Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: LucreziaPo    16/03/2013    2 recensioni
Questa storia inizia alcuni mesi dopo la fine dell'ottava stagione di House M.D. House e Wilson hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle, finché una cura non convince Wilson a partire...
Finirà per rendersi conto di ciò che ha sempre avuto dinanzi ai suoi occhi e che non ha mai avuto il coraggio di ammettere a sè stesso...
Ovviamente Hilson!
Spero vi piaccia!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson | Coppie: Greg House/James Wilson
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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“Se avessi saputo che pomiciare con te sarebbe stato così piacevole, avrei evitato di pagare tutte quelle prostitute, di sposare Dominika e stare con la Cuddy e Stacy.

Wilson, ma dove accidenti eri 13 anni fa?”

Wilson lo ignorò, le sue attenzioni focalizzare sul fucile per il tiro a piattello.

“E poi...ops...”

“House, la smetti di distrarmi!”sbottò, irritato dopo l'ennesimo tentativo di House di urtarlo e fargli sbagliare mira.

“Posso sempre puntartelo contro il fucile, se non smetti di rompere.”lo minacciò, mentre House, memore della sua prima volta con quel tipo di sport e dopo vari tiri mancati, lo fissava, seduto sull'erba.

Il campo era poco lontano dalla clinica e Wilson aveva inserito anche quell'attività tra le cose da fare.

House l'osservò puntare il fucile, il braccio che aveva rotto durante la caduta dalla scogliera, ancora un po' tremante ed incerto e centrare il piatto al primo colpo.

Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, incredulo.

“E' la fortuna del principiante.”

Ma quando Wilson centrò anche la seconda, terza e quarta volta, sbuffò.

“Sarà un fucile difettoso.”

“No, sei tu che sei una schiappa.”disse allegramente, almeno finché House non l'afferrò per la caviglia spingendolo a terra.

“House, ma che diav...”

Si zittì quando House gli prese il viso tra le mani e lo baciò ardentemente, mettendo a tacere ogni tipo di protesta.

Rise, contro le sue labbra, sorridendo piano quando si staccò da lui.


“Sto bene, davvero. Lisa, non...no. Davvero. È tutto ok. Me la so cavare.”

Wilson giocherellava con un bracciale di cuoio che aveva comprato in Giamaica, sentendo Lisa parlare al telefono e con il braccialetto che avevano tutti i pazienti.

Dopo quasi cinque mesi di isolamento, aveva convinto House a riallacciare i rapporti con gli altri.

Non che fosse colpa sua, in effetti.

Wilson aveva sentito la voglia irrefrenabile di allontanarsi da ogni cosa che conosceva e fuggire il più lontano possibile, ma la nostalgia s'era fatta viva e con essa la voglia di sentire i suoi amici.

Aveva mandato loro solo qualche mail, ma poi nulla.

Poteva quasi immaginare la loro paura nel sapere che lui, malato di cancro e dopo aver subito il lutto del suo migliore amico, si rifiutasse di stare e parlare con loro.

I suoi avevano dato di matto quando li aveva chiamati.

Aveva sentito le loro urla preoccupate, che avevano svegliato House dal suo pisolino.

Irritato, gli aveva tirato addosso una pantofola che l'aveva centrato al braccio.

Ed ora si ritrovava con un braccio dolorante, un amico irritato ed i suoi che l'avevano supplicato di tornare a casa.

Sentire la calma Lisa fu un bel diversivo.

“Stai seguendo qualche cura, vero?”

“Sì. È una cosa sperimentale, ma...sto meglio. Insomma, mi fa star male come la chemio, ma pare abbia risultati decisamente migliori.”

“Sei da solo?”

“No, con me c'è House.”avrebbe voluto dirle.

Sentiva quanto era preoccupata a saperlo da solo ad affrontare tutto questo.

“Dimmi dove sei. Posso...”

“No, Lisa. È una cosa che devo fare da solo. Hai una famiglia, hai Rachel ed io starò bene.”

“Ti manca, vero?”

Wilson lanciò un'occhiata ad House.

Era disteso sul letto, gli occhi socchiusi.

Aveva i denti digrignati e stringeva forte la gamba.

Wilson aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi.

“Stai bene?”sillabò, scuotendolo piano, ma House rispose scostandolo di malo modo.

“Lisa, devo andare.”

“Ma...”

Wilson non le diede il tempo di continuare.

Attaccò il telefono e s'accostò ad House.

“House...”

House continuò a gemere.

Teneva gli occhi serrati, le mani che artigliavano la stoffa del jeans, il corpo tremante.

Wilson imprecò tra i denti, afferrando la boccetta di pillole di antidolorifico che gli aveva dato il dr Johnson.

“Manda giù queste. House, ascoltami. Prendi queste.”

Gli cinse le spalle e lo costrinse a mandare giù un paio di pillole, mentre lo sentiva gemere ad alta voce.

Non l'aveva mai visto così sofferente.

Da quando s'era ammalato, House aveva evitato di dirgli del suo problema alla gamba.

Wilson lo vedeva digrignare i denti, imprecare tra sé, mandare giù antidolorifici, ma stavolta tremava violentemente e gemeva ad alta voce.

Gli doveva fare molto male.

L'attirò a sé ed House artigliò la stoffa della sua camicia, gemendo forte.

“Ssh...ssh...ssh...”sussurrò al suo orecchio, tentando di calmarlo.

La mano scese sulla sua gamba, sfiorandogliela piano.

Sentì la cicatrice attraverso la stoffa ed House gli afferrò forte il polso, costringendolo a non toccare.

Era qualcosa che lo metteva sempre a disagio.

“E' tutto ok.”mormorò Wilson contro le sue labbra.

Gli cinse le spalle e lo abbracciò, stendendosi sul letto accanto a lui.

Rimase a stringerlo a lungo, anche quando il tremore cessò ed House giacque un po' più tranquillo tra le sue braccia.

Lo fece appoggiare al suo petto, sfiorandogli i capelli sale e pepe e posandogli un bacio su di essi.


Sentiva le sue mani sul proprio corpo, scivolare a carezzargli il torace, il ventre, fino al suo inguine.

Wilson emise un gemito soffocato contro le labbra del compagno, quando House infilò la mano tra le sue gambe, liberandosi del pantalone e dei boxer con un gesto brusco, voglioso di procedere.

Non erano mai arrivati ad un livello tale di intimità, ma entrambi lo anelavano da tempo.

House osservò l'amico che gemeva al suo tocco.

Era incredibilmente eccitante vedere Wilson eccitarsi per lui.

Ghignò, malandrino e catturò le sue labbra ancora una volta, mentre continuava a masturbarlo.

Lo sentì venire tra le sue dita e continuò a baciare ogni lembo di pelle disponibile.

Non sapeva cosa guidasse le sue azioni, ma sentiva il bisogno fisico ed irrefrenabile di baciarlo, di averlo in ogni modo possibile.

Le mani di Wilson s'affrettarono a liberarlo dai vestiti, mettendosi a cavalcioni su di lui, mentre gli prendeva il viso tra le mani ed approfondiva il bacio.

Si sentiva rapito dal suo tocco, come mai s'era sentito prima d'ora.

L'afferrò per la vita, stringendolo a sé, ignorando il dolore alla gamba.

Voleva averlo, non importava il costo.

Wilson notò la sua espressione sofferente e lo bloccò.

“No, io...”

House lo mise a tacere, baciandolo dolcemente, stringendolo più forte a sé, mentre gli sfilava la maglietta e lo spingeva sotto di sé.

Lasciò che fosse la passione a guidarlo, perché se avesse ascoltato il cervello ci sarebbe stato un tripudio di “Ma cosa stai facendo?” “E' il tuo migliore amico!” “E' malato, rischi di ferirlo e...”.

Wilson l'attirò su di sé, lasciando che House prendesse il comando della situazione, sentendo le loro eccitazioni, ormai, premere dolorosamente.

Ricordava il “Sei sicuro?” sussurrato a pochi centimetri dalle sue labbra, prima di annuire, prima che House lo prendesse per la prima volta, dolorosamente ed incredibilmente.

Era stato incredibile.

Doloroso, ma aveva provato una sensazione pazzesca.

Wilson aveva stretto forte i denti, mordendosi le labbra quando House era entrato dolorosamente dentro di lui, ma poi il dolore era scemato, seppur lentamente, lasciando il posto all'eccitazione, al bisogno di averlo ancora, di più e più forte.

Era stato uno spingere, baciare, mordere, toccare, fino a crollare esausti, l'uno sull'altro, l'uno abbracciato all'altro.

Wilson cercò di contrastare lo sfarfallio allo stomaco ed il dolore sordo al sedere, la testa posata sulla spalla di House.

Era stato incredibile.

Era stato dentro di lui, dolorosamente, ma s'era sentito unito ad House nel modo più intimo che esistesse.

E bastava quello a fargli provare quello sfarfallio.

Non sapeva cosa dire, voleva soltanto crogiolarsi nel calore di quell'abbraccio.

House gli s'avvicinò.

“Stai bene? Ti ho...”

“Sto bene. È stato...”

“Strano.”concluse House

I suoi occhi erano incredibilmente azzurri e Wilson deglutì a stento.

Si sentiva bene. Dolorante, ma bene.

Era stata l'esperienza più folle e più bella che avesse mai fatto.

Annullò la distanza, baciandolo piano sulla bocca, ricambiato dal compagno, che gli affondò una mano tra i capelli.

House posò la fronte contro la sua, incapace di muovere anche solo un muscolo.

Sentiva il cervello pieno di domande e serrò gli occhi.

Quando li riaprì Wilson era accanto a lui, gli occhi chiusi, i capelli castani arruffati, il corpo seminudo coperto dal lenzuolo.

Sorrideva piano, addormentato.

Era sereno.


House non era mai stato bravo nelle relazioni e, visti i tre matrimoni falliti di Wilson, neanche lui era tanto più capace.

I giorni successivi al “fatto”, come aveva iniziato a pensarlo House, furono bizzarri.

Non s'era mai sentito attratto sessualmente da Wilson, ma baciarlo e fare sesso con lui era incredibilmente piacevole.

Nonostante le mille razionalizzazioni e spiegazioni che provò a dare alla situazione, “Wilson era malato ed instabile emotivamente”, “E' stato solo un attimo di sbandamento”, “Non accadrà più” e “Probabilmente siamo impazziti tutti e due”, non poteva evitare di pensare al suo amico che gemeva sotto di lui, che gemeva di piacere e che sentiva il bisogno di averlo dentro di sé.

Ed il fatto che il corpo di Wilson iniziava ad attrarlo ad ogni giorno che passava non aiutava nessuno.

Wilson, d'altro canto, si sentiva strano.

Era attratto da House e con lui si sentiva al sicuro.

Erano ormai passati quasi cinque mesi da quando aveva saputo di essere malato e quello era un traguardo che temeva e che agognava allo stesso tempo.

Cinque mesi.

Era ciò che, secondo i medici, gli rimaneva da vivere.

Era cambiato qualcosa, giusto?

La cura stava facendo effetto, vero?

O sarebbe morto comunque?

House riusciva a percepire la sua tensione, anche se Wilson non gliene aveva fatto parola.

Si sentiva stupido a dare un traguardo ad un giorno, come se significasse davvero qualcosa.

Ma per lui aveva un significato.

Il giorno del traguardo sedette sul terrazzino, gli occhi fissi sul mare.

Quei mesi di cura erano stati un Inferno ed un Paradiso allo stesso tempo.

La cura aveva ridimensionato il suo tumore, ma l'aveva fatto stare così male da ridurlo a letto per giorni interi.

Aveva vomitato intere notti, incapace di mandar giù un solo boccone, reso insofferente persino dall'odore del cibo, a tal punto che House aveva iniziato a chiamarlo “donna incinta”.

I giorni erano stati contraddistinti da momenti in cui il dolore al petto era così forte da impedirgli di respirare ed in cui poteva solo urlare, spingendo House a precipitarsi verso di lui, impotente, senza sapere cosa fare per aiutarlo.

C'erano stati momenti in cui avrebbe voluto farla finita, aveva fissato il vuoto per ore, incapace di reagire.

Ed House c'era sempre stato, nei bei momenti e soprattutto in quelli brutti.

Era sempre stata una presenza confortante, sarcastica, pungente, bisognosa e strafottente.

Wilson sapeva benissimo che gli antidolorifici che il dr Johnson aveva prescritto ad House per la gamba erano stati usati più per cacciare un dolore psicologico che fisico.

Vedeva la smorfia di dolore di House ogni volta che era lui a soffrire.

E lo sapeva e non poteva evitare che House si stordisse, perché stava troppo male nel vederlo soffrire.

Sussultò quando qualcuno gli posò una birra in grembo.

“Ehi.”sussurrò, lanciando uno sguardo all'amico.

“Ti godi il tramonto, ora?”

Wilson lanciò uno sguardo all'orizzonte, dove il Sole illuminava di colori aranciati il paesaggio.

“E' bellissimo, vero?”

Per tutta risposta House sbuffò.

Sedette sulla sedia e posò i piedi sul davanzale.

“Che giornata è?”

“Più sì che no.”

“Ed il no?”

“Credo di aver perso dei chili vomitando stamattina.”

House abbozzò un sorriso.

Le giornate di Wilson andavano dal “sì”, al “sì e no”, al “più sì che no”, “più no che sì” e “no, ho voglia di morire.”

Fortunatamente le ultime capitavano di rado.

Lo vide assorto fissare la spiaggia.

“Che hai?”

“Sai che giorno è?”

“Il 20 ottobre. Perché?”

“Perché oggi finisce il mio tempo massimo. Finiscono i cinque mesi. E se non morirò stanotte, e mi sento piuttosto bene, a dire la verità, ogni giorno sarà un regalo da domani.”

House sussultò.

Se n'era completamente dimenticato!

Fino a quel momento lui e Wilson avevano tentato di vivere la vita così intensamente da evitare di pensare a che giorno era.

Domani.

Sentì una stretta allo stomaco.

Lo guardò.

Era così tranquillo all'apparenza, ma notò che stringeva la bottiglia con forza e non aveva ancora bevuto un sorso di birra.

“House...”

“Andrà bene.”

Wilson annuì con un groppo alla gola.

S'era imposto di non piangere, di non avere paura di un giorno, ma dovette scacciare rabbiosamente le lacrime.

Sentì la mano dell'amico sulla spalla e non riuscì più a pensare.

In un attimo si stava aggrappando a lui, come un naufrago ad una zattera.

House sussultò, sorpreso.

Wilson lo stava stringendo così forte da fargli male.

Sentì il suo cuore battere violento, il corpo sussultare.

Gli fece spazio sulla sedia, lasciando che Wilson si raggomitolasse contro il suo petto come un bambino piccolo.

Da quando avevano fatto sesso erano passati solo pochi giorni e quello era l'unico momento in cui si erano ritrovati così vicini.

“Wilson...andiamo, sai che sono pessimo con queste situazioni! Che vuoi che faccia? Che ti canti la ninna nanna?”

Lo sentì ridere contro il suo collo ed il suo respiro lo fece rabbrividire di piacere.

Si costrinse a cingergli la vita, impacciato, e stringerlo a sé.

“Non vo...non voglio...”sussurrò Wilson, tremando, tra i singhiozzi.

Non voleva morire.

“Tu non vai da nessuna parte.”

Wilson gli artigliava la maglietta, così forte da fargli male.

“Promettimelo.”

House non rispose subito.

Non poteva fare promesse del genere.

“Non posso.”

“Promettimi che ci sarai, che non mi lascerai da solo se dovessi stare...”

“No. Non me ne andrò. Finora non sono andato da nessuna parte.”

Wilson lo strinse a sé, sfiorandogli il viso.

Gli occhi erano arrossati dal pianto, il naso rosso, ma House lo trovò incredibilmente bello.

Che diavolo stava pensando?

Si diede mentalmente dell'idiota, ma Wilson sorrise e lo baciò sulla bocca.

Un bacio casto, a timbro, ma House sentì che faceva decisamente effetto.

Lo sentì anche Wilson perché ridacchiò contro la sua bocca.

La sua mano scivolò verso il suo inguine ed House lo bloccò, prima che gli sbottonasse i pantaloni.

Lo guardò negli occhi, incapace di spiegare il perché fosse così reticente.

“S-Scusa, non...”

House lo bloccò stringendogli il polso e baciandolo con passione sulla bocca, schiudendogliela con foga per incontrare la sua lingua.

La bocca sapeva di lacrime, ma House ignorò quel sapore salato e lo spinse verso la sua camera da letto.

Stava iniziando a spogliarlo, quando Wilson riprese in mano la situazione ed iniziò a sbottonargli la camicia, sfilandogliela velocemente, prima di procedere a gettare da parte anche i jeans.

Sentiva le proprie eccitazioni crescere e si chinò sull'amico, baciandolo sul collo a lungo, lasciandogli piccoli baci e morsi sul torace.

Non s'era mai reso realmente conto di quanto House fosse magro.

Gli sfiorò i muscoli del petto e dell'addome, provocandogli intense ondate di piacere.

Baciò il suo collo, mentre scendeva con le mani a sfiorargli l'erezione.

House sussultò, colto di sorpresa dall'intraprendenza di Wilson.

Fece per baciarlo, ma Wilson si mise a cavalcioni su di lui, bloccandolo.

Il suo sguardo voleva dire “oggi comando io”.

I suoi baci erano roventi, disperati ed House lo lasciò fare, mentre sentiva improvvisamente molto caldo.

Lo aiutò a spogliarsi, mordicchiò le sue labbra, ignorando il dolore alla gamba, al momento decisamente in secondo piano e fece aderire i loro corpi in una danza di baci, di carezze bollenti e morsi.

Sfiorò la sua erezione con il proprio corpo, sentendolo ansimare contro il suo orecchio.

Sussultò quando capì cosa aveva intenzione di fare e lo guidò dolcemente verso di lui e dentro di lui, dolorosamente e senza riuscire a nascondere i gemiti di dolore.

House strinse i denti quando Wilson entrò dentro di lui.

Lo fece con cautela, baciandolo piano sulla bocca e stringendogli le dita con le proprie, prima di muoversi lentamente dentro il suo corpo, stretto e caldo.

Wilson lo prese dolcemente, cercando di tenere a freno la sua eccitazione, per non fargli male, ma poi sentì House muoversi verso di lui, incitarlo a continuare.

House lo baciò sulla bocca, mordendogli le labbra, succhiando la pelle tenera, anche quando Wilson uscì dal suo corpo, lasciandolo dolorante ed in subbuglio.

Gli cinse il collo con un braccio e lo baciò ancora ed ancora, sentendolo ridere contro le sue labbra.

“Cosa?”domandò.

“Nulla. Mi piace quando mi baci.”ammise Wilson.

Posò la fronte contro la sua, respirando piano.

“Aspetti con me la mezzanotte?”mormorò, di nuovo agitato.

Il sesso era stato una parentesi piacevolissima, ma ora sentiva di nuovo il peso di quel giorno.

“Sì. E dopo stasera col cavolo che ti lascio morire!”

Attesero l'alba del giorno dopo, abbracciati, fissandosi in viso.

“Se mi dovesse...”

“Non voglio...”

“Ti prego, ascoltami!”

Wilson gli premette una mano sulla bocca ed House ne approfittò per mordergli piano le dita.

“Se dovessi morire, se...quando arriverà la mia ora, voglio stare con te. Voglio...” Gli sfiorò le labbra “Vedere te come ultima persona.”

House sentì una stretta al cuore, violenta.

Fece per parlare, ma per la prima volta non seppe cosa dire.

Si limitò a cingergli il corpo con un braccio e stringerlo a sé.

Fu solo dopo la mezzanotte che Wilson tirò un breve sospiro di sollievo.

Aveva dato importanza a quel momento e si sentiva stranamente eccitato nel sapere che c'erano altri giorni oltre quello della scadenza.

Abbracciò House, sorridendo e s'addormentò contro il suo petto.


“Quindi, vuoi lavorare qui?”

Lily alzò un sopracciglio, guardando House.

Lo conosceva di fama, come una persona molto irritante e certamente geniale che era sempre accanto al suo amico.

Soprattutto di recente.

“Già. Sono un medico.”

“Cosa succede?”

Johnson s'avvicinò al banco informazioni passando lo sguardo dalla sua impiegata ad House.

“Signor Collins...”

“Vuole lavorare qui.”spiegò Lily.

“Qui?”

“Sì, qui. Non era difficile da capire.”sbottò House.

Come mai era così difficile trovare un lavoro lì?

Sarebbe stato l'ideale! Viveva anche lì!

“Parliamone.”

House lanciò un'occhiata al cielo e seguì Johnson lungo il corridoio verso il giardino.

Il dottore dispensava sorrisi a tutti, chiedendo informazioni ad impiegati e pazienti.

“Perché vuole lavorare qui?”

“Devo pagare le spese delle cure di Wilson.”

Erano mesi che vivevano giorno per giorno senza pensare a trovare un lavoro.

Ed House non avrebbe permesso a Wilson di lavorare.

Non nelle sue condizioni.

“E cosa vorrebbe fare?”

“Sono un medico.”

Johnson lo guardava, divertito.

Aveva una luce nel suo sguardo che insospettì House.

“So chi è. La cosa che mi domando, prima di darle qualsiasi lavoro, è perché?”

House s'incupì.

Perché?

“So chi è”?

Ma di cosa...

“Cosa intende?”

Che sapesse davvero chi era?

“Perché un medico geniale come lei ha deciso di buttare la sua vita e tutta la sua ventennale e più carriera per fuggire qui in Giamaica? House, non sono un idiota. So che non esiste nessun Richard Collins, anche se i suoi dati sono stati inseriti nei database e sembra tutto nella norma.”

House strinse il bastone con forza.

Johnson sapeva.

Ed ora?
“Qualsiasi cosa abbia fatto, a meno che non esista un mandato di cattura internazionale, qui non importa. Lei ha la fedina pulita.”

“Solo vandalismo.”

House fece girare il bastone.

“Come sa chi sono?”

Johnson rise e tirò fuori dalla tasca un pezzo di giornale.

“Glielo volevo mostrare, prima o poi. Ma speravo che venisse da me a dirmi tutto. Speranza inutile, devo ammettere. Ma speravo che ci fosse fiducia tra colleghi.”

“Io non mi fido di nessuno.”

House aprì il foglio, rivelando un articolo di giornale, un po' ingiallito.

Era un articolo su di lui, interamente dedicato a lui, alla sua carriera ed alla sua morte.

“E' uscito appena lei è “morto” e l'ho conservato, anche se non ricordo il perché.”

“Lo dirà a qualcuno?”

House chiuse il foglio.

Non aveva voglia di sentire cosa gli altri avevano da dire su di lui.

Sicuramente cose sdolcinate come ogni volta che qualche genio moriva.

“Assolutamente no. Altrimenti inizierebbero a lottare per avere il famoso genio House nel loro ospedale.”


“Lo sa? Ed ora?”

“E' strano, vero? Non credevo di essere famoso anche qui in Giamaica!”

House ghignò.

“Sto parlando sul serio. Ed ora che si fa?”

House lo guardò, continuando a girare le omelette in padella.

“Cosa si fa?”

“House! Se lo dice alla polizia? Se ti arrestano? Se...”

“Mi arrestano per essermi finto morto? Credo che la polizia abbia di meglio da fare. Johnson ha promesso di non dire nulla a nessuno.”

“E tu ti fidi? Tu?”

House scodellò il cibo nei piatti.

Wilson lo fissava, agitato.

“Senti, non credo mi tradirà.”ammise.

Non sapeva perché, ma lo sentiva.

“E se dovesse farlo?”

“Ci penseremo allora. Mangia.”lo incitò.

“Perché hai cercato un lavoro?”

Wilson osservò il pranzo, senza toccarlo.

Aveva la nausea.

Era terrorizzato per la faccenda di Johnson.

Non aveva intenzione di perdere House e se qualcuno avesse scoperto che lui era ancora vivo forse avrebbe potuto sbatterlo dritto in prigione ed allontanarlo da lui.

“Sei in vena di terzo grado?”

“Voglio sapere. Abbiamo dei soldi da parte e...”

“Non dureranno per sempre, le cure sono costose e mi annoiavo a non fare nulla.”

“Le cure le pago io, House.”

“Certo.”

Cadde il silenzio e Wilson alzò lo sguardo su di lui, vedendolo impegnato a finire il pranzo e non rivolgergli lo sguardo.

“House...”

“Cosa?”

Wilson lo fissò incredulo.

Quello sguardo noncurante non lo stava incantando affatto.

House stava mentendo.

“Hai pagato tu le mie cure.”

House lo guardò.

“Stai vaneggiando.”

“Ciò spiega perché hai trovato lavoro qui e perché parlavi di cure costose!”

House alzò gli occhi al cielo, posando le gambe sul tavolo, accanto al viso di Wilson, che le scostò, irritato.

“Dimmi la verità.”

“Non mi credi.”

“Non ti credo perché non è vero! House...”

“D'accordo. Le ho pagate io.”

Wilson tacque di colpo.

L'aveva davvero fatto?

“House, sono 40.000 dollari, ma sei impazzito? Perché l'hai fatto?”

Era sconvolto! Erano tantissimi soldi, come mai aveva deciso di pagare lui?

House scrollò le spalle.

“Avevi bisogno di aiuto.”

“Non dei tuoi soldi! Ti avevo chiesto di andare a fare il versamento in banca sul conto della clinica, non di pagare con i tuoi soldi!”

Wilson sbatté il piatto sul lavello, arrabbiato.

“Si può sapere come mai sei così arrabbiato? Tu paghi le cose per me continuamente e...”

“Non voglio che tu....”

“Che io cosa? Stai facendo una questione esagerata su...”

“Non voglio che ti occupi di me.”

House lo guardò.

“Non voglio che tu impieghi tutta la tua vita a pulire il mio vomito od a sostenermi mentre ho un mancamento od a scopare con me perché...”

Wilson si portò una mano al viso, tacendo.

“Sei impazzito?”

“Stiamo andando troppo oltre, House. Io...non avrei dovuto coinvolgerti. Tu mi piaci e questo complica tutto. Complica tutto perché io posso rimanere ferito e mi sta bene.

Ma so che morirò e sarai tu a dover raccogliere i cocci.”

Wilson stava tremando.

House lo fissò per un lungo momento, senza sapere cosa fare.

“Cos'è successo?”

“Io...non...”

“Non la pensavi così in questi giorni ed oggi sei irritabile ed infastidito. Non credo che tu sia in quel periodo del mese per ovvi...”

“Jodie è morta oggi.”

House lo guardò, non capendo.

Jodie?

“Ti ricordi quella ragazza all'incirca di vent'anni che stava facendo la cura per la leucemia? Alta, carina, si sedeva accanto a me ed a John nelle sedute?”

“Ah. Wilson può...”

“Stava andando in remissione, House. Lei...stava migliorando e...è la stessa cosa che capiterà anche a me.”

“Non sapevo che tu sapessi leggere il futuro. Dev'essere un effetto colla...”

“Puoi essere serio per un fottuto momento?”urlò Wilson di colpo, cogliendo di sorpresa House.

“Posso morire, House!”

“Tutti noi moriamo, Wilson. Fa parte della vita e...”

“Ma non sanno quando. Io lo so. Io so che finirò per morire qui e non voglio trascinare anche te.”

“Credo che sia ormai troppo tardi, non pensi?”

“No. Devi...devi andare via.”

Cadde il silenzio.

House aggrottò le sopracciglia.

“Ascolta. Capisco che tu ti stia lasciando influenzare da ciò che è successo alla tua amica e...”

“No. Ci ho pensato....”

“Oggi. Ci hai pensato solo oggi ed hai iniziato a dare di matto sulle tue probabilità di morire e...”

“Voglio che tu te ne vada. Ho già distrutto la tua vita coinvolgendoti in questa situazione, spingendoti a fingerti morto per seguirmi ovunque volessi andare. Non voglio averti sulla coscienza, perché so che faresti qualcosa di molto stupido alla mia morte. Come bere fino a stare male o drogarti o peggio e non voglio.

House, ti prego.”

“Mi vuoi davvero mandare via?”

House era incredulo.

Il viso di Wilson era contratto dal dolore, le mani strette a pugno.

“No. Non voglio. Non...vorrei che tu potessi rimanere accanto a me, che mi stringessi la notte quando non mi sento bene, che mi prendessi in giro quando sono troppo pessimista e che stessi con me anche quando sto bene e credo di poter fare tutto.

Ma non posso. Non...non posso permettere che soffra anche tu.”

“Credi che non stia già succedendo?”

House ringhiò.

Pensava davvero che non soffriva quando lo sentiva urlare la notte, o quando non riusciva a mandar giù neanche un boccone senza vomitare, oppure quando lo vedeva singhiozzare in bagno, preso dalla paura e dallo sconforto?

“Appunto per questo devi...”

“Prendo io le mie decisioni, Wilson.”disse duramente. “Non sei stato tu a costringermi a fuggire via.”

“Ah, no?”

“Forse la tua situazione ha spinto la cosa, ma non avevo la minima intenzione di passare sei mesi in carcere. E di certo non mi fa piacere pulire il tuo vomito o sentirti singhiozzare o svenire.

Ma sei il mio migliore amico e tu hai fatto questo ed anche di più quando mi sono cacciato nei guai o stavo male. Te lo devo.”

“Sei qui perché me lo devi, quindi?”

House sbuffò.

Ma che aveva oggi?

S'avvicinò a lui in modo da avere i loro visi vicinissimi.

“Sono qui perché tengo a te. E non voglio che tu muoia.”

“Hai detto tu che tutti muoiono.”

“Già. Ed ancora non possiedo la capacità di farti vivere in eterno. Ma non permetterò che tu muoia oggi. O domani. Magari tra vent'anni o trenta quando avrai sposato la tua settima od ottava moglie e sarai circondato da figli e nipoti.”

“No.”

House sussultò.

“No?”

“Non voglio mogli, figli e nipoti.”

“Era quello che ti aspettavi di avere alla tua morte.”

“Voglio te, House.”

House abbozzò un ghigno.

“Prima mi vuoi cacciare via ed ora mi vuoi? Sei...”

House tacque perché Wilson gli aveva posato una mano sul collo e l'aveva attirato a sé per baciarlo.

Sentì la sua bocca tremante contro la sua e gli cinge la vita, puntellandosi sulla gamba buona per abbracciarlo.

“Sta' calmo. Andrà tutto bene.”mormorò quando Wilson posò il capo sulla sua spalla, tremante.

“Scusami. Io...”

House non disse nulla.

Lasciò che Wilson lo stringesse a sé, il panico che assediava i loro corpi come bile bollente e chiuse gli occhi.

  
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