I'm nothing
Come
ogni giovedì ero ancora chiusa in quella stanza bianca con
pochi
mobili, quella stanza in cui aspettavo di poter parlare con la
dottoressa
Miller, la mia psicologa. Sentivo la sua voce pacata attraverso il muro
in
cartongesso parlare con un cliente mentre io stavo seduta sulla solita
sedia
verde accanto alla porta.
Avevo capito chi era quel cliente. Un po’ mi faceva paura,
sapevo che
una volta aveva tentato il suicidio ma la madre l’aveva
bloccato poco prima che lui procedesse.
Era affacciato al balcone , non osavo immaginare la scena. E dopo
l’intervento
della mamma, trovavo spesso Dylan nell’ufficio della Miller.
Aveva sempre il
turno prima del mio ma non lo vedevo tutti i giovedì.
A volte c’era qualcun altro, persone che vedevo al massimo
una sola
volta al mese.
-Facciamo che per i prossimi giorni tu provi a scacciare via tutti i
pensieri negativi che affollano nella tua mente- sentii la Miller
consigliare
al povero Dylan, ragazzo depresso e quasi suicida.
-Ci proverò- rispose egli, ma non era poi
così convinto. Il suo
tono di voce la diceva lunga.
Intuii che la seduta di Dylan stava per terminare e a momenti sarebbe
arrivato il mio turno.
Non sono mai riuscita bene a capire perché, ma ogni volta
che dovevo
cominciare una delle mie sedute venivo assalita dall’ansia.
Mi strinsi nelle
spalle e poggiai le mie mani chiuse a pugno sulle mie cosce. Gettai un
respiro
profondo e cercai di rilassarmi.
Quando sentii Dylan e la dottoressa Miller salutarsi, le mie gambe
cominciarono leggermente a tremare.
La porta dell’ufficio si aprì e l’alta
figura del ragazzo sbucò fuori
da essa. Guardai Dylan dirigersi verso l’uscita della sala
d’attesa e tutta la
tristezza che lui mi trasmetteva era qualcosa di mostruoso.
Forse erano il suo viso pallido, il suo abbigliamento dai toni scuri e
la sua camminata ad angosciarmi. Anzi, togliamo il
“forse”.
Povero ragazzo. Avrei fatto così anch’io se fosse
morto mio padre, ma
per fortuna i miei problemi erano altri e soprattutto meno gravi.
-Leslie McGrey, vieni pure!- mi chiamò la Miller dal suo
ufficio.
Mi alzai sistemandomi la gonna beige che portavo lunga fino alle
ginocchia, respirai a fondo chiudendo e riaprendo subito dopo gli occhi
ed entrai in quella
stanza
azzurra, arredata in modo migliore rispetto a quella in cui aspettavo
l'ora della mia seduta.
-Salve- salutai la dottoressa sorridendole e chiudendo la porta alle
mie spalle.
-Ciao Leslie, accomodati- mi accolse la Miller indicandomi il solito
divanetto su cui io mi sdraiavo prima di cominciare a parlare. Posai la
borsa a
terra, vicino ai piccoli piedi lignei del mobile e mi sedetti composta.
La donna, dopo aver sistemato alcune carte sulla sua scrivania, prese
un blocnotes e una penna nera.
-Allora, tutto bene cara?- mi chiese ella con quel solito sorriso che
sapeva leggermente placare la mia ansia pre-seduta.
Annuii con la testa mentre lei si sedette sulla sua poltrona posta
vicino al divanetto su cui dovetti poi sdraiarmi. Mi distesi lentamente
e
cominciai ad osservare il soffitto.
-Sei ancora ansiosa?- domandò la Miller notando come le mie
gambe
tremavano.
-Sì, non riesco a non esserlo.
-Devi rilassarti Leslie, sai che non c’è nulla per
cui agitarsi. Dobbiamo
solo parlare- mi rassicurò ella come ogni volta.
-Lo so, ma è più forte di me- mi giustificai.
-Sai che non ti mangio, vero?- ironizzò la Miller. Sorrisi
sospirando,
sapendo perfettamente che la mia psicologa non mi avrebbe mai
aggredita. Anzi,
lei era là per ascoltarmi, per comprendermi.
-Non sono ansiosa per lei- confessai.
-E per cosa?
-Esternare le mie emozioni è diventato un problema per me.
La Miller cominciò a scrivere sul blocnotes.
-L’altra volta abbiamo detto che esternare ciò che
ci passa per la
testa fa bene, ricordi? Sei qui per questo- mi ricordò ella.
-Ha ragione- concordai. –Ma ultimamente se penso a
ciò che mi passa per
la testa sto male e pur di non soffrire evito di riflettere- aggiunsi e
chiusi
gli occhi. Gettai un respiro profondo e rialzai le palpebre. Nella mia
mente
apparve Louis, quel ragazzo che sapeva sconvolgermi la vita solo con
degli
sguardi e dei sorrisi, elementi semplici che però davano
sempre un effetto
decisivo alla mia emotività.
-Louis- disse la dottoressa Miller capendo subito a chi mi riferii con
quella frase. D’altronde quel ragazzo era il nucleo dei
nostri discorsi e non
passava nemmeno un giovedì senza parlare di lui.
-Esatto, penso ancora a lui- confessai.
-Allora sta diventando davvero un’ossessione- disse la donna
continuando a scrivere su quella pagina giallognola a righe.
-Già- affermai. -Non
riesco a togliermelo dalla testa, nonostante lei mi ha consigliato di
lasciar
perdere- dissi scuotendo la testa e portandomi una mano sulla fronte.
-Vi è capitato ancora di parlare in quest’ultima
settimana?
-Sì, un paio di volte.
-E cosa vi siete detti?
A quella domanda spremetti le meningi e cercai di ricordare
perfettamente ciò che io e Louis ci dicemmo quella volta in
biblioteca.
“Mi ero seduta ad uno dei tanti
tavoli della biblioteca con il libro e il quaderno di filosofia tra le
braccia.
Il giorno dopo avrei dovuto affrontare la prova e volevo cominciare a
studiare
almeno le prime pagine.
Quel pomeriggio non volevo
dedicarmi intermante allo studio, così ho deciso di
imparare i primi
paragrafi a scuola.
Dopo aver letto la prima pagina,
ho alzato lo sguardo e ho scorso la figura di Louis camminare tra i
tavoli.
A giudicare dai libri che teneva
stretti a sé, ho intuito che doveva fare qualche compito e
così ho cominciato a
sperare che si sedesse vicino a me. Sono morta di gioia quando
l’ho visto
avvicinarsi al mio tavolo. Mi stava guardando, mi sorrideva. Sembrava
tutto frutto
di un’allucinazione, ma Louis stava venendo da me per
davvero.
-Ehi Leslie!- mi ha salutato ma
non si è seduto. È rimasto là in piedi
fermo a guardarmi.
-Ciao Louis, come va?- ho
risposto al saluto e stranamente la mia voce non stava tremando.
-Bene grazie, tu?
-Anch’io.
-Che studi?- mi ha chiesto dando
una sbirciatina al mio libro aperto.
-Filosofia, domani ho un compito
in classe- gli ho
risposto, ma non
riuscivo più a guardalo in faccia, così ho
abbassato lo sguardo sulla superficie
del tavolo.
-Capisco.
Tra noi due si erano creati dei
secondi di silenzio imbarazzanti. Non sapevo più che dire e
l’unico rumore che
riuscivo a sentire era il battito accelerato del mio cuore.
Sì, era così forte
che mi sembrava di sentirne il rumore.
-Comunque volevo chiederti se sai
dove posso trovare un libro su Oscar Wilde- mi ha detto lui rompendo
quel
silenzio.
Purtroppo non ho saputo rispondergli e dopo esserci salutati se
n’è andato via
senza un libro che parlasse di Wilde. Non era colpa mia se non sapevo
in che
scaffale poteva trovarsi, ma mi sono sentita inutile per quello. Forse
se
avessi saputo rispondere a quella domanda avrei reso felice Louis e gli
avrei
risolto il problema. Invece per colpa mia doveva perdere altro tempo
per
cercare quel libro e se l’avesse trovato in seguito, di certo
non sarebbe stato
per merito mio.”
Mi
sfogai con la dottoressa Miller mentre lei annotò tutti i
minimi
dettagli del mio racconto sul blocnotes.
-Non dovresti dare troppa importanza a queste piccolezze- mi
consigliò
la donna con tono calmo, tipico di lei.
-Non sono io che scelgo di dar loro importanza, mi è
automatico-
esplicai gesticolando con le mani.
-Tu prova a non ascoltare i tuoi impulsi.
Certo, la Miller la faceva facile. A volte sentivo che lei era la donna
che sapeva capirmi meglio al mondo, altre invece avevo la strana
sensazione che
non riuscisse a comprendere i miei comportamenti.
-Non ci riesco.
-Potresti metterci più impegno- mi disse, ma io non aprii
bocca. –E un
altro episodio in cui vi siete parlati? Qual è stato?- mi
domandò infine.
“L’ho visto durante
l’intervallo
tre giorni fa. Ero giù in cortile con una mia amica e
stavamo parlando del più
e del meno. All’improvviso, però, siamo state
interrotte da Louis, il quale è
venuto da me per chiedermi se avevo una sigaretta da prestargli.
-Io non fumo- ho risposto
timidamente, un po’ vergognandomi.
-Tu ne hai una?- Louis ha provato
a chiedere anche alla mia amica ma nemmeno lei fuma.
-Che palle, non so più a chi
chiedere- si è lamentato lui. Evidentemente nessuno era
disposto a cedergli una
sigaretta, dato che ormai tutti si tengono i propri pacchetti ben
stretti, con
quello che costano. Sono diventati tutti tirchi, ma per fortuna io sono
fuori
dal giro del fumo.
-Grazie lo stesso, ciao eh- si è
allontanato Louis da noi mettendo le mani
nelle tasche del giubbino e poi, dopo averci dato le spalle, se
n’è andato.
L’ho seguito con lo sguardo come
se i miei occhi e il suo corpo fossero due calamite ad alta attrazione
e ho
visto anche Vivien, la sua ragazza. Vivien è bellissima,
anche lei dell’ultimo
anno come Louis, ma non fa parte della stessa classe di lui. Vederli
insieme,
per me, equivale a sentire una lama trafiggermi il petto. E
può sembrare un’esagerazione,
ma è proprio così che mi sento. Esageratamente
male.
Spesso mi chiedo io stessa perché
sono così ossessionata da Louis, ma non riesco mai a trovare
una risposta chiara che mi dia una certezza. Io so solo che lo amo,
anche se lui per me
non ha
mai fatto nulla di speciale. Lui ha Vivien e pensa costantemente a lei,
non a
me.
Mi ritrovo tutti i giorni a
maledire quella sera del ballo scolastico di inizio anno in cui ho
rivolto la parola
a Louis per la prima volta. Non dovevo fermarmi così a lungo
al banco del
rinfresco, non dovevo mettermi in disparte e imbottirmi di cupcake e
bicchieri
di punch. Invece l’ho fatto e proprio lì ho
parlato con Louis, quel ragazzo che
stava riempiendo un piattino di dolcini per la sua fidanzata.
Mi aveva chiesto solo se c’erano
cupcake alla crema ma da quella richiesta abbiamo cominciato a
scambiarci qualche parolina e ci siamo presentati. Per me è
stato come un
colpo di fulmine,
anche se avevo adocchiato Louis già dagli anni precedenti.
Ma no, prima di
quell’incontro al ballo non ero così ossessionata,
non ero innamorata. Riuscivo
a vivere serena, ad essere la ragazza spensierata che sono sempre
stata. Louis
è riuscito a cambiare tutto di me pur non facendo nulla.
Sono bastate solo
delle piccole chiacchiere ad accendere il mio fuoco, accompagnate da
sorrisi e
da due occhi blu.”
Non
era la prima volta che la Miller sentiva delle parole simili uscire
dalla mia bocca, ma in quel momento sentii il bisogno di esternare quei
pensieri ancora una volta. Mi era concesso, perché non farlo
di nuovo?
Quei ricordi furono come uccelli che prendono il volo quando la gabbia
in cui erano rinchiusi viene aperta.
Fu davvero una liberazione.
-Pensi ancora che Louis possa provare qualcosa per te? O credi di voler
cambiare idea?- mi chiese la psicologa accavallando le gambe e
poggiando il suo
blocchetto su una coscia.
-Pensare che lui provi qualcosa per me è da stupidi- dissi.
–L’ho
pensato solo all’inizio, adesso invece ho aperto gli occhi-
continuai e le mie
labbra cominciarono a vibrare. Le lacrime stavano per scendermi sulle
guance ma
io provai a trattenerle.
-Spiegati meglio- mi incitò la Miller ad esplicarmi in modo
più
dettagliato. Le piaceva scavare in fondo alle mie emozioni, anche se
ciò
comportava ferirmi.
-Io non sono niente, niente per lui- dissi con voce rotta, tipica
di quando cerco di trattenere le lacrime e i singhiozzi.
–Louis non mi
abbraccerà mai, non mi chiederà mai di uscire,
non mi amerà mai- aggiunsi,
quella volta liberando una goccia d’acqua salata
permettendole poi di rigarmi una
guancia. –Mai- ripetei.
-Devi cercare di distrarti e di concentrarti su altre persone. Forse
non te ne sei accorta, ma può darsi che un ragazzo stia
aspettando che tu lo
noti da tempo.
Le perle di saggezza della dottoressa Miller mi hanno sempre
confortata, ma quella volta nessuna frase avrebbe potuto farlo.
-A me non importa niente degli altri ragazzi perché i miei
occhi vedono
solo Louis- dissi aumentando le lacrime e provai ad asciugarmi gli
occhi con il
dorso di una mano. La psicologa mi passò un fazzoletto e io
mi
pulii le guance dal
trucco sbavato con esso. Lo passai piano sulla pelle, poi lo
accartocciai e
lo tenni stretto in un pugno.
Alzai il busto dal divanetto e mi misi seduta, stanca di vedere
proiettate le immagini di Louis sul soffitto bianco della stanza.
-Leslie, vedrai che prima o poi questa tua ossessione per Louis
svanirà, non preoccuparti.
Annuii in silenzio e tirando su con il naso. Sistemai una ciocca di
capelli dietro un orecchio e cominciai a fissare il vuoto. La lacrime
continuavano a scendere piano sul mio volto ringandolo di grigio.
In quel momento avrei voluto tanto ricevere il calore di una persona,
sentire la presenza di qualcuno che sapesse calmarmi non solo con le
parole.
-Posso abbracciarla?- chiesi alla Miller alzando lo sguardo su di lei.
-Certo Leslie- accettò ella e allargò subito le
braccia per accogliermi.
Mi alzai dal divanetto e mi chinai sulla dottoressa per poi stringerla
a me. Le
sue braccia avvolsero con dolcezza la mia schiena e cominciai a
piangere più
intensamente. Sapevo che un abbraccio avrebbe aumentato la produzione
delle mie
lacrime, ma sapevo anche che mi avrebbe fatta stare meglio.
Mentre tornavo a casa, pensavo alla frase della Miller che continuava a
risuonarmi in testa: “Leslie, vedrai
che
prima o poi questa tua ossessione per Louis svanirà, non
preoccuparti”.
Non sapevo se esserne felice o triste. Ne sarei stata felice se un
giorno
fossi riuscita a liberarmi di un masso così grosso che mi
schiacciava il cuore,
ma allo stesso tempo ne sarei stata triste perché non avevo
alcuna intenzione
di distogliere la
mia attenzione da Louis, anche se il mio umore ne risentiva.
Il fatto era che vedere Louis amare un’altra ragazza mi
faceva stare
male, ma era più forte di me non pensare a lui e a tutti
quei piccoli
particolari a cui io davo troppa importanza.
Il mio unico desiderio era quello di valere, di essere importante per
lui, di esser Vivien. Ma no, ciò che mi spettava da fare era
osservare Louis da
lontano, accontentarmi delle minuscole chiacchierate e di immaginare i
suoi
occhi e il suo sorriso brillare per me.
Col tempo, però, scoprii che la dottoressa Miller aveva
ragione e che
la mia ossessione per Louis non era destinata a durare a lungo.
Dopo qualche mese conobbi un ragazzo splendido, Niall Horan, ad una
festa di amici comuni. Grazie a lui scoprii nuove emozioni e riuscii
finalmente
a placare la mia pazzia per Louis.
Niall mi insegnò non solo ad amare ciò che potevo
avere, ma ad amare anche me
stessa. È per
merito suo se adesso non
mi considero più una ragazza vuota e senza alcun valore; lui
mi fa sentire
piena e io adoro questa sensazione.
Io e Louis, dopo che lui ebbe finito l’ultimo anno, non ci
siamo più
rivisti e ad accompagnare lo svolgimento della mia vita ci fu, e
c’è ancora, il
mio ragazzo Niall, l’unico e il solo che ha saputo farmi capire
quanto è bello essere
amati.
FINE
IO NON SONO NIENTE PER LUI.
quante volte ci siamo dette questa frase pensando al ragazzo per cui ci siamo prese una bella cotta?
io, personalmente, TANTISSIME.
e la sensazione è davvero brutta, ci fa sentire vuote e inutili, forse anche pò stupide.
questa oneshot non è nata solo ripensando ad alcune mie vicende personali, ma tutto è cominciato con la gif che sta sopra.
quando l'ho trovata mi sono detta: "qui ci sta una storia!".
..ed ecco questa oneshot ricca di emozioni, ma soprattutto riflessioni.
amare qualcuno senza essere ricambiati è una delle cose più dolorose al mondo e, sapendo che MOLTE ragazze sono passate per questa esperienza, ho pensato di scrivere e pubblicare questa storia.
nonostante il tema sia triste, ho cercato comunque di far finire bene questo racconto, sperando che possa portare il SORRISO e un pò di SPERANZA a chi, in questo periodo, sta passando una storia molto simile a quella di Leslie.
voi che ne pensate? vi è piaciuta?
vi ringrazio per aver letto e per essere arrivate fin qui! GRAZIE MILLE.
see you soon, Julie❤
ps: molto probabilmente la gif da cui mi sono ispirata è una scena tratta da un film, ma io ammetto di NON averlo mai visto.
se l'avete riconosciuto, sapreste dirmi il titolo? grazie in anticipo c:
twitter: @JulieMary_x