlo. Scrutò con attenzione il suo aspetto, in ogni minimo dettaglio. Ogni piega sui suoi abiti, ogni macchia di fuliggine e di fango sulla suola delle scarpe. Ma più di ogni altra cosa si soffermò sui lineamenti gentili del suo viso, semi nascosto dall’ombra del cappello.
“Che cosa la porta qui a quest’ora della notte, Miss?”
Il ragazzo sorrise compiaciuto. “Non potevo aspettarmi di meglio da lei, Mr. Holmes.”
“Scovare gli inganni è il mio mestiere. Anche se devo ammettere che ha fatto un ottimo lavoro. Il silicone, poi, è un vero tocco di classe.”
“Ho avuto degli ottimi maestri.”
Sherlock Holmes si mosse ed andò a sedersi sulla sua poltrona, accavallando le gambe e intrecciando le dita.
“Or dunque. Perché si trova qui?”
“E’ una storia piuttosto lunga.”
“Ho tutto il tempo del mondo.”
“Sono molto lieta di sentirglielo dire.”
Con un rapido gesto della mano si tolte il cappello e una cascata di capelli scuri le ricaddero sulle spalle. Scosse leggermente la testa per farli tornare in ordine e, mentre prendeva posto su una sedia davanti al detective, rimosse dalla mandibola e dagli zigomi una sostanza gommosa, mostrando il suo vero volto. Puntò gli occhi ambrati in quelli del detective.
“Bene. Cominciamo.”
“Scusi, sir. In che via ci troviamo?”
L’uomo si fermò, voltandosi verso di lui e soffermando lo sguardo sui suoi abiti sgualciti e sporchi di fuliggine.
“Baker Street, ragazzo.” Rispose, per poi continuare per la sua strada.
“Baker Street.” Ripeté in un sussurro il ragazzo e sulle sue labbra nacque un sorriso compiaciuto. Si avviò a passi lenti, con lo sguardo che scorreva docilmente sulle porte dei palazzi. Ad un tratto si fermò, osservando attentamente il numero civico 221B; alzò gli occhi verso la finestra del primo piano e vide che la luce era ancora accesa oltre la spessa coltre di tende. Si avvicinò alla porta ed alzò un pugno per bussare, ma esitò. Abbassò nuovamente il braccio e, dando una veloce occhiata intorno, infilò la mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse una forcina. Forzò con cautela la serratura ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, per poi avviarsi silenziosamente verso le scale. Salì con le movenze di un gatto fino a raggiungere il piano superiore. Quando si trovò davanti alla porta dell’appartamento esitò di nuovo, ma una voce all’interno lo invitò ad entrare. Il ragazzo sussultò leggermente, ma non tergiversò oltre. Afferrò la maniglia ed entrò. Scorse con gli occhi il salotto in cui si ritrovò, per soffermarli poi sulla figura in piedi accanto alla finestra.
“Entrare nelle case altrui in tal modo è un reato, sa?” Domandò l’uomo, con lo sguardo sempre rivolto verso la strada.
“Lo so. E ne sono costernato.” Rispose il ragazzo. “Ma volevo evitare di svegliare più gente di quanto non fosse necessaria.”
L’uomo si voltò a guardarlo. Scrutò con attenzione il suo aspetto, in ogni minimo dettaglio. Ogni piega sui suoi abiti, ogni macchia di fuliggine e di fango sulla suola delle scarpe. Ma più di ogni altra cosa si soffermò sui lineamenti gentili del suo viso, semi nascosto dall’ombra del cappello.
“Che cosa la porta qui a quest’ora della notte, Miss?”
Il ragazzo sorrise compiaciuto. “Non potevo aspettarmi di meglio da lei, Mr. Holmes.”
“Scovare gli inganni è il mio mestiere. Anche se devo ammettere che ha fatto un ottimo lavoro. Il silicone, poi, è un vero tocco di classe.”
“Ho avuto degli ottimi maestri.”
Sherlock Holmes si mosse ed andò a sedersi sulla sua poltrona, accavallando le gambe e intrecciando le dita.
“Or dunque. Perché si trova qui?”
“E’ una storia piuttosto lunga.”
“Ho tutto il tempo del mondo.”
“Sono molto lieta di sentirglielo dire.”
Con un rapido gesto della mano si tolte il cappello e una cascata di capelli scuri le ricaddero sulle spalle. Scosse leggermente la testa per farli tornare in ordine e, mentre prendeva posto su una sedia davanti al detective, rimosse dalla mandibola e dagli zigomi una sostanza gommosa, mostrando il suo vero volto. Puntò gli occhi ambrati in quelli del detective.
“Bene. Cominciamo.”
•••
Era
una tiepida giornata di sole ed un’ inusuale pace aleggiava negli
appartamenti del 221B di Baker Street. Mrs. Hudson, la padrona di casa,
tendeva sempre a godersi il più possibile quei momenti di assoluto
silenzio e tranquillità, prendendosi una pausa dalle stramberie di Mr.
Holmes. Erano le sei del pomeriggio e il bollitore del tè aveva appena
cominciato a fischiare quando la porta esterna si aprì lasciando
entrare uno degli affittuari, il dottor John Hamish Watson. Di ritorno
dal suo giro di visite, il dottore si avviò stancamente su per le
scale, aiutandosi col suo bastone da passeggio, e assaporando anche lui
quel tranquillo silenzio. Solitamente quell’assenza di suoni lo avrebbe
allarmato, ma il suo amico e coinquilino Sherlock Holmes era partito
per la Francia ormai da quasi più di una settimana, quindi non c’era
alcun motivo di preoccuparsi. Sarebbe voluto partire anche lui per
affiancarlo in quel caso che tanto lo esaltava, ma Holmes, per la prima
volta da quando si conoscevano, aveva insistito perché restasse a
Londra. Aveva giustificato il tutto dicendo che in questa occasione
avrebbe agito meglio da solo e che non voleva metterlo nuovamente in
pericolo. E lui gli credette. Per questo motivo ora Watson si trovava
seduto nella sua comoda poltrona in Baker Street e Holmes era in
qualche punto impreciso del territorio franco. Incolume, sperò il dottore. Sospirò
e si rilassò contro la spalliera della poltrona, chiudendo gli occhi.
Watson non seppe quantificare il tempo passato in quella posizione,
quando udì del trambusto provenire dal piano di sotto. Si rizzò a
sedere con le orecchie tese, riuscendo a cogliere tre voci distinte di
cui due, ne era certo, erano di Mrs. Hudson e Holmes. La porta
dell’appartamento si spalancò di scatto, facendo mostra di un Holmes
borbottante che stringeva in mano la valigia.
“Watson!” Esclamò con un sorriso quando alzò lo sguardo su di lui. “E’ un vero piacere rivederla!”
“Holmes” Disse l’altro. “Smetterà mai di tormentare la povera Mrs. Hudson?”
“Povera, ah! E’ sempre lei la povera, vero? Mai che si parli del povero Holmes!”
“Non faccia il melodrammatico –”
Il dottore interruppe il discorso sul nascere, quando, sulla soglia, vide comparire una giovane donna. Era piccola di statura e di corporatura minuta, ma sotto le stoffe cerulee del vestito erano ben riconoscibili le morbide curve dei seni e dei fianchi. Il viso sottile era incorniciato dai lunghi capelli scuri, che le ricadevano sulle spalle, e le labbra rosee erano piegate in leggero sorriso rivolto all’uomo seduto in poltrona. Quest’ultimo si alzò, come ogni gentiluomo che si rispetti, tenendo gli occhi color cielo in quelli nocciola e screziati d’ambra di lei. Holmes passò lo sguardo da l’uno all’altra per poi esclamare: “Oh, giusto!”
Prese la mano sinistra di lei e la fece avanzare nella stanza fino ad averla al suo fianco.
“Watson, voglio presentarle Hope. Mia moglie.”
“Watson!” Esclamò con un sorriso quando alzò lo sguardo su di lui. “E’ un vero piacere rivederla!”
“Holmes” Disse l’altro. “Smetterà mai di tormentare la povera Mrs. Hudson?”
“Povera, ah! E’ sempre lei la povera, vero? Mai che si parli del povero Holmes!”
“Non faccia il melodrammatico –”
Il dottore interruppe il discorso sul nascere, quando, sulla soglia, vide comparire una giovane donna. Era piccola di statura e di corporatura minuta, ma sotto le stoffe cerulee del vestito erano ben riconoscibili le morbide curve dei seni e dei fianchi. Il viso sottile era incorniciato dai lunghi capelli scuri, che le ricadevano sulle spalle, e le labbra rosee erano piegate in leggero sorriso rivolto all’uomo seduto in poltrona. Quest’ultimo si alzò, come ogni gentiluomo che si rispetti, tenendo gli occhi color cielo in quelli nocciola e screziati d’ambra di lei. Holmes passò lo sguardo da l’uno all’altra per poi esclamare: “Oh, giusto!”
Prese la mano sinistra di lei e la fece avanzare nella stanza fino ad averla al suo fianco.
“Watson, voglio presentarle Hope. Mia moglie.”
•••