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Autore: loveforfood_    13/03/2013    1 recensioni
Una ragazza che fugge dalla sua drammatica e dolorosa storia.
Un ragazzo che la incontrerà e la aiuterà a rialzarsi dal suolo, come un grattacielo.
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(Leggete gli avvertimenti qua, prima di leggere)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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CHAPTER ONE: LOST IN THE DARK

 

 

“Giorno dopo giorno, ora dopo ora... Prigioniera del suo stesso esistere,,

 

 

Il rumore di vetri infranti al piano superiore la ridestò dal suo sonno già abbastanza precario.

Ciò poteva significare solamente una cosa... Suo padre era tornato.

Un brivido la percosse da capo a piedi.

Si alzò il più velocemente possibile dal letto.

Corse come poteva, a causa dello strappo alla caviglia risalente a un paio di giorni prima, verso il tavolo di legno nell'angolo della cantina.

Sì, lei viveva al buio, nella fredda cantina di casa sua.

Si rannicchiò sotto il tavolo, accostando le fragili gambe al petto e racchiudendole tra le sottili braccia candide, annerite soltanto dai numerosi lividi nerastri che le cospargevano.

Poggiò una guancia sulle ginocchia, guardando di lato.

Lo sguardo era fisso nel vuoto, perso chissà dove.

Era ben consapevole di quello che sarebbe successo di lì a breve.

Nella sua mente scorrevano veloci le immagini delle innumerevoli volte precedenti.

“Cosa succederà stavolta? Cosa ancora?” si interrogò la ragazza, mentre sentì la porta delle scale che conducevano alla cantina aprirsi violentemente.

Un passo pesante e veloce si avvicinava, scendendo le scale.

Sentì gli occhi iniziare a pizzicarle e un nodo alla gola formarsi senza farla respirare.

In un attimo, calde lacrime scesero dai suoi occhi azzurri, rigandole le guance.

La chiave nella serratura girò.

Lei si strinse ancora di più sotto il tavolo, ma non sarebbe bastato.

L'avrebbe trovata ugualmente.

L'avrebbe sempre trovata.

La serratura scattò, e la porta si aprì lentamente, cigolando.

Un forte odore di alcool si sparse nella cantina, fino ad arrivare alle piccole narici della ragazza.

Era lui, come sempre.

L'uomo fece qualche passo avanti, quasi barcollando.

-Dove ti sei cacciata, brutta puttanella?- ringhiò poi.

Lei divenne immobile, e si sigillò la bocca con la mano, per evitare di farne uscire i singhiozzi del pianto.

-Vieni fuori! Subito!- sbraitò nuovamente.

La ragazza a quel punto non ce la fece più.

Per quanto cercasse di tapparsi la bocca con la mano, le scappò un seppur lieve mugolio, ma che bastò all'imponente uomo per fargli capire dove fosse.

Avanzò furioso verso il tavolo, per poi allungarci una mano sotto.

La afferrò per i capelli e la tirò fuori.

-Allora eri lì, eh? Ora vedrai cosa succede quando alle bambine cattive...-

La gettò per terra e le tirò un calcio nello stomaco.

Lei si piegò in due dal dolore.

Una smorfia di soddisfazione si contrasse sul volto di lui.

Le fece un giro intorno, poi si inginocchiò sul pavimento accanto a lei.

La sollevò da terra prendendola per il mento e la guardò in viso, ma lei distolse lo sguardo.

Lui allora urlò e la colpì con uno schiaffo, contenente tutta la forza che aveva.

La ragazza ricadde per terra.

Lui la colpì ancora e ancora...

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Dopo che fu certa che lui si era addormentato dopo essere tornato al piano superiore, si distese sulla brandina mezza sfondata che chiamava letto.

Le pulsava tutto il corpo. Il giorno dopo le sarebbero comparsi nuovi lividi sul tutto il corpo, ne era consapevole.

Il dolore era però così tanto, che non avrebbe potuto aggiornare il suo diario. Erano anni, che aveva quest'abitudine, che oggi come altri giorni, non avrebbe potuto svolgere.

Non era in grado di controllare più niente dei suoi arti.

Braccia, gambe... Cos'erano diventati?

Solo un mucchio di ossa e pelle da prendere a botte.

L'unica cosa che riusciva ancora a fare era respirare, ma per quanto ne sapeva, avrebbe potuto smettere da un giorno all'altro: lui era imprevedibile.

Non sapeva mai come e quando l'avrebbe picchiata, sapeva solamente che sarebbe successo.

Più o meno una volta al giorno, tutti i giorni.

Ormai non faceva nemmeno più il conto di quante volte era successo.

Chissà, forse un giorno avrebbe posto lei stessa una fine a tutto ciò... Non era certo la prima volta che pensava al suicidio.

Ci aveva anche provato, ma arrivato il momento, c'era sempre un qualcosa che la fermava. Un qualcosa che le diceva: “No! Non lo fare, te ne prego. Per favore...”

E lei si lasciava convincere.

Non aveva ben idea di cosa fosse questo qualcosa che la tratteneva.

Probabilmente era solo l'istinto di sopravvivenza che ognuno di noi ha, ma lei dopo averci pensato un bel po', era giunta ad una sua conclusione.

Per quanto strano potesse sembrare perfino a lei stessa, ciò che la tratteneva era sua madre.

Era strano, perché sua madre era morta quando lei aveva appena nove anni.

Aveva dei bei ricordi, di sua madre.

Sua madre le aveva voluto bene, ne era certa.

“E forse continua a volermene anche da lassù” pensò sospirando e guardando il soffitto della cantina.

A pensarci bene, erano gli unici bei ricordi che aveva mai avuto.

Durante la sua infanzia, lui era sempre a lavorare all'estero. Non c'era quasi mai, ma nelle poche volte che c'era non interagiva mai con lei, e abbastanza poco anche con la madre. O almeno non ne aveva memoria. Ma perlomeno una cosa era certa: non picchiava ancora nessuno.

L'unica persona con cui la bambina che era allora stava, era appunto la madre. Dio, quanto teneva a sua figlia quella donna. L'aveva cresciuta praticamente da sola, dandole tutto l'amore del mondo e non facendole mai mancare niente. Poi però, una malattia la portò via, improvvisamente.

Così la bambina che era a quei tempi, rimase col padre, che cadde nella disperazione più totale e cominciò a non andare più a lavoro. Ovviamente fu anche licenziato, ma non gliene importava. Era triste, ma non cercava di consolarsi con la figlia, l'unica cosa che gli rimaneva della moglie. Era sempre distante, staccato, rigido. Ed intanto la bambina si trasformava in ragazza, sempre vivendo in questo freddo clima familiare. Quando finì l'obbligo scolastico, lui le vietò di proseguire gli studi, costringendola a dire ad i suoi compagni di classe e conoscenti che sarebbe andata a lavorare. Poi cominciò a bere ed a bere. Sempre di più, sempre più spesso. Fu così che cominciò a picchiare la figlia. Forse non se ne rendeva neanche conto, da quanto era sottomesso dal potentissimo effetto dell'alcool. Lei, ovviamente non usciva più di casa. Era segregata nella cantina. I suoi conoscenti chiedevano di lei, così lui disse a tutti che la figlia aveva trovato lavoro, sì. Ma disse loro che l'aveva trovato fuori città, perciò non sarebbe tornata. Ed intanto ogni giorno la picchiava, con una rabbia tale, che sembrava fosse sempre stata la prima volta.

Alla fine, era solo per sua madre che andava avanti.

Se la ricordava ancora: con i bei capelli biondi e gli occhi azzurri, uno splendido sorriso, l'accento inglese, il modo in cui la faceva sentire... Amata, protetta.

Era a causa della madre, che portava un nome inglese. Lui invece era italiano. Si erano conosciuti quando lei andò in vacanza in Italia, a Firenze. Si innamorarono, si stabilirono nella città del loro incontro, si sposarono, ed ebbero una bambina:

Mary.

Così la chiamarono.

Alla ragazza non dispiaceva quel nome, ma era l'ultimo dei suoi pensieri.

Nella sua testa c'era tutt'altro.

C'era lui.

Lo chiamava lui perché non riusciva nemmeno a pensare che quell'uomo (anche se la definizione più esatta sarebbe stata mostro) fosse l'artefice, insieme a sua madre, della sua venuta al mondo.

La ferocia, la crudeltà, la cattiveria, con cui la picchiava ogni giorno, le avevano fatto dimenticare quel sentimento, già non molto radicato in lei, nei confronti di lui.

Poteva dire di non averlo mai conosciuto veramente, se non per il suo lato manesco...

Una lancinante ed improvvisa fitta alle costole la distolse dai suoi pensieri facendole comparire sul volto una smorfia di dolore.

“Come minimo, una costola rotta!” pensò massaggiandosi lievemente la parte violacea del sottile strato di pelle che ricopriva le ossa della sua gabbia toracica.

Sentì un'altra fitta, ancora più lancinante e per poco non urlò dal dolore.

-Sì, me ne ha proprio rotta qualcuna...- sussurrò a fior di labbra, mentre altre calde lacrime le scendevano dagli occhi nuovamente.


MY SPACE
Salve! Questa è la mia prima fanfiction...
Tratta un tema molto delicato, ed è abbastanza particolare.
Per questo motivo vorrei sapere se devo continuare... Recensite, non mangio nessuno! Anzi, mi fate piacere (anche recensioni negative)!
Ok, detto ciò mi dileguo...
Bacioni <3

P.S. NOTE: 1) Nella fanfiction sarà presente solo uno dei ragazzi, gli altri no (scriverò anche su di loro in altre storie)
2) Il ragazzo non comparirà subito, ma dopo qualche capitolo
3) Ho deciso di non approfondire troppo le scene in cui Mary viene picchiata

  
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