VI
Cose di cui Javert,
per sua fortuna, rimane all’oscuro
Dopo che
entrambi si furono calmati Javert accettò finalmente di fare colazione, ed al
momento di andarsene Valjean insistette per accompagnarlo almeno fino al
portone del pian terreno.
Javert non
provò neanche a contraddirlo perché riponeva in quell’uomo una fiducia assoluta.
Era arrivato
al punto che, se Valjean lo avesse fatto affacciare dalla balconata più alta
del palazzo del Louvre dicendogli “gettatevi che non correte pericolo” lui si
sarebbe gettato senza esitazione.
Scesero
insieme le scale e, una volta in strada, come obbedendo ad un richiamo, i loro
occhi si incrociarono per quella che forse era l’ultima volta.
Si
scrutarono in silenzio per un paio di minuti, Valjean con il solito sguardo bonario
e Javert rigirandosi il cappello in mano, con l’inquietudine dell’uomo che
vorrebbe esprimere qualcosa e non trova il modo perché non è avvezzo a
manifestare i suoi sentimenti.
Eppure
qualcosa doveva dire, almeno per placare quello strano sentimento che gli si
agitava in petto.
:-Vi
ringrazio-:
Erano le
stesse parole che aveva detto la sera prima, quando aveva scoperto che Valjean
gli aveva bendato la mano, ma il tono era così diverso!
Erano parole
commosse quanto quelle della sera prima erano state fredde e quasi sdegnate.
Tese la mano
a Valjean per salutarsi almeno da amici e lui sembrò sorpreso ma felice di quel
gesto.
Gli strinse
la destra con una presa forte.
:-Spero di
rivedervi, Isp… scusate, è l’abitudine… spero di rivedervi, un giorno, Monsieur
Javert. E non dimenticate che se mai aveste bisogno, bè, ormai sapete dove
abito, non è vero? Bussate senza remore alla mia porta-:
Javert se ne
stava un po’ imbarazzato.
:-Veramente
conto di lasciare Parigi appena avrò sistemato alcuni affari personali. Ma vi
scriverò, promesso. Non appena mi sarò sistemato-:
:-Ci conto.
Se non sono indiscreto, dov’è che vorreste andare?-:
Javert esitò
un poco. Non ci aveva ancora pensato in realtà, ma ora che Valjean gli
rivolgeva la domanda si accorse di avere una risposta.
:-Credo che
tornerò a Montreuil-sur-mer, dove è cominciato tutto. Sapete, dopo le cose che
ho visto durante questa “rivoluzione” credo di averne proprio abbastanza delle
beghe delle grandi città-:
Valjean
annuì come se capisse perfettamente.
:-Avete
ragione. Allora buona fortuna, Javert-:
Gli strinse
la mano un po’ più forte prima di lasciarlo andare.
La
fisionomia di Valjean in quel momento era molto particolare, infatti aveva gli
occhi lucidi come chi sta per piangere, ma allo stesso tempo sorrideva a Javert
come un nonno affettuoso sorriderebbe al suo nipotino.
Javert, che
aveva abbandonato il titolo di Ispettore ma non ne aveva ancora abbandonato le
abitudini, si accorse di quello sguardo e non poté resistere all’istinto di
indagare.
:-Monsieur
Valjean… c’è… c’è qualcos’altro che volete dirmi?-:
Gli chiese
incerto.
Valjean si
riscosse.
:-No… no,
niente, non vi preoccupate. Sono solo stanco, sapete, le rivoluzioni sono cose
da studenti di vent’anni, non certo da anziani come me-:
:-Capisco… allora…
arrivederci-:
Sembrava che
quei due uomini, che per lungo tempo si erano sfidati, ora, all’idea di
separarsi, provassero entrambi una sorta di rammarico, e cercassero di
rimandare il momento del commiato prolungando quello dei saluti.
Infine fu
Valjean a spezzare quel filo.
:-Andate,
Javert, non dimenticate che avete una vita da vivere-:
Lui annuì.
:-Sempre. Quali
che siano le difficoltà che la sorte mi metterà davanti-:
Disse
solenne, e Valjean sorrise soddisfatto.
Quell’espressione
si riflesse stranamente nel viso di Javert.
Lui non
aveva mai sorriso in vita sua se non con la ferocia di un predatore ed il suo
viso non conosceva altro che un arricciarsi delle labbra che era in verità più
simile al ringhio di un lupo, tutta via in quella notte molte cose erano
cambiate.
Valjean gli
stava sorridendo perché era contento di lui, e questo lo rendeva
inspiegabilmente felice, e poiché, Javert non aveva nulla in cuore che non avesse
anche in volto*, per un momento, un momento solo, suoi occhi brillarono e la
bocca prese una piega morbida.
Il suo
primo, vero sorriso, e Javert per pochi attimi era sembrato un’altra persona.
Quel sorriso
timido era stato come il rapido balenare di un raggio di sole attraverso un
denso cumulo di nuvole di temporale**, subito reinghiottito dalla massa grigia,
tuttavia c’era stato, e quello era un buon inizio.
Infine si
decise a recidere anche da parte sua il filo che lo legava a Valjean.
:-Arrivederci
e ancora grazie di tutto, Monsieur Valjean-:
Gli disse,
poi si voltò e, con il suo solito passo deciso, ripercorse Rue de Homme-Armé.
Valjean rimase
ad osservarlo che si allontanava e con lo sguardo lo seguì fino al primo angolo
dove svoltò, mentre con il cuore lo seguiva ancora oltre accompagnandolo con
una preghiera senza parole; in volto aveva ancora quel sorriso che sicuramente
nessun altro che lui avrebbe dedicato ad un uomo come Javert.
Per
conoscere le ragioni di quel sorriso di Valjean, che poi erano le stesse per
cui Javert aveva provato quell’inspiegabile senso di sollievo appena sveglio,
bisogna dire che Valjean era custode di un segreto, infatti lui sapeva quello
che Javert aveva fatto ma non ricordava più, e non gli era sembrato opportuno
rivelarlo all’ex Ispettore per risparmiargli un grave imbarazzo.
Ecco dunque
cosa era successo che aveva tanto radicalmente cambiato il duro Ispettore
Javert e che faceva sorridere Valjean con il sorriso commosso di un angelo.
L’Ispettore,
dopo aver detto “sono un miserabile” era rimasto per un po’ di tempo in uno
stato simile all’allucinazione, e Valjean, poiché non riusciva a scuoterlo in
nessun modo, ad un certo punto aveva lasciato andare un sospiro sconsolato ed
una frase simile a “Mi dispiace tanto, figliolo”.
Quella frase
doveva essere riuscita a far breccia nel muro oltre cui si trovava imprigionata
la coscienza di Javert perché questi all’improvviso si era aggrappato alla sua
camicia e gli aveva affondato il viso nella spalla prima di scoppiare in
lacrime.
Agli uomini
della tempra di Javert sono necessarie due cose per spingerli all’estrema
manifestazione di debolezza che è il pianto: la prima è un forte sconvolgimento
interiore, la seconda è la certezza che non saranno feriti se mostreranno la
loro anima inerme ed indifesa, altrimenti senza lo sfogo liberatorio delle
lacrime i loro stessi sentimenti compressi troppo a lungo finiscono per
ritorcersi contro di loro rendendoli simili a bestie accecate dal dolore.
Questi uomini,
che si mostrano gelidi nei confronti degli altri, sono parimenti inflessibili
verso se stessi, e le loro anime, a cui mai è permesso di lasciar trapelare un
sentimento, si trovano nella stessa condizione di quei dannati del
trentatreesimo canto dell’inferno dantesco, abilmente descritti nei versi 94,
95 e 96:
Lo pianto
stesso, lì, pianger non lascia,
e ‘l duol
che trova in su li occhi rintoppo
si volge in
entro a far crescer l’ambascia.***
Valjean,
senza sapere nulla di tutto questo, aveva usato un’espressione di affetto, quel
“figliolo”, che aveva confermato a Javert, una volta di più, che con quell’uomo
era al sicuro e che mai si sarebbe approfittato di una sua debolezza per
ferirlo, allora si era lasciato andare ed a cinquantadue anni, dopo un’intera
vita passata a mostrare solo gelida indifferenza, aveva pianto con l’ingenuo
sentimento di un bambino, semplicemente perché per tanto tempo era stato solo e
d’improvviso non lo era più.
Aveva pianto
a rantoli spezzati, tremando in tutto il corpo, lasciando che le lacrime
lavassero via l’angoscia che gli stava facendo scoppiare il cuore, e Valjean lo
aveva lasciato fare perché, dopo tutto, anche a lui era capitato di piangere a
quel modo tanti anni prima, dopo che aveva rubato la moneta da quaranta soldi
al piccolo savoiardo Petite Gervais nei pressi di Digne.
Non aveva
detto nulla, si era limitato a soffocare i singhiozzi tra le sue braccia, e gli
era sembrato che dalle labbra smorte**** di Javert sfuggisse a tratti un’unica
parola, articolata come una supplica.
Gli era
sembrato che fosse “padre”, ma non ne era assolutamente certo e mai avrebbe osato
chiederne conferma.
Non avrebbe
saputo dire per quanto tempo era durato quel pianto perché per il dolore il
tempo non scorre, rimane cristallizzato in un limbo finché in qualche modo la
sofferenza non passa, solo che ad un certo punto i singhiozzi si erano fatti
meno frequenti, la presa spasmodica sulla sua camicia si era allentata ed il
respiro di Javert si era fatto più calmo e regolare, a parte un sospiro ogni
tanto; il suo corpo era completamente sostenuto da quello di Valjean perché l’Ispettore
era scivolato nel sonno senza accorgersene.
Valjean si
era rassegnato a sollevarlo in braccio per la seconda volta in poche ore e a
rimetterlo a letto.
Sapeva che
già dal giorno dopo ogni singolo osso, tendine, muscolo o nervo del suo corpo
gli avrebbe fatto pagare cari gli sforzi di quei due giorni, ma non se la
sentiva proprio di turbare la tranquillità che Javert aveva conquistato tanto a
fatica, e poi ormai uno sforzo in più o in meno non avrebbe potuto peggiorare
la situazione più di tanto.
Per se aveva
gettato in terra due coperte pesanti ed una terza per ripararsi dall’aria della
notte, tanto nella sua vita aveva dormito in posti decisamente peggiori, ma
prima si era concesso di osservare Javert per un’ultima volta.
Si era
chinato su di lui e, anche se questo non poteva sentirlo, gli aveva detto con
tono solenne
:-Che
quest’ora di sofferenza possa avervi reso una persona migliore come rese
migliore me, uno squallido ladro di
strada, più di venti anni fa. Adesso siete un uomo nuovo, Javert-:
In Oriente
si dice che, se due persone sono nemiche, neanche dopo sette notti di veglia riusciranno
ad addormentarsi uno accanto all’altro, ma per fortuna nel caso di Valjean e
Javert l’avversione durata tanti anni era stata sostituita dalla fiducia in
meno di due giorni, ed entrambi erano infine crollati in un sonno di pietra
fino al mattino seguente.
Come abbiamo
visto l’ex Ispettore non ricordava nulla di tutto questo, gli era rimasta solo
quella sensazione di sollievo.
Certe cose è
meglio che rimangano avvolte nell’indefinito per non rovinarne la bellezza.
Ad esempio
Javert si era svegliato che si sentiva in pace col mondo, aveva scoperto di
provare per Valjean rispetto, ammirazione, e ancora oltre quasi l’affetto di un
figlio, ed aveva accettato tutto questo senza chiedersene il perché; si
contentava di quella nuova alba che timidamente gli stava sbocciando in cuore e
la accoglieva come un dono, senza indagarne le cause.
Fortuna che
non lo aveva fatto, altrimenti scoprire che aveva pianto con più debolezza di
una donna e maggiore spavento di un fanciullo***** sarebbe stato davvero troppo
per lui e probabilmente sarebbe tornato a considerare seriamente quell’angolo
del ponte Notre Dame.
*Qualche spiegazione per chi ha finito il liceo da un po’ di tempo
o che lo ha iniziato da troppo poco, e per un motivo o per l’altro non ha
capito cosa c’entra Dante.
Allora, il trentatreesimo canto dell’Inferno è l’ultimo ed è
ambientato nell’ultimo cerchio, dove sono puniti i peggiori traditori, quelli
che hanno tradito i loro benefattori.
La loro punizione consiste nell’essere immersi nel ghiaccio in
modo che resti fuori solo la testa, e proprio perché c’è freddo le loro stesse
lacrime gli si congelano sugli occhi e formano una specie di tappo che impedisce
ad altre lacrime di uscire, così quei poveri disgraziati che già soffrono,
soffrono ancora di più.
Dante era un sadico, anche peggio di Hugo!
**”I Miserabili” dal capitolo “ Come Jean diventa Champ”
***Primo coro dell’”Adelchi” (del nostro compare A.Manzoni) “Dai
guardi dubbiosi, dai pavidi volti/qual raggio di sole da nuvoli folti”
****De Andrè, Preghiera in Gennaio.
***** “I Miserabili” dal capitolo “La caduta”
Cantuccio dell’Autore
Ok, questo
doveva essere l’ultimo capitolo, invece, alla fine ho deciso di spezzarlo in
due quindi ce ne sarà ancora un altro che è già pronto, devo solo levigarlo un
po’ con la pomice.
Invece in
questo capitolo mi sono trovata in difficoltà perché non volevo rendere Javert
troppo patetico, ma d’altra parte senza un bel pianto disperato che letteratura
ottocentesca sarebbe stata? Così ho trovato l’escamotage che aveva pianto ma
non se ne ricordava. Sono furba, vero?
Makochan