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Autore: Glenda    29/09/2007    1 recensioni
Lethia Ballard fa l'investigatrice virtuale e viene ingaggiata da una potente corporazione per un incarico delicato: trovare e intrappolare uno scissista, ovvero un pericoloso hacker dotato di poteri esp, che riesce a vagare nella rete scindendo la propria mente dal corpo. Ma l'incontro con Kevin Lockport è diverso da come lo immaginava e l'uomo le rivela qualcosa di completamente inaspettato...Dove porteranno le indagini di Lethia? E cosa c'entra in questa faccenda di inganni e potere l'ingenuo ragazzo biondo uscito da un lungo coma, che fa l'antiquario in una bottega che pare fuori dal mondo e dal tempo? Giallo cyberpunk con elementi sovrannaturali. VERSIONE RIVISTA E CORRETTA DELLA FAN FICTION POSTATA LA PRIMA VOLTA NEL 2007.
Genere: Science-fiction, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 8

 

Lei sorrise, tendendo le mani verso di lui. Ma lui non era lui, e quelle non erano le sue mani.

Però si scaldava in quel sorriso, e non riusciva a smettere di guardarlo. Lei ruotava su se stessa e rideva fresca, con gli occhi leggermente strizzati e la larga gonna che le volava attorno: lunghi capelli rossi le incorniciavano il viso.

“Dai, balla con me!” lo chiamava “Sei sempre così serio, amore!”

Dewy cercò di raggiungere quelle mani, ma la visione scomparve. Non conosceva quella donna che lo chiamava “amore”, ma qualcosa dentro di lui la stava amando.

Dal buio emerse un'ombra: l'ombra era alta e lunga, e teneva in mano una pistola. Una chiazza di sangue si allargò fino ai suoi piedi. Cercò di arretrare, ma le sue gambe non riuscivano a muoversi.

Davanti a lui c'era un uomo, disteso a terra. Un uomo giovane, con gli occhi spalancati e un buco in fronte. L'ombra lunga troneggiava su di loro.

Dewy lottò contro la forza che lo teneva bloccato, e cominciò a correre.

Sulla sua traiettoria si stagliò un enorme scaffale, fatto di piccoli cassetti, ciasuno contrassegnato da una targhetta bianca. Una serie di numeri gli danzavano fluttuanti davanti agli occhi.

Poi udì una voce femminile, dritta nella testa, pungente come un ago.

“...Ed ora dimmi chi sei!”

Dewy sentì un formicolio invadergli il cranio, e scendere lungo la colonna vertebrale fino alle braccia e alle gambe. Un gelo pervase il suo corpo, come se il sangue nelle sue vene fosse improvvisamente diventato un flusso di acqua ghiacciata. Si mise a gridare.

Esci!” si sentì gridare nella mente “Esci subito: basta che tu lo pensi!”

Uscire? Da dove? In che modo? E chi era l'uomo che gli stava parlando?

Poi una forza lo afferrò: fu come il risucchio d'un mulinello, il reflusso di un'onda.

E lo sbattè a terra.

 

“Ahi!”

La sua mano corse alla tempia, che pulsava dolorosamente.

Era lungo disteso sul pavimento di camera, e aveva battuto la testa nello spigolo del comodino. Come aveva fatto a cadere in modo tanto stupido? E da dove era venuto quella specie di sogno? Si tirò su a sedere, continuando a massaggiarsi il punto leso. S'accorse che gli tremavano forte le mani.

Forse Lethia aveva ragione: doveva vedere al più presto un medico.

All'inizio, aveva dovuto combattere solo con quelle fastidiose interferenze, ma, ultimamente, gli stavano accadendo cose che avevano cominciato a fargli paura. Gli pareva di avere dei continui vuoti di memoria, delle assenze che venivano riempite da visioni che non riusciva a ricollegare a nessuno dei suoi ricordi. E tutte le volte c'erano quella donna e quel grosso scaffale scuro.

Si fece appoggio al comodino per rimettersi in peidi, ma i suoi polpastrelli avvertirono una sensazione insolita come se la superfice levigata di quel mobile antico fosse diventata all'improvviso ruvida.

“Ma che diavolo...”

Si curvò sul ripiano e notò che il pregiato legno di noce era stato barbaramente inciso con qualcosa di tagliente: si chinò a guardarsi attorno, e scoprì, sotto il letto, il coltello a punta fine che usava per gli intagli.

“Non è possibile...” balbettò a mezza voce “non posso essere stato io...”

Non era nemmeno la sua calligrafia, infatti. Qualcuno aveva inciso un messaggio sul suocomodino, con il suocoltello! Cercò di decifrare quelle lettere spigolose, tracciate in malo modo.

Dolly Ebbs, wellington road 51, Princo.

“Una donna. Chi sarà mai...?” sussurrò Dewy fra le labbra. Aveva sentito tante storie sulle esperienze paranormali vissute da malati in coma: la dottoressa Lynch gli aveva raccontato di un paziente che ricordava d'aver fluttuato nella stanza e d'aver visto il proprio corpo immobile nel letto, di una ragazza che diceva d'aver inseguito una luce bianca e di essere stata richiamata indietro dalla mano del suo uomo, e molte altre storie; ma gli aveva anche spiegato che la veridicità di queste visioni non era dimostrabile, e che lei, personalmente, credeva fossero frutto di suggestione. Tuttavia, l'intera equipe della clinica Bluesummers aveva dovuto riconoscere che il caso di Dewy si avvicinava veramente al concetto di miracolo, e al momento non possedevano gli strumenti scientifici per spiegarlo.

“Princo...” rifletté “se non sbaglio, non è lontanissimo...”

Scese in soggiorno e aprì il vecchio stradario. Non lo consultava da quattro anni, e c'era la possibilità che qualcosa fosse cambiato, specie con la velocità alla quale venivano costruite nuove strade e interi nuovi quartieri: ma Princo era un sobborgo alla periferia nord di Reole, e ci arrivava la ferrovia. Era domenica, non doveva andare a lavoro, e, se prendeva la metro per la stazione e trovava una buona coicidenza, aveva la possibilità di essere lì in qualche ora.

Senza pensarci troppo su, infilò lo stradario nello zaino, si legò una felpa in vita, e lasciò un biglietto sulla tavola.

“Faccio un giro in città. Torno stasera per cena. Dewy”

 

Lethia era stordita.

La velocità di quel misterioso scissista era impressionante. Ma soprattutto, i suoi movimenti erano così poco sensati da essere imprevedibili. Un attimo prima era nell'archivio della Omega, un attimo dopo vagava per Zeus senza direzione, un attimo dopo ancora spariva, per ricomparire pochi secondo più tardi, e poi dissolversi di nuovo...Sembrava una luce a intermittenza impazzita, ma ciò che spaventava Lethia, era che lo studio dei suoi parametri evidenziava potenzialità stupefacenti. Se veramente avesse voluto accedere ai dati come aveva fatto Lockport, lo scontro con lui si sarebbe presentato molto interessante...Ma, fino ad allora, lo sconosciuto non aveva fatto alcuna mossa, e questo le impediva di analizzare a fondo le sue effettive capacità.

“Eccoti di nuovo! Ma si può sapere dove vuoi andare?”

La presenza era di nuovo lì, davanti all'archivio della Omega. Lethia attivò un programma che le permettesse di evidenziare la sua proiezione in rete, ma fu inutile: probabilmente quello scissista non ne possedeva una. Strano. Che non avesse forza sufficiente per materializzarla? Gli sembrava inverosimile. E se fosse stato solo privo di esperienza? Questo poteva spiegare la convivenza, in lui, di ottime potenzialità ed evidente sprovvedutezza...Certo, però, che era strano per un uomo come Lockport essersi scelto un complice alle prime armi!

“Niente da fare, caro...stavolta mi dirai chi sei!”

Aveva potenziato la velocità della sua funziona paralizzante, a discapito della buona tenuta. La rapidità con cui il bersaglio si muoveva l'aveva costretta a privilegiare quest'aspetto, o non lo avrebbe mai immobilizzato. Attivò il programma sul suo obiettivo: la barra di controllo gli indicò che l'attacco era andato a segno.

“Ed ora dimmi chi sei...!”

Con la forza del suo potere, entrò nei suoi pensieri.

E Fu allora che avvenne ciò che mai si sarebbe aspettata.

La voce di Kevin Lockport, bella e decisa come se la ricordava, le attraversò la testa con chiarezza.

Esci! Esci subito: basta che tu lo pensi!”

Il led del programma paralizzante si spense. Qualcosa lo aveva distattivato.

“Lockport!!!” gridò Lethia “Dannazione! Lockport, dove sei?”

Non rispose nessuno: anche il misterioso scissista era sparito.

“VAFFANCULO!!!”

La ragazza sbattè gli occhiali scheramenti sul divano, e colpì ripetutamente il bracciolo con il pungo “Vaffanculo, maledetto! Come fai ad essere ancora vivo? CHE COSA CAZZO SEI, LOCKPORT???”

Tolse dalla testa Ladybird e la collegò al computer: non aveva subito attacchi, dunque tutti i suoi dati dovevano essere rimasti, teoricamente, salvati. Poteva provare a rintracciare la posizione da cui aveva operato lo scissista, e sperò di poter circoscrivere il campo più di quanto avesse fatto l'ultima volta.

 

Dewy scese dal treno a mezzogiorno: il sole batteva alto sulla minuscola stazione di Princo.

“Che strano posto...” pensò.

Sulla pensilina non c'era nessuno, tranne un barbone che dormiva coperto di stracci: non era certo la persona più adatta a cui chiedere indicazioni. Si lasciò il piccolo edificio cadente alle spalle, e passeggiò verso il paese; quel luogo avrebbe probabilmente messo a disagio chiunque, ma non lui: le strade e le case avevano sapore d'antico, probabilmente avrebbero avuto un valore, se qualcuno gliene avesse dato. Se qualcuno avesse ancora pensato che le cose vecchie erano belle non per ragioni estetiche, ma per le mille storie che potevano raccontare.

Guardandosi in giro, Dewy si rese subito conto che l'età media degli abitanti superava la sessantina: forse anche quello, come il suo paese, era un quartiere dormitorio ed i giovani erano tutti a lavoro; o forse tra quelle casupole si erano rifugiati pensionati nostalgici in cerca di un affitto sostenibile e di un po' di tranquillità.

Trovare la via dell'indirizzo fu più facile del previsto: era una delle strade principali che tagliavano in quattro la pianta della cittadina. L'intonaco cadeva a pezzi dai muri e le persiane sgangherate erano tutte chiuse o semi chiuse, mentre da pochi balconi ondeggiavano al vento lenzuola ingiallite.

“Ebbs...Ebbs...” mormorava Dewy tra sé cercando di leggere i nomi sul campanello. Non trovò niente: due sole targhette avevano un nome, le altre erano vuote. Provò a suonarle una per una, senza ricevere risposta, ma poco dopo una tapparella al terzo piano si sollevò cigolando.

“Chi è lei...?”

Il ragazzo alzò la testa e vide una donna con una pezzola in capo affacciartsi alla finestra: poteva avere poco più di cinquant'anni, ma il suo viso era smunto e sciupato.

“Io...” balbettò Dewy, preso da un improvviso imbarazzo “Mi...mi chiamo Dewy Hollis, e sto cercando la signora Ebbs...”

La donna parve colta sul vivo: sollevò un sopracciglio e lo squadrarò da capo a piedi.

“E perché mai la cerchi?”

Già. Perché la cercava? Nemmeno lui lo sapeva. Ma non voleva mentire: quel viso diffidente gli stava chiedendo la verità, non una stupida scusa.

“La cerco...perché continuo a sognare una ragazza dai capelli rossi, e voglio scoprire chi è..!”

La signora lo fissò per un lungo istante, poi scomparve dalla finestre. Un attimo dopo, il portone pricnipale si aprì, e lei si affacciò sulla soglia.

“Vieni dentro” disse.

 

La macchina di Lethia, a dispetto del vetro incrinato, correva veloce, per quanto le strade malandate glielo consentissero, verso il molo di Seaside Corner. Non riusciva a credere a ciò che i suoi dati le avevano rivelato: non era possibile che lo strano ragazzo biondo e il suo bizzarro padre fossero complici di Kevin Lockport! Diavolo, Dewy non sapeva neppure cos'era un'interferenza neurale...come poteva essere uno scissista? E Abrham Hollis le aveva confessato di disprezzare la tecnologia: che fosse stata una menzogna per depistarla? Proprio non riusciva ad accettare questa ipotesi! Dewy era la persona con cui si era sentita più a proprio agio in vita sua: non voleva scontrarsi con lui. Tuttavia, per sicurezza, aveva portato con sé una piccola pistola automatica, che teneva nella tasca interna della giacca.

“Oh...la signorina Lethia!” la accolse cordialmente Abrahm “Non immaginavo di rivederla tanto presto!”

Erano passati solo pochi giorni dal loro incontro.

“Dov'è Dewy?”

“Vorrei saperlo. Sarà andato a fare un giro dei suoi. Quel benedetto ragazzo si diverte a farmi stare in pensiero!”

Lethia entrò in casa e chiuse la porta bruscamente.

“Allora vorrà dire che parlerò con lei!” disse.

Solo allora il signor Hollis si rese conto del nembo scuro che offuscava il volto della donna.

“Che avete a che fare con Lockport?” fece lei, prima che Abrahm potesse aprir bocca.

“Chi...?”

“Kevin Lockport, lo scissista! Ho rintracciato la provenienza del segnale...qualcuno, in questa casa, lavora per lui...”

Abrham sul momento pensò che quella ragazza avesse qualche rotella fuori posto: quasi non si conoscevano e piombava lì come una furia accusandolo chissà di che!

“Signorina, veda di calmarsi” gli rispose con tutta la pazienza possibile “se un tizio con questo nome fosse passato a fare un ordine alla mia officina, non lo ricordo: non tengo a memoria i nomi dei clienti. Ma qua dentro nessuno 'lavora' per nessuno...”

“Non mi prenda in giro!”

Lethia estrasse la pistola dalla giacca e Abrahm arretrò d'un passo.

“Signorina...lei è impazzita...”

“Uno scissista non registrato entra in zeus da casa sua: questo mi dà il diritto di denunciare sia lei che suo figlio alla brain Watch fin da ora. Ma se mi fornisce le informazioni di cui ho bisogno farò finta di niente!”

Nonostante la situazione lo spaventasse, Abrham mantenne il suo autocontrollo.

“In casa mia non è entrato nessuno nelle ultime trentasei ore”

“Allora significa che lo scissita che cerco è uno di voi due”

“Senta, mia cara” sbottò il signor Hollis, fronteggiandola deciso “io non so neppure cosa sia uno scissista, e mio figlio, per la cronaca, si è svegliato da un coma di quattro anni il 20 marzo scorso!”

Il venti marzo scorso...

Quella data d'un tratto le balenò davanti, come se una lampada enorme si fosse appena accesa nella sua testa. Venti di marzo! Non era quello, il giorno in cui Kevin si era dissolto nel nulla durante il processo di download? ...E Dewy...aveva un impianto neurale nel cervello...

“Mio dio...”

Abrham vide la donna impallidire ed abbassare la pistola.

“Signorina? E adesso che le prende...?”

Gli occhi di Lethia erano sfocati nel vuoto. L'idea che aveva appena concepito le sembrava pura fantascienza, eppure riusciva a spiegare tutte le stranezze che le erano capitate, dalla scomparsa di Lockport in poi. Senza rispondere all'allibito padrone di casa, corse al piano di sopra, quasi sforndando la porta della camera di Dewy: spalancò i pochi cassetti della scrivania, frugò fra i suoi quanderni, nel suo armadio, fra i suoi oggetti personali, alla frenetica ricerca di un indizio, anche un solo segno che confermasse o smentisse la sua pazzesca teoria. Poi, mente Hollis entrava a sua volta nella stanza sbraitando, l'occhio le si fermò sul comodino.

“Cos'è questo?”

La sorpresa placò la furia di Abrahm: non era certo da Dewy scrivere sui mobili!

“Sembra un indirizzo...”

“Questo lo vedo anche io! Ma l'indirizzo di chi?”

L'uomo cercò di concentrarsi, per ricordare se lui o suo nitpote avessero mai incontrato una donna con quel nome.

“Non lo so”

Lethia fissò per alcuni attimi l'incisione, poi prese una penna e l'appuntò sul suo taccuino.

“La prego di chiamare Dewy, signor Hollis...e gli dica di tornare subito a casa. Spero di sbagliare, ma devo vederlo: temo che gli sia accaduto qualcosa...Qualcosa che lui stesso non sa...”

 

La casa era piccola e buia: due sole stanze, un ingresso con un cucinotto e una piccola tavola, e una camera da letto. Sul fornello, una pentola borbottava allegramente.

Lo sguardo di Dewy fu subito rapito dalla fotografia appesa accanto alla porta.

“E' lei...” balbettò “E' la ragazza del mio sogno!”

La donna annuì, come se già sapesse.

“E' mia figlia: Sen. E il tuo non è un sogno. E' stato Kevin a mandarti qui...”

Dewy era smarrito: non conosceva nessun Kevin e non aveva mai visto quella donna. Eppure, gli sembrava d'essere già stato in quella casa: lì dentro c'era qualcosa di familiare...

“Mi dispiace...” disse, mestamente “io non riesco a capire...”

Dolly Ebbs gli rivolse un sorriso gentile, e, posandogli una mano attorno alla spalla, lo guidò a sedere al tavolino.

“Non c'è niente che devi capire. Ti racconetò tutto io. Tu hai già fatto molto venendo a cercarmi: nulla ti obbligava a farlo...”

Si diresse al fornello e spense il fuoco sotto la zuppa.

“Mangi con me? E' ora di pranzo...”

Dewy annuì.

Quasi senza rendersene conto, si diresse alla credenza, e trovò ogni cosa al proprio posto.

No, non era mai stato lì.

Ma conosceva quella casa come se ci avesse sempre vissuto.

 

  
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