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Autore: fiore22    14/03/2013    2 recensioni
Questa ff era nata come one-shot, ma dato che mi sembrava un po' troppo lunga ho deciso di dividerla in due capitoli. Spero vi piaccia C: Dal racconto:
- No, non è possibile, n-n-non puoi essere tu... Non devi essere tu!-
- Io-io non so che dire... Violet, sei-sei Violet?..- Il ragazzo attendeva una risposta, mentre la giovane non si era ancora mossa di un millimetro.
Genere: Generale, Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Violet, Harry, venite qui, subito!- Li richiamò una donna. I due bambini, stavano tranquillamente giocando in giardino, tranquillamente, si fa per dire. Harry rincorreva la bimba per tutto il prato con un vermicello in mano, cosa che faceva non poco accapponare la pelle alla piccola. I due, al sentire la madre del maschietto urlare loro contro, si affrettarono nel rincasare per consumare la cena. Harry sapeva di essere finito nei guai, ma gli piaceva troppo darle noia, e nonostante ciò voleva molto bene alla sua amica, che era ormai diventata come una sorella; infondo si conoscevano da quando erano nati, letteralmente. Nonostante non fossero neanche imparentati, erano nati lo stesso giorno, con solo un paio di ore di anticipo da parte di Harry. Forse per il destino, forse perchè era l'unica libera in tutto il reparto maternità, ma le due madri erano finite in camera d'ospedale insieme, così da diventare amiche praticamente inseparabili. Ormai, da sei anni a quella parte, per le famiglie Styles e Stone non passava più di una settimana che non si incontrassero per una pranzo, una cena, o qualsiasi altra cosa.

Tra compiti, merende e lotte varie, i pomeriggi a casa di lui, o di lei, passavano velocemente, così come gli anni. Anche se i due avevano ormai otto, Harry non perdeva occasione per portare Violet all'esasperazione, ma nonostante ciò i due erano sempre più uniti. Dal canto suo, la ragazzina detestava quando il ricciolo la prendeva in giro o le faceva i dispetti, ma quando i compagni di scuola la prendevano in giro, lui era sempre lì per proteggerla. Harry era solito dire di non riuscire affatto bene nelle cose che faceva, perciò Violet era sempre pronta a incoraggiarlo e aiutarlo nello studio, cosa che il ragazzino avrebbe, se non fosse stato per lei, trascurato. Anche se effettivamente ancora erano poco più che bambini, quello era il bello della loro amicizia: si sostenevano l'un l'altro. Purtroppo, però, come da copione, ogni cosa fottutamente perfetta, ad un certo punto, finisce. Nonostante la bambina avesse ripetutamente urlato, pianto, battuto i piedi per terra, cercato di scappare di casa... Insomma, tentato ogni cosa possibile e immaginabile, era stata costretta a lasciare la sua piovosa e amata Londra. La sua disperazione non era dovuta a lasciare quella caotica e umida città che in fondo non avrebbe rimpianto poi così tanto, oppure abbandonare quelle poche amiche che si era fatta, ma perchè, quando aveva innocentemente chiesto se con loro sarebbe venuto anche Harry, quel “no” datole secco e riecheggiante nei suoi ricordi, le aveva semplicemente frantumato il cuore. Tutta la famiglia Stone si sarebbe dovuta trasferire a New York, per un motivo che Violet neanche voleva conoscere, l'unica cosa che le importava davvero, era che avrebbe dovuto lasciare la persona che era diventata fondamentale, se non la più importante, della sua vita. Il giorno della partenza era ormai arrivato, la bambina stava aggrappata al portone di casa, dato che ogni minuto che passava, era più vicina al prendere quell'aereo che l'avrebbe portata via per sempre da lì. Proprio quando il padre era finalmente riuscito a staccarla dal cornicione della porta e a portarla in macchina, un urlo fece abbassare il finestrino posteriore dell'auto che aveva appena incominciato la sua corsa verso l'aeroporto. Un bambino correva dietro l'autovettura, mentre berciava a squarciagola una frase che mai la bambina si sarebbe dimenticata -Violet, te lo prometto, un giorno ti rivedrò, non ti lascerò più andare e staremo per sempre insieme! Ti voglio bene!- Il ragazzino che raramente piangeva, ora aveva le lacrime agli occhi, le stesse che presto scesero anche sulle rosee guance della bimba, la quale si chiedeva come avrebbe fatto d'ora in poi senza di lui.


 

-Si ho capito mamma! Che palle! -

-Violet Marie Stone, non osare parlarmi così! -

-Si si va bene, io vado a scuola ci vediamo dopo, ciaooo -

-Aspetta, non provare ad andar...-

-Troppo tardi mamma, è già andata via!-

-Ginny, tu stai zitta e finisci di fare colazione che altrimenti arriviamo tardi!-

-Si mamma...-

Per Violet era il primo giorno di scuola, e non di un anno qualunque, ma l'ultimo. Il così detto “tempo delle mele”, in cui c'è il ballo di fine anno, dove ti diplomi e lanci il cappello in aria, dove fai le cazzate, dove ti innamori... Ma nulla di tutto questo era possibile, dato che la quasi diciottenne era tornata nella sua città natale. I pochi amici che era riuscita a farsi dopo il trasferimento erano rimasti dove li aveva trovati, i balli in Inghilterra non si fanno, o almeno la sua scuola non li faceva, e di innamorarsi neanche ci pensava. Anche se, forse sarebbe riuscita a ritrovare occhi di smeraldo... Naah, era impossibile, cercare una persona in una città enorme come Londra sarebbe stato peggio che cercare una ago in un pagliaio. Poi non lo aveva più risentito, i suoi genitori non si erano più fatti vivi con quelli del ragazzo, probabilmente lui si era anche dimenticato della sua esistenza, nonostante le avesse fatto quella promessa che lei custodiva come un tesoro. Tra un pensiero e l'altro Violet fece la saggia decisione di dimenticare questi complessi mentali infilandosi le cuffie e ascoltando “Stand by me” degli Oasis. Adorava le loro canzoni, la rispecchiavano, la facevano sentire meglio, erano una delle sue band preferite. Così, presa da quella melodia, si mise a canticchiarla senza rendersi conto che era ormai arrivata a scuola e che gli studenti che erano nel parcheggio la guardavano incuriositi e allo stesso tempo divertiti da quella scena. Notò che molti di loro si misero a bisbigliare non appena varcò la soglia dell'istituto. Fa niente, era abituata ad essere oggetto di pettegolezzi ed emarginata. Meglio così, avrebbe potuto starsene tranquilla e da sola, a lei bastavano il suo mp3 e i suoi amati libri. Nonostante il suo comportamento non era esemplare, sia a casa che fuori, come invece era stata fino a una decina di anni fa, aveva sempre avuto i voti più alti dell'intero istituto. Era ribelle, non stupida, mica voleva rovinarsi il futuro! Non sarebbe stato un anno scolastico facile, perciò, meno distrazioni aveva, meglio era per lei. Purtroppo però non aveva fatto i conti con il destino, fato, insomma, in qualsiasi modo lo volete chiamare. In questo caso potete anche soprannominarlo Harry Styles.

No, non poteva essere lui. Non poteva essere il suo, lo sguardo smeraldo che Violet aveva incrociato quel giorno alla caffetteria. Con questo pensiero che le aveva ronzato in testa per tutta la notte, aveva passato quasi interamente la notte in bianco, così la mattina dopo, per andare a scuola era stata costretta a truccarsi più del normale. Nonostante il fondotinta non aveva completamente coperto le occhiaie violacee, la ragazza si incamminò per quella strada che avrebbe dovuto percorre per ancora una decina di mesi. Quella giornata di settembre così ventosa, accompagnava il solito cielo plumbeo di Londra. Quelle stupide nuvole incombevano minacciose sulla città, minacciando di rovesciare sulla metropoli un violento temporale. Violet odiava la pioggia, nonostante fosse nata in una delle città forse più piovose del mondo. Non sapeva però che il suo destino la stava aspettando proprio dietro l'angolo, letteralmente.

-Ehi! Ma guarda un po' dove cazzo metti i piedi la prossima volta! Mica mi sono alzato alle sei e mezza per farmi travolgere da una ragazza che pensa agli unicorni!-

-Cafone! Neanche tu eri poi così attento! Poi non si parla così a una donna! Ma dato che non lo sai deduco che non ti si filino molte ragazze, ma come dar loro torto.. E per tua informazione stavo pensando a quel gran pezzo d'uomo di Matt Bomer.-

-Mi chi, il gay?-

-Emh.. Si bhè, allora? Anche se è gay resta il fatto che è un gran figo. E poi perchè sto ancora parlando con te? Tra esattamente cinque minuti devo partire per la luna, devo andare. Ciao e a mai più rivederci.-

-No aspetta..- Troppo tardi, la mora di cui non era neanche riuscito a vedere il volto, perchè intenta a raccogliere il libro che teneva in mano, se n'era già andata. La ragazza aveva un profumo familiare, pesca, ma infondo che importanza aveva? Era solo uno stupido odore... Forse i suoi amici avevano ragione, doveva seriamente smettere di farsi le canne.

Violet era rimasta a a dir poco basita dal comportamento di quel ragazzo di appena dieci minuti fa, ma che ci poteva fare, lei non li aveva mai capiti. Non aveva mai avuto un vero e proprio fidanzato. Era più il tipo da un'avventura e via. Niente sentimenti, niente legami, niente smancerie, niente di niente. Non fraintendiamoci, non andava con tutti, ma con quei pochi con cui era stata era rimasta poco più due o tre giorni. Da quel giorno di dieci anni fa aveva giurato che non si sarebbe mai più attaccata troppo alle persone, infatti, appena incominciava ad instaurare qualcosa di più profondo con qualcuno, subito lo allontanava. Così, spense la cicca della sigaretta che aveva appena finito tra l'asfalto e il suo piede, ed entrò in classe.


 

-Violet, vatti a cambiare, e mettiti qualcosa di elegante, che dobbiamo andare a una cena. È di lavoro, quindi non ribattere e cerca almeno per una sera di non essere il tornado che sei solitamente.-

-Mamma, ma che palle! Sai che odio queste cene dove non si fa altro che parlare di politica, economia e un sacco di altre cose che neanche voglio nominare. E poi detesto quei cazzo di vestiti eleganti, non sono proprio nel mio stile...-

-Primo, modera il linguaggio. Secondo, sono tua madre, quindi decido io; e poi per vivere ci vogliono soldi, e senza questo lavoro siamo in mezzo a una strada, te compresa. Quindi fai poche storie, vai su, mettiti un vestito carino e sorridi. Ah, dimenticavo, sono irlandesi, quindi non deriderli per il loro accento.-

-Perfetto.. anche irlandesi sono, così mentre ceniamo spunta fuori da un armadio un folletto killer malefico, e quando ci ucciderà tutti, di dirò te l'avevo detto.-

-Violet, che scema che sei. Il senso dell'umorismo non ti manca di sicuro. E poi hanno un figlio, magari ci scappa l'imparentata..-

-Mamma! Smetti con queste fantasie macabre..-

-Ehi! Ma se neanche lo conosci, magari ti piace..-

-Si certo, io e il figlio del tuo capo, ma per favore, non ci penso proprio. Preferisco andare su a mettermi quell'odioso vestito invece di continuare ad ascoltare 'ste cazzate...-

Nonostante alla madre non piacesse il linguaggio poco delicato della figlia, era sicura che con quei discorsi sarebbe riuscita a mandarla su a prepararsi. Infondo le due non erano poi così, diverse. Anche se il genitore si tratteneva davanti alle figlie, non diceva certo meno parolacce; e poi avevano entrambe una mente contorta, ricattatrice e ribelle.



 




 

Saaaalveeee!I'm back baby ;) No ok, sto male,

anche perchè non so se vi piacerà questa piccola ff. L'idea

mi ronzava in testa da un po', così ho deciso di buttarla giù.

Premettendo che non sono una directioner, quei cinque ragazzi

mi piacciono comunque, e volevo quindi scrivere una storia su

di loro. Presto arriveranno anche in Italia, (capitano ovvio),

directioners, siete contente? Certo che sì, ma che domande

faccio, right? Sono felice per chi di voi realizzerà il suo sogno, e

mi dispiace per chi non ce la farà... So cosa si prova :( Ma arriverà

anche il nostro momento ragazze ;) Fatemi sapere che ne pensate C:

Adesso la smetto di rompervi, un bacione grande grande a tutte,

la vostra pazza, fiore22

   
 
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