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Autore: Akemi_Kaires    15/03/2013    5 recensioni
{Bakuryushipping; Gold/Sandra}
Piccoli frammenti di vita quotidiana, piccole storie su una relazione insolita e speciale. Perché l'amore è imprevedibilmente sorprendente.
Nona Settimana: «Che ne dici di stare un po’ con me? O il grande Campione non ha tempo da dedicare a una sua grande fan?»
Decima Settimana: «Potevi anche dirmelo che avevi intenzione di tradirmi con mio cugino»
Undicesima Settimana: Come ogni fidanzata degna del suo nome, Sandra possedeva numerosi pregi, ma anche altrettanti difetti.
Dodicesima Settimana: «Mi manca ogni cosa di lui. La sua voce, la sua presenza, il suo amore, il suo profumo, la sua risata e, soprattutto, il suo bel corpo. Quando tornerà a casa, dovrà concedermi tutto di lui, pure con gli interessi».
Tredicesima Settimana: Sandra non avrebbe potuto fargli regalo migliore del suo amore e della sua cieca fiducia.
Quattordicesima Settimana: «Mi ricordi molto il mio Edgy, Goldy caro. Sei proprio un tipo per bene, gentile e garbato, un vero e proprio figurino. E scommetto che sei pure ben fornito».
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold, Sandra
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Buon Venerdì sera a tutti! Per vostra somma (no) gioia, ecco a voi la quarta shot di questa raccolta. Ammetto che è piuttosto lunga, però la adoro particolarmente. Ho la febbre e non capisco un accidente, però ci tenevo particolarmente a mantenere la mia promessa e farvi leggere questo delirio racconto. Perciò, se trovate degli errori, non inseguitemi con il machete. Non era mia intenzione farli, sappiatelo.

Inizialmente avevo intenzione di fare qualcosa di allegro, come era valso per i due capitoli precedenti a questo. Invece, per vostra disgrazia, è uscita questa… cosa. Non so neanche io come definirla. Ne vado in parte fiera, dato che c’è un pezzo di me in questa quarta shot, però so che potrebbe non essere comprensibile a tutti. C’è tanta Bakuryu, ma c’è anche… qualche accenno di Dragon (one sided). Sì, ora merito davvero tante botte.

La canzone cantata da Sandra è Drumming Song di Florence and the Machine (nel testo, però, la canzone ha come titolo un suo verso. Il motivo? Semplice, il significato di quel verso). I versi non sono in ordine, li ho selezionati in base a quello che volevo far dire alla Capopalestra. Sì, non sono coerente. Lo ammetto con estrema sincerità. Mi auguro che questa shot sia di vostro gradimento!

Ultima cosa, ma non per importanza: voglio ringraziare di cuore quello che recensiscono, quelli che mi seguono e chi ha messo questa raccolta nelle preferite. Grazie di cuore a tutti, davvero! Inoltre, ci tenevo a dedicare questa shot a Carolina, che si merita molto più di tutto questo.

 

 

Quarta Settimana:

Canta per me

 

 

«Canta per me».

Così aveva esordito Gold, quel Venerdì sera, lasciando Sandra letteralmente di stucco. Inizialmente colpita e meravigliata, decise di non domandare alcun chiarimento riguardante quell’inaspettata richiesta, per poi afferrare tra le mani la sua amata chitarra.

Qualche canzone avrebbe mai potuto dedicargli? Ormai le aveva ascoltate praticamente tutte, durante i loro incontri, ad eccezione di una e una soltanto: Until there’s nothing inside my soul.

Le sue dita, dapprima impegnate ad accordare lo strumento, si bloccarono improvvisamente, non appena quel titolo crudele e il testo di quella melodia cominciarono a riecheggiare assordanti nella sua testa. Si trattenne a stento dall’esibire una smorfia di dolore e soffocò un gemito, non appena ricordo con malinconia l’ultima volta in cui l’aveva cantata – e per chi l’aveva cantata, poi.

«Lance» mormorò debolmente, in un sussurro impercettibile e quasi inudibile, scordandosi di come Gold si trovasse a pochi centimetri di distanza da lei.

Aveva cantato e aveva suonato con allegria per il Campione, l’ultima volta che le aveva fatto visita e nello stesso momento in cui le aveva promesso che le avrebbe fatto visita molto più spesso; giuramento che si era tramutata in bugia, la stessa menzogna da cui aveva tratto nutrimento e che l’aveva illusa per tanto tempo.

Scosse velocemente il capo, nel vano tentativo di scacciare gli spettri di quel passato tormentato e tentatore, per poi tornare a concentrarsi sul suo compito. Si schiarì la voce e raccolse il coraggio a due mani, pronta ad affrontare quella difficile sfida. Non seppe spiegarsi per quale motivo stesse facendo tutto questo per Gold, per quell’insulso ragazzino che era comparso improvvisamente nella sua vita, occupando i suoi giorni e farcendoli di nuove emozioni. A suo tempo non gli avrebbe mai permesso di scoprire aspetti tanto intimi del suo animo, eppure in quel momento non riuscì a resistere alla tentazione di scoprire nuove carte davanti a lui.

«There’s a drumming noise inside my head» cominciò a cantare flebilmente, mentre pizzicava alcune corde della chitarra. Chiuse gli occhi e fece ondeggiare la testa al ritmo crescente e incalzante della musica, completamente persa in quell’atmosfera nostalgica che si apprestava a rievocare ad ogni frase pronunciata. «That starts when you’re around».

Per lunghi anni, la Capopalestra non aveva fatto altro che stare nell’ombra di suo cugino, nell’attesa che si voltasse e la degnasse di un miserrimo sguardo. Lo aveva seguito e desiderato morbosamente, spinta da un motivo che neppure lei era in grado di spiegare. Che si trattasse di amore era fuori discussione, forse: come poteva definirsi amore ciò che invece si manifestava come una vera e propria ossessione? Come poteva chiamarsi amore qualcosa che annichiliva e consumava la propria anima?

«I swear that you could hear it» proseguì, con il tono di voce accentuate dal dolore represso e soffocato in recesso isolato del suo cuore. Rabbia cieca si accese nel suo corpo, mentre le parole sgorgavano a fiotti dalle sue labbra, come un fiume in piena portatore di distruzione. «It makes such an all mighty sound!».

Gold riusciva perfettamente a udire quel rumore, di questo ne aveva l’assoluta certezza. Nonostante fosse un ragazzino inesperto riguardo un simile campo, era riuscito ad intuire che cosa si celava dietro quelle parole apparentemente innocenti e pacifiche. Dopotutto, per quanto paradossale e insolito potesse sembrare, era sempre stato capace di leggere il suo animo come se fosse un libro aperto, senza mai sbagliare.

Forse, dopo aver decodificato alla perfezione quel messaggio, sarebbe stato in grado di salvarla. Ma come ci sarebbe riuscito un ragazzino di sedici anni? Come avrebbe potuto strapparla da quell’agonia interiore e disintossicarla da quella droga malsana? Era a dir poco impossibile riuscirvi; perfino lei, così determinata e dotata di grande forza di volontà, aveva fallito nell’intento.

«As I move my feet towards your body, I can hear this beat it fills my head up» riprese, mentre l’Allenatore la fissava assorto e serioso come non mai. La Domadraghi pregò con tutto il cuore che il suo volto non stesse tradendo alcuna espressione, in modo tale che quel Tappo maledetto non riuscisse a sorprenderla in quell’istante di debolezza. Forse avrebbe dovuto smettere di cantare, ma come riuscirvi, quando le emozioni prendono il sopravvento sulla ragione? «…And gets louder and louder».

Le sue iridi color ghiaccio si posarono su quelle dorate di Gold, intrecciando lo sguardo con il suo nel tentativo di leggere la sua mente. Non vi trovò alcuna traccia di compassione o tristezza, a differenza di altri che solevano guardarla in quel modo quando qualcuno aveva la malaugurata idea di nominare Lance in sua presenza. Lui la osservava in modo apparentemente impassibile, rispettando i suoi sentimenti, e si limitava a stare in religioso silenzio, in attesa che lei continuasse a deliziarlo con il suono della sua voce.

«It fills my head up and gets louder and louder» mormorò la giovane donna a pochi centimetri dal suo viso, con voce leggermente tremante. Per un inspiegabile motivo, quell’Allenatore la stava mettendo a dir poco in soggezione. Smarrita nei suoi begli occhi oro, faticò a ricordare il testo della canzone e le parole che avrebbe dovuto proferire. «It makes such an all mighty so-!».

Ma non fece in tempo a concludere il verso, che le sue labbra si ritrovarono improvvisamente impegnate in un bacio inaspettato. Trattenne il respiro, non appena la bocca del ragazzo si posò sulla sua in modo dolce e delicato, mettendo a tacere il suo tormento e regalandole un fremito lungo la schiena.

Dopo svariati secondi di indugio e confusione, Sandra mollò la presa sulla chitarra, per intrecciare le dita nei capelli corvini dell’amico. Lo avvicinò a sé con fare possessivo, permettendogli così di approfondire quel contatto puro e intimo, fino a quel momento tanto desiderato – seppur inconsciamente – da entrambi.

«San, dimmi la verità» ansimò Gold, dopo essersi allontanato a malavoglia dalla Capopalestra per l’esigenza di aria. Appoggiò la fronte contro la sua e la guardò negli occhi, sfidandola a rispondere alla sua prossima domanda in modo sincero. «Concentrati. Senti ancora quel rumore? Ti sta ancora assordando?».

Il volto della Domadraghi si dipinse all’improvviso di un’espressione di puro stupore e le sue guance si velarono di rosso. Per quanto si sforzasse di focalizzare tutta la sua attenzione sui suoi pensieri, nonostante cercasse di udire anche un solo piccolo suono, la calma regnava sovrana nel suo animo. Non vi era più nulla capace di stordirle i sensi, di sfiancarla e di costringerla a scivolare a terra, sopraffatta dal peso insopportabile del dolore. Inaspettatamente, ogni ricordo di tormento appariva sfocato e confuso, quasi avvolto da una nebbia fitta e alquanto fastidiosa.

«Non sento più nulla, Gold» sussurrò lei in risposta, mentre lacrime calde sgorgavano traditrici dai suoi occhi. Dovette portarsi una mano alla guancia, per accorgersi di quelle perle salate che le stavano rigando il volto, in manifestazione di somma gioia. Finalmente, dopo anni di agonia, quell’incubo era giunto finalmente al termine.

«Non permettere mai a nessuno di trattarti ancora in questo modo» asserì serio l’Allenatore, asciugando quel pianto silenzioso con due dita. Le sorrise dolcemente, con il cuore traboccante di gioia e felicità. In quel momento, dire che si sentiva l’uomo – o, per meglio dire, il ragazzo – più felice della terra era solo un mero eufemismo.

«Se te ne andassi, ti verrei a cercare» replicò la futura Maestra Drago, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due fessure ghiacciate alquanto minacciose. «Sappi che, una volta che ti avrò trovato, non garantirò la tua incolumità».

Ed entrambi risero, prima di tornare a sugellare quelle promesse con altri dolci baci e carezze delicate.

  
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