Buondì!
Cercherò
di pubblicare il venerdì ora che The vampire diaries
è ripreso regolarmente , ma
se la settimana si rivelasse più leggera del solito magari
passerò
a due aggiornamenti, chissà.
Comunque,
nello scorso capitolo avete avuto modo di conoscere meglio il passato
di Julya. Ora, il suo presente sarà l'oggetto del capitolo,
in
particolare il rapporto Julya/Stefan.
Ma
non vi anticipo nulla, se no che sopresa è?
Vi
avverto, il capitolo non è lungo, ma è di
passaggio e mi serviva
per “sistemare” alcune cose.
Buona
lettura.
Lo
dedico alle splendide persone che leggono e commentano.
Ma
anche a quelle che leggono e basta.
I'll hold you 'til hurt is gone
Never
gonna be alone!
From this moment on,
if you ever feel like letting go,
I
won't let you fall.
Never gonna be
alone!
I'll hold you 'til the hurt is
gone.
Nickelback-
Never gonna be alone
“L'ultima
volta che ho partecipato a una festa era il 1945, gli abiti erano
decisamente diversi e i cocktail... no, quelli sono rimasti
uguali”
ammise sorseggiando il liquore direttamente dalla bottiglia che un
ragazzo, abbastanza ubriaco da non aver bisogno di essere soggiogato
perché mollasse la sua preda, le aveva gentilmente lasciato.
Caroline
rise e lanciò un'occhiata all'amica, quella sera
più bella che mai
nel suo abito nero e viola che faceva risaltare ancora di
più il
contrasto tra la pelle chiara e i capelli color cioccolato.
“Davvero
è stata l'ultima volta?”
“Da quel momento non ho fatto che
studiare e cercare”
“Allora
mi sa che hai molte cose da recuperare”
“Credo
che inizierò da quella bottiglia di vodka
laggiù”
Julya
si diresse verso il tavolo dove erano state appoggiate bevande e
cibarie varie ma si voltò quando Caroline la
chiamò.
“Non
pensi di aver già bevuto abbastanza?”
La
guardò con un sopracciglio inarcato e l'espressione
divertita.
“Care,
sono russa” e se ne andò con passo sicuro,
facendosi largo tra la
folla come se non esistesse.
Si
versò un bicchiere di vodka e la sorseggiò piano.
Aveva un buon
sapore e le ricordava la sua vita da umana, quando beveva la vodka
rubata a loro padre durante le feste di paese con i suoi fratelli.
Stefan
comparve al suo fianco con un bicchiere vuoto da riempire e
l'espressione neutra. Non si parlavano ancora e non le piaceva quella
situazione.
Qualcosa
doveva cambiare perché se avessero continuato ad
asserragliarsi
sulle loro posizioni, Julya non avrebbe mai potuto convincerlo ad
aiutarla.
Dentro
di sé sapeva che era una scusa, un modo per non ammettere
con se
stessa che voleva solo essere perdonata e avere di nuovo qualcuno al
proprio fianco.
Forse
sarebbe bastato chiedere scusa, supplicarlo di
perdonarla fino
a quando non lo avesse fatto... forse sarebbe bastato inghiottire
l'orgoglio e parlare con il cuore in mano.
Lo
fermò prima ancora di aver deciso cosa fare.
“Non
ce la faccio a essere arrabbiata con te” ammise “e
vorrei che tu
mi aiutassi in ciò che sto facendo”
Stefan
la guardò come se pensasse che fosse impazzita
“Non hai capito? La
risposta è sempre no”
“Sei
tu che non capisci”
Forse era ubriaca, probabilmente se ne
sarebbe pentita entro poche ore, ma lui era Stefan e questo sembrava
bastarle in quel momento.
“Come
hai potuto credere davvero che io agisca solo per ambizione?”
mormorò amareggiata “Se tu sei arrabbiato, io sono
delusa. Credevo
mi conoscessi abbastanza da capire che c'è molto di
più”
Gli
scoccò un'occhiata piena di rimpianto e se ne
andò, non prima di
aver rubato dalla tavolo una bottiglia di ottimo whisky.
Con
suo enorme rammarico, Julya aveva scoperto di essere il tipo da
sbornia triste.
Aveva
sperato che il whisky e la vodka e il bourbon -che era davvero buono
e Damon aveva ragione, ma lei non glielo avrebbe mai detto- potessero
cancellare il suo lato più cupo e triste... e invece no.
Se
non altro, quella sera non avrebbe avuto problemi di sete: aveva
abbastanza liquore in corpo da poter gestire la fame per tutta la
notte.
Si
appoggiò con i gomiti sulla balaustra del terrazzo su cui
aveva
trovato rifugio. Fuori, la band cambiò canzone e
attaccò con un
lento.
La
ragazza aveva una bella voce, roca, intensa, da brividi sotto la
pelle e c'era un bel vento freddo che le ricordava la sua Russia e
che portava il profumo della prima neve.
In
un attimo di follia, si issò sulla balaustra con un mezzo
sorriso e
gli occhi socchiusi. Le sfuggì una risata e si
ricordò che a lei
piaceva davvero l'inverno.
Le
piaceva il ghiaccio su cui pattinare perché le ricordava la
Neva a
Dicembre, la neve, le luci, gli alberi spogli.
La
gente odiava l'inverno, ma lei no. Le portava un pezzo di casa a ogni
ventata, in qualunque parte del mondo fosse.
“Dovresti
scendere”
Aveva
sentito arrivare Stefan, ma perché scendere quando stava
così bene
lì?
“Io
non credo. Qui si sta bene”
“Preferirei
che scendessi”
“Non
fare finta che ti importi. E comunque” gli ricordò
con un sorriso
“io non posso morire. Sono già morta,
ricordi?”
“Va
bene”
Lo
sentì avvicinarsi, ma non se ne curò fino a
quando non la prese in
braccio e la trascinò giù di peso. La
portò tra le braccia come se
fosse una principessa fino all'interno dello studio di casa Lockwood
mentre la musica cambiava.
La
mise a terra e lei si allontanò, stizzita e contrariata,
senza dire
una parola. Era alticcia e cominciava a sentire la stanchezza -anche
se era piuttosto certa che fosse una reazione psicologica- gravarle
addosso come un peso. Non aveva la forza di preoccuparsi del
disprezzo di Stefan o di ciò che stava pensando.
“Ti
sei mai pentita di essertene andata?”
Julya
si chiese se fosse il caso di dirgli la verità. Lo
guardò negli
occhi e vide che finalmente qualcosa era cambiato.
Brillavano
di una luce che non c'era mai stata e Stefan sembrava di nuovo come
lo ricordava. Forse, chissà, era l'alcool che le faceva
vedere ciò
che voleva, ma non le importava. Aveva così tanto bisogno di
lui.
“Ogni
giorno ho rimpianto di non averti chiesto di venire con me”
“E
perché non sei tornata?”
“Perché,
per quanto volessi disperatamente averti accanto, non potevo
dimenticare il motivo per cui me n'ero andata”
“La
tua ambizione...”
Non
si aspettava che Julya si voltasse di scatto, sferzando l'aria con i
lunghi capelli bruni.
“Non
è mai stata quella! Ti prego, credimi: ho mille motivi per
volere
quel calice, ma l'ambizione non è mai stato tra
quelli”
E
Stefan non dubitò neanche per un momento delle sue parole e
sì,
poteva fidarsi perché conosceva Julya e, anche se aveva
scelto di
vedere in lei solo un'ambiziosa egoista, sapeva che non lo era mai
stata.
Era
ferito e aveva voluto credere che fosse una
creatura
spregevole: così sarebbe stato più facile odiarla.
Ma
lei gli stava chiedendo di perdonarla e vedeva la muta richieste nei
suoi occhi lucidi e ardenti.
“Mi
sono sentito così solo” soffiò mentre
Julya si avvicinava a lui.
“Ho
ucciso migliaia di persone e tu te n'eri andata, lasciandomi senza
nessuno a cui appoggiarmi quando ne avevo più
bisogno”
Julya
guardò nei suoi occhi e vide il rimpianto, il dolore
straziante
dettato dalla consapevolezza delle proprie azioni, il senso di
abbandono.
Di
slancio lo strinse a sé e Stefan la avvolse con le proprie
braccia,
premendosela contro per sentirla più vicina, stringendo
tanto da
farle male.
“Non
ti lascerò più cadere, non sarai di nuovo
solo”
Le
sembrò che all'improvviso tutta la sofferenza di quegli
anni, le
morti, le devastazioni e gli inganni fossero tornati alla mente di
Stefan e tornò a galla anche il proprio senso di solitudine.
In
quel momento, sembravano entrambi due naufraghi alla disperata
ricerca di un modo per sopravvivere.
All'improvviso
non fu più Julya la roccia nella tempesta mentre Stefan
affondava il
capo tra i suoi capelli. Lasciò che sfogasse tutto il suo
dolore
contro il suo collo mentre lo stringeva più forte, come a
dirgli che
non lo avrebbe lasciato andare una seconda volta.
“Andrà
tutto bene” si ritrovò a mormorare accarezzandogli
i capelli. Non
lo avrebbe lasciato andare, non più.
E
sapeva che Stefan non l'aveva ancora perdonata del tutto, l'aveva
letto nei suoi occhi prima che la stringesse a sé, ma non le
importava. Era un primo passo sulla via giusta, sulla strada per
tornare al punto in cui erano lasciati, un nuovo inizio.
*
“Ehi”
Julya
alzò lo sguardo dal libro e lo posò su Stefan.
Era appoggiato allo
stipite della porta e le rivolgeva un sorriso un po' tirato, ma Julya
apprezzò il tentativo.
“Ciao”
“Come
procede?”
Julya
si stupì per la domanda, ma la sua sorpresa raggiunse
l'apice quando
Stefan si fece avanti e si appoggiò con le mani allo
schienale della
sedia.
“Bene”
ammise ed era vero, per una volta.
“Per
ora il libro non mi ha detto nulla che non presumessi già,
ma se non
altro ora posso dire di essere certa di averci sempre visto
giusto”
Stefan
pensò che si stesse contenendo e che doveva essere davvero
difficile
per lei non gongolare spudoratamente.
Gli
venne da ridere: Julya non era cambiata dagli anni '20.
La
discussione di due sere prima, alla festa di Tyler, li aveva
riavvicinati e aveva permesso a Stefan di imboccare la via del
perdono.
Certo,
erano ben lungi da riavere il loro vecchio rapporto, ma se non altro
ci stavano provando.
Un
passo alla volta, si
era detto e
sembrava che Julya accettasse il suo modo di procedere.
“Davvero?
E quali erano queste supposizioni?”
“Stefan,
vuoi davvero saperlo? Insomma, so che non è così,
ma se ti
raccontassi tutto avrei l'impressione che tu mi stia aiutando”
Stefan
soppesò un momento il problema poi prese la sua decisione
“E se
volessi aiutarti?”
Julya
lo guardò con dolcezza e gratitudine, ma scosse la testa.
“Non
acceleriamo i tempi, Stef. So che non sei ancora pronto per
questo”
“Ma
io voglio esserlo! Senti, noi due abbiamo tanti anni da recuperare e
quale miglior modo per perdonarti che capire perché mi hai
abbandonato?”
Uno
a zero per te, pensò
Julya che
a quell'obiezione non sapeva proprio come ribattere. Forse
perché
era perfettamente ragionevole e inappuntabile.
Si
morse il labbro, meditando. Perché no? Perché non
cedergli la
possibilità di perdonarla davvero?
Perché
se lo facessi, gli darei libero accesso alla mia anima, a ogni mia
più piccola debolezza. E non so se sono pronta a farlo.
Ma
Stefan stava facendo uno sforzo e la sua proposta era una mano tesa.
In un rapporto, non sarebbe bastato che uno dei due facesse un passo
avanti. Accettare il suo aiuto, ora, sarebbe stato il suo modo di
prendere quella mano e stringerla forte.
“Va
bene, va bene. Vieni qui e ascoltarmi, ti servirà”
Gli
indicò il libro “Quello è un antico
manoscritto redatto dalla
mano di un frate francescano in cui questi narra la vita e le gesta
di un cavaliere. Ora, la leggenda vuole che questo cavaliere fosse
uno dei tre fratelli che trovarono il Graal durante la prima
crociata”
“Come
sai tutte queste cose?” le domandò alzando appena
lo sguardo dal
manoscritto.
“Sono
decenni che lavoro a questo. Ti stupiresti della quantità di
cose
che conosco in materia storica, Stefan”
Gli
sorrise, enigmatica e un po' presuntuosa, come aveva fatto nel 1928,
nel night club di Philadelphia.
“Comunque”
lo ammonì “il libro non rivela dove si trova il
Graal, ma il
cavaliere è sicuro di aver lasciato due indizi lungo il
cammino che
possano rivelarlo”
Sotto
lo sguardo attento di Stefan, trafficò con i fogli sparsi
sulla
scrivania alla ricerca di chissà cosa fino a estrarre un
paio di
foto.
“Uno
è questa, una tavoletta di arenaria”
“Ma
è incompleta”
“Giusto.
L'altro indizio, è sepolto con l'altro fratello”
“E
immagino che non dica dove sia la tomba, vero?”
Julya
rise. Se l'archeologia – o in qualunque modo si volesse
chiamare
ciò che stavano facendo- fosse stata davvero piena di
risposte
immediate, allora non avrebbe impiegato più di un secolo a
raggiungere quel traguardo.
Stefan
avrebbe dovuto imparare a pazientare perché ora stavano
avendo molta
fortuna -più di quanta ne avesse mai avuta, a dire il vero-
ma le
cose avrebbero potuto cambiare il loro corso molto presto.
Era
una continua sfida, un incessante allenamento per il suo cervello. La
ricerca e la scoperta costante erano per lei l'unica fonte di vero
divertimento.
“No”
ammise “ma io credo che si trovi a Venezia”
E
vide che Stefan stava per farle una domanda, magari su come facesse a
sapere che era lì, ma Julya alzò una mano per
fermarlo.
“Non
chiedermi come faccio. Diciamo solo che è una
supposizione”
“E
come pensi di avvalorarla?”
Il
sorriso che Julya li rivolse fu così radioso che ne rimase
abbacinato per un momento.
“Semplice.
Andando in Italia”
“E
io verrò con te”
Subito
dopo averlo detto, si chiese perché lo avesse fatto. In
realtà,
voleva andare con lei. Non perché avesse
bisogno di essere
protetta – era sicuro che sapesse farlo benissimo da sola- ma
quale
miglior modo per passare del tempo insieme di un viaggio a Venezia?
Julya
lo guardò mordendosi il labbro e con uno sguardo
così preoccupato
che Stefan si chiese cosa avesse detto di male.
“Stefan”
iniziò tentennando e prendendogli una mano tra le sue
“non è un
viaggio di piacere, lo sai? Insomma, potremmo dover attraversare
passaggi sotterranei, gallerie, cunicoli. Poi, è Venezia:
vuol
dire che ci sarà tanta acqua... Credi di essere pronto a
rischiare
che si rovinino i tuoi capelli pieni di gel?”
Stefan
ci mise un momento per realizzare la battuta di Julya che aveva
perciò avuto tutto il tempo di alzarsi in piedi e
allontanarsi con
un sorriso malandrino.
Alla
fine, alzò gli occhi al cielo “Anche tu!”
Poi
le lanciò un cuscino e il resto della giornata
passò così, con due
vecchi amici che imparavano a poco a poco a fidarsi di nuovo l'uno
dell'altro.
Continua
**