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Autore: The queen of darkness    15/03/2013    4 recensioni
La normalità sembra essere cementata nella vita quotidiana dei nostri amati personaggi...ma siamo sicuri che tutti siano d'accordo a queste condizioni?
--Naturalmente non possiedo nessun diritto su questa magnifica storia, creata dal genio di Miss Rumiko Takahashi--
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Ahio! – esclamò Inuyasha, indispettito, per la quarta volta. –Vecchiaccia, quante volte ti devo dire di stare attenta?!
Era davvero esausto. Quello strazio stava andando avanti da quasi tre ore, e solo perché Kagome si era messa in testa che stesse male e avesse bisogno di cure.
Uscendo dal castello, infatti, aveva ricevuto una freccia in mezzo alle scapole, in quanto l’arciere aveva creduto fosse il responsabile dell’incendio e stesse rapendo il loro signore.
A quel punto, il passeggero in tutto e per tutto simile ad un triste manichino, aveva stancamente spiegato l’equivoco.
La sacerdotessa era inorridita vedendolo passeggiare con una freccia nella schiena, ma se doveva essere sincero gli aveva dato appena un attimo di fastidio, nel momento in cui la punta metallica si era conficcata nella carne, facendo presa sui muscoli simile ad un artiglio. La pelle aveva cominciato subito a bruciare, ma ogni volta che contraeva le spalle per estrarla e liberarsi dell’oggetto si scontrava con il bastoncino, ben dritto vicino alla colonna vertebrale. Era un miracolo che non avesse colpito qualche vertebra, ma non riuscì affatto a gioirne; aveva avuto fretta di togliersela rischiando di aggravare la situazione proprio perché Kagome non lo vedesse in quello stato e si preoccupasse inutilmente.
Infatti era proprio ciò che era successo, ovvero la scoperta del mezzo-demone, un paio di strilli spaventati, una ramanzina, qualche lacrima preoccupata ed infine l’orrore rendendosi conto di doverla estrarre. Lui, finita la manfrina, si era anche spazientito abbastanza, però era innegabile che avesse bisogno di aiuto.
Kagome rischiò di svenire appena comprese di essere l’unica a poterlo fare: nessun medico di corte era disponibile in quanto c’erano un centinaio di ustionati gravi, sacerdotesse nel raggio di chilometri erano già impegnate altrove e Kunieko, anche volendo, non avrebbe mai avuto la forza necessaria a liberarlo. Poi, essendo svenuta un altro paio di volte, non era assolutamente nella condizione fisica necessaria per portare a termine l’odioso compito.
Erano rimasti mezz’ora in un punto di stallo, uno ad ostinarsi a stare in quelle condizioni e l’altra ad impallidire ogni volta che la cima piumata sbucava dalla stoffa rossa.
Ma, irritandosi, non faceva che peggiorare la situazione. La punta scivolava sempre più in avanti, e se non aveva perforato un polmone era solo questione di fortuna. Non avrebbe mai ammesso che stava sanguinando copiosamente, perché non voleva negarsi nemmeno una litigata con Kagome: parlare con lei era piacevole persino in quei momenti.
Dopo un po’ però fu costretto ad appoggiarsi ad un tronco, non tanto perché si sentiva debole o dolorante, perché di fatto non lo era, ma bensì per non attirare la sua attenzione su un rivolo di sangue scivolato contro l’avambraccio.
Nonostante avesse cercato di sottrarsi, si era trovato nella capanna nell’unica donna in grado di curarlo: Kaede. Inutile dire che non era stato risparmiato nemmeno lì, poiché l’anziana aveva subito preso togliergli la casacca il più delicatamente possibile e a cercare di estrarre la freccia.
Kagome, la sua dolce, amata Kagome era dovuta praticamente fuggire: non sopportava vederlo reprimere gemiti contro la stuoia su cui era appoggiato, premendo il viso sul il pavimento. Inoltre lo spettacolo non doveva essere dei migliori, ovvero un paletto conficcato nella carne chiara, sporco di sangue e dai bordi allargati dai movimenti.
Ogni vibrazione gli provocava un fastidioso bruciore, accompagnato da un intenso formicolio. Era difficile non battere ciglio quando le pomate fredde venivano spalmate sulla pelle ferita, ma la parte più dolorosa venne quando Kaede estrasse del tutto la freccia. Lo fece senza nessun preavviso, limitandosi a strappare via l’arnese rischiando di creare ulteriori lesioni.
Quello scatto improvviso lo fece sussultare e rimanere senza fiato: gli parve quasi di morire mentre rimaneva inchiodato al suolo, soppraffatto dalla sorpresa. La donna aveva cominciato a spiegare con la calma che la contraddistingueva che era stata costretta ad agire in quel modo a causa dell’infenzione, che stava già per prendere il sopravvento su quel punto, ma lui se ne infischiò lo stesso, mettendosi ad imprecare e a scalpitare.
Ripensandoci in quel momento non era stata affatto una cosa furba, perché in quel modo aveva riaperto i bordi in parte guariti, facendola ricominciare daccapo con il proprio lavoro.
Gli aveva concesso di sedersi, purchè la schiena rimanesse tesa, e lui sfruttò appieno quest’occasione. L’unica cosa che voleva fare era vedere Kagome, nient’altro, soltanto lei. Voleva capire se ciò che era successo al castello sarebbe stato determinante, anche perché in cuor suo desiderava ardentemente che fosse così. Aveva dovuto abbandonare qualsiasi freno per reagire in quel modo, e non era sicuro che sarebbe iuscito a reggere se le cose non fossero cambiate dopo quella svolta. Era il massimo che potesse fare, entrambi lo sapevano: era assolutamente incapace di spingersi più in là e le aveva dato tutto ciò che poteva offrirle, il che implicava l’essere disponibile a donarle anche la vita intera, se lei lo desiderava. Non avrebbe avuto rimpianti se questo l’avrebbe fatta felice, segno del grande amore che lo colmava in ogni singolo vuoto.
Ma Kaede aveva l’aria di trattenerlo per le lunghe, ogni balsamo era un tremito in più. Da tutta la mattina andavano avanti a battibeccare sul pizzicore che la sacerdotessa provocava involontariamente.
-Sta fermo, Inuyasha, o la ferita si riaprirà di nuovo – gli disse, col solito tono calmo.
Lui incrociò le braccia muscolose, sbottando un’esclamazione sprezzante. La donna decise saggiamente di ignorarlo, continuando nel proprio lavoro.
Segretamente, Inuyasha si era sempre chiesto come lo vedesse dopo la morte di Kikyo; in fondo, lui era stato una presenza piuttosto importante nelle loro vite, e il cambio completo di situazione non doveva essere stato facile da digerire. Da misteriosa figura fissa su un albero si era trasformato in un salvatore, una bella rivoluzione se considerato tutto il tempo che era trascorso fra le due fasi.
La donna si dimostrava sempre saggia ed impassibile, ma anche gentile, soprattutto verso Kagome. L’aveva accolta tranquillamente e la stava addestrando personalmente, come si fa con un’allieva qualsiasi e non con la reincarnazione della propria sorella morta.
Inuyasha ricordava quando lei era bambina: nonostante sembrasse molto più anziana di lui non lo era affatto. Alla fine, tutti i contadini, gli uomini, le loro mogli, i soldati, erano spirati nel corso degli anni. La vita era proseguita, rimpiazzando prontamente quelle comparse con altri nomi e visi quasi uguali. La sacerdotessa era l’unica testimone oltre lui di quegli eventi passati, l’unica che potesse ancora serbare un ricordo di cosa volesse dire non conoscere la polvere da sparo e arare i campi in schieramenti specifici, la sola che sapesse cos’erano le annuali cacce agli hanyou e cosa significasse guardare un tramonto in riva al lago, quelle poche volte che c’era stata.
La morte della sorella aveva inciso profondamente la sua esistenza, solcandola a fondo, ma era comunque andata avanti. Lui si era fermato al lutto per moltissimo tempo, nonostante il ricordo di colei che un tempo amava fosse molto meno gradevole di quello della signora.
Era cambiata moltissimo, l’estetica ne era solo la rappresentazione concreta: era una bambina intelligente e un po’ spigolosa, il viso reso serio dalla mancanza di un occhio, i capelli tagliati corti come quelli di un maschietto perché altrimenti albergati da pidocchi. Una ragazzina in gamba ma abbastanza solitaria, dalla buona memoria e grandi doti fisiche. Spesso Kikyo gli aveva parlato della sua eccellenza nel tiro con l’arco e della speranza che, un giorno, sarebbe potuta diventare lei la custode del villaggio.
La vita era davvero strana, perché proprio Kaede assunse quel ruolo, molto prima di quanto chiunque avrebbe mai potuto sperare. Aveva sì e no quattordici anni quando, con assoluta serietà, combatteva temeraria contro demoni e malfattori, prescrivendo nel frattempo cure verso gli ammalati.
Quei fatti gli erano stati narrati, oppure li aveva sentiti, quando lavorava nei campi, al pomeriggio. Se ne stava leggermente in disparte per fare prima, ma le parole gli arrivavano comunque nitide come se gli si stessero rivolgendo direttamente.
Non erano fatti certi, poiché nessuno aveva concretamente assistito, però si vociferava che avesse ultimato la propria preparazione in fretta, trascorrendo alcuni mesi in una capanna al limitare del bosco con una sacerdotessa anziana, poi morta. Quest’ultima era una donna che abitava al villaggio da moltissimo tempo, e dispensava consigli a chiunque ne avesse bisogno.
Questa solitudine auto-imposta, riflessa nello sguardo profondo o nel viso solcato da un fitto reticolato di rughe, la rendeva degna della stima del mezzo-demone: in un certo senso la ammirava, perché non credeva che sarebbe stato capace di rimanere altrettanto indifferente allo scorrere del tempo. Risvegliarsi dopo tutte quelle primavere era stato traumatico quasi, nonostante il mondo, nel complesso, appariva ostile come al solito.
La donna non aveva saltato fasi o passaggi, si era semplicemente adattata alle nuove epoche e alle nuove esigenze, riuscendo a mantenere quella sorta di misticismo appartenente alle epoche passate.
Sentì le mani rugose e calde staccarsi un momento dalla sua schiena: -Torno subito – disse. La sua voce sembrava contenerne diverse, frutto del mutamento di tutte le sue personalità.
Inuyasha non replicò, e non si offrì di aiutarla ben sapendo quanto tenesse alla sua autonomia. Sentì le stoffe alzarsi a fatica da terra con un fruscio e un passo trascicato portarsi faticosamente fuori dalla capanna. Lasciato solo, gli parve di avere del ghiaccio sulla pelle, per effetto dell’aria che agiva sul balsamo lenitivo.
Sbuffò spazientito; il sole era già alto nel cielo, segno che era metà mattinata, e lui aveva bisogno di parlare con Kagome. Aveva paura fosse tornata alle rovine del castello per cercare di prestare aiuto, e proprio per questo era irrequieto; sapeva bene però di non potersi muovere se non a cura finita, il che era ridicolo, considerato che in circostanze normali sarebbe già guarito.
La sua pelle flessibile si stava ricomponendo anche senza misteriose creme, sarebbe bastato solo avere pazienza. E poi gli scocciava non poco fingere di essere un busto di marmo, dalla colonna eretta e fiera. Gli dolevano i fianchi dal desiderio di muoversi o stendersi.
La stuoia dietro di lui venne messa a posto, e si preparò al ritorno della guaritrice, sicuramente tornata con sostanze varie e dall’odore sgradevole, come quelle che aveva addosso e che lo ricoprivano come una patina oleosa.
Ad un tratto, sentì delle mani poggiarsi di nuovo sulle spalle stanche, ma non erano affatto uguali a quelle di prima. Inanzitutto, erano pulite da qualsiasi unguento, liscie e morbide.
La pelle non era affatto raggrinzita, bensì vellutata e fresca. Le dita sottili si muovevano dolcemente lungo i muscoli tesi sul collo, accarezzando con tocco lieve l’area appena sopra alle costole, aggirando la ferita. Ottenne ristoro immediato da quel contatto, capace di fargli stendere ogni singolo nervo: i polpastrelli delicati facevano da guida alle torsioni, indicando loro come fare per stendersi.
La presa mordente del bruciore contro la ferita allentò la sua stretta. Piano, una pezza zuppa d’acqua di ruscello si posò sulla sua schiena, pulendola dalle medicine e dai residui di sangue incrostato alla fuliggine.
-Kagome – sussurrò. La spinta appena accennata delle mani gli avevano fatto inarcare il collo, lasciando che i capelli scivolassero oltre le sue clavicole.
-Shh – mormorò la ragazza, senza interrompersi. Immerse di nuovo la stoffa in un bacinella al suo fianco e riprese a strofinare senza provocargli dolore.
-Mi hai fatto stare in pena, lo sai? – la sua voce era a malapena udibile, ma il sollievo sembrava arricchirla di note anor più armoniose.
Quel massaggio così perfetto stava risvegliando istinti profondi in lui, che non avrebbe saputo spiegare. Sentiva il bacino incredibilmente caldo, ma la sacerdotessa lo invitava tacitamente a rilassarsi sotto la sua protezione, tanto da farlo sentire amato e viziato. Il suo cervello non ragionava, completamente beato da tale sorpresa.
-Mi dispiace – disse, con voce arrochita dal desiderio.
La candida fanciulla ridacchiò, come soltanto lei sapeva fare. Immaginò le labbra rosee in cui avrebbe voluto affogare tendersi appena, a rivelare una dentatura bianca e perfetta. –Non è vero.
Sembrava quasi un gioco, e il vincitore era colui che parlava col tono più basso fra tutti. Ciò rendeva la scena ancor più intima, perché era una conversazione che solo loro due potevano intraprendere, escludendo il resto del mondo.
Ora i movimenti con quella sorta di spugna si erano fatti circolari, senza spezzare il loro ritmo armonioso. La forza applicata era quasi nulla, ma sufficiente ad eliminare sporco e fatica dal suo corpo provato.
Inuyasha aveva davvero bisogno di dimenticare, per un solo momento, cosa significasse essere un guerriero. Le sue mani abbandonarono il peso delle spade, pronte ad accogliere solo splendenti chiome corvine, i suoi occhi divennero sconosciuti al sangue, ma dediti soltanto all’osservazione di corpi agili, le sue orecchie dimenticarono le urla per colmarsi di soavi risate. L’elegante fanciulla dietro di lui era l’incarnazione elegante e graziosa di ciò di cui necessitava nella sua vita.
Da quel momento in poi avrebbe voluto abbandonare per sempre cosa volesse dire uccidere.
Ma non poteva rinnegare sé stesso, non era possibile, anche se tali gesti stavano mettendo in discussione i propri principi.
-Non sapevo sapessi… - si abbandonò ad un sospiro, - fare così.
Ormai non era più padrone di ciò che diceva o pensava, gli bastava solo sentire il profumo di lei, e basta. Volle accarezzarle i capelli, ma non avrebbe mai fatto nulla per spostarsi. Un brivido di lussuria lo pervase pensando che era la prima volta che lei toccava la sua pelle nuda, soffermandosi sui muscoli delineati in superficie.
-Ogni sacerdotessa lo deve imparare – mormorò la fanciulla al suo orecchio, facendolo impazzire. –Fa parte dei nostri compiti.
Lo stava stuzzicando, era evidente. Era fin troppo ovvio che non si impegnava a quel modo con nessuno, e gli bastava ricordare il tocco di Kaede per smascherarla. La donna era stata essenziale nei movimenti, quasi rude, mentre Kagome lo stava vezzeggiando senza riserve, lasciando che le mani solcassero la sua pelle pallida e tonica.
Il bacino era ormai un rogo bollente, tanto da far quasi male. Mai aveva sentito una spinta tanto forte, e si vergognò di sé stesso. Stava quasi tremando.
Una linea infuocata lo pizzicava ogni volta che le dita di lei lambivano una nuova parte della sua schiena, secie se verso il basso, e gli pareva quasi di esplodere aspettando che lei lo facesse, un po’ per distrazione, un po’ per pulire meglio le tracce scure lasciate dalla cenere.
La testa gli vorticava impazzita, balzando da un pensiero all’altro: sicuramente i suoi capell brillavano sciolti, poteva sentirne il profumo, la sua bocca era schiusa in un lieve e malizioso sorriso, di certo le guancie liscie erano irresistibilmente arrossite, il corpo sottile era fasciato in abiti puliti…gli pareva quasi di vedersela davanti agli occhi.
Non era abituato a quella Kagome, ma dovette ammettere che era il lato da lui preferito, fino a quel momento. Assieme anche a tutti gli altri, in effetti.
L’amore che sentiva si manifestava sotto forma di combustione appena sotto la pelle, irradiando più calore del sole, quasi avesse la febbre. In quel caso la medicina sarebbe stata una sola…
Un rigagnolo sottile d’acqua scivolò oltre la sua spalla, solcandogli il petto e gocciolando sull’addome scolpito: fu il culmine, a cui non seppe resistere.
Non gli importò più della ferita o dei danni che poteva provocare, ma si mosse dalla sua immobilità cedendo alle pulsioni umane. Gli parve di fondersi con la ragazza, colta di sorpesa da quel bacio colmo di passione e impazienza, mentre le labbra erano pronte a diventare una sola unione.
Subito, senza lasciare che altro tempo li dividesse, schiusero le bocche per lasciarsi reciprocamente colmare; le dita umide di lei ora erano avvinghiate ai capelli argentei e sciolti. Ogni singola parte di quella massa disciplinata e tempestosa sembrava avere vita propria, mentre anche le spalle godevano del suo tocco simile ad un appiglio sulla pelle nuda.
Non seppe trattenersi, sentendola vicina, e cercando di avere sempre di più, urtò i denti contro i suoi. Questo, invece che infastidirla , le strappò un gemito, che lo spinse a continuare. Il fuoco dentro si lui era talmente caldo da farlo quasi sciogliere di piacere.
Quanto aveva atteso la solitudine con lei, per potersi beare della sua compagnia? Troppo, troppo a lungo. La ragazza conosceva bene l’importanza dell’attesa, e lui seppe che quel tempo era stato calcolato a regolare d’arte.
Le mordicchiò il labbro inferiore, ogni tocco era un sospiro. Ma con essi giungeva anche l’eccitazione crescente; chino su di lei, la sentiva aggrapparsi al suo corpo possente come se fosse l’unico scoglio nel mezzo di una tempesta, ed era fiero di rappresentare tale elemento per lei.
Essendo stata Kagome la sua unica ancora per moltissime occasioni, era lieto di essere ricambiato senz’ombra di dubbio. Lasciò che le sue mani scendesseo lungo i suoi fianchi dolci, portandosi alla chiusura del kimono.
Non sapeva nemmeno lui cosa voleva fare nella casa di una sacerdotessa, nella stanza principale e con uno squarcio in via di guarigione tatuato sotto al collo, ma non aveva assolutamente importanza. Non si sarebbe mai creduto capace di tanta irruenza, e questo di certo dipendeva dalla trasformazione che lo aveva plasmato solo la notte prima.
Troppo presto, forse, si resero conto di ciò che era appena successo; le mani di lui si staccarono dalle sue curve, Kagome arrossì violentemente e i corpi recuperarono le distanze, ansanti.
Nessuno dei due riusciva a prendere fiato.
-Wow – commentò la ragazza.
Il mezzo-demone la guardò stranito. Ogni tanto se ne usciva con esclamazioni sconosciute che lo confondevano, tanto da non saperne qualificare il valore. Era un bene o un male che l’avesse detto?
-Cosa vuol dire? – chiese infatti. Non poteva permettersi dubbi.
La ragazza sistemò una ciocca dietro al proprio orecchio, dopo che era scivolata davanti al viso. Fingendo di aver preservato un minimo di calma, sistemò gli stracci che aveva portato e le varie erbe, lasciate lì da Kaede. –È…un’esclamazione in una lingua occidentale. Non ha un vero singificato ma… - sorrise leggermente, guardandolo, - si usa per quantificare l’incredibile.
Lui dovette fare uno sforzo quasi crudele per non prenderla di nuovo e finire ciò che aveva cominciato, concentrandosi allora sulla schiena ancora umida.
La ragazza aveva ragione: era davvero la parola adatta.
A strapparli del tutto da quel momento che rasentava il sogno, ci pensò la vecchia sacerdotessa, che apparve in quel preciso istante.
Kagome stava chiudendo la sua tracolla per i medicinali. Con le guance di nuovo ad una colorazione normale e i capelli a posto così come quando era entrata sembrava davvero stesse finendo di sistemare le ultime cose prima di andarsene.
-Oh, venerabile Kaede! – disse in tono affabile, sorridendo gentile. Chiuse la borsa, alzandosi. –Vi ho visto nel bosco e ho pensato di concludere io.
Per qualche istante discussero di erbe, poi la ragazza si raccomandò riposo da parte sua con aria di rimproverò e uscì. Inuyasha, stando al gioco, aveva recuperato la sua aria scontrosa di sempre, borbottando appena qualcosa e sistemandosi subito i vestiti.
Come suo solito, aveva passato il pomeriggio in disparte, in angolo della casa, a guardare Kaede bollire questo o quello, giusto per rassicurarla sul fatto che non avrebbe fatto sforzi.
Poi, dal momento che non poteva assolutamente evitarlo, corse al ruscello. Era intenzionato a lavarsi nell’acqua gelida.
Perché, oltre al fumo, doveva calmare anche il proprio cuore, impazzito dopo gli eventi di quella mattina.  
  
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