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Autore: verichan    13/03/2013    0 recensioni
Un albergo, una trentina di scagnozzi e una ragazza da salvare. Sembra quasi fin troppo semplice.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore:
Questo è un mini racconto che avevo scritto per un concorso di 18000 caratteri (che ormai ho superato XD) ma... Beh, la stesura precedente non mi convinceva e, complice un raffreddore e un po' di febbre, non ho avuto voglia di sistemarlo e quindi non l'ho inviato u_u Trovato tempo/voglia di scrivere l'ho corretto ed è uscito abbastanza bene, nonostante la prima persona non sia il mio genere (mi escono frasi brevissimeeeee ç_ç). In basso troverete informazioni maggiori sul protagonista e alcune spiegazioni sull'ambientazione. Buona lettura ^^


VIPERA



È da un po' che non uccido, e mai mi sarei aspettato di riassaporare il dolce piacere in un albergo di tredici piani occupato dal clan Glasya-Labolas. Un nome idiota come Custodi della Nuova Volontà Divina. Perché la gente mette richiami religiosi nei titoli per darsi importanza? In Europa ne hanno adottati di più realistici, forse l'esagerazione è una caratteristica tipica degli americani. Chissà se mio padre era altrettanto arrogante. Io lo sono, ogni tanto.

Stendo silenziosamente sulle piastrelle immacolate lo sfortunato uomo che da vivo ha scelto il momento sbagliato per espletare i suoi bisogni, e chiudo la finestra del bagno da cui sono sgattaiolato dentro. Arrivare al terzo piano non è stato difficile, ho creato un diversivo, usato la scala di un cantiere vicino, passeggiato sul cornicione e preso le rampe antincendio; potrò pure pesare centodieci chili e raggiungere i due metri d'altezza, ma non sono goffo o imbecille, alla faccia di quel che dice lei.

Non distrarti

Giusto.

Seguo il consiglio e abbasso la mascella al suolo, rimanendo nella completa immobilità per percepire le vibrazioni che viaggiano per pavimento e pareti. Colgo deboli oscillazioni nelle vicinanze; per prudenza spio dal buco della serratura. Vedo un'elegante camera d'albergo, di vecchio stile. Non sono un esperto di arredamento ma la carta da parati è un male fisico a vedersi, a parer mio il proprietario dovrebbe rimodernare, siamo negli anni novanta ormai.

Tranne per una valigia abbandonata, forse dai clienti fuori stagione scacciati insieme allo staff, sembra deserto. Esco dal gabinetto e mi dirigo alla porta. Il tremolio che ho captato proviene dal corridoio.

Ripeto l'operazione di accertamento dalla toppa giusto per vedere un busto passarmi davanti, un'arma da fuoco a tracolla. Ce ne sono altri nel corridoio? Il legno massiccio mi impedisce di udire voci e le mie ossa non sentono al di là di una certa distanza. Non ho idea di come i Glasya si siano disposti, comunque, a quanto dicono i testimoni e il numero delle auto parcheggiate, non possono essere che una trentina e non credo proprio che ci siano più di due o tre uomini per piano, a parte l'ultimo. Paziento due minuti e l'unico a fare su e giù è il tipo solitario. Non attendo oltre: lo attacco alle spalle appena mi sorpassa, gli spezzo il collo e lo trasporto nella stanza.

Il minuscolo ascensore è decisamente troppo ovvio perciò imbocco l'uscita di sicurezza, con cautela, perché se non sono stupidi sorveglieranno gli accessi. Il controllo tramite mascella mi rivela scarse presenze, minacciando di annoiarmi. È evidente che non hanno avuto il tempo di prepararsi.

Hai un obiettivo

Me ne rendo conto, però è barbosa l'andatura furtiva, ho bisogno d'azione dopo un mese di inattività.

Non è l'atto in sé dell'uccidere la preda che mi diverte, né torturarla, o giocarci, è piuttosto la sfida nell'abbatterla. Il piacere vero lo ottengo quando fatico per la vittoria. Ogni tanto ci sta la morte silenziosa, prova che non so soltanto menare le mani, a differenza di quanto comunica il mio aspetto, con tatuaggi e stazza simili a un centauro della strada. Oggi dovrò adeguarmi alla situazione, se voglio uscirne vivo mi conviene non avere l'intera compagnia alle calcagna.

Mi stupisco di raggiungere indenne il settimo piano e per un pelo non vengo scoperto da uno scagnozzo che si affaccia all'oblò della porta. Mi schiaccio contro la parete e, osservando l'ombra proiettata dalla finestrella, appena il faccione si toglie di mezzo continuo a salire. Il nono piano è più rischioso: c'è una persona sul pianerottolo, inevitabilmente mi vedrà arrivare.

Aspetta che si giri e fai la tua mossa

Elementare, ma quanto ci vorrà?

La Glasya comincia a giocherellare impaziente con un accendino zippo, in seguito si sporge dalla soglia rivolgendosi ai suoi compari.

«Davvero non si può fumare?»

Qualcuno le risponde di piantarla e la tizia ritorna alla sua postazione sbuffando e appoggiandosi di schiena al corrimano, le dita impegnate con lo zippo. Dall'alto qualcuno comincia a canticchiare. Non potrei chiedere di meglio. Mi avvicino adeguando i miei passi al rumore dell'accendino. Evito lo spezzacollo, non sono nella posizione giusta. Estraggo le due zanne retrattili, spalanco la bocca in maniera disumana, e gliele conficco nella giugulare con una mano a tapparle le labbra. Come sempre, inietto una piccola dose di veleno per paralizzarla e sbarazzarmene in fretta. Trattengo la mia preda finché non si accascia tra le mie braccia poi la sposto contro il muro accanto all'entrata, con una gamba piegata e una mano sopra il ginocchio, in una posa che mi auguro sia abbastanza naturale per chi occasionalmente getta un occhio dall'oblò.

Osservo il mio operato per un attimo. A dispetto della scarsa considerazione che comunemente il genere maschile riserva alla sua controparte, penso che le donne abbiano tutte le carte in regola per essere pari agli uomini, e molte lo sono già, soprattutto grazie ai cambiamenti radicali degli ultimi quindici anni. È per questo che non faccio distinzioni, non sono sessista.

Riprendo la salita. Al decimo piano c'è un Glasya che dorme; bravo, risparmio veleno. L'undicesimo è impossibile: ce ne sono tre che giocano a carte, di cui uno è il famoso cantante.

Ingannali

Come? Quelli mi sparano anche se non mi riconoscono.

Ingannali, travestiti

Come se fosse semplice, hmph.

Dato però che le voci non sbagliano mai un modo ci sarà. Ci ragiono su: travestirsi, vestiti. Dunque, il cadavere del nono piano ha un passamontagna ma serve qualcosa col disegno del clan e la sua giacca è troppo piccola per me. Andando giù, noto che il bell'addormentato ha una maglietta della mia misura ornata di simbolo. Che posso dire? Sono fortunato. Lo uccido usando di nuovo denti e veleno, e mi accorgo che la cosa comincia a diventare terribilmente ripetitiva e dal sapore disgustosamente metallico.

La gente vede una persona morderne un'altra e in automatico conclude che abbia un feticismo per il sangue. Non è il mio caso. Non mi piace il sapore del sangue, mordo alla gola per pura e semplice praticità. Apprezzo la reputazione di animale predatore, tuttavia esistono malattie trasmissibili, un sacco di malattie, e nonostante fin da bambino il dottore considerasse miracolose la mia salute ferrea e la mia prontezza di guarigione, non mi illudo troppo. Tengo al mio benessere fisico, non ingoio sangue o altri fluidi corporei e mi lavo regolarmente. Mi torna alla mente la mattina che mi ha visto usare lo spazzolino, gli occhi sgranati per l'incredulità; avrei tanto voluto picchiarla.

Infilo la maglia del malcapitato sopra la canotta, mi approprio del passamontagna, dell'accendino, e infine mi presento.

«Ehi.» saluto tranquillo.

«Ehi. Perché sali?»

«Niente, devo fumare.» dico sventolando lo zippo.

«E che minchia vuoi da noi?» si irrita la femmina.

Ora, come ho detto, io non ho niente contro le donne, mi piacciono, e la mia defunta nonna è in cima alla breve lista delle persone che amo. Nonostante ciò, sono d'accordo con la mia vecchina su un punto riguardante il gentil sesso: “una signora può fare quel che vuole finché non è maleducata”. Per me è un requisito fondamentale in una donna. Ho visto la madre di mia madre sporcarsi ghigliottinando galline, sparare al sedere di un uomo e schiaffeggiare in pubblico un poliziotto, e mai, in nessuna occasione, l'ho udita esprimersi in tono sgarbato o pronunciare volgarità. Era un'insegnante e mi ha insegnato bene, riposi in pace.

«Vai in una camera e fuma alla finestra. L'ho fatto anch'io.» consiglia solidale uno.

«Quello di sotto non mi fa lasciare le scale. Posso usare una stanza del vostro piano?»

«Gli ordini sono di rimanere alle proprie postazioni...» si esprime incerto il terzo.

«Ci metto nemmeno cinque minuti, neanche se ne accorgerà.»

«Va beh, che sarà mai.» mi aiuta ancora il secondo. «Cinque minuti, però, capito?»

La nicotina unisce le masse meglio dei buoni valori. Lo ringrazio e mi accompagna in corridoio spiegando la faccenda a un collega che scuote la testa rassegnato. Mi indicano una camera aperta e mi ci rifugio dentro domandandomi come procedere.

Le scale antincendio

In effetti non dovrebbero scorgermi quassù, vado sul sicuro.

Caccio la testa fuori dalla finestra del gabinetto; è tardo pomeriggio e il cielo è coperto da nuvole cariche di pioggia autunnale. Scavalco l'apertura e poggio i piedi sullo stretto pianerottolo di metallo, attento a minimizzare il rumore del mio peso sulla struttura; il vento freddo mi avvolge ma non mi danneggia, la mia temperatura corporea si è già adeguata all'ambiente. Guardo in basso, verso i Glasya di guardia all'esterno dell'edificio, calmi ai loro posti, e proseguo sui gradini.

Sono al tredicesimo piano. Sono deluso, volevo maggiore resistenza, e per un folle attimo sono tentato di tornare indietro. Mi volto.

Concentrati

Mi blocco, seccato dalla saggezza incolore, ma consapevole che sì, devo focalizzarmi sull'obiettivo e non sui miei capricci. Non oggi, perlomeno.

Ah, le mie voci. Per motivi a me ignoti convivono con i miei pensieri dalla tenera età di dieci anni. Non credo di rientrare nella categoria dei malati mentali, non sono affetto da sdoppiamento di personalità. So per certo che la loro esistenza è collegata al fenomeno dei poteri soprannaturali, alla Grande Onda, come la chiamano in televisione e sui giornali. Altrimenti non si spiegherebbe la quantità di informazioni di cui dispongono: suggerimenti su dove e come, indicazioni che mi hanno salvato la vita o che mi hanno impedito di prendere decisioni sbagliate. Quando non le ho dato retta me ne sono pentito; ecco la ragione per cui, come suggerito, ho portato con me catena e lucchetto senza pormi troppe domande. Mi sono spesso chiesto il perché risiedano nella mia testa: la conclusione più quotata è che sono il corrispettivo razionale del mio lato istintivo. Due facce inseparabili della stessa medaglia, insomma.

Sbircio dall'ennesima serratura. Noto eccitato che ci sono più tirapiedi.

Capisco che è una missione di salvataggio, eppure ho difficoltà a stabilire le priorità. Beh, per salvarla sono obbligato a passare di qua, no?

Chissà quanti sono. Chissà quali capacità hanno. Raramente c'è davvero qualcuno con un potere letale o un addestramento militare tra i ranghi del clan, la maggior parte è influenzata dalla filosofia del Glasya-Labolas e si affida esclusivamente alla propria stranezza: superiorità rispetto al resto della massa umana priva di poteri, anche solo per la facoltà di cambiare colore della pelle. Idioti.

Pregustando lo scontro, rifletto sulla mia tattica. Escludo l'uscire di punto in bianco, ho qualità che interesserebbero qualsiasi ofiologo ma non sono antiproiettile. Non ho armi con me, il coltello me l'ha rubato lei prima di essere rapita e gli oggetti della stanza non ispirano molto dolore.

Ingannali

Di nuovo? Questi non se la bevono, si domanderanno da dove sono venuto.

Fingiti ferito

A cosa servireb- Oh. Oh sì.

Sogghigno comprendendo dove l'idea vada a parare. Mi preparo per il premio Oscar e afferro la maniglia; chiusa a chiave. Batto i pugni sul legno massiccio, gridando frasi incoerenti, e quando aprono esco barcollante. Allarmati, dirigono le armi da fuoco su di me e pretendono spiegazioni.

«A-aiuto...» biascico accasciandomi a terra e additando l'interno della camera.

Sono in sette. Il numero non mi spaventa, al contrario. Tre rimangono con me, diffidenti, i rimanenti quattro entrano a indagare. Uno mi esamina in cerca di ferite ed io ne approfitto per rimettermi eretto assistito dal mio ispettore. Assicuratomi di averlo tra me e gli altri due, rapido gli sfilo la pistola dai jeans, gliela punto sotto il mento e premo il grilletto schizzando cervella per aria; subito dopo servo i compagni con due proiettili in fronte.

Spingo il mio defunto aiutante sull'entrata della stanza per bloccarla temporaneamente con il suo peso e accade un imprevisto: l'ultimo ha una pelle talmente spessa che la pallottola rimbalza, lasciando un buco bruciacchiato sulla berretta che nasconde la sua insignificante identità. La forza del colpo lo costringe soltanto ad arretrare per riacquistare l'equilibrio, una bazzecola. Mi fissa rabbioso, non calcola di avere una mitragliatrice leggera appesa al collo, o magari è convinto di non averne bisogno, e si lancia verso di me. Io sono pronto. Sfrutto il suo slancio per afferrarlo con un braccio tra le gambe e con l'altro sopra la spalla, e, con una fatica inaspettata, lo ribalto schiena sul pavimento. È pesantissimo. Illeso, il Glasya mi si aggrappa cercando di tirarmi un pugno che, considerate le sue caratteristiche fisiche, non posso permettermi.

Spalanco la bocca, estraggo le zanne cave e, con precisione dettata dalla pratica, gli schizzo dritto negli occhi una dose di veleno che otto volte su dieci acceca le mie vittime in modo permanente. Siccome il due su dieci è rappresentato da chi ha la fortuna di avere un ospedale nei paraggi e gente che ce lo porti, è scontato che pelle-antiproiettile rientrerà tra gli otto.

Mentre il tizio urla e preme le mani sulla zona lesa, io lo disarmo. Il secondo successivo la porta bloccata viene spalancata di forza ma gli ingenui incontrano una brutta fine sotto la raffica della mitragliatrice. Non ho tempo di crogiolarmi nella soddisfazione post-trionfo, tra poco giungerà l'intero palazzo attirato dagli spari, devo scoprire dove la tengono tra la decina di camere sul piano, e devo sbrigarmi.

Stanza 129, avanti sulla sinistra

Da un pezzo ho smesso di chiedermi come sappiano queste cose.

Prima la catena all'uscita di sicurezza

Allora serve a rallentarli.

Slaccio la catena dai passanti dei jeans, aggancio il maniglione antipanico al corrimano fissato al muro e faccio scattare il lucchetto. Tra questo intoppo e la grandezza ridotta dell'ascensore credo di avere un buon vantaggio.

Ho le dita sul pomello dorato della 129. Le mie ossa percepiscono una vibrazione intensa e mi tolgo dalla sua traiettoria; legno e pezzi di muro esplodono e cozzano sulla parete opposta. Mi rialzo spazzolando via polvere e detriti dai vestiti, trattenendo a stento la meraviglia: riconoscerei quell'oscillazione cinetica ovunque, così come riconosco l'indifferente voce femminile che non odo da circa un anno, da quando cioè ho lasciato il Glasya-Labolas.

«Sei coraggioso ad affrontare il Glasya-Labolas. Stupido, ma coraggioso.»

Sorrido divertito. La Contessa Nobile cede ai complimenti soltanto con chi la impressiona e pare che l'atto suicida di attraversare tutti i piani dell'albergo fino a lei abbia colto nel segno. Ammiro la sua impassibilità e la sua forza e odio il suo fanatismo. Per il poco che l'ho conosciuta in quei tre anni da suo sottoposto posso affermare che rivedermi non le farà piacere: non apprezza che abbia stretto un patto con le autorità, informazioni sul clan in cambio dell'immunità per i miei crimini, i sicari che mi ha inviato non si contano. In verità le sono riconoscente, senza di loro mi annoierei a morte. Se adesso uccido lei, comandante dell'ottava legione, mi proporranno sfide più ardue? Lo spero, perché non c'è possibilità che lei se ne vada da qui viva, non se ostacola la mia strada.

Rimuovo il passamontagna, ottenendo un'elegante alzata di sopracciglio sul viso perfetto.

«Vipera.»

Mi è mancato il mio soprannome.

«Contessa.»

«Sei qui per uccidermi?»

«Più o meno.»

«Ti illudi di riuscirci?»

«Non è impossibile.»

«Hai mantenuto l'insolenza.» commenta prendendo posizione. «Ricorda, Vipera: è per la tua disobbedienza e il tuo tradimento che morirai.»

Entrambi non brilliamo nelle arti oratorie.

Per anni ho immaginato la nostra battaglia, interrogandomi su come sopravvivere alla spaventosa potenza in grado di ridurmi a brandelli nello spazio di pochi istanti. Ho trovato una risposta soddisfacente: la sua onda cinetica è velocissima e fatale ma ha il difetto di funzionare unicamente in linea retta. Rotolo di lato e mi esibisco nella scena madre delle sfuriate animalesche mostrando i denti affilati. Questa volta ci aggiungo lo sguardo, il mio trucco vincente.

Mi sono informato e i serpenti non hanno magici poteri ipnotici, gli occhi magnetici sono una diceria, eppure i miei ne sono capaci, merito degli effetti della Grande Onda. In termini strategici è un vantaggio decisivo e per assicurarmi che rimanga tale lo tengo gelosamente nascosto.

La punto con le mie iridi gialle dalla pupilla nera verticale, prima azzurre, umane. Si volta verso di me, gli occhi inclementi fissi nei miei, finché il suo volto diventa completamente inespressivo e il suo corpo si rilassa. Ce l'ho in pugno.

Mi avvicino senza sbattere le palpebre, altrimenti l'incantesimo si romperebbe e mi ridurrebbe in pezzettini sanguinolenti appena ripresi i sensi. Vorrei regalarle una morte indicibile, in memoria dei bei tempi andati, però non è il caso con gli scagnozzi in arrivo. Le sparo in testa, scocciato di non poter fare di più, poi mi guardo alle spalle: il cieco è svenuto dal dolore con vicino una ricetrasmittente chiassosa mentre i pallini numerati sopra l'ascensore e il rumore di corsa per le scale indicano che presto avrò compagnia.

Entro nella 129 e lei è lì, legata, bendata e imbavagliata sul letto. La libero della benda e dopo un'occhiata di sollievo me ne rifila una omicida. Tolti i lacci dai polsi si toglie il bavaglio.

«Quanto cazzo ci hai messo?!»

Lei è Clara, se Clara è il suo vero nome, ha sedici anni e ne sa una più del camionista della domenica in fatto di educazione.

«Il tempo che ci è voluto.»

Non le dico che sono qui per l'altra metà dei soldi che mi ha promesso e per il brivido di affrontare una banda di miei ex colleghi, si lamenterebbe ad alta voce, più di quanto fa già.

«Razza di bastardo! Potevo morire!»

«Muoviti, o tra poco sarai morta sul serio.»

Andiamo alla finestra del bagno e la spingo sulle scale antincendio senza tanti complimenti.

«Sei la peggiore guardia del corpo di questo fottuto mondo!»

Non serve risponderle. Ha ragione.

Ci precipitiamo giù e al terzo piano percorriamo il cornicione fin dietro l'edificio, usando la scala a pioli per raggiungere l'asfalto. Alcuni tirapiedi tentano di seguirci tuttavia ho esaminato in precedenza la zona e non è difficile seminarli scappando per le stradine laterali. Mi domando perché non ci sparano e mi rispondo che devono volerla viva a tutti i costi. Curioso.

Interrogala

Magari dopo, al prossimo motel.

Raggiungiamo l'auto che ho parcheggiato a mezzo isolato da lì. Ripreso fiato, Clara ricomincia a protestare, arrabbiata per il rapimento. Non mi importa molto di come si sente, basta che si nasconda buona buona sui sedili posteriori. Le intimo di tacere e stranamente mi dà ascolto, forse è scossa per l'esperienza. Giro la chiave e il motore prende vita, ed è allora che mi rifila le solite gentilezze che mi tentano alla violenza.

«Hai il cervello piccolo come una nocciolina in quello stupido cranio pelato! Grande e grosso come sei dovevi buttare giù l'edificio!»

«Con te dentro? Volentieri.»

«Randall, giuro che-»

«Risparmia i giuramenti e tieni bassa la testa, non voglio prendere una multa.»

«Una multa?! Con tutti i soldi che ti pago ti preoccupi di una cazzo di multa?!»

La maglietta

Ah, è vero.

Mi manca solo di essere arrestato per appartenenza o simpatia a un gruppo terroristico. Di nuovo. Mi sfilo la maglia col simbolo del clan e gliela butto addosso. Clara mi insulta.

L'autoradio

Parole sante.

Accendo l'autoradio alzando il volume. La sedicenne furiosa si quieta sotto una canzone rock di cui non conosco il nome. Mi limito a lasciare la città nei limiti di velocità previsti dal codice stradale, pensando al cadavere della Contessa. Sorrido immaginando il futuro movimentato che mi attende grazie a questa ragazzina racconta frottole incontrata in un bar, accompagnata da una valigetta da centomila dollari e bisognosa di una valida protezione.

Sono sicuro che mi divertirò.





Note dell'autore 2:
Rieccoci!
Partiamo subito con l'ambientazione: siamo negli anni novanta in un luogo imprecisato dell'America, e, come scritto nella storia, quindici anni fa c'è stata quella che tutti chiamano la Grande Onda, un evento soprannaturale che ha infettato parte della popolazione mondiale donando i tipici poteri magici più o meno utili del fantasy; o degli X-Men, scegliete voi. Cosa ha comportato ciò? Le classiche divisioni in buoni, cattivi e neutrali. Altro? In verità no, ho ragionato solo su due o tre cosette, quel tanto che bastava per un mini racconto comprensibile e senza troppe pretese. Con la fantasia ho immaginato una storia più grande, chi è Clara, il vero motivo per cui i cattivi la vogliono, personaggi secondari sul cammino e un finale lontano dove vince la nostra Vipera, alla faccia del bene e del male XD
Sicuramente non scriverò nulla di tutto questo (ho una fanfiction di DA:O di cui occuparmi) ma mi piace farmi i filmini mentali e godermi le scene girate a regola d'arte nel mio cervello. Ignoratemi u_u
Il protagonista invece è preso da un personaggio realmente esistente, chissà se qualcuno l'ha indovinato! Si tratta di Randy Orton, il wrestler che preferisco di più della WWE *-* Non sono chissà che esperta di wrestling ma mi diverto un sacco a seguire le faide quando mi capita di vederle in tv, rido come una deficiente!
Che cos'ha Vipera/Randall di Randy Orton? Praticamente tutto: l'aspetto, il nome, il soprannome e la mossa di wrestling sul tizio con la pelle antiproiettile. Credo gli appartenga anche la scarsa parlantina ma non sono sicura; a me sembra uno che parla poco e agisce molto quindi l'ho messo così. Sono partita dal suo soprannome, The Viper, e c'ho ricamato su per le abilità soprannaturali: i denti avvelenati, la temperatura corporea, la percezione attraverso le ossa, gli occhi magnetici (che mi sono venuti in mente grazie alla sigla della WWE dotata di effetti speciali, dove si vede lui nella posizione animalesca pre-RKO con gli occhi che diventano gialli e serpentosi), resistenza e forza sopra la media.
Ma in realtà è stata la sua canzone di accompagnamento, Voices dei Rev Theory, a ispirarmi l'idea del racconto per il concorso: parla di voci che gli dicono cosa fare. Perfettamente in stile con il genere soprannaturale, no? XD
Per lo stile: trovo la prima persona molto veloce e comoda, poi mi rendo conto che è TROPPO veloce ma ormai ho già scritto troppo e non ho voglia di riscrivere tutto in terza persona. Terribile. Mi piace arrivare al punto, è vero, però ho paura di essere troppo stringata, tanto più che con le scene d'azione non so mai se c'azzecco o se serve invece una descrizione più approfondita. Boh, ditemi voi.
Non saprei che altro aggiungere alle note, spero solo che vi sia piaciuto nonostante il maledetto punto e virgola con cui ho un sacco di problemi è_é
Come sempre, se qualcuno ha visto degli errori me lo dica che vado a correggerli! ^^
  
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