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Autore: Sophie Hatter    30/09/2007    4 recensioni
C’è qualcosa del suo passato che Sirius preferisce non ricordare.
C’è qualche azione della sua giovinezza di cui James vorrebbe non vergognarsi.
Fortunatamente, Sirius e James sono amici.
*
Seconda classificata al concorso di Hogwarts Point "Midsummer night".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Titolo: Some things, in life, may change

 Nota di inizio: dato che sento sempre il bisogno di straparlare prima di postare una storia, dirò che questa fanfiction nasce principalmente per due ragioni. La prima è partecipare al concorso di Hogwarts Point Midsummer Night, incentrato su una notte d’estate raccontata dal punto di vista di uno dei personaggi “non principali”, cosa che mi riesce estremamente congeniale considerato che è proprio di questi che adoro scrivere. La seconda è di provare a raccontare un episodio cruciale della vita di un paio di personaggi che mi sono cari.

Preciso che, come segnalato nel genere, non si tratta di una fanfiction particolarmente allegra. Il titolo è stato estrapolato dalla canzone Older Chests di Damien Rice, che se fosse donna potrei definire la mia immortale musa ispiratrice, e sebbene lungo mi sembrava la cosa più adatta per esprimere e riassumere la fanfiction a cui io sia riuscita a pensare.

Preciso anche un’altra cosa. La storia ha una struttura precisa, che forse è meglio chiarire subito per evitare che qualcuno si trovi spiazzato. È costituita di quattro parti, due per ciascun personaggio protagonista, due di avvenimenti in tempo reale e due di flashback. La disposizione di queste quattro parti è organizzata secondo una specie di simmetria a specchio, cioè comincia con avvenimenti in tempo reale di un personaggio e poi con il suo flashback, e a seguire si hanno il flashback dell’altro personaggio e poi di nuovo gli avvenimenti in tempo reale. Quindi, se dal primo pezzo non si riesce a comprendere proprio tutto, tranquilli che poi con i flashback ogni dettaglio viene spiegato. Magari sono andata a complicarmi la vita, però mi piaceva, anche perché la parte finale si ricollega all’inizio e con la ring composition, al liceo, mi hanno sempre fatto una testa così.

Ringrazio chi ha tentato di stare dietro a questi deliri iniziali e vi lascio alla fanfiction.

Buona lettura

 

Jane

 

 

 

Some things, in life, may change. And some things, they stay the same.

 

 

 

I’m lost in my words I don’t know where I’m going

I do my best I can not to worry about things

I feel loose

I feel haggard

Don’t know what I’m looking for

Something true

Something lovely

That will make me feel alive

(Air, “The Vagabond”)

 

 

 

Luglio 1976

 

“PADS… che diavolo ci fai qui?”

Sirius sorride, rassicurante. È perfettamente conscio del fatto che sono soltanto le cinque di mattina, che si è presentato a casa del suo migliore amico trainando faticosamente un baule pesantissimo e che è spettinato, sporco e odora di erba e di terra, ma il suo sorriso è sempre in grado di rassicurare chiunque.

Lo sa bene.

Lo fa in quel modo tutto suo, sollevando l’angolo destro della bocca e fissando intensamente il suo interlocutore, mentre inclina lievemente il capo.

James ci casca e si tranquillizza.

“Non ti agitare, amico… è solo che, vedi… ho deciso che era il momento”.

L’ha deciso quella sera, dopo cena. Dopo l’ennesimo sguardo di disgusto, dopo lo schiaffo di suo padre per essersi presentato a tavola con la sciarpa di Grifondoro al collo, nonostante il clima torrido. Dopo l’ennesima offesa da parte di sua madre. L’ennesima esclusione da quella che un tempo chiamava casa.

“Oh. Vuoi dire quel momento?”

Sirius vede che James guarda le sue valigie con un lampo d’ammirazione negli occhi, mentre lui nasconde rapidamente un sorriso amaro dietro un’espressione di arrogante superbia.

“Proprio quello, esatto. È fatta. Li ho mollati. Me ne sono andato”.

James guarda Sirius, estasiato. Ha davvero l’aria di essere fiero di lui per ciò che ha fatto. Sirius non cede al suo tremito interno e continua a sorridere, cercando di scacciare rapidamente il freddo del vento dalla sua pelle. L’ha tormentato per tutta la notte, quel maledetto vento estivo. Forse è per quello che gli venivano continuamente le lacrime agli occhi.

“Wow, Padfoot… non posso crederci, sei stato grande” gli dice James e Sirius si riscuote, di colpo.

Ora è da James e non ha più nulla da temere. Nessuno gli dirà più che è uno schifoso reietto indegno di portare il suo nome, o che si vergogna di averlo generato. Deglutisce, respira profondamente, smette di corrugare la fronte e si concentra.

Non c’è più il vento che gli fischia addosso, ora. C’è il giardino di casa di James, le piante che gli fanno il solletico alle gambe, l’odore di frutta e il calore dell’accoglienza. L’estate non gli sembrerà più gelida, da ora in poi. Ci saranno sciarpe di Grifondoro dovunque e la musica del giradischi del signor Potter, quella roba Babbana che gli piace tanto. È sicuro che James lo farà stare qui.

“Credi che potrei fermarmi da te per un po’?”

Non chiede scusa per essere piombato lì ad un orario assurdo, per non aver avvisato e per il fatto che se ne sta sui gradini del portico con la terra sotto le scarpe a supplicare di potersi aggrappare al suo migliore amico come un parassita, ma Prongs lo capisce anche senza bisogno di una comunicazione diretta e sa già che a Sirius dispiace per essere così terribilmente inopportuno. E l’importante, ora, per Sirius, è scacciare dalla testa l’ululato del vento, il dolore dei graffi, il bruciore dello schiaffo, il peso dei bagagli sulle spalle e la terribile sensazione di sentirsi odiato.

Odiato da chi avrebbe dovuto fargli i complimenti per i suoi G.U.F.O., abbracciarlo e dirgli che era fiero di lui. Da chi avrebbe dovuto dirgli che non importava se stava a Grifondoro piuttosto che a Serpeverde, era comunque parte della famiglia.

Da chi ora dovrebbe piangere per la sua fuga, anziché gioirne intimamente.

“Ma certo che puoi restare, pezzo d’idiota. Che razza di domande fai?”

James ha detto di sì. Sirius si dice che non ha più nulla da temere, ora. Non dovrà tentare di nuovo di dormire su un albero, graffiandosi la schiena con la corteccia e scivolando pericolosamente sul muschio. Il suo migliore amico gli ha offerto un posto dove stare, un posto dove poter chiudere la finestra per non far entrare il vento e dove poter scendere a cena con una sciarpa di Grifondoro.

“Spero che tu abbia un letto abbastanza morbido per i miei gusti” scherza, decidendosi a salire gli ultimi gradini. Getta una veloce occhiata alle sue spalle, mentre un brivido gli sfiora la nuca. L’incubo di quella notte insonne se ne sta andando via. Comincia a deridersi silenziosamente, chiedendosi per quale assurda ragione non è andato subito a casa di James dopo essere scappato di casa.

Ricorda ciò che aveva pensato. Di aver bisogno di stare solo per un po’. Ma il suo fallimento è stato a dir poco clamoroso.

“Hai qualche preferenza per la stanza? Ne abbiamo un paio al secondo piano, una in mansarda e una di fianco alla mia…”

“È ovvio che voglio quella di fianco alla tua, quadrupede cornuto. Cosa credi, che non provi il desiderio di romperti le scatole anche mentre sto qui?”

Ridono insieme, James lo sapeva già che avrebbe risposto così. Lo aiuta con i bagagli e insieme salgono le scale, uno dietro l’altro.

In casa di James non si sente il freddo della sua notte insonne. Non si sente nemmeno il caldo afoso di luglio. C’è solo quel piacevole tepore che una casa dovrebbe avere. Sirius lo sa, perché Grimmauld Place non era così. Prongs probabilmente neanche se ne rende conto. Ma nella sua grande casa si può correre e saltare sui letti, si può scivolare sul corrimano anziché scendere le scale gradino per gradino, si può arrivare in ritardo a cena e non essere rimproverati, si può curiosare nel ripostiglio senza aver paura di essere scoperti e mandati a letto senza cena.

Sirius ha chiuso. Con la sua vita schifosa e con le notti insonni su un albero. Che cosa stupida, ha fatto.

“Come mai ci hai messo tanto?” gli chiede James. Lui sussulta.

“A fare cosa?” domanda, inquieto. Ha paura che James lo scopra e se ne rende conto.

“Beh, a deciderti. Diavolo, Sirius, sembrava che ti tenessero in carcere” dice James. Sirius quasi sospira di sollievo. Recupera il controllo e la sua espressione arrogante e scoppia a ridere.

“Aspettavo il momento migliore… ne ho fatta una talmente grossa che posso star certo di non avere nemmeno Kreacher alle calcagna” risponde, sentendosi pervadere dal calore. Calore di casa, di fierezza di sé, di complicità.

“Wow. Che cosa?” chiede James, voltandosi a guardarlo con gli occhi che brillano dietro le lenti degli occhiali dopo aver raggiunto il pianerottolo. Sirius annusa l’aria. Non c’è più odore di muschio, di erba, di vento. Solo di casa.

“Beh…”

Si rassetta il collo del mantello, dandosi le arie proprio come piace a James. Sono entrambi dei maestri in quel campo.

“Sono semplicemente sceso a cena con la sciarpa di Grifondoro addosso. E ho appoggiato i piedi sul tavolo. Con le suole delle scarpe piene di fango” spiega, in tono di falsa modestia. Anche i suoi occhi brillano, ora. Si sente compreso e approvato e ammirato.

“Porco mondo, li avrai fatti infuriare di brutto” esclama James, con un sorriso esaltato. Sirius fa l’aria da uomo vissuto.

“Ci puoi giurare, amico”.

Ridono, si battono una serie di pacche sulle spalle e si incamminano nel corridoio, trascinando i bagagli. La casa è ancora immersa nel buio della notte, ma Sirius ne percepisce la diversità rispetto a Grimmauld Place. C’è James che corre e saltella felice, lì dentro.

“Vieni, Pads. Ti presento la tua nuova stanza” gli dice, tutto entusiasta. Sirius alza il mento, con aria superba. Avanza come se fosse un signore.

“Piacere di conoscerti” scherza, giunto sulla soglia, mentre sfoggia un elegante inchino. James ride. Sirius pensa che è così bello, sentire finalmente qualcuno che apprezza le sue battute.

“Sistemati pure, io vado a svegliare i miei genitori” dice James e sfreccia via verso le scale.

“Non fare lo scemo, Prongs, sono le cinque di mattina…”

Troppo tardi, è già lontano per riuscire a sentirlo. Sirius scuote la testa, con un sorriso. Pazzo.

Presto il sorriso sfuma in un’espressione lievemente più amara.

Sirius rimane a fissare il letto, imbambolato, rendendosi conto che non ha ancora realizzato che cosa significa. Quella ora è la sua casa. La sua camera. Il suo letto. Non tornerà più dalla sua famiglia, non dovrà più scappare da Londra e tentare di passare la notte su un albero.

Ancora non riesce a capire perché l’abbia fatto.

 

 

***

 

In questo momento, Sirius vorrebbe tanto aver già frequentato il sesto anno di scuola. Almeno avrebbe dovuto imparare a Smaterializzarsi da tempo e a quest’ora sarebbe già in possesso del diploma che attesta il superamento dell’esame da parte sua.

Invece, questa è la dannata estate del quinto anno. Sirius non sa Smaterializzarsi, nemmeno conosce la formula per farlo; sta vagabondando per le strade di Londra trascinandosi appresso un baule strapieno di oggetti probabilmente non indispensabili alla sua sopravvivenza immediata, non ha idea di dove porti la via che ha appena intrapreso e ha freddo, ha maledettamente freddo.

Potrebbe trasformarsi in Padfoot, almeno avrebbe il vantaggio di essere coperto da un folto ammasso di peli che lo isolerebbe nel tepore della sua pelle. Ma Padfoot come potrebbe trascinare il baule? Tenendolo tra le fauci?

No, è meglio proseguire e sopportare, troverà un’altra soluzione.

Innanzitutto, deve decidere dove andare. Non può rimanere per tutta la notte in giro per Londra come un perfetto idiota, qualche Babbano darebbe sicuramente l'allarme. Deve trovare un posto dove passare la notte, se non vuole rimanere a congelare fino all'alba.

Sirius comincia a domandarsi se tutti quelli che si lamentano per il caldo torrido dell'estate hanno mai provato a trascorrere all'aperto un'intera nottata e hanno poi continuato a lamentarsi. La notte, d'estate, è diversa dal giorno. L'aria è satura di umidità, il sole è definitivamente eclissato dietro l'orizzonte, i raggi della luna non riscaldano nemmeno a pregarli e il vento si alza impietosamente da ogni parte, soffiando e sbuffando e ghiacciando la pelle.

Ora gli sta perfino facendo venire le lacrime agli occhi.

Sirius giunge ad un parco giochi, lentamente, arrancando. Non ne può più del baule. E' pesante da trascinare e lui non può fare magie, o qualche idiota del Ministero lo riporterebbe immediatamente a casa tirandolo per un orecchio. Avanza stentoreamente per il vialetto, raggiunge le altalene e si siede sopra ad una di esse ignorandone il cigolio acuto, mentre si copre il volto con una mano.

Rimane lì a pensare per tanto tempo, senza rendersene conto. Cerca di ragionare con coerenza e metodo, ma la pressione che grava sulle sue spalle da quando è uscito da Grimmauld Place glielo impedisce impietosamente. Tutto quello che continua a sentire è rabbia e dolore.

Se n'è andato verso mezzanotte, questo se lo ricorda. Ha dovuto zittire il pendolo con un incantesimo non appena ha cominciato a suonare, anche se aveva già usato il Muffliato sia sui suoi genitori che su suo fratello, mentre si rigiravano nel letto in preda a sogni felici con la coscienza del tutto a posto per come l'avevano trattato, di nuovo. Si è anche preso la soddisfazione di Pietrificare Kreacher, prima di andarsene sbattendo la porta con un tonfo sordo. All'interno, probabilmente, l'atrio ha rimbombato. Ma tutti hanno il sonno piuttosto pesante, lì dentro.

Si è portato via tutto quello che è riuscito ad infilare nel baule. Ha rimpicciolito molti oggetti servendosi della bacchetta e ringraziando Godric di essersi applicato ad Incantesimi, durante quei cinque anni di scuola. In quella maniera, è riuscito a lasciare ben poche tracce di sé, in camera sua; sapeva già che i suoi si sarebbero disfatti di tutto senza pensarci due volte, dopo aver scoperto la sua fuga, perciò, con lo stomaco che brontolava furiosamente per la cena saltata a causa della punizione, ha impiegato parecchi minuti per cercare di portare con sé tutto ciò che per lui ha avuto un minimo valore affettivo. Ci ha messo più tempo di quanto sarebbe stato opportuno, considerato che la sua era una fuga non programmata e che doveva riuscirgli al primo tentativo, altrimenti l'avrebbero sicuramente murato vivo nella sua stanza con le sbarre alla finestra, ma alla fine ce l'ha fatta. E ora, mentre se ne sta lì a dondolarsi su un'altalena con il freddo addosso e le mani sul volto, Sirius dovrebbe essere soltanto felice dei suoi risultati.

Invece, Sirius è disperato e non sa cosa fare.

Si sente uno schifo, non ha un posto dove stare e non vuole andare da nessuna parte.

Vuole rimanere lì a congelare su quell'altalena.

Gli basterebbe un po' di umiltà per decidersi a chiedere aiuto a qualcuno dei suoi amici, ma chi di loro potrebbe veramente comprendere quello che sta passando? Nessuno, né Remus, né Peter né tantomeno James, sentirà mai la necessità di lasciare casa sua per non rimetterci mai più piede. In silenzio, di notte, come un meschino ladro che, compiuta la sua rapina, esce in punta di piedi dalla porta d'ingresso. Nessuno di loro avvertirà mai il desiderio di conoscere un incantesimo che possa far cessare la condanna sulla bocca dei suoi stessi consanguinei, per rimpiazzarla con almeno una goccia di rimpianto. E dato che lui è e sarà l'unico che possa provare tutte queste cose, non vuole che quell'abisso d'incomprensione venga riempito da qualcuno di loro con fiotti di compassione. Non vuole essere compatito da nessuno, Sirius. È stata sua la scelta di andarsene di casa.

Ha deciso. Si arrangerà, non domanderà aiuto ad anima viva. Ormai ha sedici anni compiuti, tra poco sarà maggiorenne e, se è riuscito ad andarsene di casa, significa che è, o deve essere, in grado di cavarsela da solo.

C'è un melo, lì vicino, all'interno del recinto del parco. Sirius si alza dall'altalena con il fondoschiena congelato, si trascina verso l'albero e lascia il baule vicino al tronco. Poi tira fuori il mantello della divisa di Hogwarts e lo indossa, mentre le sue spalle vengono scosse da un brivido. Allunga un braccio, poi un altro, si attacca ai rami più bassi e si issa fino ad appoggiare i piedi sulla diramazione principale, che gli offre una discreta base d'appoggio. In piedi, però, non ci può dormire. Un po' più in alto, i rami sembrano ancora abbastanza solidi da poterlo reggere. Lottando contro l'impiccio del mantello, contro i ciuffi di capelli che gli si appiccicano agli occhi e contro le scabrosità della corteccia, Sirius riesce a raggiungere un punto abbastanza alto dell'albero, dove poter stare seduto, con la schiena appoggiata. Non è certo il massimo della comodità, ma se lo farà bastare. Per quella notte, non ha voglia di vedere nessuno.

Sirius non riesce a rimanere lassù più di tre ore scarse. Il vento lo ghiaccia, i rami più piccoli gli graffiano insidiosamente la pelle. Sente continuamente dolore e nostalgia e realizza improvvisamente che cosa significhi essersene andato via di casa; non ha neppure un letto in cui passare la notte. È un'agonia continua, durante la quale forse la mancanza di forze lo fa appisolare per una mezzora scarsa, ma poi i rumori furtivi della città lo risvegliano, insieme al verso dei gufi e, quando comincia ad avere quasi paura delle ombre, decide che ne ha avuto abbastanza. Ha bisogno di qualcuno, al più presto. Ha bisogno di James.

Senza un altro attimo di esitazione, Sirius balza giù dall'albero, afferra il baule, si trascina fino al bordo della strada, recupera la bacchetta dalla tasca della veste e la sporge in fuori, con un gesto quasi disperato.

Buffo che fosse stata proprio sua madre a parlargli del Nottetempo, qualche anno fa.

Ora, i dipendenti del Ministero del reparto per le restrizioni delle arti magiche fra i minorenni possono anche venire a cercarlo, se lo desiderano. O possono mandare un gufo ai suoi genitori, se riescono a identificarlo.

Nel giro di un'ora avrà raggiunto il Galles. E casa di James. Non gli importa più nulla di tutto il resto.

 

***

 

Il foglio di pergamena sa di fresco. James lo stende per bene, in modo da poter scrivere comodamente. Sente il profumo dello scirocco mentre inspira, lentamente, dopo aver represso uno sbadiglio. Non sa neppure lui se è stanco o meno. Sa soltanto che cerca di scrivere qualcosa di accettabile da un paio d’ore, ormai. Non è certo la prima estate che si siede alla scrivania in mogano di camera sua con un foglio di pergamena e una piuma, ma in questo caso la stesura è particolarmente impegnativa. È importante, per lui, provare ad usare le parole giuste per esprimersi. Non ha mai scritto lettere particolarmente serie, James; i suoi abituali corrispondenti non sono altro che i suoi amici più cari, i quali certamente, conoscendolo, non si aspettano di ricevere uno lettera nella quale lui si metta a speculare sui massimi sistemi.

Stavolta, però, non si tratta della solita corrispondenza.

Fa più caldo dell’anno scorso, James se lo sente scorrere sulla pelle. Verso mezzanotte, però, arriva quel venticello fresco così piacevole a solleticargli le guance e a scuotere i rami dell’albero di fronte alla sua finestra.

Apparentemente, James sta bene. Gli piace il clima estivo, gli piace la prospettiva di potersene stare a letto per tutto il giorno, senza dover correre giù per la Torre di Grifondoro con il terrore di arrivare in ritardo ad una lezione della McGranitt. Ma c’è sempre qualcosa che gli manca, di Hogwarts. I suoi amici, le marachelle organizzate insieme, le notti di luna piena trascorse all’addiaccio e il sentirsi battere furiosamente il cuore alla semplice vista di una ragazza con i capelli rossi.

Anche se, considerato come le cose si sono evolute nell’ultimo mese, è ormai certo che lei non ricambi per niente la nostalgia nei suoi confronti.

Non sarebbe mai stato capace di riconoscerlo e di ammetterlo neppure con se stesso, precedentemente. Ma da quando Lily gli ha aperto gli occhi, il suo modo di vedere le cose è cambiato. È più propenso a riconoscere che la sua vita non è l’idillio che credeva che fosse, che lui non è un concentrato di perfezione e che non è per forza detto che le cose, prima o poi, debbano risolversi in suo favore.

Il vento trascina verso di lui i profumi di piante di cui non conosce il nome, solleva leggermente i lembi della pergamena e solletica la piuma d’oca che James ha riposto nel calamaio. Sta cercando di pensare, ora. Ha le mani premute sulla testa, le dita infilate tra i capelli, e trattiene spasmodicamente l’impulso di spettinarseli come d’abitudine. Non vuole più compiere un gesto del genere, questo è sicuro. È soltanto una bazzecola, un atto simbolico che di per sé non significa nulla, ma la cosa più importante è procedere per piccoli passi, se vuole veramente mettersi d’impegno e smetterla di comportarsi in modo infantile.

L’ha capito mentre rincasava da Hogwarts, questo.

Quando è arrivato era già sera inoltrata, Lily aveva trascorso il viaggio di ritorno sull’Espresso mantenendo le più ampie distanze possibili e lui, alla fine, non aveva avuto nemmeno il coraggio di andare a salutarla. L’unica cosa che avrebbe ricevuto in cambio sarebbe stata un’occhiata di disprezzo. Aveva sempre finto che non gliene importasse, convincendosi che anche quella di Lily era soltanto una posa, un atteggiamento, allo stesso identico modo in cui lui si lasciava prendere la mano in sua presenza e si esaltava di più di quanto la sua reale autostima intendesse fare. Ma una volta che le carte erano state poste in tavola, non c’era più motivo di fingere e di inspirare il profumo di un falso ottimismo. Per quello era rimasto in silenzio durante tutta la giornata trascorsa in giro per Londra con i suoi genitori, per quello si era sentito asciugare le lacrime che ancora premevano per sgorgargli sulle guance dal vento fresco che l’aveva accolto una volta a casa.

 

Cara Evans,

so bene che potrà sembrarti strano ricevere una lettera dal sottoscritto, ma ti chiederei almeno di leggerla, prima di stracciarla in mille piccoli pezzi.

 

Ha deciso che comincerà così. Ha provato a mettere su carta una quantità innumerevole di esordi, ma quello gli pare il meglio riuscito.

Sospira e riprende a leggere.

 

Non ho intenzione di perseguitarti né di darti fastidio, non ti preoccupare. Vorrei soltanto dirti un paio di cose che probabilmente non ti interessano, ma che io sento comunque il bisogno di riferirti.

 

Piuttosto egocentrico, da parte sua.

Come d’abitudine, del resto.

Se mai Lily fosse davvero giunta a leggere fino a quella riga, non se ne sarebbe certo

meravigliata.

 

So che è dal giorno dei G.U.F.O. di Difesa che ci rivolgiamo a malapena la parola e forse, se le cose non fossero state così, te l’avrei detto anche prima, ma ho preferito lasciarti in pace perché ho intuito che fosse meglio per tutti e due. Quindi, adesso che è passato un po’ di tempo da quell’episodio, ho pensato che potevo scriverti.

 

Forse si è un po’ troppo disperso nei meandri dei suoi ragionamenti contorti, ma non c’è verso di arrivare a dire le cose in maniera più semplice. L’ha verificato per mezzo di tutti quei fogli che ora giacciono appallottolati sul pavimento della sua camera. È terribilmente difficile esprimersi in modo serio per dare voce a ciò che sente, è difficile cercare di non pensare al volto ipoteticamente irritato di Lily nel momento in cui poserà lo sguardo su quelle righe, è difficile smettere di fare il buffone per evitare di affrontare la vita a testa alta.

Perché è sempre stato così che ha risolto le questioni. Vantandosi un po’, atteggiandosi ad essere superiore, divertendo tutti quanti con le sue battute di spirito.

Ma Lily gli ha apertamente dimostrato di detestare tutto questo.

 

Dunque, quello che vorrei dirti, senza fare tanti giri di parole e senza complicarci la vita inutilmente, è che mi dispiace. Potresti chiedermi per cosa, esattamente, mi dispiace e ti risponderei che non ne sono sicuro. Non so per che cosa mi dispiaccia di più. Forse perché non sono adatto a te, o forse perché per attirare la tua attenzione mi sono sempre comportato nel modo sbagliato. Mi sento un idiota, in questo momento, ma è per tutti questi motivi che vorrei chiederti scusa. Ti ho dato di me esattamente l’impressione che non desideravo trasmetterti e questo non mi rende particolarmente fiero di me stesso.

 

James seppellisce il volto fra le mani, dopo aver allontanato da sé la pergamena con un gesto secco.

Non dovrebbe semplicemente sentirsi un idiota, lui è un idiota.

Scrivere quella roba è da idioti.

Lily non lo prenderebbe mai sul serio, considerato il suo abituale modo di fare.

Che cosa potrebbe aggiungere a quel patetico concentrato di prostrazioni e sentimentalismi?

Che crede di essere innamorato di lei?

Sì. E a quel punto, Lily accenderebbe il camino in piena estate e ci getterebbe immediatamente dentro la sua accorata lettera.

 

James è stanco. Stanco di riflettere, stanco di sentirsi disgustato di sé stesso, stanco di provare vergogna per le sue azioni come mai gli è successo in vita sua. I suoi genitori lo hanno sempre riempito di coccole e affetto, qualunque cosa facesse. I suoi amici l’hanno sempre trovato simpatico e divertente. Poi è giunta Lily a gridargli il suo disprezzo in faccia, a farlo scendere dal piedistallo per comprendere quanto fosse insulsa quella sua tracotante fiducia in se stesso. E ora, dopo essersi reso conto di aver buttato all’aria anni e anni di sforzi per riuscire a conquistarla, si sente davvero ridicolo.

James vuole soltanto spegnere il cervello e riuscire a dormire.

 

***

 

Quando il vento gli soffia prepotentemente in faccia e lo fa balzare su di colpo, sono quasi le cinque di mattina.

Si è dimenticato di chiudere la finestra e ora ha tutta la pelle d’oca.

Provvede subito, forzando leggermente la maniglia d’ottone che ultimamente ha qualche difficoltà a chiudersi. Si mette a cercare la bacchetta, finalmente decisosi a provare qualche incantesimo per ripararla, quando sente un rumore che gli fa drizzare di colpo la testa.

Si riscuote dall’intorpidimento del sonno. Sembrava quasi il campanello di casa.

Considerato che gli incantesimi per tenere lontani i Babbani hanno sempre funzionato fin da quando lui è nato e che di certo non ha richiesto al suo Elfo Domestico la sveglia per andare a cercare i funghi nel bosco di buon mattino, cosa che non farebbe mai nemmeno se il periodo fosse quello buono per trovare davvero dei funghi nel bosco, a suonare il suo campanello di casa può essere stato soltanto un mago.

Un mago di cui nessuno attendeva la visita, molto probabilmente.

Né sua madre né suo padre gli hanno accennato alla possibilità di ricevere ospiti, in quei giorni, e sarebbe abbastanza assurdo pensare che un mago possa essersi perso nei dintorni e sia finito a casa sua a chiedere indicazioni. Basta un semplice Incantesimo di Orientamento, per chi è stato dotato di poteri magici.

Sarà meglio che vada a controllare, dunque.

James si rialza dal pavimento, dove si era sdraiato per recuperare la sua bacchetta, finita chissà come sotto la cassettiera. Fa per cercare gli occhiali, ma si accorge di averli già indosso ed è a quel punto che si ricorda di essersi addormentato sopra la scrivania, mentre tentava disperatamente di trovare un rimedio al suo male di vivere. Non gli è mai capitato di addormentarsi su un banco nemmeno a scuola, a parte quella lezione di Storia della Magia in cui Rϋf ha tolto dieci punti a Grifondoro per colpa sua. Scrolla le spalle, rassegnato, si infila le ciabatte e la vestaglia e si dirige verso le scale.

Dentro casa non sente volare una mosca, segno inequivocabile del fatto che i suoi genitori non hanno sentito nulla che potesse turbare il loro sonno. Del resto, quello con la camera più vicina al piano terra è proprio lui.

Scende i gradini a due a due, ormai invaso dalla curiosità. Tiene comunque la bacchetta nella tasca del pigiama, considerato che non può essere sicuro di non trovarsi di fronte qualche brutta sorpresa. Dopo aver rischiato di inciampare nell’orlo del tappeto persiano del vestibolo, James finalmente arriva all’ingresso principale. Fuori c’è ancora buio. Lo spioncino gli restituisce l’immagine di qualcuno che non si aspettava esattamente di trovare alla porta di casa sua.

Fa scattare le serrature con qualche rapido colpo di bacchetta, poi afferra la maniglia e tira.

Rimane a bocca aperta per un paio di secondi prima che l’altro parli.

“Se avessi saputo qual era la tua camera, ti avrei lanciato dei sassolini contro il vetro della finestra” ironizza il ragazzo scarmigliato che gli sta di fronte, il mantello della divisa di Hogwarts gettato sulle spalle e un baule ai suoi piedi. Gli occhi di James si spalancano per lo stupore mentre osserva Sirius cercare di sembrare disinvolto in una situazione così paradossale, poi finalmente si riprende e riesce a mettere insieme una frase di senso compiuto.

“PADS… che diavolo ci fai qui?”

 

Circa una mezzora dopo, i genitori di James sono tornati a dormire. Lui e Sirius hanno in mano due tazze di tè bollente preparato da sua madre, che Prongs lascia a raffreddare sulla scrivania, guardando pensierosamente fuori dalla finestra.

Chissà a che ora sorge il sole. Comincia ad intravedersi un chiarore appena accennato all’orizzonte, proprio lì, dietro a quelle colline.

Forse lui e Sirius riusciranno a vedere l’alba insieme.

“Allora, come te la passavi prima che arrivassi io?” domanda il suo amico, muovendosi in giro per la stanza con fare casuale. James sorride, voltandosi verso di lui.

“Mi annoiavo a morte, è ovvio” gli risponde, sapendo che sentire questo lo renderà felice. E infatti, Sirius ridacchia divertito tra sé.

“Beh, direi che è abbastanza evidente,” commenta poi, sedendosi con un balzo sul suo letto, “che ti eri messo a fare, il tiro al bersaglio?”

James lo scruta con aria perplessa, non proprio sicuro di aver colto il senso delle sue parole. Un attimo dopo, Sirius si china a raccogliere uno dei suoi fogli appallottolati da terra e glielo lancia, colpendolo ad una spalla.

Per poco James non ha un tuffo al cuore.

“Oh, sì, ecco, hai ragione…”

Accidenti a lui e alla sua pessima abitudine di non riordinare mai la stanza.

Con un Incantesimo di Appello recupera rapidamente tutte le cartacce, le ammucchia e le chiude in un cassetto della scrivania con un gesto affrettato.

Rimane un attimo a fissare il foglio con quella che doveva essere la versione definitiva della sua confessione e per un momento si concede di pensare a Lily. È in quel momento che ha una specie di rivelazione. Capisce che non servirà a nulla scriverle una lettera. Non basterà. Dovrà trovare un’altra soluzione per smetterla di sentirsi il cuore a pezzi.

“Ti è passata la crisi esistenziale?” domanda Sirius, mentre lui, dandogli le spalle, nasconde anche quell’ultima prova della sua debolezza dentro il cassetto e lo richiude con un gesto rassegnato. Si volge a guardarlo con una smorfia che vuole dirgli Compatiscimi, per me è un trauma troppo grande da superare in così poco tempo. Sirius l’ha visto negli ultimi tempi, dopo i G.U.F.O., è stato diretto testimone della sua muta depressione. E ancora adesso, James non ha la forza di dire nulla.

Poi guarda meglio il suo amico, si accorge che nemmeno lui ha molta voglia di ridere, ora. Pensa alla loro conversazione di poco prima e a come lui sia piombato inaspettatamente lì nel cuore della notte, e d’improvviso un mare di preoccupazioni gli sorgono sulla punta della lingua.

“Tu come ti senti? Voglio dire, per questa storia dei tuoi… lo sai che puoi restare qui per sempre, ma…”

Sirius sorride, amaro. Lui non riesce a finire la frase. In qualche modo, crede di sapere già che cosa gli risponderà Padfoot.

“Non sono sicuro di volerne parlare” risponde infatti, mestamente, e James annuisce. Lo comprende perfettamente, perché nemmeno lui ha voglia di parlare di Lily. Sono argomenti troppo scottanti per essere affrontati così a bruciapelo, da due come loro che devono dimostrare al mondo di essere dei duri. E non importa davvero che comunichino tra di loro, sono perfettamente in grado di capirsi anche stando in silenzio. Per questo annuisce.

“Ti va una partita a Spara Schiocco?” dice quindi, poi si arrampica su una sedia e comincia a rovistare tra le cianfrusaglie accumulate sulle sue mensole. Sirius si distende a pancia in giù sul suo letto mentre lui tira fuori dal cassetto del comodino tutte le sue riserve di cioccolato di Mielandia e qualche istante dopo sono lì a ridere e a rotolarsi sul materasso, mentre giocano e ingurgitano dolciumi sporcandosi la bocca.

Durante le pause di silenzio, James riflette molto attentamente su come sia magnificamente provvidenziale che Sirius sia venuto a stare da lui. Per tanti motivi, ma soprattutto perché insieme sono capaci di divertirsi anche se sono entrambi cronicamente depressi.

 

 

***fine***

 

 

Nota di fine fanfiction: ci terrei a precisare una cosa, solo per giustificarmi dalle incongruenze. Ho da poco riletto il Principe Mezzosangue, e ho appreso un dettaglio che non mi ricordavo per quanto riguarda le restrizioni magiche sui minorenni: il Ministero interviene quando un minorenne esegue un incantesimo solo perché viene a sapere che in un luogo in cui non dovrebbero verificarsi magie qualcuno ne pratica una, ma non può identificare la persona che ha compiuto tale incantesimo. Infatti è per questo che all'interno di Grimmauld Place Sirius può fare degli incantesimi anche se minorenne, perché i genitori sono entrambi maghi e, secondo Silente, sta a giudizio loro verificare che i loro figli, fino al compimento dei diciassette anni, non pratichino la magia fuori da Hogwarts. Conoscendo Sirius, però, era abbastanza improbabile che si attenesse a tale regola. Invece poi, una volta che Sirius è in giro per la Londra Babbana, se eseguisse un incantesimo il Ministero interverrebbe, per questo si trattiene dal farne fino a quando non decide di prendere il Nottetempo (a questo proposito, non sono proprio sicura che per chiamarlo ci voglia una vera magia, dato che Harry  nel Prigioniero di Azkaban lo fa involontariamente, però si parla pur sempre di un mago con una bacchetta).

Dato che nemmeno io mi ricordavo di questa cosa prima di rileggere il libro, ho voluto precisarla soltanto per una questione di chiarezza.

Aggiorno all'alba del 14 novembre per annunciare che la fanfiction si è classificata al secondo posto al concorso ed è anche stata scelta dai membri dello staff. Non potrei esserne più felice. Ringrazio tantissimo per i voti e per i bannerini stupendi *-*

   
 
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