Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Lady Antares Degona Lienan    02/10/2007    1 recensioni
Quando Lily Evans colpisce James dritto in fronte con un regalo nuovo di zecca, ecco che per Remus e Narcissa arriva l'occasione per scambiarsi un paio di informazioni a sfondo culturale.
Ma se ci si mette lo zampino del gene Black - in entrambi i personaggi coinvolti - ed una luna piena, più un Potter decisamente confuso...
... ecco che la situazione non può che peggiorare.
[Remus/Narcissa]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Narcissa Malfoy, Remus Lupin
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Allora, prima che iniziate la lettura

Allora, prima che iniziate la lettura. Questa fanfiction è stata scritta per il concorso 100 parole di Alisya: i termini? Dato un elenco di parole, utilizzarle tutte in una storia, facendo sì che ciascuna di esse avesse un ruolo rilevante all'interno del racconto stesso.

Questo è l'elenco.

- SMAGLIANTE
- CRUDELE
- LUCCICHIO
- NOTTE
- LIBRO
- ANELLO
- FORESTA
- LUCE
- LOTO
- PORPORA
- SANGUE
- SOGNO
- MANI
- GATTO
-
NEVE

 

Quella che segue, la mia storia.

Non mi piace e non mi convince, ma pace. Risale comunque a maggio, cioè un po' di tempo fa. Spero la prendiate un po' alla leggera, tutto qui.

Ja ne, RoSs

 

 

 

 

 

 

 

 

White As Snow

 

 

Puntuale come un orologio, Sirius Black s’era alzato dalla sua poltrona in Sala Comune. Il pendolo dietro le sue spalle aveva annunciato – con la solita pomposa eleganza – l’arrivo delle dieci di sera. Dunque, per Sirius era arrivato il momento di dedicarsi al suo impegno quotidiano: deliziare i suoi compagni di Casata. E quando un Black si metteva d’impegno nel realizzare qualcosa, i risultati erano a dir poco sorprendenti.

 

Questa volta Sirius pareva aver trovato una vera e propria leccornia. La pergamena che teneva in mano sapeva vagamente di gelsomino: l’aroma delicato del fiore si spandeva spumeggiante per tutta l’area della Sala.

 

- Ehm. – si schiarì la voce, attese il silenzio. – Come solo il Loto apre i suoi petali alla notte, schiudi la tua bocca incontro al mio respiro… -

 

Quello di Peter Minus non fu l’unico sopracciglio ad incurvarsi. Anche James Potter doveva aver intuito il potenziale inesploso di quella lettera romantica: per una volta, infatti, stava cercando di interrompere il suo migliore amico.

 

- Ehi, Black! –

 

- Sì? –

 

- Sei a corto di roba divertente, e ti sei messo d’impegno per inventare questa robetta? –

 

Messaggio recepito. James non poteva dire d’esser convinto di aver fatto ricorso al metodo più saggio e previdente del mondo, ma perlomeno aveva ottenuto l’effetto sperato: due secondi dopo, le mani di Sirius erano saldamente ancorate attorno al suo collo, e la poesiola dimenticata in chissà quale angolo della stanza, probabilmente sotto il mobile.

 

- I soliti stupidi, pezzenti, idioti mocciosi. –

 

Quello che non aveva considerato – oltre all’occhio nero e al labbro contuso – era l’ormai prevedibile sesto senso che Lily Ero Evans sfoderava nel riconoscere le loro zuffe anche a metri di distanza.

 

- Evans! – cinguettò.

 

Lei lo squadrò come si squadra un millepiedi con molte zampe nella fossa: facendolo sentire un miserabile. L’altro ovviamente non ci fece troppo caso, ma anzi: trotterellò di fianco a lei rovistando nella tasca destra dei pantaloni, sorridendo in maniera sempre più imbarazzante.

 

La Caposcuola scostò lo sguardo, turbata.

 

- Ecco Evans, guarda! Non stupendo? È tutto per te. –

 

Esibiva un anello in semplice argento – o simili – ornato da un paio di pietruzze colorate. Lily valutò il prezzo del suddetto e considerò che non poteva essergli costato più di un paio di falci. Forse.

 

Comunque, si sforzò di mostrare un sorriso smagliante per compiacerlo: - Oh, Potter, che dolce! Certo, un pezzente ed idiota, ma molto dolce. –

 

Lui pareva non ascoltarla nemmeno. Si era fissato su quel sorriso che pareva brillare di luce propria, emanando un alone esasperante d’amore e felicità. Si sentì riscaldato dal profondo del suo cuore, come se il sangue dentro le sue vene fosse improvvisamente diventato bollente.

 

Si voltò un paio di volte su se stesso, cercando quella dannatissima poesia che Sirius aveva composto: in fondo non era nemmeno così tanto male. E chissà, avrebbe potuto usarlo per tornare ad ammirare quel viso smagliante.

 

- Evans, davvero? –

 

- Ma certo che sì! – Lily si trastullò con l’oggettino ­tra le mani, rigirandolo fra le dita. Infine se lo mise all’anulare destro. – E’ davvero un pensiero così… -

 

Improvvisamente il suo viso – come se qualcuno l’avesse trasfigurato – mutò. – Patetico. –

 

E lo colpì nel bel mezzo della fronte proprio con l’anello adattato a provvisorio sperone. – Cinquanta punti in meno per Gryffindor, Potter. – sentenziò.

 

 

***

 

 

Quando James Potter si svegliò nel lettino dell'infermeria, piccole gocce di sudore schizzarono impazzite verso i piedi del suddetto; graziose macchie d'umido picchiettarono il lenzuolo d'un delicato azzurro.

 

- Uh, Ramoso, sei da buttare. -

 

- James, come ti senti? -

 

Si sentiva uno schifo. Gli pareva ancora di scorgere i multiformi riflessi della pietruzza incastonata sulla sommità dell'anello dipingersi sulla sua cornea, e infine infrangersi sulla sua fronte. Percepiva chiaramente il dolore causato dalla pietra, la spaccatura netta alla base del collo che aveva preceduto il capogiro e infine lo svenimento.

 

Sangue. Il suo sangue rappreso sul pavimento, nell'opera d'arte che la stessa Evans aveva dipinto per lui, come ultimo regalo d'addio.

 

- Sangue! - urlò.

 

- Niente paura Jamie, hai la testa troppo dura, per quello. -

 

Ma l'immagine era vivida nella sua mente, il ricordo troppo forte per poterlo cancellare, o per poter dar retta a Sirius - in ultima analisi, era Sirius.

Siuris che non aveva esitato a mettergli le mani al collo qualche ora prima, Sirius compagno di disordini e rivolte. Insomma, lui.

 

- Voglio dire, sangue!! -

 

Si rivoltò su un lato e si lasciò andare ad una piacevole fitta che gli aveva preso lo stomaco e la gola. - Che schifo. - commentò Peter.

 

- Potter. Le mie scarpe. - ne commentò un'altra. Era più pacata, sicura, dal tono scuro.

 

James realizzò di aver appena vomitato sulle preziose scarpe di un'elegante damina bionda. Alzò gli occhi. Li spalancò.

 

Il mugolio di Lupin, in sottofondo, fu un commento così adatto e appropriato che probabilmente l'altro - se ne avesse avuta la facoltà - gli avrebbe fatto un applauso.

Se solo non fosse stato per la damina, le scarpe, e il vomito. Che stava sulle scarpe della damina.

 

- Potter, voglio una spiegazione e la voglio ora. -

 

Lui fece per aprire bocca, lei lo interruppe. - E se stai per vomitare di nuovo, sei pregato di guardare dritto davanti a te. Perché si dà il caso che le scarpe che hai appena indelebilmente macchiato fossero un regalo per il mio compleanno, cioè ieri. - il tono era rimasto immutato per tutto il discorso, piatto e sibilante come un fischio asmatico.

 

- Wow. I polmoni. -

 

- Sirius. -

 

- Eww, scusa, scusa. -

 

- Allora, Potter? -

 

Lei non si era mossa dalla sua posa, le mani rigidamente strette in un nodo dietro alla schiena. Era vagamente sospetta. James inchiodò i suoi occhi dove approssimativamente dovevano essere giunte le sue mani.

 

- Stai guardando la mia pancia, Potter? Un solo commento su qualcosa di non gradito, e potrei non rispondere di me. Io sto aspettando. -

 

- Cosa nascondi dietro alla schiena? -

 

La domanda non la colse impreparata: evidentemente doveva aver capito che lo sguardo del ragazzo non si era fermato al davanti, ma era filtrato fin alla schiena. Lei piegò elegantemente un sopracciglio e schiuse appena la bocca.

 

- Come prego? -

 

- Hai qualcosa dietro alla schiena, ovviamente. -

 

- Ovviamente, Potter. Ma stavamo parlando di scarpe, di compleanni e di vomito. Più precisamente, del tuo vomito sulle mie scarpe. Dunque, perdonami se mi riporto a questi per incitarti. -

 

- Diomio. Tutto questo tuo parlare senza fiato mi sta facendo voglia di vomitare. E il tuo vestito è sulla traiettoria sbagliata, mia damina. -

 

- Sirius!! -

 

- Aa, sì Remus, sì. -

 

- Black. Incredibile quanto si possa apparire irritanti con così poche parole. -

 

Il ghigno di Sirius si estese al pari del broncio della ragazza. - Altrettanto, Black. -

 

I due cugini si osservarono per qualche istante. Nel frattempo, James vomitò ancora. Nell'encomiabile tentativo di ripetere il centro precedente, cadde rovinosamente dal letto, rotolando fino ai piedi della damina.

 

- E' quello, Black? Il fogliettino che nascondevi così caparbiamente? -

 

Lei lo fissò, il volto vagamente concentrato sull'ammasso di gambe e braccia e occhi ai suoi piedi. - Come sei piccolo da quassù, Potter. -

 

- Stai evitando il discorso, Black? -

 

- Ti sto ignorando. Credo sia diverso. -

 

- Ragazzi, ragazzi, siamo in infermeria. - intervenne Remus, poggiando una mano sulla spalla di Sirius, e scrutando gli altri con fare vagamente minaccioso.

 

- Pensavo in un centro di recupero per minorati mentali. - puntualizzò lei.

 

- E tu allora che ci fai qui? - Potter alzò gli occhi su di lei, un sorriso innocente a condirgli il viso. Schifosamente artefatto, ma dannatamente veritiero.

 

- Vengo a farmi recuperare, ovviamente. Dopo una chiacchierata con voi, mi pare il minimo. - sembrò pensarci un attimo, infine aggiunse - Il mio innato senso dell'umorismo mi suggerisce che stiate per chiedermi qualcosa a cui non potrei non rispondere, se non in maniera volgare. Dunque, me ne tornerò al mio dormitorio. -

 

La serpe voltò le spalle al gruppetto, silenziosa e letale. Scomparve dietro la porta in un fruscio di stoffe - e un inquietante rumore di sottofondo, rimasuglio della cortesia di Potter.

 

Sirius ghignò. - E' stato un piacere, cugina. -

 

Narcissa Black voltò la testa verso di lui ma leggermente oltre, e chinò il capo. Gli occhi argentati scintillarono.

 

D'improvviso James capì che cos'era quello che Narcissa stava così poco tranquillamente nascondendo: era lo stesso biglietto che Sirius aveva tenuto in mano fino a poco tempo fa.

 

 

 

***

 

 

- Tua cugina è spaventosa. -

 

- Esagerato. -

 

- Dico sul serio. - gli occhietti scuri di Peter fremettero sotto il peso dello sguardo di Sirius, argento brunito unito a notte. - Non credo che potrò muovermi da qui. Quel luccichio crudele nei suoi occhi mi ha terrorizzato, mi hai inchiodato al pavimento, ridotto al silenzio. -

 

- Come sempre, uh? -

 

- Ad ogni modo, starò qui. -

 

Sirius, incredibilmente, poteva dirsi quasi d'accordo con il detestabile Peter, almeno per quella volta. Gli occhi di sua cugina erano dello stesso colore dei suoi, ma nascondevano l'inquietante capacità di ridurre l'interlocutore al silenzio più assoluto.

 

Lui stesso ne era stato vittima inconsapevole, quando ancora frequentava la casa in cui era nato, e si addentrava nei labirinti oscuri del maniero. Li ricordava scintillanti al buio, consapevoli e crudelmente reali: era sempre lei che lo ritrovava, quando si smarriva.

 

Erano luce nel buio, un faro di stelle nell'oscurità. I suoi occhi brillavano come se nella vita non avessero mai dovuto fare altro.

 

Eppure Sirius sapeva quanta crudeltà ci fosse dietro a quel viso spavaldo. Quanta ne avessero provocata, e contemporaneamente subita.

 

- Sirius? - Remus lo risvegliò dal suo torpore. - Sirius, dobbiamo andare. L'infermeria sta per chiudere i battenti. Lasciamo qui James e Peter, torneremo a trovarli domani mattina. -

 

- Sì. -

 

- A cosa pensavi? -

 

- A mia cugina. -

 

Il volto di Remus ebbe un fremito inconsapevole, o forse eccessivamente trattenuto. Black lo guardò con espressione a metà tra il seccato e il perplesso. L'altro, immediatamente consapevole della propria mimica, si ricompose in meno di un attimo. - Narcissa? -

 

- Già. -

 

- E' stato strano, vederla fuori dal contesto in cui vive solitamente. -

 

Si stava sicuramente riferendo al viso meno teso e rigido rispetto al normale. Narcissa era nata in un mondo in cui la perfezione e il modo d'essere potevano e dovevano contare molto, fin troppo. Per cui, l'aspetto che la ragazza ostentava era sicuramente figlio dell'ambiente in cui era nata e vissuta.

 

- Mia cugina è come un gatto. Adattabile: rinchiudila in un appartamento, e dormirà sui cuscini. Ma falla vivere all'aperto, ed ecco che girerà a muso alto ovunque, dormendo nei peggio anfratti della terra. Lei non è mai quello che sembra. L'hai vista in infermeria più sciolta, perché sa bene che noi Gryffindor non sappiamo reggere il comportamento tipico degli Slytherin. Ma aspetta solo di ritrovarla tra le sue serpi, e vedrai il volto che vuole mostrare in quell'occasione. -

 

- Cane e gatto. -

 

- Cosa, Remus? -

 

- Cane e gatto non vanno d'accordo, vero? -

 

Sirius alzò le spalle, ignorando volutamente l'espressione triste e abbattuta del suo amico. Per qualche strano motivo, aveva sentito l'urgenza di allontanarsene, di schivare il discorso. Si sentì in colpa, ma non così tanto per costringersi a ritornare sulla questione. Alzò gli occhi al soffitto e si concesse un sospiro. - Chissà che ci faceva qui. -

 

- Doveva portarmi questi. -

 

Tra le mani c'erano due libri antichi, dalle copertine porpora rovinate dal tempo e dall'umidità della libreria in cui dovevano esser stati custoditi.

 

- Narcissa Black ti ha portato dei libri? -

 

- Sì, gliel'ho chiesto io. - Remus alzò le spalle. - Mi serviva un libro sui mannari, e uno sull'assideramento. Ed eccoli qui. -

 

- Tu sei pazzo, LunaStorta. Chiedere un favore a quella… quella serpe. -

 

- Sai benissimo che la biblioteca della tua famiglia è la migliore di tutto il continente, Sirius. E poi non vedo perché dovrebbe chiedermi qualcosa in cambio. -

 

- Ma potrebbe sospettare qualcosa! -

 

- Sciocchezze, Sirius. Sai benissimo che la fama di studente modello mi precede di qualche chilometro quando cammino, ormai. Non sospetterà nulla: dove sta il segreto, se un alunno capace vuole documentarsi più attentamente che può sui lupi mannari? -

 

Il luccichio dei suoi occhi spaventò Sirius, che arretrò. - Sei solo un idiota, ecco cosa. - sibilò. - Accidenti a te, LunaStorta, dopo tutto quello che abbiamo fatto per aiutarti! -

 

- Sirius… -

 

- No, niente Sirius! Niente Sirius, Sirius per niente! -

 

Era agitato, e Remus non riusciva a capire che cosa esattamente nel suo discorso lo avesse messo così tanto in fibrillazione. - Adesso Sirius se ne va a dormire, ecco cosa! -

 

- Aspetta! - niente da fare: il tempo di tendere una mano per cercare di afferrarlo, e quello se n'era già andato, sbattendo i piedi per terra come un bambino offeso. Sospirò. Doveva ancora capire che diavolo gli era preso.

 

Tanto, cercare di farlo ragionare in quel momento sarebbe stato assolutamente inutile. Con la testa quadra che si ritrovava, prima che un raggio di luce potesse tornare a fendere quel buio ostile, ci sarebbero volute delle ore, se non dei giorni. Con buona pace della riottosa anima Black, Remus non aveva alcuna intenzione di farsi picchiare a sangue per un motivo che gli appariva - sebbene non sapesse esattamente cosa fosse - futile e sciocco.

 

Oltretutto - se ne ricordò solo ora - quella notte ci sarebbe stata luna piena: sentì il panico invadergli fastidiosamente la mente.

 

Non riusciva a ragionare con la solita freddezza che gli era usa in ogni situazione: e senza la sua arma letale e smagliante, la mente, era come perduto.

 

L'unica cosa che emerse dal buio della sua razionalità fu che doveva allontanarsi dal castello il prima possibile, e mettere al sicuro i suoi compagni di scuola. Cercò di capire chi avrebbe potuto aiutarlo, ma niente. James e Peter erano chiusi in infermeria.

 

Sirius di certo non l'avrebbe aiutato, ora come ora.

 

Si slanciò fuori dal castello in una corsa senza alcun riposo, lasciandosi alle spalle ogni traccia di civiltà umana, cercando disperatamente di ritrovare la strada per il nascondiglio alla Stamberga, sotto il Platano picchiatore.

 

Nulla: era solo e vulnerabile.

 

All'improvviso un luccichio argentato richiamò la sua attenzione. Proveniva dall'interno della foresta, ed era lì che stava scomparendo.

 

Immediatamente, lo seguì. Lo seguì col cuore a mille. Solo quando si accorse di non poterlo più riconoscere, capì di essersi perso.

 

La notte gli aveva confuso il pensiero. Il suo olfatto da lupo seguiva altre tracce che non erano quelle che il suo cervello voleva e poteva seguire. Non gli rimase che addentrarsi all'interno della foresta, e accucciarsi in un piccolo avvallamento ricco di foglie ormai marce.

 

Chiuse se stesso dentro la propria mente.

 

Poi iniziò il dolore.

 

 

***

 

 

Nel sogno, il luccichio tornò a far visita alla sua mente, brillante come solo una proiezione mentale poteva essere. Nonostante tutto, non riuscì a convincersi totalmente di quell'illusione, e rimase ancorato alla luce, mentre fitte di dolore gli scuotevano tutto il corpo.

 

Era lì, era presente.

 

Tutto d'un tratto, nella penombra, vide spuntare un gatto dal pelo bianco e gli occhi d'argento. Quel luccichio tanto amato…

 

Gli occhi del gatto soffrivano, lo riducevano ad un impietoso stato emotivo. Aveva paura per quel gatto. Perché lui, i n quanto lupo, sentiva il bisogno di cacciarlo.

 

- Vai via! - urlò a pieni polmoni, il fiato rotto dagli spasmi. - Stammi lontano, ora! -

 

Il felino lo fissava con pietà. L'argento dei suoi occhi, crudele e brunito, scintillava nel buio come le stelle nel cielo. Era l u c e  pura, fatta di piccoli diamanti.

 

Al suo collo, un collare porpora, tempestato dai rubini più preziosi a brillanti che avesse mai visto. Quel dettagliò lo catturò. Poi tornò a fissare i suoi occhi.

 

- Oh… - rantolò lui. - Ti prego, scappa… -

 

Il sogno cambiò di nuovo, e davanti a lui ci fu Narcissa, bella e algida come una regina. E quella collana, con un rubino porpora a forma di cuore che pendeva sul suo collo. Gli occhi d'argento erano come quelli del gatto, erano quelli del gatto.

 

- Noi non siamo come cane e gatto, Remus. - sussurrò nella notte. - Noi siamo affini per nostra natura. Non importa cosa sei… -

 

- Narcissa… -

 

- Svegliati! Remus! -

 

Remus si svegliò.

 

- Remus, vecchio scimunito! Remus! - la voce che lo chiamava non era così melodiosa come quella che l'aveva indotto alla tentazione. Eppure era così profonda che l'aveva scosso dal sonno.

 

- Remus, muoviti. Dobbiamo andarcene, sta nevicando. Moriresti di freddo, lo sai, forza! -

 

- James…? -

 

- Certo che sono James! Chi è l'unico amico fidato e cretino che viene a salvarti nel mezzo di una foresta, e del fango? -

 

La voce di Potter risuonava furente tra gli alberi, amplificata dall'eco. Remus si scosse, alzandosi in piedi. - Ma… mi hai seguito? -

 

James roteò gli occhi. - Ovvio che ti ho seguito. Ho visto in mano a Narcissa Black quel biglietto che solo tu potevi aver scritto, così mi sono incuriosito e sono sgattaiolato via dall'infermeria per seguirti. Ti ho sentito litigare con Sirius, ma poi ho perso le tue tracce, fino a che un dannato gatto bianco non mi ha morso alla caviglia, convincendomi a seguirlo. E mi ha portato fin qui. -

 

Un gatto bianco? Le coincidenze erano decisamente troppe.

 

- Ah. - scivolò nel fango. - Aiutami, James… ho visto una luce e mi sono perso, forse erano lucciole. -

 

- Tutto per colpa di un fiore di loto. - imprecò l'altro. - Dannazione, non sarò mai più romantico, in tutta la mia vita. -

 

Remus, per quanto improbabile che fosse, rise. - Uno scrittore italiano antico chiamava il fango loto. Non è… curioso? -

 

- Da morire. - l'ironia era evidente, e Remus decise saggiamente di chiudere la bocca. - E adesso? -

 

L'altro si scosse nelle spalle, lasciando che i fiocchi di neve si scuotessero dal suo mantello, cadendo infine a terra. Se non fossero stati nei guai, probabilmente Remus l'avrebbe trovato un momento stupendo. - Adesso seguiamo le tracce che ho lasciato per venire e -

 

Se non fosse che la nevicata aveva cancellato ogni forma di traccia sul terreno in meno di cinque minuti. I due si lasciarono andare ad una colorita serie di imprecazioni.

 

La notte era scura e minacciosa. James, infastidito, cominciò a trascinare l'amico dietro di sé, camminando a passo spedito. - Forza, prima di morire assiderati… -

 

- James, attento all' -

 

Il suono dello scontro fra la testa di James e il tronco dell'albero nascosto dal buio risuonò violento all'interno della piccola radura. Il Gryffindor si accasciò al suolo senza emettere un singolo lamento. Probabilmente, aveva ribattuto la testa proprio nello stesso punto in cui la Evans l'aveva colpito.

 

Che destino crudele.

 

Poi sentì le membra intorpidirsi, e gli occhi chiudersi.

 

Si lasciò andare al suolo.

 

 

***

 

 

- Remus? -

 

Aprì un occhio di controvoglia. Il soffitto bianco della stanza l'accecò per qualche breve istante. Serrò le palpebre. - Remus, apri gli occhi. -

 

Era Sirius. Il tono petulante e spavaldo poteva essere solo il suo. Stranamente, non era più in collera con lui.

 

- Mhh, Sirius…? -

 

- Avanti, Remus. Degnaci della tua presenza. - alla fine, si costrinse ad aprire gli occhi, per posarli su quelli argento di Sirius, che stranamente gli sorrise. Un sorriso gentile che lo rincuorò e lo convinse a rilassarsi.

 

- Ma come…? -

 

- Vi ha trovati lei. -

 

Con una mano, indicava alla sua sinistra. L'altro fece scivolare lo sguardo sulla figura elegante di Narcissa Black che sorrideva sorniona, come un gatto, verso di lui. - Buongiorno. -

 

Lui ricambiò il saluto.

 

Sirius continuò. - Stava passeggiando nel bosco e vi ha trovati, tu e James, praticamente assiderati. Vi ha guarito con non so quale pozione maledetta, e ha chiamato rinforzi. -

 

- Era veleno, ma è grazie a quello che sono salvi. - la voce di lei era controllata, così diversa da quella nel sogno. - Le lacrime di gatto sono un potente veleno riscaldante. - sussurrò.

 

Remus sorrise. Avrebbe dovuto capirlo prima.

 

- Come nel libro, vero Remus? -

 

- Certamente, Narcissa. -

 

Lei si chinò su di lui, sporgendosi oltre il letto per afferrare i due libri che gli aveva prestato. Remus piantò lo sguardo sulla copertina porpora.

 

Come il collare.

 

E la sua collana.

 

 - Allora, a presto. - disse.

 

- Sicuro. -

 

Sirius osservava la scena con l'evidente convinzione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto. Peccato che il qualcosa continuasse a sfuggirgli.

 

Remus ghignò soddisfatto. Quando lo sguardo gli cadde sulle coperte, vi trovò poggiato con delicatezza un pelo di gatto.

 

Bianco come la neve.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Owari.

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Lady Antares Degona Lienan