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Autore: LaniePaciock    14/03/2013    7 recensioni
Non vi siete mai chiesti come sia nata la grande famiglia Castle, come ogni personaggio abbia trovato il suo attore perfetto? Non vi siete mai chiesti come tutto è iniziato?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'How it all began'
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Cap.6 Alexis Castle


Lanciai un’occhiata all’orologio e sbuffai. Erano già le otto e mezza di sera. Subito dopo l’incontro post provini, in cui avevamo deciso all’unanimità che Tamala Jones sarebbe diventata la nostra nuova anatomopatologa Lanie Parish, l’avevamo chiamata e le avevamo dato la buona notizia. Quindi le avevamo chiesto se voleva unirsi a me, Stana e Jon per una birra. Aveva subito risposto affermativamente e ci eravamo dati appuntamento. Alle nove ci saremmo dovuti trovare al King & Queen pub. Era a venticinque minuti di strada da casa mia, e io ero appena uscito dalla doccia.
Ovviamente non avevo idea di cosa mettermi. Sì, era solo una birra tra amici, ma non volevo che pensassero che mi trascuravo fuori dal set. E poi, dopo la figura della mattinata con Tamala, volevo cercare di guadagnare qualche punto. In effetti nascondersi dietro alle ragazze mentre Jon mi inseguiva per il set forse non era stata la mossa più coraggiosa, anche se di certo era stata la più sicura. Una vocina nella mia testa continuava a sussurrarmi che in realtà volevo solo far colpo su Stana, ma io preferii ignorarla.
Reggendomi l’asciugamano intorno alla vita con una mano, mi diressi velocemente all’armadio. Scrollai la testa per togliermi un po’ di gocce dai capelli evitando così che mi finissero sugli occhi. Rabbrividii quando delle goccine fredde mi finirono sul petto e sulla schiena ancora caldi per la doccia. Guardai quella massa di abiti davanti a me con un sospiro. Certe volte ringraziavo il fatto di avere uno stilista che mi vestisse per le riprese e per le occasioni particolari. In quel momento non mi sarebbe dispiaciuto che un costumista sbucasse all’improvviso fuori dalla lampada del comodino e mi indicasse cosa mettere a colpo sicuro. Lo so, a volte ero peggio di una donna in quanto ad abiti, ma che potevo farci?
Dopo qualche minuto di ricerca finalmente trovai un abbinamento che mi convinse. Camicia blu, jeans scuri e scarpe nere sportive. Niente di elegante, ma neanche trasandato. Buttai il tutto sul letto insieme a un paio di boxer blu e calzini neri. A scelta compiuta, andai ad asciugarmi velocemente i capelli in bagno. Mi ricordai di spalmarmi ancora una volta quella cremetta giallognola sul livido della guancia. Per fortuna sembrava iniziare lentamente a fare effetto. La faccia infatti mi pareva si fosse appena schiarita dal viola scuro che era.
Tornai in camera, infilai velocemente il vestiario e mi controllai allo specchio. Lasciai aperti un paio di bottoni della camicia e diedi un’ultima aggiustata ai capelli. Alla fine sorrisi compiaciuto. Ero un figurino, nonostante il violaceo della mia guancia. E quell’accenno di barba non fatta non mi stava per niente male.
Lanciai un’occhiata all’orologio. Cazzo, erano già le nove meno dieci! Recuperai giacca, chiavi varie, portafoglio e schizzai fuori di casa per andare a mettermi al volante della mia piccola Chevrolet.
Non avrei saputo dire se fu il fatto che ero in ritardo, il poco traffico cittadino di quell’ora oppure se la mia voglia di rivedere Stana mi avesse fatto pigiare un po’ sull’acceleratore. Sta di fatto che in meno di un quarto d’ora ero arrivato alla mia destinazione.
Parcheggiai e mi avviai all’ingresso del pub. L’insegna all’entrata aveva il disegno di due corone, una d’oro e una d’argento, unite e al di sotto la scritta King & Queen. Entrai e constatai che il locale era grande e accogliente. Le pareti erano color legno scuro e tutto era avvolto da luci soffuse giallognole. Un vago odore di frittura aleggiava nell’aria.
Mi guardai per qualche secondo intorno finché non vidi in un angolo le persone che cercavo. Stana, Jon e Tamala erano già seduti a un tavolo con davanti i menù e chiacchieravano allegramente. Sorrisi e mi avviai verso di loro. La mia partner mi dava la schiena. Avvicinandomi, notai che indossava un paio di scarpe nere con un tacco alto almeno una decina di centimetri, jeans dello stesso colore e a una maglia lunga rossa che le lasciava una spalla scoperta.
“Ehi, guardate chi ci ha finalmente raggiunto!” esclamò Jon vedendomi. Le due donne si girarono verso di me.
“Signore…” le salutai facendo un mezzo inchino a Tamala e Stana, che ridacchiarono. “Soldato…” dichiarai invece solenne a Huertas portandomi una mano alla testa come un saluto militare. Lui scosse la testa rassegnato. “Buonasera!” dissi infine ridacchiando e sedendomi nel posto libero tra Stana e Jon.
“Ben arrivato, ritardatario!” mi salutò di rimando Tamala.
“Per qualche minuto…” commentai con una mezza smorfia. Stana in risposta mi fece scivolare davanti il suo menù.
“Ritardo o no, muoviti a scegliere che ho fame!” esclamò divertita. Io alzai un sopracciglio, ma aprii il cartoncino per vedere cosa prendere.
“Voi avete già scelto?” domandai iniziando a osservare la lista delle pietanze. Wow, aveva un impressionante assortimento di hamburger questo posto. Com’è che non lo conoscevo?
“Sì, amico, ci sono tre hamburger e tre birre con il nostro nome sopra che ci aspettano. Attendevamo solo te per ordinare” replicò Jon esasperato facendomi capire che dovevo muovermi a scegliere. Ridacchiai. Evidentemente Stana non era l’unica ad aver fame. “A proposito, come hai fatto a ritardare?” domandò poi. “Siamo usciti dal set ore fa!” Io alzai appena le spalle.
“Hanno chiamato i miei prima e c’erano anche mio fratello e la sua famiglia a casa” risposi senza alzare gli occhi dal menù. “Mio nipote mi ha tenuto un po’ al telefono. Doveva raccontarmi della sua festa per l’inizio dell’anno scolastico…” Senza accorgermene sorrisi leggermente. Non potevo farne a meno quando parlavo del mio nipotino.
“Hai un nipote?” mi domandò Tamala curiosa. Io chiusi il menù e alzai gli occhi su di lei annuendo. In quel momento arrivò un cameriere a prendere le ordinazioni. Tutti e quattro chiedemmo hamburger e birra. Io aggiunsi anche un piatto di patatine da dividere. Tanto sapevo che almeno un’altra persona del tavolo oltre me ne era ghiotta. “Come si chiama?” mi chiese ancora Tamala, tornando al discorso di prima, quando il cameriere se ne fu andato.
“Flynn” replicai orgoglioso. “Ha sette anni, ma è già un ragazzino intelligente. Ha preso tutto da suo zio, ovviamente!”
“Beh, speriamo non prenda anche la pancetta dello zio allora” commentò Stana divertita infilandomi un dito nel fianco.
“Ehi!!” esclamai offeso balzando quasi sulla sedia. Le fermai la mano e gliela bloccai sul tavolo così che non potesse più nuocermi. Solo in quel momento però mi accorsi di quello che stavo facendo. Tolsi subito la mano dalla sua, neanche mi fossi scottato. Vidi Stana diventare rossa, mentre osservava il tavolo come se fosse l’oggetto più interessante sul pianeta. E dire che per un momento mi era sembrata la cosa più naturale del mondo scherzare con lei e prenderle la mano… Cercai di tornare velocemente al più sicuro argomento di mio nipote. Mi schiarii appena la gola. “Uhm… comunque no, non ha preso la pancetta dello zio” replicai con una mezza smorfia che fece ridacchiare tutti e tre. Non avevo la pancetta io! “È in forma. E quest’anno inizierà a giocare a hockey su ghiaccio!”
“Non è un po’ piccolo per l’hockey?” domandò Jon sorpreso. Io scossi la testa.
“Il piccolo ha la stazza del padre, dello zio e del nonno. Se la caverà” commentai con un mezzo sorriso. In effetti mio nipote non era esattamente gracilino nonostante avesse solo 7 anni. “E poi l’hockey in Canada è lo sport nazionale. Ci sono squadre anche per i ragazzini della sua età.”
“Non avete paura che si faccia male?” chiese Tamala preoccupata. “Insomma l’hockey non è esattamente uno sport a zero contatto fisico…” Io ridacchiai.
“Se conoscessi mio nipote, sapresti che non è uno che si spaventa facilmente” risposi con un sorriso. “Il farsi male non lo preoccupa minimamente. Pensa che una volta ha avuto la bella idea di scalare il muretto esterno della casa del nonno. Solo che il ‘muretto’ è alto due metri e lui all’epoca aveva appena quattro anni!” Con la coda dell’occhio notai Stana scuotere la testa divertita. “E poi dovreste vedere come ci azzuffiamo ogni volta che vado a trovarli! Ancora un po’ e inizierà pure a tenermi testa…”
“Ti azzuffi con un bambino??” esclamò Stana alzando un sopracciglio.
“Non ci facciamo male!” replicai subito con tono di giustificazione. “Solo lottiamo… un pochino…” continuai cercando di trovare le parole adatte perché non mi guardasse male. “E in ogni caso alla fine quello che al più ne esce acciaccato sono io!” dissi alla fine tutto d’un fiato. “Di certo non farei mai del male a mio nipote!”
“Si vede che ci tieni molto a lui, sai?” dichiarò all’improvviso Tamala. Mi voltai verso di lei e la vidi sorridermi teneramente. “Il modo in cui ne parli e tutto.” Notai Stana e Jon annuire alle sue parole. Io alzai appena le spalle, un po’ imbarazzato anche se non sapevo neppure io perché.
“Mi piacciono i bambini in generale, ma mio nipote… mio nipote mi ha stregato da quando è nato” rivelai loro con lo sguardo perso verso il tavolo e un lieve sorriso in volto. Sentii la mano di Stana poggiarsi sul mio ginocchio e io alzai gli occhi su di lei sorpreso. Mi guardava comprensiva con un sorriso dolce in volto, ma insieme un po’ imbarazzata per il contatto fisico. Le feci un mezzo sorriso senza staccare gli occhi dai suoi.
In quel momento tornò il cameriere con le nostre birre. Stana spostò velocemente la mano da me mentre il ragazzo posizionava le nostre pinte sul tavolo.
“Ragazzi, qui ci vuole un brindisi!” esclamai appropriandomi della mia birra. Gli altri concordarono e alzarono i calici. “A Castle” annunciai con tono solenne. “Che ci farà schizzare tra le stelle del firmamento televisivo…” Jon lanciò un urlo in segno di approvazione che ci fece scoppiare a ridere. “E ancora a Castle” aggiunsi lanciando un’occhiata a Stana. “Che ci ha dato l’opportunità di incontrarci!” Era rivolto a tutti ovviamente, ma non avrei mai ringraziato abbastanza per aver incontrato lei. La mia partner fece un mezzo sorriso imbarazzato, ma alzò appena il boccale verso di me.
“A Castle!” esclamammo quindi facendo cozzare insieme i nostri boccali un momento prima di buttare giù un sorso di birra. Fresca al punto giusto e gustosa. Direi che era un ottimo auspicio per la serie.
Iniziammo a chiacchierare del più e del meno in attesa dei nostri hamburger. Qualche minuto dopo Tamala si alzò per andare in bagno e chiese a Stana se poteva accompagnarla. Lei annuì e la seguì.
“Ma secondo te perché le donne vanno sempre in bagno in due?” mi chiese Jon sospettoso mentre le osservavamo dirigersi alla toilette. Io alzai appena le spalle. Avevo come l’impressione che la Jones l’avesse fatto apposta per parlare da sola con la mia partner. “Ehi, Nathan, già che siamo solo noi due, posso chiederti una cosa?” mi domandò poi divertito. Io alzai un sopracciglio.
“Certo” replicai cauto.
“Che rapporto c’è tra te e Stana?” Quasi mi affogai con il sorso di birra che avevo appena mandato giù. Jon iniziò a picchiarmi sulla schiena per farmi riprendere. Ma cos’era, una mania la loro?? Ce l’avevano con noi?? Quando ricominciai finalmente a respirare, dovetti schiarirmi la gola prima di parlare.
“Siamo solo amici…” riuscii a dire con un po’ di fatica. Lui annuì pensieroso e guardò nella direzione dove erano sparite le ragazze.
“Quindi non state insieme?” chiese ancora.
“No…” risposi cercando di riprendermi del tutto dal mezzo annegamento.
“E non ha il ragazzo, giusto?” continuò.
“No” replicai ancora ripulendo il tavolo dalla birra che avevo sputato per sbaglio.
“E non c’è assolutamente niente tra di voi?”
“No!” ripetei con uno sbuffo esasperato. “Te l’ho già detto, non c’è niente!”
“Quindi posso provarci con lei?” Mi bloccai mentre stavo per buttare giù un altro sorso di birra. Cosa dovevo rispondere? Rimasi qualche secondo in silenzio, la bocca semiaperta, mentre cercavo di trovare una soluzione. “Nathan?” mi richiamò Huertas. Mi ripresi scuotendo il capo e buttai fuori l’unica parola che mi passava per la testa.
“No.” Jon alzò un sopracciglio.“Non puoi provarci con lei” continuai sicuro.
“E perché no?” chiese ancora. Cazzo. E ora che gli potevo dire?? All’improvviso mi venne un’idea.
“Per essenzialmente due motivi…” iniziai cauto mentre raccoglievo i pensieri. “Il primo è che non voglio casini interni al cast che rischino di compromettere la serie.” Mi congratulai mentalmente con me stesso. Jon sospirò e annuì, capendo le mie ragioni. Per un breve momento mi sembrò stesse trattenendo un ghigno, ma forse l’avevo solo immaginato.
“E il secondo?” domandò poi curioso.
“Il secondo è che ti vedo meglio con Tamala che con Stana” risposi con un sorrisetto divertito. Lui scosse la testa ridacchiando alla mia uscita.
“Ok, ok, ho capito, amico” dichiarò alla fine Jon. “Comunque scherzavo” aggiunse ghignando qualche secondo dopo, quando vedemmo le ragazze uscire dal bagno e tornare verso di noi. “Stana non te la rubo. È tutta tua!” esclamò facendomi l’occhiolino. Io aprii la bocca per replicare, ma non riuscì a dir nulla perché Stana e Tamala si sedettero proprio in quel momento al tavolo. Fulminai Jon con lo sguardo mentre lui sghignazzava.
Quando mi voltai verso Stana però, vidi che anche lei stava guardando male una ridacchiante Tamala. La Jones poi lanciò un’occhiata d’intesa a Huertas ed entrambi fecero un sorrisetto compiaciuto. Capii che l’avevano fatto apposta a prenderci da soli. E poco dopo fui certo di non essermi sbagliato nel pensare che fossero d’accordo. Stana infatti mi rivelò che Tamala le aveva chiesto da quanto tempo andava avanti la nostra relazione segreta.
 
Il resto della cena andò avanti più o meno tranquillamente tra chiacchiere, risate e occhiate maliziose di Tamala verso me e Stana. Decisamente si era ambientata subito. Andammo avanti fin quasi a mezzanotte, quando concordammo che era ora di tornare a casa. Eravamo tutti piuttosto stanchi per la giornata di provini. Ci salutammo dandoci appuntamento per la mattina dopo. In realtà non avremmo iniziato subito a fare audizioni. Andrew ci voleva tutti sul set per darci qualche informazione sui nostri personaggi e, di nuovo, per farci stare insieme più tempo possibile per creare gruppo. Ci teneva molto a questo. Ma visto come stava andando le cose fino a quel momento, ero piuttosto fiducioso. Nel pomeriggio invece avremmo avuto i provini per trovare Alexis Castle. Siccome sarebbero state tutte ragazzine in età da scuola, Marlowe aveva trovato più saggio fare le selezioni nel pomeriggio in modo che le aspiranti non perdessero ore di lezione.
Solo una volta entrato nel mio appartamento mi accorsi di quanto fossi stanco. Sbadigliai sonoramente. Buttai le chiavi sul tavolo vicino all’entrata e mi diressi in cucina per bere un bicchiere d’acqua. Quindi andai direttamente in camera. Di solito, anche tornando tardi, restavo sempre alzato per un po’, ma quella sera sapevo che non ci sarei riuscito. Tra uno sbadiglio e l’altro riuscii in qualche modo a togliermi jeans e camicia e a infilarmi, miracolosamente dritti, un paio di pantaloni della tuta. Non cercai neanche una maglia da mettermi su tanto ero stanco. Mi ficcai direttamente sotto le lenzuola a torso nudo. Come avevo immaginato, appena poggiai la testa sul cuscino crollai addormentato.
 
Il giorno dopo mi svegliai lentamente. Aprii piano gli occhi contro la luce entrante dalla finestra, mugugnando contro le tende non chiuse. Mi stiracchiai per bene, sbadigliando nonostante mi fossi appena svegliato. Mi passai una mano sulla faccia e la sentii leggermente ruvida per la barbetta che si era formata nella notte. Stranamente mi accorsi che la guancia non mi faceva quasi più male. Osai quasi sperare che la macchia violacea fosse sparita durante la notte, ma nemmeno io ero così ottimista. Con un sospiro, mi tirai su a sedere e mi stropicciai gli occhi. Rabbrividii quando l’aria piuttosto fresca della stanza avvolse il mio petto nudo. Doveva essersi raffreddato parecchio fuori nella notte. Ma ormai eravamo alle porte di ottobre e nonostante a Los Angeles facesse sempre caldo, c’erano anche quei rari momenti un po’ più freddi.
Mi passai una mano tra i capelli con uno sbadiglio e lanciai un’occhiata alla sveglia. Erano solo le 9 e… un momento… le 9?? Cavolo in quel momento avrei dovuto già essere agli studios!! Ma perché diavolo avevo dormito così tanto?? Ah già. La sera prima dovevo essere stato talmente stanco da dimenticarmi di puntare la sveglia.
Schizzai fuori dal letto come fulmine e mi precipitai in bagno. Mi lavai velocemente senza perdere tempo a farmi la barba o a sistemarmi i capelli. Mi ricordai all’ultimo di spalarmi la crema sulla faccia per il livido. Notai con una rapida occhiata che alla fine aveva deciso di iniziare a diminuire. La macchia violacea si era ridotta un po’ di dimensione, ora non mi prendeva più tutta la guancia, ed era anche un po’ più chiara. Mi vestii in fretta con il primo paio di jeans e la prima maglia che mi trovai davanti. Quindi corsi fuori casa, quasi dimenticandomi di prendere le chiavi della macchina. Alla colazione avrei pensato più tardi. In auto tirai fuori il telefono da un tasca e cercai il numero di Stana in rubrica, accedendo contemporaneamente il bluetooth dell’auto. Dopo un paio di squilli la mia partner rispose.
“Pronto?”
“Stana? Sono Nathan”
“Ah, allora non ti hanno ancora rapito gli alieni!” esclamò divertita. Io sbuffai come offeso, ma allo stesso tempo sorrisi.
“No, nessun alieno, mi spiace!” replicai. “Sono solo in ritardo. Ieri sera mi sono dimenticato di accendere la sveglia e ovviamente non mi sono alzato. Sono uscito qualche minuto fa da casa e dovrei arrivare agli studios nel giro di un quarto d’ora. Puoi avvertire tu Andrew?” le chiesi.
“Certo, non c’è problema” rispose Stana. In quel momento frenai d’un colpo. Maledissi a bassa voce il semaforo rosso per non farla allarmare. Lei però dovette aver capito cos’era appena successo dallo stridore dei freni perché aggiunse “Fammi un favore però Nathan: vieni con calma. Noi non scappiamo mica, ti aspettiamo. Evita di fare un incidente…”
“Ti mancherei troppo?” replicai divertito con un sorrisetto furbo. Potevo quasi vederla che alzava gli occhi al cielo mentre sbuffava.
“Sì…” Il mio cuore smise di battere per un secondo a quella risposta. “Ma in realtà solo perché mi mancherebbe il mio portapillole personale!” concluse ridacchiando. Ricominciai a respirare e deglutii. Non mi ero neanche accorto di essere entrato in apnea in quella manciata di secondi. Tentai di riprendermi velocemente e un dubbio mi colse.
“Non ti serviranno mica altre pillole, vero??” domandai allarmato. Avevo già fatto la mia bella figura in farmacia una volta. Non ci tenevo particolarmente a replicare. Ma sapevo benissimo che se solo me lo avesse chiesto, sarei andato a prenderle anche degli assorbenti se necessario. Sperai con tutto il cuore però che fosse buona e non me lo chiedesse mai.
Sentii Stana ridere dall’altra parte del telefono e automaticamente sorrisi anche io. Mi piaceva la sua risata. Mi piaceva davvero tanto.
“No, no, niente pillole!” riuscì a dire quando si fu calmata, anche se sentivo ancora i postumi della risata. “In questo sei stato fortunato. Ora che Tamala è entrata nel gruppo, in quei casi di ‘emergenza’ so che posso chiedere a lei.” Sospirai sollevato. Anche se allo stesso tempo la cosa un po’ mi intristì. Non avrei più avuto scuse per farle massaggi alla pancia e per sfiorarla come mi era capitato di fare un paio di giorni prima mentre stava male. Cercai di scacciare dalla testa quei pensieri prima che si trasformassero in qualcosa di più… piccante. Avevo una mente particolarmente fantasiosa in quel campo. E il ricordo di come mi ero sentito mentre la mia mano era sulla sua calda pancia di certo non mi aiutava.
“Ok” risposi semplicemente. Guardando la strada calcolai che non dovesse mancare ormai molto agli studios. “Dai, tra qualche minuto dovrei arrivare” continuai. “Ci vediamo tra poco, Stana!”
“Ok” replicò lei. Sentivo che aveva ancora il sorriso sulle labbra. “A tra poco. E non correre!” esclamò con tono a metà tra il serio e il divertito. Le risposi affermativamente ancora una volta. Quindi ci salutammo e riattaccammo.
Otto minuti dopo entrai trafelato sul set del distretto. Avremmo fatto la nostra riunione con i produttori lì, così che il set del loft, dove invece si sarebbero svolti i provini nel pomeriggio, fosse libero per i tecnici per preparare le attrezzature. Appena messo piede all’interno però, invece dell’incontro serio che mi aspettavo, trovai tutti i presenti a girare per il set urlando alternativamente due nomi.
“Nick?? Nicholas??” “Phoebe?? Phoebe dove sei??” “Nick?? Esci fuori da bravo!!” “Phoebe??”
“Ma che succede??” domandai stupito da quel caos a nessuno in particolare.
“Ehi, sei arrivato finalmente!” esclamò Tamala spuntando all’improvviso accanto a me, facendomi sobbalzare.
“Sì, incomprensioni con la sveglia…” spiegai velocemente. Osservai di nuovo il viavai di gente davanti a me. “Che sta succedendo qui?” le chiesi poi.
“Si sono persi due bambini” replicò Tamala. Io mi voltai di scatto verso di lei, preoccupato e sorpreso insieme.
Persi??” Lei annuì seria.
“Ehi, Nathan!” mi salutò Jon vedendomi. “Ti unisci alla ricerca?”
“Certo!” replicai subito togliendomi la giacca e buttandola su una sedia per essere più libero. “Chi si è perso?”
“I figli di Josh” rispose per lui Stana avvicinandosi a noi. Mi sorrise appena come saluto e io le sorrisi di rimando. Vidi anche sul suo volto i segni della preoccupazione. La sottile rughetta, che ormai conoscevo bene, era riapparsa in mezzo alla sua fronte.
Aggrottai le sopracciglia alle parole di Stana e diedi mentalmente un volto al nome che mi aveva fatto. L’unico Josh che conoscevamo era Josh Bryan ed era uno dei cameraman. Ci avevo parlato qualche volta. Un tipo simpatico, sulla quarantina. Mi aveva parlato dei suoi figli una volta. Phoebe, una femminuccia di dieci anni, e Nicholas, un maschietto di otto. Mi aveva anche fatto vedere una loro foto ora che ci pensavo. Ricordai che mi aveva parlato di loro con molto orgoglio e amore nella voce.
Qualche secondo dopo individuai Bryan dall’altra parte del set, il viso molto più pallido e tirato del solito, il panico nella voce mentre chiamava i suoi figli. Notai che tutti stavano dando una mano, compresi Marlowe, sua moglie Terri, Bowman e Susan.
“Come mai erano qui?” chiesi iniziando a perlustrare con lo sguardo tra le scrivanie del distretto.
“Oggi erano a casa da scuola per non ho capito che problema alla struttura” mi informò Stana. “Sua moglie non poteva recarsi con loro a lavoro, così ha chiesto a Josh se poteva prendersene cura. Lui ha domandato a Marlowe se poteva portarli qui e Andrew non gli ha fatto alcun problema. Solo che i problemi li hanno creati i piccoli appena sono arrivati. Hanno iniziato a ricorrersi. Josh li ha sgridati dicendogli di stare buoni e loro sono spariti. Poco fa ha provato a chiamarli, ma non li ha trovati e così sono partite le ricerche” Annuii pensieroso. Dove avrebbero potuto nascondersi due bambini là dentro? Non dovetti chiedermelo a lungo però perché all’improvviso ci fu un urlo sollevato da uno dei tecnici.
“Ehi!! Sono qui! Li ho trovati!” Capii che il richiamo proveniva da quello che avrebbe dovuto essere lo sgabuzzino delle scope del distretto. Ci avvicinammo tutti, Byan in testa. Riuscii a sbirciare dentro e vidi due corpicini rannicchiati a terra in un angolo un po’ nascosto del ripostiglio, difficilmente raggiungibile da un adulto a causa degli ingombranti scaffali laterali e degli oggetti stipati all’interno. La bambina era davanti al fratellino e lo copriva in parte dalla nostra visuale. Ma erano entrambi lì e sembravano stare bene.
“Phoebe!!” esclamò Josh con un misto di sollievo e rabbia vedendo la figlia. “Esci subito fuori da lì, signorina! Nick!!” aggiunse poi con lo stesso tono notando anche il figlio seminascosto. “Mi avete fatto prendere un infarto! Uscite immediatamente!” Sentimmo un paio di singhiozzi provenire dall’interno, quindi vedemmo la bambina scuotere la testa.
“Josh” cercò di richiamarlo Marlowe poggiandogli insieme una mano sulla spalla. “Non credo che sia il modo migliore per…”
“Lasciami fare Andrew!” dichiarò l’uomo scacciandolo. Tutti i presenti si fecero istintivamente indietro di un passo alla sua furia. Vidi Terri sbucare dalla massa e avvicinarsi al marito, preoccupata per la reazione di Josh. “Uscite subito di lì!” urlò ancora Bryan allo sgabuzzino. “Mi stavate facendo morire! Scomparire così senza dire niente!! Ma che diavolo vi è saltato in mente?? Phoebe, fuori ho detto!” ordinò poi alla bambina, probabilmente di solito la più propensa a seguire i rimproveri. “E vedi di tirare fuori anche tuo fratello!” La bambina scosse di nuovo la testa. “PHOEBE!!” urlò il padre esasperato.
“Josh…” lo chiamò Stana, ma Bryan non la degnò di uno sguardo. “Josh!!” ripeté la mia partner a voce più alta e ferma, quasi dura, prima che lui potesse urlare ancora contro i bambini. Finalmente Bryan si voltò verso di lei di scatto. Era paonazzo in volto. Aveva gli occhi lucidi e il respiro pesante. “Posso parlare con loro?” gli chiese Stana con tono calmo. Josh la guardò per un secondo come se fosse impazzita. Per un attimo temetti che avrebbe aggredito verbalmente anche lei. “So che ti sei preoccupato…” continuò comunque la mia partner come se si stesse svolgendo la più tranquilla delle conversazioni. Avevo notato però che prima di parlare si era morsa il labbro inferiore nervosamente. “Ma vedi anche tu che stanno bene. Sbraitargli contro non aiuterà a farli uscire. Tu hai bisogno di calmarti un attimo. Fammi parlare con loro solo per qualche minuto.” Eravamo tutti con il fiato sospeso mentre aspettavamo il responso. C’era un silenzio assoluto nel quale Stana e Josh si squadrarono. Poi un piccolo singhiozzo proveniente dallo sgabuzzino spezzò l’incantesimo. Bryan si voltò e sembrò come riprendersi da un incubo. Lo vidi guardare sconvolto verso il nascondiglio dei bambini. Chiuse e riaprì gli occhi più volte, le sopracciglia aggrottate, la bocca semiaperta, come se non credesse a quello che era appena accaduto. Quindi alzò di nuovo lo sguardo su Stana. Notai che non c’era più rabbia nei suoi occhi. Solo senso di colpa.
Senza proferire parola, Josh arrancò di qualche passo all’indietro in modo da lasciarle spazio per avanzare davanti allo sgabuzzino. Tutti ci spostammo un poco per non creare soffocamento all’entrata. Con un gesto, Marlowe allontanò del tutto i presenti dal ripostiglio, in modo che la mia partner fosse il più tranquilla possibile. Portò lui stesso Josh lontano da lì, così che si calmasse. Con un cenno del capo e un piccolo sorriso Stana ringraziò Andrew per quella cortesia. A quel punto rimase solo lei davanti allo sgabuzzino. Io pure decisi di non muovermi. Ero pochi passi dietro di lei nel caso avesse avuto bisogno di qualcosa o di una mano. Anche solo per controllare che nessuno si avvicinasse, visto che Bryan continuava a lanciare occhiate nervose all’indietro verso dove erano nascosti i piccoli.
Stana si avvicinò all’entrata e, lentamente, si abbassò, mettendosi in ginocchio proprio di fronte a essa. Da quella posizione doveva essere più o meno alla stessa altezza d’occhi dei bambini.
“Ehi…” mormorò piano e con tono dolce. “Come state? Non siete un po’ scomodi là dentro?” Non riuscivo a scorgere il viso del piccolo, ma quello della bambina sì. Era carina. Aveva dei lunghi capelli castano chiaro tenuti fermi appena sopra l’orecchio con un piccolo fermaglio rosa. I suoi occhioni scuri erano lucidi, sgranati e concentrati curiosi su Stana. La vidi scuotere piano la testa in segno di diniego, senza che staccasse gli occhi dalla mia partner. “Sicura? Ok, mi fido” replicò Stana con un piccolo sorriso rassicurante. “Oh, ma non ci siamo ancora presentati. Io sono Stana. E voi?” Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi una vocina.
“Phoebe…”
“Phoebe?” esclamò Stana come stupita. “Ma sai che è un bellissimo nome?” Altri attimi di silenzio.
“Anche Stana è bello…” fu la risposta della stessa vocina di prima. Tirò su con il nasino. “Ma è strano.” Stana ridacchiò.
“È strano perché i miei genitori vengono da un altro paese” spiegò paziente. Phoebe annuì piano. “E il tuo amico nascosto lì dietro come si chiama?” domandò poi. Questa volta fu la piccola a ridacchiare. Io non riuscii a trattenere un sorriso.
“Non è un mio amico” rispose la bambina. “È il mio fratellino. Si chiama Nicholas, ma tutti lo chiamano Nick!”
“Oh, allora ciao Nick!” lo salutò Stana con un sorriso. Si sentì un lieve “ciao” provenire dall’interno dello sgabuzzino. “Ma perché siete nascosti là dentro? Avete paura che vi mangi?” domandò poi in tono scherzoso. Vidi la bambina rabbuiarsi e rannicchiarsi ancora di più.
“Papà ci ha sgridato…” mormorò Phoebe con una vocetta prossima al pianto.
“E perché mai?” domandò Stana piano. “Sembrate così simpatici.” La bimba strinse appena le spalle.
“Stavamo correndo…” confessò la piccola dopo qualche secondo. “Ci aveva detto di stare buoni, ma Nick toccava gli oggetti sui tavoli! Io gli avevo detto di non farlo, ma…”
“Non è vero! Stavo solo guardando!” esclamò all’improvviso Nicholas offeso rompendo il silenzio che aveva mantenuto fino a quel momento. “Sei tu che mi sgridi sempre!”
“Papà ci aveva detto di non toccare niente, ma tu dovevi per forza prendere gli elefantini!” lo riprese Phoebe con un tono che voleva essere un severo rimprovero. Solo che detto da una bambina di dieci anni incuteva molto poco timore e faceva anzi quasi tenerezza.
“Ragazzi, ehi, calma!” li richiamò Stana prima che la situazione degenerasse. I due si zittirono subito. “Il vostro papà vi ha sgridato solo perché si preoccupa per voi” iniziò a spiegargli in tono calmo. “Vedete, questo posto è pieno di persone tra cui potreste perdervi e di oggetti con cui potreste farvi male o far male a qualcuno senza volere…” Vidi gli occhi della bambina sgranarsi.
“Ma noi non volevamo fare niente di male!” esclamò subito spaventata.
“Sì, ovviamente” replicò la mia partner con lo stesso tono di prima. “Ma sarebbe potuto succedere. E poi soprattutto avreste potuto farvi male da soli. Il vostro papà semplicemente vi ha detto quelle cose perché vi vuole bene e non vuole che vi succeda nulla.” I due fratellini sembrarono riflettere sulle sue parole. Stana lasciò passare qualche momento quindi allungò una mano in avanti. “Allora volete uscire? Mancate al vostro papà. E poi, se state lì, non possiamo neanche fare qualche gioco per passare il tempo mentre lavora…” aggiunse con un sorriso. La guardai e vidi che diceva sul serio. Avrebbe volentieri passato un po’ di tempo con loro. Quanto era fantastica quella donna? Se ora fosse anche riuscita a farli uscire…
Neanche il tempo di pensarlo che notai un movimento all’interno dello sgabuzzino. Quindi, qualche secondo dopo, una manina che spuntava e si aggrappava a quella di Stana. La mia partner fece un grande sorriso appena la piccola Phoebe uscì.
“Davvero giochi con noi?” domandò timorosa. Stana annuì. Subito un sorriso spuntò anche sul viso della bambina e non esitò un secondo a buttarle le braccia la collo. Io sorrisi alla scena. Avevo come l’impressione che nessuno potesse resistere a Stana.
La mia partner strinse a sé la bambina, anche se con un secondo di ritardo visto che l’aveva colta impreparata. Quindi entrambe si girarono a osservare l’anfratto tra gli scaffali per vedere se anche il piccolo Nick avesse avuto intenzione di uscire. Ma del bambino neanche l’ombra.
“Nick?” provò a chiamarlo Stana. Nulla. “Nick?” riprovò. “Non vuoi uscire a giocare?”
“Io non gioco con le femmine…” fu il borbottio che uscì in risposta. Io quasi scoppiai a ridere. Che caratterino il piccolo.
Stana voltò la testa verso di me e mi fulminò con lo sguardo. Io alzai le mani in segno di resa, cercando di moderare il ghigno che avevo stampato in faccia con scarso successo. Poi però il viso della mia partner si illuminò e io iniziai a preoccuparmi.
“Ok, Nick, non giochi con le femmine. Ti va allora se ti presento un mio amico?” domandò al bambino nascosto. Quindi con la mano mi fece segno di avvicinarmi. “Lui è Nathan, Nick” mi presentò quando mi fui accomodato a terra accanto a lei e a Phoebe.
“Ehilà campione” esclamai. Con mio nipote l’appellativo funzionava. Magari sarebbe andato bene anche con lui.
“Ciao…” fu il saluto cauto di Nick.
“Come va?” domandai per fare conversazione. Il piccolo era quasi invisibile nell’ombra del suo angolo. Sperai di riuscire a tirarlo fuori. Sentivo su di me lo sguardo della mia partner. “La mia amica Stana mi ha detto che sei un tipo simpatico…”
“Hai un’amica femmina?” mi domandò stupito con tono un po’ disgustato. Io mi trattenni dal ridacchiare. Ne aveva ancora di strada da fare il piccolo. Tra qualche anno avrebbe scoperto che non avrebbe più potuto fare a meno di avere qualche amica femmina con cui giocare
“Sì. È molto simpatica anche lei” risposi.
“Io non voglio giocare con loro…” ribadì Nicholas.
“Non giochiamo con loro se non vuoi. Ho un sacco di giochi nel cellulare…” dissi per convincerlo. Attesi un momento che le mie parole facessero effetto. Sentii un lieve spostamento all’interno e sorrisi. “E poi se vuoi posso farti vedere tutti gli oggetti strani che ci sono sui tavoli…” aggiunsi ricordandomi la conversazione di prima.
“Anche gli elefantini??” domandò subito eccitato.
“Anche gli elefantini” risposi. Scambiai un’occhiata speranzosa con Stana. Si stava mordendo il labbro inferiore. Attendemmo qualche secondo, quindi la testolina castano chiaro del piccolo sbucò fuori dal nascondiglio. Nick alzò gli occhi e io mi trovai davanti due occhietti verdi che mi osservavano curiosi. Sorrisi. Quindi gli allungai la mano. Lo aiutai ad uscire e lo presi in braccio un momento prima di alzarmi. Era proprio piccolino. Calcolai che dovesse arrivarmi più o meno a metà coscia. In braccio mi pesava quanto una piuma.
Gli scompigliai i capelli e guardai Stana. Si era alzata in piedi anche lei. Era meravigliosa con la bambina in braccio mentre le dava un bacio sulla guancia. Rimasi imbambolato per qualche momento con un sorriso da ebete in faccia finché Nick non mi passò una mano sulla guancia chiedendomi perché era viola e allo stesso tempo domandandomi degli elefantini. “Ora ti porto a vedere gli elefantini” dissi con un sorriso mettendomelo meglio sul braccio.
“Prima però andiamo a dire al vostro papà che state bene e che giocheremo insieme” dichiarò Stana carezzando i capelli di Phoebe che le si stringeva contro il collo. “Non vogliamo farlo preoccupare di nuovo vero?” Entrambi i bambini scossero velocemente la testa. Guardai Nick in braccio a me con il suo broncetto preoccupato e mi accorsi che era tutto polveroso.
“Ma prima ancora sarà il caso di ripulirsi un po’...” dissi, così che anche Stana notasse che i vestiti di entrambi i bambini erano pieni di polvere. Possibile che un set tirato su da qualche giorno fosse già così sporco? Andava bene rendere le cose realistiche, ma qui si esagerava! Posai Nick a terra, mi abbassai sui talloni e iniziai a dargli delle leggere pacche sui pantaloni in modo da pulirlo. Stana accanto a noi faceva la stessa cosa con Phoebe. “Ora ci facciamo belli per papà, eh?” dissi al piccolo mentre ero concentrato nel mio lavoro. Nick annuì piano. Notai che era preoccupato. Evidentemente una nuova sfuriata del padre lo inquietava parecchio.
Appena conclusa l’opera di pulizia dei due, ripresi in braccio Nicholas e lo lanciai anche un po’ per aria così da farlo ridere e da scacciare l’ansia. Non sopportavo i bambini tristi. Per me tutti i bambini avrebbero dovuto avere il sorriso sulle labbra. Sentii Stana e Phoebe ridacchiare dietro di me mentre commentavano a bassa voce le prodezze volanti del piccolo. Dopo pochi passi raggiungemmo le postazioni del distretto dove Bryan, Marlowe e tutti gli altri ci aspettavano. Come Josh vide i suoi bambini, si precipitò verso di noi e prese in un unico abbraccio entrambi i figli, ancora nelle nostre braccia, dando un bacio sulla testa a entrambi.
“Dio, mi dispiace…” sussurrò Bryan sconvolto. “Mi dispiace bambini. Non volevo urlare così. Non dovevo. Ma ero così spaventato…”
“Lo sappiamo, papà…” mormorò Phoebe in risposta. “Ci dispiace…” Nick annuì alle parole della sorella. Josh scosse la testa con un lieve sorriso e baciò di nuovo entrambi. Aveva gli occhi lucidi.
“Papà posso giocare con zio Nathan?” esclamò all’improvviso Nicholas dopo qualche secondo. Lo guardai stupito. Ero già diventato zio? Bastava la promessa di un elefantino che già mi ero guadagnato un tale appellativo? Sorrisi senza neanche accorgermene.
“Sì, sì, per favore!” aggiunse Phoebe supplicandolo. “E anche con zia Stana!”.
“Papà, se me li fa vedere lui gli elefantini non rischio di far male a nessuno, vero?” continuò timoroso Nick. Bryan lo guardò sbalordito e confuso. Io scambiai un’occhiata d’intesa con Stana. La mia partner sorrideva imbarazzata, un po’ rossa in volto, ma decisamente bellissima.
 
Verso ora di pranzo io e Stana portammo Nick e Phoebe al bar degli studios per mangiare qualcosa. Dopo il loro ritrovamento avevamo passato quasi tutto il tempo a osservare le scrivanie e gli altri ambienti del distretto, a fingere di essere poliziotti, a giocare al cellulare e a tutto quello che ci passava per la testa. Josh aveva ripreso il suo lavoro serenamente e ci aveva ringraziato più volte per esserci voluti prendere il disturbo di badare ai due figli. Ma a me Stana non importava. Io mi stavo divertendo e potevo dire lo stesso della mia partner. Inoltre riuscimmo comunque a fare la riunione con Marlowe. Solo che la svolgemmo tra una scrivania e l’altra del distretto insieme ai due bambini. E poi, ad adunata conclusa, si erano voluti unire ai giochi anche Tamala e Jon. Susan era rimasta quasi tutto il tempo a guardarci come una nonna che osserva figli e nipoti a una riunione di famiglia.
A un certo punto avevo proposto io a Stana e ai piccoli di fermare i giochi per rifocillarci. Non credevo che sarei riuscito a sopportare ulteriormente gli sguardi maliziosi di Tamala e Jon. Avevamo approfittato di un momento di distrazione dei due e c’è l’eravamo filata dal set. Nicholas e Phoebe l’avevano preso come un gioco. Stana aveva sospirato sollevata tanto quanto me.
Avevamo appena ricevuto le nostre ordinazioni che Jon e Tamala ci trovarono. Ci individuarono subito nel bar, nonostante fossimo in un tavolo un po’ appartato. Neanche avessero avuto un radar quei due!
“Ehi, vi avevamo perso!” esclamò Jon quando si avvicinarono.
“I bambini avevano fame…” si giustificò Stana. Vero in parte.
“Quale in particolare? Il grande o i piccoli?” domandò ironica Tamala. Io le feci una smorfia offesa. I due si accomodarono ridacchiando accanto a noi nei posti liberi. “Allora, come va l’operazione Mamma e Papà?” domandò ancora la donna in tono semiserio.
“‘Mamma e Papà??’”esclamammo sorpresi io e Stana nello stesso istante. “Ma di che state parlando??” aggiunsi io esasperato. I due si scambiarono un’occhiata divertita.
“Andiamo, amico, mi stai dicendo che non ti sei accorto di come vi comportate con i bambini?” disse Jon a bassa voce per non far sentire i fratellini. Proprio in quel momento Phoebe si sporcò la faccia con della salsa del suo panino e Stana subito l’aiutò premurosamente a pulirsi con il tovagliolo. Voltai la testa verso Nick accanto a me e lo vidi fare il rombo dell’aeroplano con la bocca un attimo prima di infilarvi un bel pezzo di toast. Sorrisi. Appena era arrivato il piatto, il piccolo l’aveva guardato po’ diffidente e io gli avevo fatto quello stesso verso, con tanto di svolazzo del tost, per farlo mangiare.
All’improvviso capii cosa intendeva Jon. Mi girai di nuovo verso di lui e me lo ritrovai a un palmo dal naso con un sorrisetto trionfante stampato in faccia. Sbuffai e continuai il mio pranzo facendo finta di niente. Jon e Tamala ridacchiarono, mentre Stana diventò di una simpatica colorazione rossastra. Doveva aver sentito la conversazione ed essere giunta alle mie stesse conclusioni. Sperai che non le desse troppo fastidio. Eppure a noi veniva semplice. Insomma, lei aveva cinque fratelli più piccoli. Sapeva come ci si prendeva cura di un bambino. Io invece avevo mio nipote Flynn con cui avevo fatto un po’ pratica. Inoltre dovevo ammettere che mi ero divertito molto a fare il ‘papà per un giorno’. Lo zio sapevo farlo, certo, ma non avevo mai avuto una donna accanto quando stavo con mio nipote. Era… diverso. Avere una donna con il quale condividere e gioire dei successi di un bambino, anche solo, nel nostro caso, del punteggio più alto in un giochino del cellulare. Mi faceva sentire bene. Scaldava il cuore. Il problema era che più ci pensavo, più mi risultava difficile e strano pensare a me con un bimbo in braccio accanto a una donna che non fosse Stana…
Scossi la testa violentemente. Non era decisamente quello il momento di avere certi pensieri. E probabilmente non era neanche il caso di avere certi pensieri.
 
Il momento della separazione dai due piccoli Bryan avvenne un’ora più tardi. Alle due avremmo dovuto essere presenti ai provini per Alexis e Josh si era preso il pomeriggio per stare con i figli a casa. Phoebe e Nicholas salutarono ogni persona sul set e abbracciarono Susan, Jon, Tamala, Stana e me. Io e la mia partner ricevemmo pure un bacetto da entrambi. Nonostante il piccolo avesse detto che non giocava con le femmine, avevo notato che si era trovato piuttosto a suo agio con Stana. Anche se potevo capirlo, visto che a un certo punto lei lo aveva preso in braccio per coccolarselo un po’ sul petto. Che invidia. Potevo essere invidioso di un bambino?
Bryan guardò teneramente i due figli mentre abbracciavano me e Stana un’ultima volta appena fuori dal set dove li avevamo accompagnati insieme a Jon e Tamala. Lasciai un ultimo bacio sulla guancia di Phoebe e la misi giù.
“A presto, piccolina” la salutai con un sorriso.
“A presto zio Nate!” replicò subito. “Ci verrete a trovare presto, vero?” domandò facendomi gli occhioni.
“Sì, ci verrete a trovare, vero??” le diede man forte Nick, ancora in braccio a Stana, con un broncetto tenero in volto. “Per favore!!” Come avremmo potuto dirgli di no? Si erano pure coalizzati!
“Certo che verremo a trovarvi” rispose Stana per entrambi con un sorriso dolce. “E se vorrete tornare qui non avrete che da chiedere. Sarete sempre i benvenuti.” Nicholas sorrise felice e le si attaccò al collo. Sentii una leggera tirata alla mia mano e guardai in basso, dove la piccola Phoebe cercava di attirare la mia attenzione.
“La prossima volta che ci vediamo portate anche i vostri figli?” domandò innocentemente. La mia mascella cadde da qualche parte e il mio cuore prese a battere velocemente. Sentii Stana accanto a me trattenere il respiro. Avrei scommesso qualunque somma che era arrossita. D’altro canto io ero impallidito. Ma che…??
“Phoebe!!” la richiamò subito suo padre.
“F…figli??” riuscii a balbettare dopo qualche secondo.
“Tesoro, noi… noi non abbiamo figli…” rispose Stana. Potevo sentire chiaramente l’imbarazzo nella sua voce.
“Dio, non siamo neanche ancora sposati!” esclamai, sotto shock, con una mezza risata. Stana mi lanciò uno sguardo strano, come stupito e imbarazzato insieme. Con la coda dell’occhio vidi Tamala e Jon scambiarsi un’occhiata d’intesa. Ma perché… un momento… O cazzo, avevo davvero appena detto ancora??
Mi schiarii velocemente la voce, ma non riuscii ad aprir bocca perché Phoebe, ignara dello scombussolamento che aveva appena provocato, mi precedette.
“Ma allora chi sono i bambini di prima?” domandò dubbiosa e sorpresa. “Quelli di cui parlavate!” aggiunse quando vide i nostri sguardi confusi. “Christine, Nikola, Theodore…”
“Flynn, Dushan e Marko” completò per lei il fratellino. Li guardammo stupiti, la bocca spalancata.
“Che memoria…” mormorai senza riuscire a trattenermi. Quei nomi li avevamo menzionati un paio di volte al massimo nella mattinata. E già li ricordavano! “Phoebe, Nick…” dissi a voce più alta per richiamare la loro attenzione. “C’è stato uno sbaglio. Loro non sono nostri figli. Sarebbero un po’ troppi anche per noi, no?” aggiunsi con tono divertito rivolto a Stana per alleggerire l’atmosfera. Lei mi fece un mezzo sorriso e scosse la testa. “Flynn è mio nipote…” spiegai ai due.
“Mentre gli altri sono i miei fratelli e mia sorella più piccoli” continuò la mia partner.
“Ah, quindi… quindi non state insieme?” domandò ancora Phoebe timida. Io negai col capo.
“No, piccola” risposi dolcemente. “Mi spiace.” Mi spiace veramente avrei voluto dirle, ma non era il caso.
“Però siete bravi a fare la mamma e il papà!” esclamò all’improvviso Nick con un sorriso. Stana arrossì di nuovo. Io mi schiarii la gola imbarazzato.
“Già!” concordò la sorella. “Quando vorrete avere dei bambini, ora avete capito che sapete tenerli!” dichiarò allegra e convinta Phoebe. Forse non aveva afferrato bene il concetto che non eravamo sposati. Ancora
“Ehm… Phoebe, Nick, ora basta disturbare Nathan e Stana!” li riprese Bryan, quasi più imbarazzato di noi. “Su, salutate, così torniamo a casa prima che torni mamma e le facciamo una sorpresa.” I due piccoli esultarono alla notizia. Un ultimo abbraccio, un ultimo bacetto, un ultimo “ciao zio Nathan, ciao zia Stana” e li osservammo trotterellare allegri accanto al padre verso l’uscita.
“Che bambini intelligenti, vero?” commentò Jon con tono dolce affiancandomi. Doveva essersi affezionato un po’ anche lui ai due piccoli. Annuii. Huertas fece un sospiro. Quindi mi diede una pacca sulla spalla. “Beh, allora, amico, avete già deciso quanti marmocchi avere?” domandò ridacchiando. Io trasalii e gli lanciai un’occhiata omicida.
“Jon!!” lo richiamò Tamala con tono di rimprovero. “Non hai sentito?? Non sono neanche sposati…” Stana annuì con lo sguardo, riconoscente. “… ancora!” concluse ghignando. La mia partner le tirò una gomitata e arrossì ancora di più. Io sbuffai.
“Ragazzi, finitela!” esclami seccato. “Mi è scappato...”
“Sai come si chiama questo, tesoro? Lapsus freudiano” dichiarò Tamala convinta. “E sai cosa vuol dire?”
“Che il tuo inconscio sapeva perfettamente cosa stavi dicendo!” rispose Jon ridacchiando e puntandomi un dito alla testa. Io sbuffai di nuovo. Non avevo il coraggio di alzare gli occhi su Stana. Quindi semplicemente mi voltai e rientrai sul set piantandoli lì.
“Ehi, ci siete finalmente!” esclamò Marlowe vedendomi rientrare. “Gli altri?” Feci un cenno col capo verso la porta dietro di me.
“Sono qui fuori” risposi. “Torneranno tra poco, credo…” appena finiranno di ghignare Jon e Tamala e il colorito di Stana sarà tornato più o meno nella norma. Probabilmente la mia partner sarebbe andata a farsi un giro, o per lo meno a prendersi un caffè, prima di incontrare di nuovo quei due simpaticoni.
“Beh, non importa” replicò Andrew con un’alzata di spalle. “L’importante è che ci sia tu. Susan ha già guardato la sua parte. Vieni, così do un copione anche a te...”
 
Venti minuti più tardi stavo finendo di rileggere le mie battute semiseduto sul tavolo dei produttori-osservatori-seguaci di Marlowe posizionato nel loft di Castle. Stavolta solo io e Susan avremmo provato con la candidata per il ruolo di Alexis. Anche perché per quasi tutto il tempo avremmo recitato noi con lei.
D’un tratto un profumo di caffè mi arrivò alle narici e un momento dopo mi ritrovai un contenitore del bar davanti al naso.
“Tieni” disse Stana porgendomi il caffè. “È quello che piace a te” aggiunse un po’ imbarazzata. Io alzai lo sguardo, presi il bicchiere e le sorrisi come ringraziamento. Notai che aveva un contenitore uguale al mio in mano. Come avevo immaginato quindi si era andata a rifugiare nel bar per scappare da Jon e Tamala. Si sedette accanto a me. “Quello è il nuovo copione per i provini?” domandò dopo qualche secondo spiando oltre il mio braccio mentre iniziavo a sorseggiare la mia bevanda.
“Già” risposi. “Restiamo nel loft e proviamo qualche scena padre-figlia e padre-figlia-nonna” aggiunsi con un mezzo sorriso. Avevo come l’impressione che sarebbe risultata molto divertente questa interazione in futuro. Ne avevo già avuto un assaggio dal copione del primo episodio e mi era piaciuto.
“Sembra divertente” commentò infatti Stana. Io annuii. A quel punto calò un silenzio imbarazzato. Ognuno sorseggiava il proprio caffè ed entrambi cercavamo di leggere le battute sul foglio, tanto per fare qualcosa. Poi non riuscii a sopportare più quel silenzio opprimente e quella formalità tra di noi. Scoppiai.
“Senti, mi dispiace per prima” esclamai a bassa voce in modo che non mi sentisse tutto il set. “Non volevo dire quello che ho detto…” Stana aggrottò le sopracciglia. “No, cioè, volevo dire quello che ho detto, ma, insomma, non volevo provocare tutti quei casini e quelle battutine di Jon e Tamala, ma i bambini mi hanno colto di sorpresa e…”
“Ehi, rallenta!” mi bloccò lei ridacchiando. Mi accorsi di aver detto tutto d’un fiato senza respirare. Feci una faccia da cucciolo colpevole. “Ho capito comunque” disse infine la mia partner. Mi voltai a guardarla e vidi che mi sorrideva, anche se un po’ imbarazzata. “Hanno colto di sorpresa anche me” spiegò comprensiva. Poi abbassò lo sguardo. “Forse avremmo dovuto specificare prima chi erano…” aggiunse pensierosa. Io sospirai.
“Sì, in effetti avremmo dovuto dirgli, quando abbiamo nominato Flynn e i tuoi fratelli, che non erano nostri… beh… figli, ma parenti” dissi imbarazzato. “Non so perché non l’abbiamo fatto…”
“Forse perché Nick e Phoebe erano un po’ troppo attivi e dispersivi?” domandò retorica Stana con un mezzo sorriso. In effetti non facevamo in tempo a dire loro qualcosa che già la loro attenzione si era spostata su qualche altra cosa che li interessava. Era anche per questo che eravamo rimasti tanto stupiti che si ricordassero i nomi di mio nipote e dei suoi fratelli e sorella.
“Forse…” ripetei ridacchiando. Ci fu qualche attimo di silenzio, ma non più imbarazzato.
“Comunque avevano ragione… i bambini intendo” disse Stana all’improvviso. La osservai perplesso.
“Su cosa?” chiesi.
“Sul fatto che saresti un buon padre” dichiarò guardandomi e facendomi un piccolo sorriso. Io rimasi con la bocca semiaperta, stupito. “Ho visto come interagisci con i bambini” continuò poi. “Non so se è stata la pratica con Flynn, ma… insomma saresti davvero bravo” concluse arrossendo e spostando lo sguardo verso il pavimento. Io ero ancora immobile a fissarla. Scossi la testa per riprendermi. E sorrisi.
“Anche tu saresti un’ottima madre, sai?” replicai sinceramente facendola voltare di nuovo verso di me. Avevo visto come si era rapportata con Phoebe e Nick. Sarebbe stata davvero una madre fantastica.
Stana si morse il labbro inferiore. I nostri sguardi rimasero legati per diversi secondi. Vedevo il dubbio nei suoi occhi per le mie parole. Ma ancora una volta vedevo anche qualcosa di diverso. Qualcosa che mi attirava verso di lei come un magnete. Qual’era la distanza tra noi, quindici centimetri? E se l’avessi superata? Cosa sarebbe successo?
Non ebbi comunque modo di scoprirlo perché in quel momento Bowman venne a chiamarmi e la nostra bolla perfetta scoppiò. Mi alzai con un sospiro e altrettanto fece Stana. La vidi allontanarsi verso le sedie messe a disposizione per lei, Jon e Tamala dall’altro lato del tavolo. Forse un giorno avrei scoperto cosa sarebbe successo a superare completamente la distanza tra noi due.
Scossi al testa e mi avviai verso il divano del loft dove Susan era seduta a rivedere le sue battute. Scambiammo qualche parola e mi informò che le aspiranti Alexis erano in tutto una trentina. Beh, avevo pensato peggio. Non avremmo dovuto finire neppure troppo tardi.
Rivedemmo insieme il copione. La prima scena consisteva in nonna e nipote che parlavano di Beckett con Castle e lo prendevano un po’ in giro. La seconda era un momento in cui a Castle si accendeva una lampadina per un caso e lo risolveva grazie alle parole della figlia e della madre. Nella terza e ultima invece si sarebbe svolto un dialogo solo tra padre e figlia. Marlowe aveva espressamente chiesto, nell’annuncio per il ruolo, che le aspiranti Alexis fossero tra i 14 e i 16 anni. Una ragazza più grande sarebbe stata poco credibile come figlia di Castle, che in fondo non era così vecchio, mentre una più giovane temeva sarebbe stata poco gestibile. Ci serviva qualcuna che fosse già abbastanza indipendente e sveglia.
Dopo qualche minuto entrò sul set, come al solito, Isabel, l’assistente di Marlowe, per annunciarci che le candidate erano pronte. Andrew dichiarò ad alta voce che iniziavamo e disse alla ragazza di far accedere la prima aspirante. Qualche secondo più tardi entrò una ragazzina sui 14 anni, bassina e con i capelli corti scuri accompagnata dalla madre. Dal portamento capii quasi subito che la ragazza dove essere stata probabilmente quasi costretta a venire al provino. Quindi i casi erano due: o era molto timida, ma amava recitare, oppure, come sospettavo, sua madre sperava diventasse famosa. Dopo pochi minuti compresi che il mio sospetto era purtroppo esatto. Sospirai e mi rassegnai ad attendere che quella madre troppo pretenziosa lasciasse spazio anche alla sua povera figlia per parlare davanti a Marlowe.
 
Un’ora dopo avevamo visto circa otto candidate. Per nostra sfortuna, a un certo punto dovemmo lottare anche con una donna che pretendeva che facessimo il provino a sua figlia. L’unico problema era che la bambina aveva 12 anni. Decisamente troppo piccola per Marlowe. Di quelle otto, solo una ci aveva dato una buona impressione fino a quel momento. Una ragazzina magrolina con i capelli castano chiaro e gli occhi verdi. In realtà, lanciando di sfuggita un’occhiata a Stana, avevo pensato che sarebbe stata più credibile come figlia di Castle e Beckett, se e quando si sarebbero messi insieme, piuttosto che di Castle e un’altra donna.
In quel momento entrò un’altra candidata e io mi riscossi dai miei pensieri. La ragazza aveva dei lunghi capelli rosso acceso e due occhi azzurro chiaro. Un bel mix. Mi stupii però nel vedere dietro di lei, invece che la madre come le altre aspiranti, il padre. Era un uomo piuttosto corpulento, ma aveva un’aria tranquilla. La ragazza di presentò come Molly Caitlyn Quinn, 15 anni, del Texas. A quanto pareva la sua famiglia si era trasferita in California per permetterle di portare avanti il suo sogno di attrice. Sentii che aveva già avuto un ruolo minore in un paio di film e che era stata appena scritturata per doppiare una voce in A Christmas Carol. Sembrava promettente come ragazza. Era un po’ timida, ma rispondeva con ogni volta con maggiore sicurezza. Notai che il padre accanto a lei l’aveva lasciata parlare tranquillamente con Marlowe e Bowman, a differenza di altre madri incontrate prima, senza interrompere. Allo stesso modo però avevo osservato come l’uomo avesse controllato con lo sguardo ogni cosa o persona attorno a sé. Non avrei saputo dire se per curiosità o per accertarsi che nessuno sembrasse un maniaco nel caso l’avessimo presa.
“Ok, Molly, queste sono le tue battute” disse a un certo punto Andrew passandole un copione, già un po’ sgualcito, sul quale erano già segnate le sue frasi con un evidenziatore giallo. Le ripeté la storia di Castle in modo da aiutarla a inquadrare a grandi linee il suo personaggio. Quindi le disse di dare un’occhiata al copione e andare a conoscere me e Susan, che saremmo stati suo padre e sua nonna.
La ragazza a quel punto si voltò verso di noi, che eravamo accanto al divano del loft, e ci venne incontro. Notai che mi guardava con gli occhi sgranati. Vedendola un po’ impacciata, mi feci avanti per primo e allungai una mano sorridendo.
“Ciao, piccola, piacere di conoscerti” la salutai. “Sono Nathan Fillion e lei è Susan Sullivan” dissi facendo un gesto verso Susan accanto a me che le strinse la mano subito dopo.
“Molly Quinn!” replicò a ragazza con un tono in cui riconobbi qualcosa come eccitamento represso. “E, ehm, so chi siete…” ci rivelò arrossendo. “Sono una fan di Firefly e ho visto diverse commedie a teatro in cui lei era presente, signora Sullivan!” Susan sorrise. Qualche giorno prima mi aveva detto che era sempre felice di constatare che qualche buon genitore portava ancora i figli a teatro. Le piaceva recitare al cinema e in tv, ma era il teatro la sua grande passione e quando vedeva ragazzi in sala era al settimo cielo.
“Niente ‘signora Sullivan’, bambina” replicò scuotendo la testa con una mezza smorfia. “Per te sono Susan.” Molly annuì.
“E per me?” chiesi ironico.
“Per te ‘signora Sullivan’ resta valido!” rispose Susan sul mio stesso tono. Io feci un finto broncio e Molly ridacchiò. “Allora, vediamo queste battute?” chiese poi allegramente.
Ripassammo le battute e la ragazza lesse le sue. Ci chiese consiglio su come recitarle, ma noi le suggerimmo, per questa volta, di provare a pensare come il personaggio e di buttarsi. Lei allora aggrottò le sopracciglia e si concentrò sul testo. Io e Susan ci scambiammo uno sguardo divertito. Qualche minuto dopo Marlowe ci domandò se potevamo cominciare. Non voleva mettere fretta alle ragazze in prova, ma ovviamente non aveva un tempo infinito. Molly annuì convinta e noi gli confermammo che eravamo pronti.
La prima scena andò bene. Io e Molly avevamo già deciso di metterci dietro il bancone della cucina a recitare, come se Alexis e Rick dovessero preparare qualcosa, mentre Susan/Martha sarebbe rimasta seduta al bancone. Avevamo come l’impressione che scene del genere si sarebbero ripetute spesso, visti i soggetti. Molly recitò bene. In effetti sembrava proprio una scena familiare.
Per la seconda scena preferimmo sederci sul divano. Beh, io e Molly sul divano, mentre Susan sulla poltrona preparata lì vicino. Anche in questo caso la ragazza fu brava. Inoltre io avevo allungato un braccio sul retro del divano e lei ci si era poggiata sopra come se fosse la cosa più normale del mondo. Come in effetti avrebbe dovuto essere, visto che dovevamo sembrare padre e figlia. A un certo punto, come voleva il copione, schizzai in piedi per andare da Beckett e mi allontanai lasciandole un bacio sulla testa girando dietro il divano.
Siccome c’era un’ultima scena, tornai a sedermi accanto alla ragazza. Stavolta fu un po’ più complicato. Eravamo solo io e Molly e quello che dovevamo recitare era quasi un doppio dialogo. All’inizio Alexis e Rick parlavano di Beckett in senso positivo, anche sfottendo ancora un po’ il povero genitore, ma poi lo scherzo lasciava completamente il passo alla preoccupazione. La ragazza esponeva infatti al padre le sue paure per il suo voler seguire la detective anche nei momenti più pericolosi. Molly però passò bene da una battuta all’altra. Come le avevamo suggerito io e Susan si era buttata, provando a capire come potesse sentirsi Alexis nel pensare che il suo, praticamente unico, genitore rischiava giorno per giorno la vita.
Papà, capisco perché lo fai…” disse Alexis piano. “Ma per favore, stai attento.” Le sorrisi teneramente.
Certo, piccola” le risposi. Quindi l’attirai verso di me e l’abbracciai, lasciandole un piccolo bacio sulla testa appena prima di poggiarvi la guancia sopra. “Tornerò sempre da te. Promesso.” Sentii Molly un po’ rigida, ma potevo ben capirla. In pratica ero uno sconosciuto che la stava abbracciando, anche se da copione. Di certo era andata molto meglio che con una delle ragazze prima che, appena avevo allungato il braccio, si era ritratta quasi schifata. Mi aveva fatto crollare la mia autostima quella e le risate di Jon, Tamala e Stana dietro le mie spalle di certo non avevano aiutato.
Quando finimmo, sorrisi a Molly. Era stata in gamba. Si era inceppata solo un paio di volte in tutto nelle battute. Aveva un’aria da brava ragazza, come avrebbe dovuto essere Alexis, e quei due occhi azzurri simili ai miei avrebbero reso più reale la recita di padre-figlia. Inoltre vedevo che aveva voglia di imparare e non si dava arie. Sicuramente non sarebbe stato pesante lavorare con lei. Sarebbe stata una buona Alexis. E poi mi stava simpatica.
 
Il resto del pomeriggio lo passammo a sentire le rimanenti aspiranti Alexis. Trovammo un’altra madre frustrata che voleva far diventare la figlia un’attrice e incappammo purtroppo anche in un paio di ragazzine snob e superficiali. Una quasi mi schiaffeggiò, credendomi un maniaco sessuale, perché non aveva letto che alla fine dovevo abbracciarla. Un’altra rimase per tutto il tempo a fissarmi la parte di faccia ancora violacea, come se fossi un alieno, senza riuscire a concentrarsi sul copione. Non avevo mica capito però se avesse problemi con me o con i lividi. O magari con il viola. Forse era una di quelle patite di teatro che appena portavi del viola ti linciava con lo sguardo. Boh.
In ogni caso finimmo di sentire tutte le ragazze per le sei di sera. In tutto di buone ne avevamo scovate quattro, di cui una era la piccola Quinn. Marlowe e Bowman ci riunirono, come al solito, per decidere chi sarebbe dovuta diventare Alexis Castle. Ci furono un po’ di discussioni stavolta. Sia io che Susan fummo chiamati in causa per sapere con chi ci eravamo trovati meglio a lavorare. Entrambi rispondemmo con il nome di Molly. A un certo punto vidi un’idea balenare sul viso di Andrew.
“Susan” la chiamò con uno sguardo strano. “Se dovessi tingerti i capelli per Martha, per te sarebbe un grosso problema?” Lei lo guardò sorpresa.
“No, certo che no” rispose confusa. Poi dovette capire il perché di quella domanda perché sorrise. “Assolutamente non avrei problemi a diventare rossa!” esclamò convinta. A quelle parole sgranai gli occhi e mi voltai verso Marlowe speranzoso. In fondo l’ultima parola stava sempre a lui. E l’unica rossa con cui avevamo avuto a che fare era stata proprio Molly. Lo vidi annuire pensieroso, un sorrisetto in volto. Che altro avrebbe macchinato la sua testa stavolta?
“Mm… una casa di rosse…” lo sentimmo borbottare tra sé e sé. “No, anzi una casa di teste rosse! Sì, mi piace!” esclamò all’improvviso allegro. “E poi si può anche non tingere i capelli, ma mettere una parrucca… Sì, si può fare!” dichiarò poi di nuovo tra sé. “Voto per la signorina Quinn!” aggiunse alla fine ad alta voce perché lo sentissimo tutti. Io sorrisi. Ora che Marlowe aveva deciso, altri gli sarebbero andati dietro. E poi chissà che altro aveva architettato per il futuro. Il suo piccolo ghigno non presagiva nulla di buono per il povero Castle.
Dopo una buona mezz’ora, alla fine riuscimmo a raggiungere l’accordo che speravo. La nostra nuova attrice era stata scelta. Molly Quinn era appena diventata la studiosa e decisamente matura Alexis Castle, figlia di Rick.

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Xiao!!! :D
Finalmente c'è l'ho fatta! XD Lo so sono in ritardo! :( Tiratemi pure in testa quello che volete... (purché sia morbido! XD) Scusate ma ho ricominciato con l'università e sto semestre ho come l'impressione mi porterà via un sacco di tempo... -.- Con questo non vuol dire che smetto di scrivere, solo che purtroppo ci metterò un po' mi sa... D: Chiedo perdono fin da ora!!
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto! ;) Al solito ringrazio le mie due compagne di sclerate Katia e Sofia che leggono in anteprima e mi correggono! ;)
Ah, in tutto dovrebbero esserci ancora 4 capitoli della storia... tanto per avvertire... X) Volete scoprire chi sarà il prossimo? ;D
A presto!! :D
Lanie
  
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