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Autore: Ornyl    16/03/2013    1 recensioni
Gli angeli azzurri dell'inferno giocando a palla ci arrivano per caso.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Azzurro cielo.
Come i pastelli sul tavolo della sua stanza.
Come il cielo in primavera,solcato da nuvole di pizzo e rondini nere come ciglia.
Ciglia,ciglia nere,le sue. Le sue che guardava allo specchio,lunghe e nere come quelle di mamma.
Esili cornici corvine che incorniciavano il bianco e l'azzurro pallido dei suoi grandi occhi,erano grandi e le piacevano così.
Esili cornici corvine di un quadro azzurro pallido su uno sfondo bianchissimo.
Il suo volto.
Il suo collo.
Le sue spalle,che si intravedevano appena dal vestito col colletto alto,come voleva papà.
Quello sfondo bianchissimo che cozzava con il verde smeraldo del velluto che mamma le aveva fatto.
Lei,che ogni mattina stava dritta davanti allo specchio mentre Egle le pettinava i capelli.
Come son lunghi,signorina mia.
Come son belli,signorina mia.
Belli come il cielo in primavera,han lo stesso colore di esso.
E son così morbidi,signorina mia,permettete di intrecciarveli e poi andrete a giocare.
Ma le trecce si disfacevano quando giocava,lo sapevan tutti.
Quelle trecce che da corvine eran diventate azzurre e quando correva erano un tutt'uno col cielo,ormai sapeva di far parte di esso quando papà la faceva giocare in cortile,solo e soltanto in cortile mentre le guardie la controllavano e ridevano e papà andava via.
Nessuno poteva vederla e così farle del male,papà diceva così perchè le voleva bene.
Nessuno poteva vedere i suoi capelli di cielo ondeggiare per l'aria,e così la sua pelle nivea presa dalle nuvole e nessuno si sarebbe spaventato,e nessuno le avrebbe fatto male.
Papà voleva così perchè le voleva bene.
E lo stesso voleva mamma per lei,solo e soltanto il suo bene.
Lei voleva il proprio bene?
Cos'era bene e cos'era male.
Dio era il Bene supremo,il demonio il male supremo.
Bene e Male.
Giorno e Notte.
Luce ed Ombra.
Dentro e Fuori.
Dentro stava il bene,dentro quelle mura,dentro la sua stanza,dentro il cortile dove papà le permetteva di giocare.
Fuori la gente che faceva male.
Fuori la gente che faceva male perchè aveva paura.
E aveva paura di lei,diceva papà.
Dentro stava il bene e fuori stava il male,ma lei era il male che stava dentro per diventare bene.
Bambina innocente.
Angioletto di casa.
Angioletto pallido pallido e con le trecce azzurre,angioletto infernale e celestiale demonio.
Mamma l'amava come si può amare il mostro a cui desti la vita.
Papà amava ciò che mamma amava,amavano il mostro che avevano generato.
Quel piccolo adorabile mostriciattolo azzurro e bianco e con le guance appena arrossate quando correva,l'amabile demonietto che faceva sorridere Egle e tutte le altre,che mamma coccolava quando fuori infuriava il temporale,che papà chiamava piccolo fiocco di neve quando la vedeva sbucare dalla scalinata sul salone.

E infuriava il temporale fuori,il cielo era coperto da pesanti nuvole nere e si era allontanato da lei.
Eh che peccato,era iniziata tanto bene quella giornata! C'erano il sole,i passeri sugli alberi,le farfalle che correvano sulle margherite che vedeva dalla finestra della sua stanza e il cielo brillava di riflessi lapislazzuli che tingevano le coperte di lino di riflessi azzurrini.
Poi tutto s'era rannuvolato,dopo mezzogiorno.
E s'era messo a piovere,e il cielo si era ammalato e si era ficcato sotto un piumone di nuvole nere e non avrebbe potuto giocare con lei,quindi piangeva e condivideva la sua tristezza appieno.
Mamma quella mattina le aveva dato la palla di stracci e una carezza sui capelli,la sua mano era affondata in quella massa azzurrognola che si trovava sulla testa.
Adesso la palla giaceva accanto al letto,scura,brillante d'argento ai lampi e poi si riaddormentava in quella semioscurità male illuminata dalle candele. Non voleva farla dormire sul freddo pavimento,tra le sue mani sarebbe stata meglio e non avrebbe sofferto il freddo:l'avrebbe tenuta tra le braccia come mamma faceva quand'era piccola,l'avrebbe fatta correre lungo i corridoi come il gattino che Egle aveva portato qualche mese fa,e poi era morto improvvisamente.
Correva che era una bellezza,quel micetto rossiccio e dagli occhi di foglia!
E com'era tiepido poi,sembrava l'unico che non avesse paura di quelle sue mani troppo uguali alle colombe che sonnecchiavano in soffitta in giornate come quelle.
Filomena l'aveva sepolto da qualche parte in giardino,un giorno sarebbe dovuta andare a trovarlo.
Che esistesse il Paradiso per i micetti? Oh sì,sicuramente,son sempre creature!
Ecco,quella palla aveva la stessa morbidezza e quasi lo stesso calore,differiva solo l'odore:questa profumava di mamma e di pane sfornato e di fiori sicuramente,come quelli che mamma si metteva nel corpetto quando c'erano le feste e ballava insieme a papà,e la guardava così dolcemente! Poi la prendeva per mano e la conduceva a tavola,e mangiavano insieme continuando a guardarsi,ed erano così belli e splendenti.
Ecco che oggi mamma sonnecchiava al piano di sopra,mentre papà era andato in città per alcune commissioni.
E pioveva,oh se pioveva.
Gocciola,gocciola,gocciola la grondaia.
Gocciola,gocciola,gocciola la pioggia sul davanzale di pietra della finestra in mille gocce cristalline e tonde.
Sicuramente gocciolava anche nel cortile,creando grandi pozze d'acqua scura e dando da bere ai fiorellini che sbucavano dalle crepe,e inondava e rinfrescava il suo piccolo spazio chiuso tra le mura della grande casa.
E la grande casa stessa dormicchiava in silenzio,totalmente.
Ma oh,il silenzio non le faceva paura.
Il silenzio l'accoglieva come una grande e pesante e impalpabile coperta,sotto la quale doveva però muoversi con circospezione.
In silenzio lei si muoveva,quando raggiungeva mamma nel lettone per ripararsi dal temporale.
Il silenzio la capiva e la consolava,quando si rendeva conto che aveva spaventato qualcuno.
Egle,Filomena,o gli uomini in armatura che la proteggevano.
O mamma.
O papà.
Lei non aveva paura di lei,almeno per l'aspetto.
Lei aveva paura di ciò che aveva dentro.
S'era abituata al suo aspetto di dolcissimo demonio,ma non alla sua natura.
Che fosse mortale?
Che fosse demoniaca,come dissero quando la lavarono e la misero in fasce?
Come disse mamma stessa nel vederla,o papà,che si mise le mani ai capelli?
Era una bambina.
Una bambina di neve.
Un piccolo demonietto di neve.
E la palla rotolava lungo le scale,intanto. Scendeva lungo il salone,e la rincorreva a rotta di collo.
E fuori tuonava,e le armi sulle pareti brillavano fantasmagoricamente.
E gli arazzi erano sanguigni,più sanguigni che mai,come quando lei cadeva e si sbucciava le ginocchia e mamma sembrava svenire. 
Ma perchè,era solo una caduta!
Ma sì,era la sua bambina.
E mamma amava la sua bambina.
Il suo demionietto.
La sua piccola strega maledetta proveniente da chissà quale Paradiso al contrario.
Ma mamma dormiva e papà era lontano.
Solo lei e la palla,solo loro due e il temporale d'argento là fuori.
E il fruscio del vestito dietro di lei,e i suoi demoni grigioazzurri che celava dentro.
C'erano,sì che c'erano,l'hanno tutti.
E Ave Maria,piena di grazia.
E Padre Nostro che sei nei cieli.
E liberaci dal male.
Ma sono io il male.
E se muoio per causa mia vado all'inferno.
Oh,ma andrò all'inferno a prescindere.
Correvi palla,lungo il corridoio e trovavi le porte aperte.
E giù,giù,dove le luci delle candele si facevan più fioche e il temporale non arrivava e nemmeno il sole.
Giù,giù,con i demoni di bimba alle spalle.
Scappa dal demonio,bimbetta mia,signorina mia dalle trecce blu.
Ma che fare,quando il demonio sono io?
Vai giù con la tua palla,signorina mia,giù e continua a giocare,vai sempre più giù e riscattati.
E prega.
E prega mia cara,prega che ti salvino.
E intanto vai giù con la tua palla,giù fino alla ghiacciaia.

Penombra biancastra.
Biancastra e azzurra e nera,nera là in fondo,pochissima luce e i tuoni da fuori.
Oh bambina mia,ma perchè sei qui?
Oh,hai visto la tua palla rotolare e rotolare fin laggiù,dietro l'angolo,dove non sai cosa ti aspetta?
Rincorri la palla,rincorrila e prendila e scappa e prega.
Prega,prega più forte e fatti sentire.
No che non si sarebbe fatta sentire,era sola.
Mamma dormiva e papà non c'era,chissà dov'erano Egle e Filomena.
Lei,il buio e la palla lontana.
Nè il cielo nè le guardie nè nessuno.
Il freddo.
Com'è,demonietto,il freddo?
Abituati,che quando te ne tornerai al limbo sarà piuttosto drammatico.
Freddo azzurro come i cadaveri che emergevano dai pozzi.
Come il cadavere di volpe trovato nel pozzo di casa,non era più rosso era violaceo e cupo.
Azzurra paura che ti scorre lungo la tua pallida schiena di neve,nevvero amica mia?
Cosa c'è,hai dunque paura?
E all'inferno che farai,mentre mamma e papà se ne andranno Lassù?
I demoni non hanno paura,nemmeno quelli piccoli e con la boccuccia rosa corrucciata come te.
Un passo.
Due passi.
Tre passi.
La palla,coraggio,ti aspetta.
Va' a prendere la palla,piccolina mia.
E le immagini si facevano più sfocate,sfocavano come i fuochi fatui nelle sere di novembre.
Tuono.
Buio. Un secondo.
La palla dov'è?
Mamma te l'ha fatta con tanto amore.
Quattro passi.
Cinque passi.
Sei passi.
Due,tre,quattro brividi lungo la schiena.
I demoni non hanno paura,va' avanti.
Io non sono un demone.
Allora sei un mostro,un mostriciattolo incantevole.
Nemmeno un mostro,nemmeno un mostro.
Sudava freddo.
E le immagini si fecero più sfocate,sempre più sfocate,erano diventate nebbia azzurra.
Azzurra come i suoi capelli bagnati,bagnati e pesanti sulla testa.
Oh,ma l'aveva ormai persa.
Nebbiolina azzurra,la palla era una macchia nera su un tenero glicine.

I miei omaggi dall'inferno di neve,è un inferno azzurro come il cielo a primavera,rosato e innocente come la più bella delle albe estive,amici miei.
Così azzurro che fa tenerezza,ma le bambole hanno le fauci dentro le loro boccucce corrucciate e giocano a palla con gli spettri,poi marciscono senza morire.
   
 
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