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Autore: blackmiranda    14/03/2013    8 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trial and a plan Trial and a plan




Ade parcheggiò il carro appena fuori dai cancelli dell'Olimpo. Il Grifone che lo trainava si lamentò; nemmeno lui aveva bei ricordi di quel luogo.

Personalmente, c'erano due cose che odiava di quel posto. Primo, l'arredamento. Secondo, gli abitanti. Non necessariamente in quest'ordine.

Hermes lo scortò fino alla sala delle riunioni.

Un tempo era solito entrarci piuttosto regolarmente. Non che rimpiangesse quei momenti: quasi sempre si trattava di ore perse a discutere di questioni che oscillavano tra futilità ed idiozia.

Come quella volta della mela che Eris aveva lanciato alle nozze di Peleo e Teti: giorni e giorni dedicati a cercare di far riappacificare Hera, Atena ed Afrodite.

Che poi, era ovvio chi delle tre fosse la più bella, che senso aveva discuterne?

Divertente comunque, quella Eris. Una delle poche divinità con cui andava relativamente d'accordo.

Non che sperasse in alcun tipo di aiuto o supporto da parte sua; aveva ricercato il potere assoluto da solo, e adesso si trovava da solo ad affrontare le conseguenze delle sue azioni.

Non era pentito di ciò che aveva fatto. O meglio, lo era, perché adesso si ritrovava in quel casino.

Ma se fosse tornato indietro, l'avrebbe rifatto.

Correggendo qualche piccolo errore di giudizio, magari.

Tuttavia, Ade non era tipo da tornare indietro nei ricordi e da perdersi nei se e nei ma: no, lui era tipo da guardare sempre avanti, al presente e al futuro.

Ed ora come ora il suo futuro richiedeva una soluzione immediata a quel pressante problema delle anime ribelli.

La vendetta e il resto potevano aspettare.

Quando entrò nella stanza, fu sorpreso nel notare che il grande tavolo rotondo era sparito e che al suo posto c'era una fila di sedili, ricavati direttamente dalla nuvola che fungeva da pavimento.

Dietro ai suddetti sedili, uno scanno si ergeva a dominare la scena; di fronte a loro, una sedia solitaria dai cui braccioli pendevano due grosse e pesanti catene in ferro, chiaramente opera di Efesto.

Non c'era dubbio su quale fosse il suo posto.

I dodici Olimpi si voltarono simultaneamente a guardarlo, chi atteggiando il viso in un'espressione corrucciata, chi schernendolo piuttosto apertamente.

Zeus pareva più deluso che altro. Ade dovette trattenersi per non infiammarsi. Odiava quando il fratello indossava la maschera paternalistica.

Il signore degli dei parlò. “Ade. Vorresti per favore sederti?” chiese in tono grave.

Ade sorrise, mostrando le zanne e le gengive grigiastre. “Certo, perché no?” disse accomodandosi. “Devo dire che apprezzo molto le catene, danno un tocco di sadismo che mi fa sentire quasi come se fossi a casa.” osservò mentre queste ultime gli strisciavano sugli avambracci, trattenendolo sulla sedia.

Gli altri dei presero posto di fronte a lui, mentre Zeus si sedeva a sua volta sul trono.

“Ti dispiace se fumo?” chiese Ade senza aspettare la risposta del fratello.

La giuria lo fissò gelidamente.

“Ma come, non ho neanche diritto ad un avvocato?” domandò, ostentando nient'altro che sicurezza e disprezzo nei confronti degli Olimpi.

“Spiacente, non siamo riusciti a trovarne uno disposto a difenderti.” sibilò Apollo.

“E questo la dice lunga.” commentò il dio dei morti, lasciando cadere la cenere del sigaro sul pavimento.

“Ti hanno mai detto quanto sei disgustoso?” replicò Apollo, fortemente infastidito dalla calma con cui Ade sembrava prendere la cosa.

“E' abbastanza.” intervenne Atena, alzandosi in piedi. “Padre, possiamo iniziare?” disse rivolta verso Zeus.

Lui annuì, facendo cenno ad Hermes di prendere nota.

La figlia di Zeus fece un passo in avanti.  

“Ade, figlio di Crono. Sei accusato dei seguenti crimini contro gli dei e gli uomini: aver liberato i Titani dalla loro prigionia, a cui erano stati condannati per l'eternità da Zeus; aver utilizzato i Titani per tentare di conquistare l'Olimpo ed usurpare il trono di Zeus; aver tentato di intrappolarci nel Tartaro; aver cercato di uccidere Ercole, figlio di Zeus, in molteplici occasioni; aver causato le morti di centinaia di uomini e donne durante il tuo fallimentare tentativo di impossessarti dell'Olimpo.”

Atena lo guardò negli occhi. Ade sostenne lo sguardo della dea con facilità.

“Come si dichiara l'imputato?” chiese la figlia di Zeus in tono altero.

Ade si strinse nelle spalle. “Ehi, ho colto l'occasione che mi si presentava. Chi non l'avrebbe fatto al mio posto?”

Un coro di proteste si levò dalla giuria.

“E' evidente che non è pentito!” protestò Apollo, rivoltosi verso Zeus.

Ade spense il sigaro sul bracciolo della sedia. “Sì, beh, questo è stato molto... interessante, ma onestamente ho un sacco di lavoro arretrato di cui occuparmi, per cui, se non vi dispiace...” disse indicando le catene che lo trattenevano sulla sedia.

Zeus si alzò in piedi. “In considerazione dei tuoi crimini e delle tue colpe, Ade, sei condannato alla perenne prigionia nei confini del tuo reame. Non potrai più uscire dall'Oltretomba, né potrai mettere piede sulla terra o sull'Olimpo, a meno che tu non sia convocato personalmente da me.” Voltò le spalle al fratello. “Questo è ciò che è in mio potere fare.” aggiunse, mentre un grosso ammasso di nuvole grigie copriva la Grecia, accompagnato da vento di temporale.

Il dio dei morti non riuscì a nascondere il disappunto.

Quella sarebbe di certo stata una bella seccatura. Non poter uscire dall'Oltretomba, a meno di non essere convocato... E non credeva sarebbe stato convocato tanto presto.

Infatti, era probabile che le intenzioni di suo fratello e dei suoi scintillanti compari fossero di rinchiuderlo sottoterra e di buttare via la chiave, per così dire.

Comunque, si disse mentre veniva poco cerimoniosamente rispedito entro i confini del suo reame, sarebbe potuto andare molto peggio.

Era abbastanza sicuro di poter vivere con quella limitazione, per quanto fastidiosa potesse essere.

Oltretutto, non è che avesse bisogno di risalire sulla terra. Era più un capriccio che altro, ormai.

Certo, era stato vitale per il suo piano, per il reclutamento del suo piccolo esercito di mostri.

Anche se negli ultimi anni se n'era praticamente sempre occupata Meg, aveva comunque dovuto tenerla d'occhio.

In effetti, avrebbe dovuto tenerla d'occhio molto di più...

Quello era stato il suo errore più grande: delegare.

Anche se non l'avrebbe mai ammesso ad anima viva (o morta), sapeva benissimo di aver commesso un errore fatale nel non occuparsi personalmente dei punti cruciali del piano.

Nonostante tutto, però, attribuiva il suo fallimento alla sfortuna e all'incompetenza dei suoi servi, non certo alla propria.

Una volta ritornato nell'Oltretomba, venne accolto da una serie di lamenti ed urla fin troppo familiari, provenienti dallo Stige.

“Pena! Panico!” esclamò entrando nella sala del trono.

I due arrivarono correndo. “Già di ritorno, Maestà?” chiese Pena con il fiatone.

Ade non rispose. “Cos'è questo trambusto? I nostri ospiti non gradiscono più  il servizio che offriamo?” disse indicando in direzione del vortice infernale.

Pena si strinse nelle spalle, indeciso su cosa rispondere.

“E' da quando ve ne siete andato che  sono irrequiete, Signore...” biascicò Panico mangiandosi le unghie.

“In questo caso, ho un'ottima notizia da darvi, ragazzi.” disse Ade sedendosi sul trono. “Non me ne andrò da qui per un bel po'. Ordini di Sputafulmini.

Pena e Panico restarono in silenzio, presi in contropiede. Il loro boss era prigioniero nel suo stesso regno... Come erano caduti in basso.

Il dio parve leggere i loro pensieri, perché un'occhiata alle loro facce attonite bastò per far cambiare colore alla sua vivace chioma azzurrina.

Pena e Panico cercarono di ricomporsi. “Beh, non è poi così male, non è così?” balbettò Panico in tono estremamente servile. “Potevano intrappolarvi nel Tartaro, quello sarebbe stato molto peggio...” aggiunse frettolosamente, temendo di venire frainteso.

 Ade sbuffò. “Non sarebbe stato possibile, non secondo le regole.” Si ravviò i capelli, cercando di calmarsi. “Brutte notizie anche per voi, comunque. Dovrete muovere le chiappe un bel po' di più, d'ora in poi.”

“Ah, ma certo...” disse Panico accennando un inchino.

Pena fece lo stesso, mascherando una smorfia di tremendo disappunto.

Rimasero in silenzio per un momento. Le urla provenienti dallo Stige si fecero più forti.

 Ade ringhiò, infiammandosi. “Volete zittire quelle maledette anime o devo scaraventarvi io stesso dentro lo Stige?!” gridò conficcando le unghie affilate nei braccioli del trono.

“M-ma Signore...”

Le proteste dei due servi furono rapidamente zittite da due fasci di fuoco diretti ai loro rispettivi fondoschiena.

***
I tentativi dei demonietti si rivelarono infruttuosi.

Le anime dei morti continuavano ad esprimere la loro crescente rabbia con terribili urla; alcune addirittura trovarono la forza di opporsi alla corrente del vortice, tentando disperatamente di uscire dal gorgo.

Non serviva un genio per rendersi conto che la situazione stava degenerando ad una velocità preoccupante.

Nel giro di poche settimane, senza dubbio, ci sarebbero state anime vaganti per tutto l'Oltretomba.

 Bisognava fare qualcosa al più presto. Tuttavia, Ade non sembrava particolarmente propenso ad agire, né tanto meno a dar loro retta.

Tutte le loro timide proteste e i suggerimenti erano stati accolti con minacce di prematuro pensionamento.   

“Credi che sia andato completamente fuori di testa?” domandò Pena a Panico mentre si spalmava della crema sulle più recenti scottature.

“Non ne ho idea!” piagnucolò Panico. “Ma non possiamo andare avanti così!”

Pena annuì. Erano due giorni che vivevano accampati sulle sponde dello Stige, costretti a tenere d'occhio le anime ventiquattr'ore su ventiquattro.

“Quanto lo detesto!” esclamò Pena, pieno di rancore.

“Shh!” lo zittì Panico. “Sei diventato matto pure tu?”

“Forse!” replicò Pena, alzandosi in piedi. “Insomma, è lui il sovrano di questo schifoso posto! E invece di fare il suo dovere se ne sta seduto su quel maledetto trono tutto il tempo, senza fare un bel niente!”

In realtà, non è che Ade non stesse facendo niente.

Lo sguardo fisso nel vuoto, le mani giunte, stava riflettendo.

Aveva preso in considerazione tutte le ipotesi che gli venivano in mente per ripristinare il proprio potere, per fermare la crisi interna al suo regno, ma era estremamente difficile ragionare con il mal di testa pulsante e il generale malessere che provava.

Le anime acquisivano forza e lui la perdeva, ora dopo ora, minuto dopo minuto.

Infine si arrese. Suo malgrado, avrebbe dovuto attingere potere da un altro dio; era l'unica soluzione possibile.

Si levò dal trono e si diresse alla stanza dove era conservata la Voce delle Moire.

Sullo scaffale vicino al rotolo, i due servi avevano infilato la lista di divinità ctonie la cui natura era compatibile con la sua.

Rilesse i nomi sulla lista, scettico. Si trattava per la maggior parte di divinità campestri, legate alla terra e ai cicli delle stagioni e del raccolto. Molto popolari in Oriente.

Demetra spiccava tra tutti, ovviamente, per vecchiaia e potenza. Antica quanto lui, e per questo decisamente fuori dalla sua portata: era troppo forte per lui, e per di più lo odiava.

Non che il resto dei candidati ci tenesse a lui, beninteso: non si illudeva che nessuna divinità potesse venire persuasa pacificamente ad aiutarlo.

Per questa ragione, oltre che compatibile, bisognava che il donatore fosse anche relativamente debole e ingenuo, qualità che non era per niente facile trovare in un dio.

Il suo sguardo si arrestò improvvisamente.

Persefone.

Dove aveva già sentito quel nome? Non gli suonava nuovo, ma faticava a connetterlo ad un volto.

Esaminò la Voce finché non trovò il nome.

Era collegato a quello di Demetra da una sottile linea grigia.

La figlia di Demetra! Come aveva fatto a dimenticarsene?

Corrugò la fronte. Non ricordava di averla mai vista, ma gliel'avevano nominata, ne era certo.

Passò il dito sul nome. Ctonia. Isola di Nysa. Duecentodiciannove anni. Dea della primavera e della rinascita, recitò la Voce delle Moire.

Sembrava promettente. Relativamente giovane, e, si augurava, anche relativamente ingenua.

Non abitava sull'Olimpo, anche se avrebbe potuto, essendo la figlia di Demetra.

Questo semplificava di molto le cose.

Forse aveva trovato la candidata ideale. Ora, il problema era: come avrebbe fatto ad utilizzare quella giovane dea a suo vantaggio?

Si sedette al tavolo dello studio, pensieroso. Quel piano avrebbe richiesto un po' di tempo per essere formulato e un bel po' di fortuna per essere messo in atto.






Buongiorno, miei carissimi lettori (sì, lo so che hanno recensito solo donne, ma magari c'è anche qualche maschietto che legge, chi lo sa)!
Come avrete potuto constatare, da qui in poi iniziano le perfide macchinazioni di Ade: la storia finalmente entra nel vivo! :D
Non potete immaginare quanto mi renda fiera essere arrivata fino a qui. Inoltre, avevo davvero paura che questa storia sarebbe passata inosservata, e invece sto ricevendo del feedback straordinario, che mi riempie di felicità. I miei ringraziamenti vanno a tutti voi recensore, in particolare a Estatemeravigliosa, che ha iniziato a leggere solo di recente.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto: sapete dove scrivere i vostri pareri. ;)

   
 
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