Spectra
Specter trovava meravigliosa quella sfera di colore
azzurro che, seppure in realtà non fosse così,
sembrava risplendere di luce
propria invece di scippare senza pudore quella di una grande stella non
poi
così lontana da lei.
La
giovane cybertroniana, uno scricciolo blu e bianco con
grandi occhi azzurri che sembravano abbracciare l’Universo
intero, rivolse una
fuggevole occhiata al mech blu e nero seduto accanto a lei,
apparentemente
impegnato a pilotare l’astronave.
- Più che un pianeta sembra un gioiello - osservò la ragazza.
Il suo compagno di viaggio accolse quell’affermazione con un breve sospiro. - Può essere. Ma io e te non siamo qui per la sua bellezza, sorellina - il tono dell’uomo si raddolcì un po’ - Lo sai.
-
Sì, Spectrus.
Spectrus
Specter annuì, soddisfatto della risposta. Nella missione
che si
apprestavano a compiere Spectra doveva essere più
che concentrata, specie nella parte iniziale.
- Io comunque non vedo l’ora di arrivare laggiù! - esclamò la ragazza con un sorriso dolce ed entusiasta.
Sul
volto del fratello di
rimando apparve l’ombra di un sorriso, immediatamente
stemperata dal gelo di
uno sguardo dal significato indefinito, di cui Spectra avendolo visto
tante
volte non si curò.
- Magari laggiù troverò l’uomo della mia vita - mormorò speranzosa, tra sé e sé.
Spectrus
la sentì, ed alzò brevemente gli occhi al
cielo; tutto quel che avevano da fare, tutto quel che era capitato al
loro
pianeta e alla loro stessa famiglia non era mai riuscito a demolire
quel
desiderio di Spectra e quel suo vedere in ogni cosa un lato romantico,
ed un
lato buono in ogni persona.
Anche
quando quel lato non esisteva.
- Chissà, magari lo troverai davvero - disse comunque - Magari potrebbe essere proprio il comandante, Optimus Prime - aggiunse.
Spectra
fece un sorriso malinconico e non rispose, mentre Spectrus era
intimamente
soddisfatto di averla zittita. Soddisfatto e per niente convinto di
quel che
aveva detto. In totale sincerità dubitava fortemente che il
desiderio di
Spectra si sarebbe realizzato a breve, se mai si fosse realizzato,
s’intendeva.
-
Il tuo
comandante, Spectrus. Io non sono né di qua né di
là, sbaglio?
-
Non sbagli.
Era
vero. Pur essendo nata nel bel mezzo della guerra e pur
avendo un fratello militante negli Autobots, proprio
quest’ultimo aveva sempre
impedito a sua sorella di schierarsi.
Spectra non aveva nemmeno conosciuto i loro genitori, morti
subito dopo la sua nascita, ed era stato dunque l’allora
già adulto e vaccinato
Spectrus a crescerla, prendersi cura di lei, tenerla al sicuro d
insegnarle
ciò che aveva ritenuto opportuno che lei dovesse sapere.
-
Quindi… il programma è il solito…
-
Certamente. Osservazione. Analisi. Messa in atto dei
piani, con tutto ciò che questo comporta. Dovresti saperlo
ormai, è così da
molto tempo.
Di
nuovo Spectra non disse più una parola, osservando con
occhi lontani quel pianeta azzurro che diventava sempre più
grande man mano che
si avvicinavano. Chissà come erano gli abitanti, si
domandava, cercando di
distrarsi dai pensieri oscuri che la punzecchiavano in misura sempre
maggiore
a ogni missione.
- Quindi ci sono tutti quelli che contano di più, di tutt’e due le fazioni. -
-
Le ultime notizie che ho avuto sono queste, sorellina.
Optimus Prime e una piccola squadra da una parte, ed un grande
dispiegamento
di forze Decepticons dall’altra. Avremo a che fare con
Megatron, con Starscream, con
Soundwave... Tutti pezzi grossi, senz'altro.
Specie
l’ultimo dell’elenco per quanto riguardava
Spectrus,
se si considerava che fino all’esodo
da
Cybertron lavoravano più o meno
nello stesso campo.
- Sono veramente tanto cattivi?
La
domanda ingenua della sorella gli fece di nuovo alzare gli occhi al
cielo. Allora non aveva voluto proprio imparare niente…
- Certo che lo sono, sono Decepticon! Quante volte te lo devo dire, Spectra? - la rimproverò aspramente - Loro sono dalla parte sbagliata, noi dalla parte giusta. Quel che facciamo, di conseguenza, è giusto. Ricordati che è anche colpa loro se i nostri genitori sono morti, e se tu sei stor…-
Nel bel mezzo della sua tirata Spectrus si interruppe, ma quel che aveva detto era stato più che sufficiente a far si che sua sorella si alzasse bruscamente dalla postazione e se ne andasse con il suo passo zoppicante dall’altra parte dell’astronave.
Spectrus
fece una
smorfia.
Ricordava ancora perfettamente ogni dettaglio di quel momento. Un
drappello di Decepticon che irrompeva all’improvviso in casa
loro, nella casa
di una delle famiglia più antiche e potenti della vecchia
Cybertron, con la
missione di sterminare l’intera famiglia Specter.
Suo padre era stato il primo a cadere.
La seconda, sfinita dal parto appena compiuto ed
impossibilitata a reagire, era stata sua madre. Aveva ancora Spectra in
braccio, che dopo il primo grido e dopo aver sorriso a tutti si era
addormentata subito.
Spectrus ricordava benissimo soprattutto il ghigno
soddisfatto del capo di quella spedizione, Starscream, quando dopo aver
ucciso
i loro genitori aveva afferrato la piccola Spectra per la gamba
sinistra… troppo
forte. Troppo violentemente.
Era stato il dolore a risvegliare Spectra ed era stato il
pianto della sorellina a risvegliare lui dallo shock in
cui era precipitato per
quel massacro compiuto così freddamente e così
all’improvviso.
E
dopo tutto questo sua sorella, ogni tanto, gli chiedeva
ancora se erano veramente tutti così cattivi! Mah. Quando
faceva così proprio
non la capiva, ma d’altra parte era quello il suo carattere:
dolce, molto
ingenua e incapace di voler male a qualcuno a meno che non ci fosse
proprio
costretta; la dimostrazione che il bene, in quell’Universo,
forse non era del
tutto morto.
Spectrus
Specter però, tutta quella questione, non la vedeva
così.
Nel tempo aveva imparato a ragionare solo ed esclusivamente
in termini di utilità, mandando al diavolo i sentimenti e
tutta
quella bontà di
cui sua sorella era quasi la personificazione, concentrandosi
su…altri aspetti.
A tal proposito, forse sarebbe dovuto andare da lei. Stavano
per atterrare e comunque Spectra non gli avrebbe tenuto il muso a
lungo, non
ne era in grado.
Inserì
il pilota automatico e si alzò dirigendosi verso la
parte posteriore dell’astronave, in cui sua sorella si
rifugiava quando voleva
stare sola. Anche da lì la giovane Specter osservava il
pianeta Terra.
-
Sorellina, mi dispiace. Non era mia intenzione ferirti, è
solo che…quando sento certi ragionamenti, dopo tutto quel
che è successo, ci
vedo rosso. Soprattutto per quel che è stato fatto a te.
Spectra
si voltò lentamente. - La gamba non è un problema
per me - affermò con sicurezza.
“Seh,
come no” pensò Spectrus. - Lo so. Però
che sia o meno
un problema quel che è capitato è capitato,
Spectra.
-
Appunto, se il passato è passato io non capisco
perché
continuare a parlarne - disse piano la ragazza - Al limite, se
riuscirò a
scoprire chi è stato, gli tirerò un paio di
ceffoni alla maniera degli Specter
Bros’.
Spectrus
stava nuovamente per risponderle a tono, quando ci
fu l’impatto e l’allarme iniziò a
suonare.
Spectrus
corse subito alla sala di pilotaggio. Che diamine stava
succedendo?!
Al primo impatto ne seguirono altri due,
Spectrus voltandosi vide l’altra metà
dell’astronave staccarsi dalla propria ed
in un attimo capì cos’era stato: tre piccoli
meteoriti che il radar, forse
difettoso, non aveva segnalato.
Come a dire il colmo della sfortuna, oltretutto erano appena
entrati nell’atmosfera del pianeta azzurro e…
Un
momento…
-
Spectra! - solo in quel momento il mech realizzò che sua
sorella si trovava ancora dov’era prima, e quindi
nell’altra metà
dell’astronave! - SPECTRA!
Non
poteva fare niente. L’altra metà
dell’astronave era
troppo lontana ormai e come la sua aveva iniziato a precipitare, quindi
poteva solo pensare ad un modo per salvare sé stesso e
sperare bene per sua
sorella.
Se
l’avesse persa avrebbe perso… tutto. In ogni senso.
La
sua metà di astronave si surriscaldava mentre precipitava
velocemente, sempre più velocemente…
Soundwave
poteva dirsi soddisfatto. Beh, quasi.
Ancora
una volta aveva
dimostrato di essere il più efficiente tra tutti coloro che
erano nella
Nemesis, cosa che si sommava al fatto che secondo la sua opinione il
lavoro che
compieva per i Decepticon fosse più importante di quello di
tutti gli altri.
Chi
era che aveva fatto di tutto per mantenere la stabilità
nella fazione quando
Megatron era scomparso? Lui.
Chi era definito “gli occhi e le orecchie dei
Decepticon”? Lui.
Chi era che riusciva ad ascoltare la maggior parte delle
comunicazioni degli Autobots e contava di trovare a breve il loro
avamposto
terrestre? Lui.
E chi era che, oltre a fare tutto questo, decodificava le
informazioni contenute nel database di Iacon e si occupava degli
incarichi di
maggiore importanza? Sempre lui, chiaro!
Era profondamente convinto di essere indispensabile ai Decepticon, e ne
aveva ben donde.
Si rigirò in mano la reliquia, la pisola ad onde sonore. Megatron gliel’avrebbe lasciata tenere, non ne dubitava, d’altronde chi più di lui si meritava un premio?
Megatron,
poi, sapeva che
quell’arma non sarebbe mai stata usata contro di lui
finché ad averla in mano
fosse stato Soundwave.
L’ex
gladiatore riconosceva di avere una posizione piuttosto
vantaggiosa all’interno della fazione: era in gamba e del
tutto leale, di
conseguenza, finché avesse continuato a lavorare come
faceva, in privato era
libero di fare tutto quel che gli pareva.
Non
che al momento ce l’avesse un “privato”,
se si escludeva
la manutenzione periodica dei suoi assistenti. Quella di lavorare di
continuo
però era una scelta sua, non una costrizione,
tant’è vero che qualche volta lo
stesso Megatron gli diceva tra le righe di prendersi un attimo di
pausa.
Chissà, magari quella sera gli avrebbe dato retta, tanto
voleva sistemare
Laserbeak.
Il
destino però aveva altri programmi.
Sentì
contemporaneamente un rombo e un fischio acutissimo
provenire da un punto poco lontano, e alzando gli occhi al cielo
poté vedere
un qualcosa di grande e luminoso per il surriscaldamento precipitare
giù a
tutta velocità. Un pezzo di astronave, non c’erano
dubbi, il cui atterraggio fu accompagnato da un grande botto.
Reliquia
alla mano pronta per essere usata, perché non si sapeva
mai, Soundwave gli si avvicinò con una certa circospezione.
Sembrava che fosse
stata spezzata in due dall’impatto con qualcosa,
presumibilmente nell’orbita
terrestre. Quella che aveva davanti era la parte posteriore
dell’astronave.
Si
avvicinò di più dopo aver verificato che nulla
gli
sarebbe crollato addosso. Era scettico sul fatto che potesse esserci
qualcuno
ancora vivo lì dentro, ma magari avrebbe trovato qualcosa di
interessante,
soprattutto perché l’astronave sembrava non
appartenere né all’una né
all’altra
fazione. Da dove veniva? Chi trasportava, o cosa? E perché?
Avvertì
il suono appena udibile di una voce. Toh, invece
qualcuno vivo c’era! Seguì la direzione da cui
aveva sentito provenire il
suono, arrivando in un punto particolarmente disastrato
dell’astronave, e…
Era
una femme adulta ma minuta, un po' più di quanto lo fosse Arcee e dunque tra le più piccole che a
Soundwave fosse mai capitato di vedere, se si escludevano le femme
protoforme.
Era
incastrata sotto un mucchio di lamiere, stava perdendo
energon ed era sul punto di svenire. Come l’astronave,
Soundwave registrò che
anche lei non aveva simboli addosso.
Lei
si voltò verso il tecnico per quanto la debolezza e le
lamiere glielo permettevano, doveva aver sentito i suoi passi.
Soundwave
si scontrò con i suoi occhi dolci e supplicanti,
grandi ed azzurri come l'oceano terrestre.
-
Aiutami…- la ragazza tese una mano verso di lui prima di chiudere gli occhi e cedere alla
stanchezza
e alle ferite.
Per qualche istante Soundwave rimase lì ad osservarla. L’attimo in cui lo aveva guardato in quel modo si era sentito come se gli avessero dato una botta in testa tanto forte da sfasarlo, e si che lui di suppliche troppe ne aveva sentite. Ed altrettante ne aveva ignorate…
“Aiutami…”
Quella
volta non l’avrebbe fatto.
Si
mise di buona lena a sollevare i pezzi di lamiera, così
da tirare fuori di lì quella piccola femmina bianca e blu di
cui non conosceva
la designazione, ma che aveva automaticamente definito tra
sé e sé
“Scricciolo”. Un modo fin troppo tenero di chiamare
una femme che quasi sicuramente,
considerata la costituzione, non era una gran combattente e non sarebbe
stata
molto utile alla causa.
D’altro
canto però non poteva e, sorprendentemente anche per
lui stesso, non voleva lasciarla lì a morire. Poteva essere
a conoscenza di
qualche notizia che non era ancora arrivata
laggiù, se era venuta lì di certo
c’era un motivo.
Fece
aprire il Ponte Terrestre…
Wheel
Jack invece, contrariamente a Soundwave, non era
contento per niente.
L’unica
cosa buona era che lui e Ratchet fossero riusciti ad
infettare Laserbeak con un virus che avrebbe trasmesso loro tutti i
dati del
database di Iacon, se avessero avuto fortuna e Soundwave non si fosse
accorto
del loro giochetto.
-
Che rabbia…l’avevo battuto, ma poi quel bastardo
mi ha
colto di sorpresa!
-
Magari andrà a finire a nostro vantaggio lo stesso -
commentò Ratchet - Il virus di Rafael è difficile
da individuare, perfino per
uno come quel tizio.
-
Che poi, avesse detto una parola, una sola, in tutto il
combattimento! - esclamò Wheel Jack - Invece no!
Ratchet fece spallucce.
Entrambi
udirono, come l’aveva udito
Soundwave, un rombo ed un fischio insieme.
-
Ma che..?!
Alzando
gli occhi anche loro videro precipitare la metà di
un’astronave. L’impatto che seguì fu
gigantesco.
-
Mi prendesse un cortocircuito se quella non era
un’astronave - Wheel Jack, armi alla mano, iniziò
a correre verso il punto in
cui era avvenuto l’impatto - Andiamo!
Ratchet,
anche lui di corsa, lo seguì. Se ci fossero stati
dei sopravvissuti, cosa di cui dubitava, avrebbero avuto urgente
bisogno di un
medico e lui, modestia a parte, era tra i migliori.
- Wow. Che disastro - commentò Wheel Jack.
Ratchet
contattò
la base.
-
Cosa?! - sbottò l’agente Fowler dalla base - Che
roba
è?! È di voi Autobots? È dei
Decepticon?
-
Non porta simboli - osservò Wheel Jack, affacciandosi
all’interno - Niente di niente…chissà
chi…
- Spectra…
Wheel Jack vide un mech blu e nero, col suo stesso simbolo sulle spalle, trascinarsi verso di lui
-
Aiuto…
La
perdita di energon era veramente ingente, sarebbe
crollato da un momento all’altro.
-
Ratchet, corri c’è un ferito!
Il
medico Autobot corse immediatamente all’interno, e quando
vide l’uomo a terra capì che c’era
urgente bisogno delle sue cure, specie
perché a quanto pareva era uno dei loro!
Il
mech svenne proprio mentre il Ponte Terrestre si apriva.
-
Ha detto qualcosa prima di svenire - disse Wheel Jack
mentre aiutava Ratchet a trasportare il mech, che era veramente grosso,
quasi
quanto Megatron! - Non ho capito bene però.
“Spectra” o che di simile.
- Lo sapremo alla base, quando l’avrò curato e l’avremo identificato. Accidenti se pesa - borbottò Ratchet.