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Autore: Kitri    13/03/2013    13 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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GELATO AL CIOCCOLATO 
 
 
Usagi rientrò in casa nervosissima. Sbattè la porta e lanciò borsa e giacca verso il divano, mancandolo clamorosamente.
«Al diavolo!» gridò isterica.
Pensò che in quel momento solo una cosa potesse aiutarla a distendersi.
Andò direttamente in camera sua, si spogliò e indossò calzamaglia e body nero, poi attorcigliò i capelli sulla nuca in un comodo chignon.
Col dito scorse veloce i titoli dei suoi cd. Scelse Chopin.
Emise un profondo sospiro, nel vano tentativo di cacciare via tutti i pensieri negativi, e cominciò.
Ma la sua mente sembrava non trovar pace, continuava a tornare a un’ora prima e all’amarezza che aveva provato in quel momento.
 
Aveva appena finito di lavorare e, dopo essersi cambiata velocemente, pensò di dover cercare Mamoru per chiedergli scusa.
Per tutto il tempo, aveva pensato a quello strano incontro avuto con lui poco prima e all’espressione malinconica dei suoi occhi blu. Si convinse che, forse, quella mattina era stata troppo aspra con lui, che, invece, si dimostrava sempre così dolce e premuroso.
Si stupì della sua stessa volubilità, perché prima l’aveva respinto, e adesso aveva solo voglia di vederlo, di baciarlo e accarezzarlo, di sentire ancora la sua dolce voce e non quella del severo dottor Chiba. Non le interessava una cena in qualche lussuoso ristorante, le sarebbe bastato semplicemente passare un po’ di tempo con lui, a godere dei suoi splendidi sorrisi.
Pensava a Mamoru e alla forti emozioni che le aveva regalato in quei giorni e il cuore le batteva forte, mentre lo stomaco era stretto da una morsa.
Svoltò veloce l’angolo del corridoio che portava al suo ufficio, ma qualcosa la indusse prima a rallentare la corsa e poi a bloccarsi all’improvviso.
Mamoru era fuori al suo ufficio, nel corridoio, in compagnia di una donna, con la quale sembrava molto in confidenza.
Avendo cura di non farsi notare, nascosta dietro un grosso armadietto, aguzzò la vista per cercare di capire la situazione.
Tutto d’un colpo, sentì il sangue fluirle al cervello.
L’aveva riconosciuta: era la donna con cui Mamoru era a cena quella famosa sera.
E, stando al camice che indossava, doveva essere anche lei un medico.
Perché diavolo non glielo aveva detto?
Mamoru l’aveva definita una semplice “frequentazione occasionale” e non aveva aggiunto altro. Ma quanto occasionale poteva essere frequentare una donna che vedeva tutti i giorni? Perché le aveva mentito?
Proprio quella mattina, mentre facevano l’amore, Mamoru le aveva fatto giurare di essere l’unico per lei, ma lo stesso non sembrava valesse per lui.
Con la mente e il cuore in subbuglio, cercando a fatica di non giungere a conclusioni affrettate, girò le spalle e corse via, senza che lui si fosse accorto minimamente della sua presenza.
«Mi daresti un passaggio a casa?» chiese a Naru, non appena la incrociò.
«Certamente! Pensavo fossi già andata via. - le rispose la ragazza - Io, Umino e Hotaru volevamo passare prima al Crown a bere qualcosa, ti dispiace? Seiya ci raggiungerà prima di iniziare il turno di notte».
«No, al contrario! È da tempo che non stiamo un po’ tutti insieme» aggiunse Usagi sforzandosi di sorridere e apparire tranquilla. Del resto, pensò che forse era meglio far sbollire un po’ la rabbia in compagnia dei suoi amici, prima di tornare a casa.
E infatti, passare del tempo con loro si rivelò decisamente un’ottima idea. L’aveva aiutata a calmarsi e a ragionare, senza farsi prendere da stupide gelosie. Dopotutto, Mamoru e quella donna non stavano facendo niente di male e, se lui non le aveva raccontato tutto, era solo perché tra loro due, finora, non c’era ancora stata l’occasione per approfondire il discorso “ex-amanti”.
Come non detto!
Improvvisamente, l’attenzione di Usagi e dei suoi colleghi fu catturata dal quartetto che faceva il suo ingresso al Crown: Motoki e Heles avanti, seguiti da Mamoru e, ancora una volta, quella donna. Usagi si sentì gelare il sangue e, a questo punto, non ci fu più alcun dubbio per lei: era chiaro che Mamoru si fosse subito consolato del suo rifiuto, correndo tra le braccia di un’altra. E chissà quante altre volte era capitato!
E pensare che fino a pochi minuti prima aveva anche provato a giustificarlo. Che stupida!
Fissò i suoi occhi infuocati nelle iridi blu del giovane chirurgo, che stavolta si era accorto subito della sua presenza, ma non dava l’impressione di aver compreso quello sguardo carico di astio rivolto proprio nella sua direzione.
L’espressione rammaricata di Seiya, poi, che sembrava volesse dirle “Te l’avevo detto!”, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Usagi si alzò di scatto.
«Naru, non vorrei crearti fastidi. Sono molto stanca e se tu vuoi rimanere, io prendo un taxi».
«Non ti preoccupare, si è fatto tardi e anche io vorrei tornare a casa» le rispose la sua amica.
«Ok – disse Usagi – ti aspetto fuori, allora».
E così dicendo salutò tutti e si avviò rapida verso l’uscita.
«Ma cosa le è preso?» domandò Hotaru stupita dal comportamento della sua collega. Umino fece spallucce, Seiya, che ormai sapeva tutto, pensieroso, abbassò lo sguardo avvilito sulla sua coca.
Nel momento in cui stava per varcare l’uscita, Usagi si sentì afferrare con forza il polso.
Mamoru, incurante degli sguardi curiosi e stupiti degli amici di entrambi, l’aveva bloccata e costretta a voltarsi.
«Che ti prende?» le chiese con l’aria sbigottita di chi cadesse dalle nuvole.
Un’espressione di disprezzo si dipinse sul viso della ragazza.
«Lasciami stare!» gli disse con decisione, sciogliendosi dalla sua presa e riprendendo la fuga.
 
Ancora adesso, lontana da lui e da tutto, dovette sforzarsi per trattenere le lacrime, mentre continuava a danzare e un nodo le stringeva la gola.
  •  
Come aveva potuto essere così stupida da cedere di nuovo alle lusinghe dell’amore e, soprattutto, così ingenua da pensare che un uomo libertino e inaffidabile come Mamoru Chiba potesse essere sincero?
 
Usagi continuava a danzare, lasciando che fosse solo la musica a guidare i suoi movimenti, che sembravano venir fuori come riflessi naturali del corpo, senza il comando della mente e del cuore, che in quel momento erano altrove.
Usagi rifletteva.
Per un istante, provò a mettere da parte la rabbia e a ragionare, facendosi un esame di coscienza. Davvero era tutta colpa di Mamoru? No, certo che non lo era!
Ebbe il coraggio di riconoscere che, in fondo, era stata anche lei a cercarsela, con il suo atteggiamento acido e sfuggente, sempre sulla difensiva e sempre pronta a scappare. Non si era mai esposta, mentre Mamoru era stato l’unico a fare sempre il primo passo. Si rese conto che, così facendo, rischiava di perderlo. Ma cosa poteva farci lei se il suo cuore era pronto ad amare e apparteneva già a quell’uomo, mentre la sua mente ancora riusciva a tenerla incatenata alle sue restrizioni?
Il campanello suonò improvvisamente. Usagi sbraitò al pensiero che potesse essere la sua vicina rompiscatole, che, da quando aveva saputo di avere un medico nell’appartamento accanto, aveva contratto tutte le malattie possibili e immaginabili. In quel momento non aveva proprio voglia di vedere nessuno. Avrebbe potuto fingere di non essere in casa, ma il valzer di Chopin l’aveva già tradita da un pezzo.
Il suono del campanello si fece più insistente.
«Arrivo!» urlò seccata da tanta invadenza.
Ma aprendo la porta, con suo grande stupore, anziché la vicina ipocondriaca, si ritrovò davanti proprio la causa di tutti i suoi mali. D’istinto cercò di richiudere la porta, ma il ragazzo fu più veloce a impedirglielo, frapponendo un piede.
«Che cosa vuoi?» gli urlò con disprezzo.
Mamoru non si fece intimorire dal suo tono di voce e la guardò provando ad accennare un lieve sorriso.
«Ti ho portato del gelato al cioccolato per farmi perdonare».
Usagi aggrottò la fronte sorpresa e storse la bocca in una piccola smorfia.
Gelato? E che ne sapeva Mamoru del gelato al cioccolato?
«Mi fai entrare?» le chiese poi lui timidamente, quasi come se temesse di essere sbranato da un momento all’altro.
Usagi non rispose, ma, sentendosi sconfitta dal principio, sbuffò nervosamente e si fece di lato per farlo passare, mentre lui sorrideva divertito per come era stato facile corromperla.
 
Mamoru era rimasto basito, mentre Usagi gli voltava le spalle e andava via come una furia.
Ma che aveva?
Ci aveva riflettuto su solo qualche secondo. E poi, certo, come aveva fatto a non capirlo prima? Usagi era gelosa!
Aveva riconosciuto Setsuna e, non sapendo che tipo di rapporto ci fosse ora tra loro, aveva dato di matto. Usagi era sempre sfuggente, è vero, ma in quel momento Mamoru aveva scoperto che era anche esageratamente gelosa. E questa constatazione entusiasmò non poco il suo ego, che fino a quel momento era stato solo mortificato e represso.
«Era furiosa! Io le porterei del gelato al cioccolato per corromperla e costringerla ad ascoltarmi. Sa, a volte Usagi è proprio come una bambina».
Una voce aveva parlato alle sue spalle.
Si era voltato e Naru Osaka gli aveva sorriso, con l’espressione maliziosa di chi era a conoscenza di tutto, prima di seguire fuori dal locale la sua amica.
Senza domandarsi più di tanto come e perché la dottoressa Osaka sapesse, decise subito di dare ascolto al suo consiglio. Da lontano, Mamoru si accorse dello sguardo accigliato e carico di sfida, che gli rivolgeva Seiya Kou.
“Scordati che ti lasci la via libera!” pensò, mentre ricambiava quello sguardo con la stessa veemenza. Ma Seiya, adesso, era la sua ultima preoccupazione.
Salutò Heles e Motoki quasi mortificato, con la promessa di raccontare tutto il giorno dopo, abbracciò Setsuna augurandole buona fortuna per la sua prossima esperienza in Africa e andò via.
Aveva due missioni da compiere: la prima, trovare del gelato a dicembre e la seconda, decisamente più impegnativa, affrontare quella furia di Usagi.
 
«La donna che era con me si chiama Setsuna. Immagino che ti ricordi di lei. La sera che ci hai visto è stata la nostra seconda e ultima uscita insieme. Non avevamo niente in comune e poi … e poi avevo già perso la testa per un paio di meravigliosi occhi azzurri!».
Mamoru pronunciò queste parole serio, fissando le sue iridi blu negli occhi freddi di Usagi, la quale si limitava a guardarlo in silenzio.
«Stasera è venuta a salutarmi – aggiunse - Oggi è stato il suo ultimo giorno in servizio, poi partirà per un periodo di volontariato in Africa. Sai, è una pediatra. Così mi è sembrato educato invitarla a bere qualcosa con me, Motoki e Heles».
Mamoru continuava a fissarla, aspettando una risposta. Ma lei non sembrava intenzionata a pronunciare un’unica parola. Continuava a guardarlo, immobile, con le braccia conserte, mordendosi il labbro e con un’espressione di evidente scetticismo sul viso.
«Dannazione, Usagi – imprecò lui dopo qualche secondo – rispondimi, di’ qualcosa! E smettila di guardarmi come se avessi ucciso qualcuno!».
«Se hai finito con le tue storielle, a cui speri che io creda, puoi anche andartene!».
Usagi si era finalmente decisa a parlare, ma la sua risposta non era proprio quella che Mamoru si aspettava, e ne rimase piuttosto sconcertato. Lei credeva che stesse mentendo, ma per quale motivo avrebbe dovuto farlo?
«Beh, Usagi, guarda che io non ho bisogno di mollare, all’improvviso, i miei amici e girare tutta la città per trovare del gelato a dicembre, solo per venire qui a raccontarti delle bugie. Nella mia vita non ho mai dato spiegazioni a nessuno e, se l’ho fatto con te, dopo che sei stata fredda e sfuggente tutta la giornata, vuol dire che un motivo c’è e non è certo quello di portarti a letto. E credimi, per quello avrei solo l’imbarazzo della scelta, senza perder tempo a rincorrere te».
La risata isterica di Usagi interruppe lo sfogo di Mamoru.
«Sei proprio un arrogante pallone gonfiato!» lo aggredì.
«Esattamente! Un arrogante pallone gonfiato! – Mamoru sottolineò quella definizione – Lo ero, fino a quando non sei arrivata tu a smontare tutte le mie convinzioni e tutte le mie sicurezze. Guardami, sono diventato lo spauracchio di me stesso, ma per la prima volta posso dire di essere felice e, soprattutto, di essere sincero!».
Usagi aveva smesso di ridere. Adesso i suoi occhi azzurri erano seri, mentre osservava Mamoru, che sembrava davvero parlarle con il cuore in mano.
«Io sono sincero con me stesso, Usagi, e lo sono anche con te. Tu, invece, no! Quando non siamo soli, sei una persona completamente diversa e, se non conoscessi l’altra tua metà, quella dolce e passionale, penserei che tu ti stia solo prendendo gioco di me … ma, in realtà, è te stessa che prendi in giro!».
A quelle parole il cuore di Usagi perse un battito. Era incredibile, ma Mamoru, pur conoscendola poco, aveva detto di lei le stesse cose di Rei. “Prendi in giro solo te stessa!”.
A quel punto, colpita e affondata, fu costretta a rispondere.
«Io non prendo in giro me stessa, sto solo cercando di difendermi. Perché non lo capisci?» gridò, mentre le lacrime spingevano prepotenti per venire fuori.
«No, io l’ho capito fin troppo bene – esclamò Mamoru, intenerito da quegli occhi azzurri che tanto amava e che ora erano lucidi per le lacrime – sei tu che non capisci che non hai nulla di cui aver paura».
Il viso di Mamoru si incupì. Si passò la mano tra i capelli e sospirò nervosamente, guardando Usagi, che se ne stava in silenzio, con il viso chino e un’espressione indecifrabile, mentre fissava il vuoto.
Pensò che la situazione in cui si trovava era davvero paradossale: lui che, disperatamente, cercava di convincere l’unica donna che non sembrava pendere dalle sue labbra, una ragazzina che si era impossessata prepotentemente del suo cuore e dei suoi pensieri e che l’aveva trasformato in uomo ridicolo.
Quante donne avrebbero voluto occupare il posto di Usagi!
Ma lui non aveva mai permesso a nessuna di prendersi anche solo un pezzetto dei suoi pensieri. Forse questo era il karma che si stava compiendo, era semplicemente il risultato delle sue azioni passate.
Pensò che, ormai, aveva scoperto con lei quasi tutte le sue carte e tanto valeva scoprire anche l’ultima, così almeno non avrebbe avuto rimpianti, tornando alla sua vecchia vita.
«Non ci sei proprio, eh? – le disse interrompendo quel fastidioso silenzio – Non hai ancora capito che mi sono innamorato di te?».
Usagi alzò il viso di scatto, sentendogli pronunciare quella frase.
Il suo sguardo era incredulo, attonito.
Mamoru comprese perfettamente.
«Sì, Usagi, hai sentito bene! Sto dicendo che ti amo! Ti amo dal primo momento in cui ti ho vista. E se questo non dovesse bastarti per farti capire quanto siano serie le mie intenzioni con te e che non voglio assolutamente farti soffrire, allora pazienza! Me ne tornerò a essere il solito freddo e cinico dottor Chiba … ma, almeno, potrò dire di aver provato ad aprire il mio cuore e a essere una persona diversa».
Quelle parole arrivarono come un fulmine al cuore di Usagi. Erano quanto di più bello avesse mai udito.
Le farfalle nella sua pancia, che sembravano addormentate, ripresero a volare vorticosamente, come impazzite. Le lacrime, che aveva trattenuto fino a quel momento, cominciarono a scendere copiose e a bagnare il suo viso.
Mamoru l’amava, l’amava, l’amava!
Con uno slancio si gettò tra le sue braccia, stringendolo con quanta più forza il suo esile corpo potesse sprigionare.
Voleva rispondergli che anche lei lo amava, da sempre, più di quanto avesse mai amato in vita sua, ma i singhiozzi le bloccavano le parole sul nascere o, forse, era solo l’estremo disperato tentativo di convincersi che, tacendo, si potesse sempre tornare indietro.
Ma tutto quello che la sua voce non riusciva a esprimere Usagi lo riversò nel suo corpo e nella passione di quell’abbraccio.
E Mamoru lo capì, non ebbe bisogno di parole. Capì che il suo amore era ricambiato, che anche Usagi lo amava, anche se aveva difficoltà a esprimerlo. Ma lui l’avrebbe aspettata per tutto il tempo necessario e non sarebbe più tornato a essere il freddo e cinico dottor Chiba, perché ormai, grazie a lei, quell’uomo non esisteva più.
Le prese il viso tra le mani, asciugandole delicatamente con i pollici le lacrime che rigavano quelle morbide guance. Le sorrise dolcemente, guardandola come se fosse la cosa più bella e preziosa che avesse mai visto.
Usagi posò le sue mani su quelle di lui, accarezzandogliele con dolcezza, mentre si beava di tutto il calore che emanava da quell’incontro di sguardi, che valevano più di mille parole.
 
La quiete era tornata, vestita di silenzi, sguardi complici e sorrisi maliziosi.
I due ragazzi se ne stavano tranquillamente seduti sul tappeto del salotto, davanti al divano, a mangiare quel gelato che ormai era per metà liquido e, a parte il sapore, aveva ben poco di un cremoso gelato al cioccolato.
Ma loro non sembravano neanche farci caso, presi com’erano l’una dall’altro e ancora stravolti dalle emozioni di poco prima.
«Tua madre?» chiese a un certo punto Usagi, curiosa di avere notizie della signora Chiba.
«Le sei piaciuta tantissimo!» rispose Mamoru sorridendo.
La ragazza arrossì imbarazzata.
«In realtà volevo sapere dove l’hai lasciata».
«È a cena con una sua vecchia amica che incontra ogni volta che viene da me. – rispose il ragazzo – Ma perché ti interessa tanto?».
«Così! – esclamò Usagi sollevando le spalle – Mi stupisce il fatto che tu sia così antipatico con lei. Eppure ti vuole bene!».
«Anche io le voglio bene, ma a volte, anzi spesso, è fastidiosa, oltre che invadente. E poi, per lei ogni scusa è buona per introdurre il solito discorso di mio padre. Quale credi che sia il motivo per cui è arrivata in città, se non quello di convincermi a passare il Natale con loro?».
Usagi osservò il volto buio di Mamoru. Poi formulò la domanda, che per discrezione non gli aveva ancora mai posto.
«Perché hai litigato con tuo padre?».
La risposta del ragazzo non tardò ad arrivare, ma come sempre, quando si toccava questo argomento, fu una risposta evasiva.
«Mio padre è sempre stato un despota e non mi andava che continuasse a gestire la mia vita a suo piacimento».
Non aggiunse altro.
Era evidente dalla sua espressione inquieta e cupa che questo argomento lo infastidisse. E, ancora una volta, Usagi preferì non fare altre domande, anche se la curiosità di conoscere meglio la sua vita e il suo passato era tanta. E poi, Mamoru aveva già cambiato repentinamente discorso.
«Questa è la tua tenuta da battaglia?» le aveva chiesto sorridendo ironico, riferendosi al suo abbigliamento da ballerina e al fatto che la ragazza avesse l’abitudine di ballare per sfogare il suo nervosismo.
Usagi rise per il commento, ma soprattutto perché era contenta di vederlo di nuovo sereno.
«Comunque – continuò il ragazzo – io pensavo che le ballerine mangiassero poco, ma tu hai la fame di un elefante. Hai fatto fuori quasi tutto il gelato!».
«Smettila di prendermi in giro!» gridò Usagi fingendosi offesa e allungandogli un buffetto sul braccio.
Sì, era decisamente tornato il solito Mamoru!
«Dai, sto scherzando! – disse lui ridendo – Adoro vederti mangiare! Lo fai con così tanto piacere che fai venire fame anche a me».
«Hai fame, adesso?» gli chiese Usagi ingenuamente, portandosi un altro cucchiaio di gelato alla bocca, senza accorgersi che le stava colando addosso.
Mamoru sorrise malizioso.
«Sì – le disse – ma di te!».
E senza aspettare la reazione della ragazza, si sollevò sulle ginocchia e si allungò con il viso verso di lei. Posò le labbra direttamente sul suo petto, succhiando quell’invitante goccia di gelato che vi era caduta involontariamente.
La ragazza prima trasalì per il gesto inatteso, poi chiuse gli occhi per assaporare al meglio quella sensazione e, delicatamente, portò una mano dietro la nuca di lui.
Accarezzandogli i capelli neri, accompagnava il suo percorso, mentre risaliva voluttuoso con le labbra e la lingua lungo il collo e il viso, fino alla bocca. Quando le loro labbra finalmente si incontrarono, la passione esplose.
«Come si toglie ‘sto coso?» chiese lui con frenesia indicando il body di Usagi, mentre, tra quegli insoliti indumenti che sembravano incollati al suo corpo, inutilmente cercava un accesso alla pelle morbida e calda di lei.
La ragazza sorrise mordendosi le labbra maliarda e, senza pronunciare un’unica parola, ma continuando a guardarlo con i suoi sensuali occhi tentatori, prese a svestirsi, facendo scivolare le spalline lungo le braccia e scoprendo quelle curve morbide, che facevano impazzire Mamoru, privandolo di ogni briciolo di autocontrollo.
Stesi su quel tappeto, i loro corpi aggrovigliati erano una sorgente infinita di sensazioni ed eccitazione. Mani che si muovevano freneticamente, labbra che sfioravano con ardore pelle sensibile e avida di carezze, occhi febbrili che rubavano immagini di quegli attimi di intensa voluttà.
Non si può spiegare il piacere che scaturisce dal perfetto connubio tra corpo, cuore e mente, la sensazione di completezza e totalità che i due innamorati provavano ogni volta che si univano.
Mentre si muoveva affamato dentro di lei, provocandole a ogni spinta gemiti sommessi, ma lussuriosi, che accrescevano sempre di più il suo ardore e la sua eccitazione, Mamoru intrecciò le sue mani con quelle di Usagi, portandogliele sopra la testa, premendo ancora di più il suo corpo contro quello della ragazza e amplificando così la sensazione di ebbrezza che sgorgava da quel contatto.
«Ti amo, Usako! » le sussurrò dolcemente, posando le labbra sul suo collo.
Quelle parole pronunciate con tanto candore, unite alla dolcezza del nome con cui lui l’aveva chiamata, ebbero il potere di regalarle un ulteriore brivido di piacere che, partendo dal suo cuore, si fermò proprio nel ventre.
Dentro di sé Usagi sorrise, invasa da un senso di benessere profondo.
«Anche io ti amo!» alla fine riuscì a rispondere flebilmente, tra i respiri convulsi di entrambi.
La sensualità e il calore di quelle confessioni sussurrate furono lo stimolo conclusivo che li costrinse a cedere al piacere estremo, che esplose in perfetta sincronia nei loro corpi, lasciandoli estenuati l’una nelle braccia dell’altro a cullarsi dolcemente, consapevoli che ormai si appartenevano completamente.
  
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