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Autore: Smeralda Elesar    16/03/2013    2 recensioni
Questa fiction è una What-if incentrata sul personaggio dell'Ispettore Javert subito dopo la sua decisione di lasciare libero Jean Valjean, dopo che questi gli aveva salvato la vita alle barricate. Ne "les Miserables" il Libro Secondo della parte quinta si conclude con il suicidio dell'Ispettore di polizia, questa fiction è un ipotetico terzo libro in cui si racconta cosa avrebbe fatto Javert se le sue riflessioni non lo avessero spinto a gettarsi dal Ponte Notre Dame.
Dal testo-
Quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.
Proprio come quando una gelida lastra di vetro investita da un getto di acqua bollente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI

Cose di cui Javert, per sua fortuna, rimane all’oscuro

 

Dopo che entrambi si furono calmati Javert accettò finalmente di fare colazione, ed al momento di andarsene Valjean insistette per accompagnarlo almeno fino al portone del pian terreno.

Javert non provò neanche a contraddirlo perché riponeva in quell’uomo una fiducia assoluta.

Era arrivato al punto che, se Valjean lo avesse fatto affacciare dalla balconata più alta del palazzo del Louvre dicendogli “gettatevi che non correte pericolo” lui si sarebbe gettato senza esitazione.

Scesero insieme le scale e, una volta in strada, come obbedendo ad un richiamo, i loro occhi si incrociarono per quella che forse era l’ultima volta.

Si scrutarono in silenzio per un paio di minuti, Valjean con il solito sguardo bonario e Javert rigirandosi il cappello in mano, con l’inquietudine dell’uomo che vorrebbe esprimere qualcosa e non trova il modo perché non è avvezzo a manifestare i suoi sentimenti.

Eppure qualcosa doveva dire, almeno per placare quello strano sentimento che gli si agitava in petto.

 

:-Vi ringrazio-:

 

Erano le stesse parole che aveva detto la sera prima, quando aveva scoperto che Valjean gli aveva bendato la mano, ma il tono era così diverso!

Erano parole commosse quanto quelle della sera prima erano state fredde e quasi sdegnate.

Tese la mano a Valjean per salutarsi almeno da amici e lui sembrò sorpreso ma felice di quel gesto.

Gli strinse la destra con una presa forte.

 

:-Spero di rivedervi, Isp… scusate, è l’abitudine… spero di rivedervi, un giorno, Monsieur Javert. E non dimenticate che se mai aveste bisogno, bè, ormai sapete dove abito, non è vero? Bussate senza remore alla mia porta-:

 

Javert se ne stava un po’ imbarazzato.

 

:-Veramente conto di lasciare Parigi appena avrò sistemato alcuni affari personali. Ma vi scriverò, promesso. Non appena mi sarò sistemato-:

 

:-Ci conto. Se non sono indiscreto, dov’è che vorreste andare?-:

 

Javert esitò un poco. Non ci aveva ancora pensato in realtà, ma ora che Valjean gli rivolgeva la domanda si accorse di avere una risposta.

 

:-Credo che tornerò a Montreuil-sur-mer, dove è cominciato tutto. Sapete, dopo le cose che ho visto durante questa “rivoluzione” credo di averne proprio abbastanza delle beghe delle grandi città-:

 

Valjean annuì come se capisse perfettamente.

 

:-Avete ragione. Allora buona fortuna, Javert-:

 

Gli strinse la mano un po’ più forte prima di lasciarlo andare.

La fisionomia di Valjean in quel momento era molto particolare, infatti aveva gli occhi lucidi come chi sta per piangere, ma allo stesso tempo sorrideva a Javert come un nonno affettuoso sorriderebbe al suo nipotino.

Javert, che aveva abbandonato il titolo di Ispettore ma non ne aveva ancora abbandonato le abitudini, si accorse di quello sguardo e non poté resistere all’istinto di indagare.

 

:-Monsieur Valjean… c’è… c’è qualcos’altro che volete dirmi?-:

 

Gli chiese incerto.

Valjean si riscosse.

 

:-No… no, niente, non vi preoccupate. Sono solo stanco, sapete, le rivoluzioni sono cose da studenti di vent’anni, non certo da anziani come me-:

 

:-Capisco… allora… arrivederci-:

 

Sembrava che quei due uomini, che per lungo tempo si erano sfidati, ora, all’idea di separarsi, provassero entrambi una sorta di rammarico, e cercassero di rimandare il momento del commiato prolungando quello dei saluti.

Infine fu Valjean a spezzare quel filo.

 

:-Andate, Javert, non dimenticate che avete una vita da vivere-:

 

Lui annuì.

 

:-Sempre. Quali che siano le difficoltà che la sorte mi metterà davanti-:

 

Disse solenne, e Valjean sorrise soddisfatto.

Quell’espressione si riflesse stranamente nel viso di Javert.

Lui non aveva mai sorriso in vita sua se non con la ferocia di un predatore ed il suo viso non conosceva altro che un arricciarsi delle labbra che era in verità più simile al ringhio di un lupo, tutta via in quella notte molte cose erano cambiate.

Valjean gli stava sorridendo perché era contento di lui, e questo lo rendeva inspiegabilmente felice, e poiché, Javert non aveva nulla in cuore che non avesse anche in volto*, per un momento, un momento solo, suoi occhi brillarono e la bocca prese una piega morbida.

Il suo primo, vero sorriso, e Javert per pochi attimi era sembrato un’altra persona.

Quel sorriso timido era stato come il rapido balenare di un raggio di sole attraverso un denso cumulo di nuvole di temporale**, subito reinghiottito dalla massa grigia, tuttavia c’era stato, e quello era un buon inizio.

Infine si decise a recidere anche da parte sua il filo che lo legava a Valjean.

 

:-Arrivederci e ancora grazie di tutto, Monsieur Valjean-:

 

Gli disse, poi si voltò e, con il suo solito passo deciso, ripercorse Rue de Homme-Armé.

Valjean rimase ad osservarlo che si allontanava e con lo sguardo lo seguì fino al primo angolo dove svoltò, mentre con il cuore lo seguiva ancora oltre accompagnandolo con una preghiera senza parole; in volto aveva ancora quel sorriso che sicuramente nessun altro che lui avrebbe dedicato ad un uomo come Javert.

Per conoscere le ragioni di quel sorriso di Valjean, che poi erano le stesse per cui Javert aveva provato quell’inspiegabile senso di sollievo appena sveglio, bisogna dire che Valjean era custode di un segreto, infatti lui sapeva quello che Javert aveva fatto ma non ricordava più, e non gli era sembrato opportuno rivelarlo all’ex Ispettore per risparmiargli un grave imbarazzo.

Ecco dunque cosa era successo che aveva tanto radicalmente cambiato il duro Ispettore Javert e che faceva sorridere Valjean con il sorriso commosso di un angelo.

L’Ispettore, dopo aver detto “sono un miserabile” era rimasto per un po’ di tempo in uno stato simile all’allucinazione, e Valjean, poiché non riusciva a scuoterlo in nessun modo, ad un certo punto aveva lasciato andare un sospiro sconsolato ed una frase simile a “Mi dispiace tanto, figliolo”.

Quella frase doveva essere riuscita a far breccia nel muro oltre cui si trovava imprigionata la coscienza di Javert perché questi all’improvviso si era aggrappato alla sua camicia e gli aveva affondato il viso nella spalla prima di scoppiare in lacrime.

Agli uomini della tempra di Javert sono necessarie due cose per spingerli all’estrema manifestazione di debolezza che è il pianto: la prima è un forte sconvolgimento interiore, la seconda è la certezza che non saranno feriti se mostreranno la loro anima inerme ed indifesa, altrimenti senza lo sfogo liberatorio delle lacrime i loro stessi sentimenti compressi troppo a lungo finiscono per ritorcersi contro di loro rendendoli simili a bestie accecate dal dolore.

Questi uomini, che si mostrano gelidi nei confronti degli altri, sono parimenti inflessibili verso se stessi, e le loro anime, a cui mai è permesso di lasciar trapelare un sentimento, si trovano nella stessa condizione di quei dannati del trentatreesimo canto dell’inferno dantesco, abilmente descritti nei versi 94, 95 e 96:

 

Lo pianto stesso, lì, pianger non lascia,

e ‘l duol che trova in su li occhi rintoppo

si volge in entro a far crescer l’ambascia.***

 

Valjean, senza sapere nulla di tutto questo, aveva usato un’espressione di affetto, quel “figliolo”, che aveva confermato a Javert, una volta di più, che con quell’uomo era al sicuro e che mai si sarebbe approfittato di una sua debolezza per ferirlo, allora si era lasciato andare ed a cinquantadue anni, dopo un’intera vita passata a mostrare solo gelida indifferenza, aveva pianto con l’ingenuo sentimento di un bambino, semplicemente perché per tanto tempo era stato solo e d’improvviso non lo era più.

Aveva pianto a rantoli spezzati, tremando in tutto il corpo, lasciando che le lacrime lavassero via l’angoscia che gli stava facendo scoppiare il cuore, e Valjean lo aveva lasciato fare perché, dopo tutto, anche a lui era capitato di piangere a quel modo tanti anni prima, dopo che aveva rubato la moneta da quaranta soldi al piccolo savoiardo Petite Gervais nei pressi di Digne.

Non aveva detto nulla, si era limitato a soffocare i singhiozzi tra le sue braccia, e gli era sembrato che dalle labbra smorte**** di Javert sfuggisse a tratti un’unica parola, articolata come una supplica.

Gli era sembrato che fosse “padre”, ma non ne era assolutamente certo e mai avrebbe osato chiederne conferma.

Non avrebbe saputo dire per quanto tempo era durato quel pianto perché per il dolore il tempo non scorre, rimane cristallizzato in un limbo finché in qualche modo la sofferenza non passa, solo che ad un certo punto i singhiozzi si erano fatti meno frequenti, la presa spasmodica sulla sua camicia si era allentata ed il respiro di Javert si era fatto più calmo e regolare, a parte un sospiro ogni tanto; il suo corpo era completamente sostenuto da quello di Valjean perché l’Ispettore era scivolato nel sonno senza accorgersene.

Valjean si era rassegnato a sollevarlo in braccio per la seconda volta in poche ore e a rimetterlo a letto.

Sapeva che già dal giorno dopo ogni singolo osso, tendine, muscolo o nervo del suo corpo gli avrebbe fatto pagare cari gli sforzi di quei due giorni, ma non se la sentiva proprio di turbare la tranquillità che Javert aveva conquistato tanto a fatica, e poi ormai uno sforzo in più o in meno non avrebbe potuto peggiorare la situazione più di tanto.

Per se aveva gettato in terra due coperte pesanti ed una terza per ripararsi dall’aria della notte, tanto nella sua vita aveva dormito in posti decisamente peggiori, ma prima si era concesso di osservare Javert per un’ultima volta.

Si era chinato su di lui e, anche se questo non poteva sentirlo, gli aveva detto con tono solenne

 

:-Che quest’ora di sofferenza possa avervi reso una persona migliore come rese migliore me,  uno squallido ladro di strada, più di venti anni fa. Adesso siete un uomo nuovo, Javert-:

 

In Oriente si dice che, se due persone sono nemiche, neanche dopo sette notti di veglia riusciranno ad addormentarsi uno accanto all’altro, ma per fortuna nel caso di Valjean e Javert l’avversione durata tanti anni era stata sostituita dalla fiducia in meno di due giorni, ed entrambi erano infine crollati in un sonno di pietra fino al mattino seguente.

Come abbiamo visto l’ex Ispettore non ricordava nulla di tutto questo, gli era rimasta solo quella sensazione di sollievo.

Certe cose è meglio che rimangano avvolte nell’indefinito per non rovinarne la bellezza.

Ad esempio Javert si era svegliato che si sentiva in pace col mondo, aveva scoperto di provare per Valjean rispetto, ammirazione, e ancora oltre quasi l’affetto di un figlio, ed aveva accettato tutto questo senza chiedersene il perché; si contentava di quella nuova alba che timidamente gli stava sbocciando in cuore e la accoglieva come un dono, senza indagarne le cause.

Fortuna che non lo aveva fatto, altrimenti scoprire che aveva pianto con più debolezza di una donna e maggiore spavento di un fanciullo***** sarebbe stato davvero troppo per lui e probabilmente sarebbe tornato a considerare seriamente quell’angolo del ponte Notre Dame.

 

 

*Qualche spiegazione per chi ha finito il liceo da un po’ di tempo o che lo ha iniziato da troppo poco, e per un motivo o per l’altro non ha capito cosa c’entra Dante.

Allora, il trentatreesimo canto dell’Inferno è l’ultimo ed è ambientato nell’ultimo cerchio, dove sono puniti i peggiori traditori, quelli che hanno tradito i loro benefattori.

La loro punizione consiste nell’essere immersi nel ghiaccio in modo che resti fuori solo la testa, e proprio perché c’è freddo le loro stesse lacrime gli si congelano sugli occhi e formano una specie di tappo che impedisce ad altre lacrime di uscire, così quei poveri disgraziati che già soffrono, soffrono ancora di più.

Dante era un sadico, anche peggio di Hugo!

 

**”I Miserabili” dal capitolo “ Come Jean diventa Champ”

 

***Primo coro dell’”Adelchi” (del nostro compare A.Manzoni) “Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti/qual raggio di sole da nuvoli folti”

 

****De Andrè, Preghiera in Gennaio.

 

***** “I Miserabili” dal capitolo “La caduta”

 

Cantuccio dell’Autore

 

Ok, questo doveva essere l’ultimo capitolo, invece, alla fine ho deciso di spezzarlo in due quindi ce ne sarà ancora un altro che è già pronto, devo solo levigarlo un po’ con la pomice.

Invece in questo capitolo mi sono trovata in difficoltà perché non volevo rendere Javert troppo patetico, ma d’altra parte senza un bel pianto disperato che letteratura ottocentesca sarebbe stata? Così ho trovato l’escamotage che aveva pianto ma non se ne ricordava. Sono furba, vero?

 

                                                          Makochan

   
 
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