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Autore: moira78    17/03/2013    3 recensioni
[Maison Ikkoku]
E vissero per sempre felici e contenti... ma sarà stato proprio così? Nella quotidianità della vita familiare ci sono sempre mille problemi da affrontare e Kyoko e Godai non fanno eccezione: per loro convolare a giuste nozze è solo l'inizio di un'avventura costellata da novità, problemi, sorprese e, tanto per cambiare, vicini invadenti!
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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STAGIONI - PARTE TERZA

INVERNO

La strada scivola sotto le ruote e il vento sembra volerci spingere indietro; non c'è una visibilità ottimale e neanche il tergicristalli è sufficiente. Però io vado avanti per la mia strada, manovrando il volante come se dovessi far decollare la vettura: le due donne alle mie spalle urlano di dolore, pregandomi di fare presto, ma sto già facendo del mio meglio per non schiantarmi contro il guardrail e mantenere allo stesso tempo una velocità sostenuta.

Quando finalmente scorgo l'ospedale mi sembra di aver compiuto un'impresa titanica: mi volto verso le mie passeggere sfoderando uno dei miei migliori sorrisi ma mi accolgono solo altre urla. Prendo in mano la situazione, apro loro lo sportello e le faccio appoggiare rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra, chiamando aiuto a gran voce all'entrata del Pronto Soccorso.

Un'infermiera esce dalla penombra come un'apparizione e mi chiede cosa stia accadendo: "Queste due donne sono in travaglio, una di loro è in anticipo di più di un mese!", ansimo tentando di sorreggerle mentre si contorcono all'ennesima contrazione: sembra siano sincronizzate nell'averne quasi nello stesso momento.

La donna si affretta a tirare fuori due sedie a rotelle sulle quali, non senza qualche difficoltà, facciamo accomodare le partorienti. "E sono entrambi figli suoi?", mi domanda inarcando un sopracciglio e guardandomi con sospetto.

Oh, Kami, che situazione ambigua...

"Beh, ecco, io veramente...".

***


"Santa pazienza, Akemi, ma ti sei bevuta il cervello?". Le sembrava di essere tornata indietro di qualche mese, quando rimproverava la donna perché credeva bevesse birra in gravidanza.

Per tutta risposta, la rossa si ravviò i capelli dalla fronte e ne soffiò via una ciocca, prendendo una sorsata e facendo schioccare la lingua sul palato con evidente soddisfazione. "Ah, quanto tempo! Mi mancava questo sapore".

Kyoko continuava a guardarla, senza capacitarsi di quel che vedeva; le tolse la lattina dalle mani, cercando la dicitura 'analcolica' quasi con frenesia. Ma non la trovò.

"Ridammela!", rimbrottò Akemi riprendendosi il maltolto e bevendo una secondo sorso. "Non guardarmi come se fossi pazza, me l'ha detto il medico che ogni tanto posso bere se faccio molta attenzione alla quantità; l'ho solo scoperto troppo tardi... e poi manca una settimana al termine del tempo, concedimi uno strappo alla regola prima del gran finale!".

Già, sarebbe stato proprio un gran finale: lo sapeva bene, lei, che il parto non era certo una passeggiata di salute. Aveva ancora un flash delle proprie dita che si conficcavano a sangue nel braccio di Yusaku, quasi volesse infliggergli una parte della sua stessa sofferenza: si chiese come l' avrebbe sopportata Akemi, così poco avvezza ai sacrifici.

Improvvisamente si ritrovò con una lattina sotto al naso e guardò l'altra donna senza capire. "Coraggio, bevine una anche tu! Te la puoi concedere, visto che stai per entrare nell'ottavo mese!". Già, ormai mancava davvero poco; le sembrava fossero passati solo una manciata di giorni da quando scommetteva con suo marito che sarebbe stata un'altra femminuccia mentre lui si dichiarava convinto che stavolta avrebbero avuto un maschietto.

"Oh, no, io...". In realtà anche a lei il medico aveva detto qualcosa del genere sull'alcool: dopo averle prescritto una dieta e degli integratori, aveva sottolineato che in linea di massima il consumo di alcolici era altamente sconsigliato in gravidanza, ma poteva ugualmente concedersi una birra di tanto in tanto, purché ne limitasse la quantità e stesse alla larga dai liquori forti.

"Andiamo, ne ho portate due apposta... mica vorrai farle bere a me sola! Ho già superato il livello di guardia". Scosse brevemente la lattina, come a rendergliela più invitante, spruzzandole goccioline di condensa gelida sul viso.

Anche quel giorno le gocce di pioggia erano fredde e le sferzavano il viso, ricordò improvvisamente.

Yusaku aveva aperto l'ombrello, stringendola a sé e l'aveva accompagnata allo studio medico con un sorriso che mascherava tutta la sua trepidante aspettativa. La pancia era piuttosto pronunciata e il dottore, dopo averla cosparsa del solito gel appiccicoso che le ricordava la gelatina di frutta, stava passandovi lo strumento che permetteva loro di vedere il feto; quella volta non era rannicchiato come al solito e avevano tutti potuto scorgere la verità: Haruka avrebbe avuto un fratellino! Ricordava le lacrime che le spuntavano ai lati degli occhi mentre Godai rideva e saltellava come un bambino; avrebbe avuto la coppia perfetta che tutti i genitori sognavano!

Decise che una birra non le avrebbe potuto fare troppo male.

Alla salute...

Il sapore le esplose in bocca in un tripudio di schiumosità che le invase il cervello: non ricordava quanto fosse buona! Anche il bambino dovette avvertirlo, perché fece una capriola provocandole un sussulto: "Wow, pare che piaccia anche a lui!".

Akemi annuiva con aria complice. "Te l'avevo detto! Non vedo l'ora che i nostri marmocchi crescano per farli unire alle nostre feste! Come hai detto che lo chiamerete voi?".

"Fuyushi", mormorò posando una mano sul pancione come se potesse indurlo a calmarsi.

"Ah, figlio dell'inverno! Di questo passo avrete un bambino per ogni stagione!", rise Akemi reprimendo un singulto.

Andando più a ritroso nel tempo, Kyoko ricordò le parole che Yusaku aveva pronunciato quando aveva scoperto che stava per diventare padre per la seconda volta: aveva detto che voleva almeno dieci bambini. Se veramente fosse stato come diceva Akemi, le quattro stagioni non sarebbero state sufficienti! Doveva ammettere che non le sarebbe dispiaciuta una famiglia numerosa, ma purtroppo si stava rendendo conto di quanto fosse diventato grave il problema dello spazio e della convivenza con gli altri inquilini. Sapeva che anche suo marito, anzi, soprattutto lui sentiva il peso di quella problematica prettamente logistica e se ne assumeva l'intera responsabilità; per cui aveva evitato accuratamente di parlarne, ma ora si ritrovava a sperare con tutto l'ardore di cui era capace che lui trovasse una soluzione. Si accarezzò di nuovo il ventre all'ennesimo movimento del bambino: cominciava ad avere delle fastidiose fitte alla schiena.

"Anche il mio è inquieto, si vede che già gli piace la birra!", esclamò la rossa emulandone il gesto. "Notizie di Godai?".

Fece appena in tempo ad aprire la bocca, quando squillò il telefono; mentre passava per il corridoio, notò che la nevicata aveva assunto l'aspetto di una vera e propria tempesta, con il vento che urlava e gli alberi che si piegavano ed ebbe un brutto presentimento mentre alzava la cornetta. L'inverno era giunto improvvisamente e con una prepotenza tale che già se ne parlava come del più rigido del secolo.

"Tesoro, scusa se ti chiamo solo ora per dirtelo...". E in effetti le sue peggiori paure ebbero conferma: Yusaku e Haruka erano bloccati al nido d'infanzia insieme ad altri bambini e maestre, e si stavano attrezzando per passare la notte lì. Quella mattina, quando erano usciti, c'era un timido sole nonostante la neve caduta qualche giorno prima; nel pomeriggio invece avevano fatto capolino nuove, minacciose nuvole e la situazione meteorologica era precipitata così come la temperatura.

"Ma come farete per le provviste?", chiese stringendo la cornetta fino a farsi sbiancare le nocche. Suo marito era adulto, ma la bambina non poteva rimanere digiuna!

"Oh, non preoccuparti! Dimentichi che qui allestiscono la mensa, quindi c'è da mangiare per giorni!". Che stupida, l'aveva proprio scordato; era talmente abituata a preparare i pasti per Haruka che, anche dopo parecchie settimane che Yusaku la portava con sé, non smetteva di infilare nel suo zainetto panini e onigiri. "Non che vogliamo rimanere qui a lungo, naturalmente".

A quella frase le si torsero le viscere e Kyoko si lasciò sfuggire un lamento strozzato.

"Che succede? Tutto bene?", le chiese allarmato. Poteva essere solo una reazione psicologica, ma le parve improvvisamente lontanissimo, come se si trovasse in un altro continente piuttosto che a qualche chilometro di distanza.

"Sì... sì, sto bene, non preoccuparti". Ora il mal di schiena era decisamente più forte e non vedeva l'ora di stendersi un po'. D'un tratto si sentiva stanchissima.

"Mi dispiace lasciarti sola, stanotte". Sorrise lievemente, avvertendo la sua preoccupazione. L'idea che rimanesse lì con sua figlia non le piaceva neanche un po' ma era inutile aggiungere benzina sul fuoco.

"Ma no, stai tranquillo! C'è Akemi qui con me, se la tempesta ha bloccato voi è molto probabile che debba fermarsi a sua volta a Casa Ikkoku". Lo sperava davvero. Ichinose era partita un mese prima per seguire il marito in uno dei suoi viaggi di lavoro: il buon uomo aveva deciso che, con un figlio ormai grande quasi sempre fuori di casa, la moglie doveva pur avere la compagnia di un familiare. Per cui l'aveva portata con sé, con la promessa di tornare in tempo per il parto di Akemi. Quest'ultima aveva deciso di farle visita nel pomeriggio, sapendola sola, 'per festeggiare gli ultimi giorni di libertà', aveva detto. Come avesse potuto giungere lì così disinvoltamente con quel pancione che la precedeva per lei era un mistero: gli ultimi giorni prima della nascita di Haruka riusciva a malapena a rialzarsi da una sedia!

"Già, dimenticavo. E poi c'è Soichiro a fare la guardia: l'hai fatto entrare, immagino". Nonostante il tono leggero, capiva che a suo marito non andava affatto a genio che due donne passassero la notte da sole in una pensione deserta. Se solo non se ne fosse andato anche Yotsuya con la scusa della settimana bianca...

"Ma certo che l'ho fatto entrare, ora dorme vicino alla stufa. Tu abbi solo cura di far mangiare Haruka e coprirla bene per la notte". Se avesse potuto volare fino all'asilo per portare alla sua bambina la trapunta più calda l'avrebbe fatto.

Una fitta ai reni la convinse a chiudere la conversazione e tornò da Akemi quasi piegata in due.

"Guai a te se mi fai bere di nuovo! Questa piccola peste crede di essere sulle montagne russe!", disse mentre tornava dalla sua ospite. Voleva alleggerire la tensione, convincendosi che sarebbe andato tutto bene nonostante i treni bloccati e suo marito lontano, mentre sulla città imperversava la nevicata più violenta che avesse mai visto in vita sua.

Ma il sorriso che si era incollata alle labbra si spense velocemente quando vide Akemi in piedi, al centro della stanza numero sei, che era stata la sua fino a tre anni prima; si teneva il pancione e una pozza d'acqua si allargava ai suoi piedi.

"Credo... di essermela fatta addosso", mormorò la donna mordendosi le labbra: a Kyoko parve d'improvviso di vivere dentro a un incubo.

***


"Ti si sono rotte le acque". Il tono dell'amministratrice era fermo e controllato.

Che? Le acque? Adesso?!

Oh, quindi era così che accadeva! Ti sentivi come strappar via le viscere con un violento strattone e cominciava a colarti quel liquido per le gambe come se avessi perso il controllo della vescica. E le fitte? Anche quelle erano normali?

"Akemi, siediti, prendo uno straccio e chiamo l'ambulanza. Cioè, prima chiamo l'ambulanza e poi prendo uno straccio... oh, al diavolo!". Alla faccia del controllo: Kyoko stava fingendo di essere calma, in realtà era LEI quella che se la stava davvero facendo sotto.

"Non devi chiamare nessuno, manca una settimana!", borbottò appoggiandosi al muro. Se il termine era quello, il bambino non doveva nascere prima!

"Dal momento in cui si rompono le acque possono passare ore. Anche un giorno, ma se è successo stasera vuol dire che tuo figlio è pronto per uscire, che sia scaduto il termine o meno!".

"Davvero?". Quando era andata dal medico non aveva parlato di una possibilità del genere e si trovò nel panico. "Ma... ma io non sono pronta e fuori c'è una tormenta di neve!".

Kyoko si era già allontanata. La udì parlare con voce concitata al telefono e sprofondò nel terrore più nero quando la sentì esclamare: "Che vuol dire che non ci sono ambulanze?! La mia amica sta per partorire!".

Akemi si lasciò sfuggire un lamento: non doveva accadere così, senza un medico, lontana dal marito e con un tempo del genere! Si era sempre immaginata quel giorno come pieno di sole e di infermiere che l'attorniavano pronte a esaudire ogni suo desiderio: un buon the caldo, antidolorifico quando avesse provato dolore e la mano di Hideo da stritolare a ogni contrazione.

"Lo vedo anch'io che c'è una tempesta di neve, ma... cosa? Sì, mi dia il numero". Quella conversazione telefonica le piaceva sempre di meno. E anche il dolore che andava aumentando; l'ennesima fitta le strappò un grido e la fece crollare per terra: era come se le avessero appena stretto il bassoventre con delle tenaglie giganti.

"Akemi?!". Ora l'apprensione era evidente nella voce di Kyoko che si precipitò di nuovo nella stanza ansimando.

"Quando arriva l'ambulanza? Mi fa male!", pianse isterica; non poté fare a meno di notare che neanche l'amministratrice era particolarmente in forma: sudava copiosamente nonostante la temperatura esterna.

"Mi... mi hanno dato un altro numero per le emergenze ma pare che tutte le ambulanze siano in giro a soccorrere chi è rimasto intrappolato nelle vetture o altrove e rischia l'assideramento. E quelle rimaste non sono attrezzate per muoversi con questo tempo...". Le tremavano la voce, le mani e le gambe e a un certo punto cadde a sedere a sua volta.

"Chiama mio marito", disse prima di ricordarsi che le avevano staccato il telefono per un guasto la settimana prima e che comunque era impensabile mettersi in marcia con delle futili catene da neve con un vento così forte: vedeva chiaramente i fiocchi gelidi sferzare i vetri quasi in orizzontale e il gemito delle finestre sembrava quello di un'anima in pena.

Kyoko si era alzata da terra, aggrappandosi allo stipite, e la vista le si annebbiò quando cominciò ad avere l'ennesima contrazione.

Aprì la bocca per fermarla, era inutile chiamare, non sarebbe servito a niente, piuttosto, che diavolo c'era? Perché si piegava in due così, stava male anche lei? Non era possibile, era a malapena all'ottavo mese, non c'era possibilità che...

Osservò affascinata, come al rallentatore, il liquido chiaro bagnare il pavimento a poca distanza da dov'era raggomitolata e si stupì della cronologia tragicamente perfetta dell'avvenimento. Dell'intero pensiero che l'aveva attraversata poco prima le uscì dalle labbra solo un "Ah!" che era per metà di dolore e per metà di sorpresa.

A quanto pareva quella notte sarebbero nati due bambini a Casa Ikkoku.

***


No, non era possibile, il fato si stava avventando su di lei con violenza pari alla tormenta che imperversava sulla città: se il figlio di Akemi aveva scelto il momento peggiore per decidere di venire al mondo, il suo lo batteva sotto tutti i punti di vista. Kyoko aveva sentito che poteva accadere di avere un parto prematuro e che questo poteva portare a un insufficiente sviluppo dei polmoni nel feto. Certo, era in anticipo solo di poco più di un mese, ma di certo avrebbero avuto bisogno entrambi di cure adeguate.

Ma non ne avrebbero avute quella notte, non finché non avesse smesso di nevicare.

Il panico rischiò di travolgerla, intensificando il dolore, così si impose di mantenere il controllo; fece dei respiri lunghi e profondi e quando parlò la sua voce era più ferma: "Akemi, stammi a sentire. Dobbiamo tenere duro fino a domattina, è chiaro? Cerca di calmarti e per amor del Cielo, qualunque cosa tu senta... non spingere!".

La donna la fissò con gli occhi di fuori: appoggiata al muro, con le ginocchia flesse come se stesse già assumendo una posizione consona al parto, i capelli spettinati e le labbra tremanti per lo shock, sembrava sul punto di avere una crisi isterica. "Fino a domattina? Non spingere? Kyoko, tu sei ubriaca, vero? IO sto per partorire, TU stai per partorire e dovrei stare calma?!".

"NESSUNA delle due sta per partorire, mi hai sentito?", gridò. Doveva prendere in pugno la situazione, lei che ci era già passata, e tentare di arginare la situazione disastrosa che si stava profilando. "Ora ascoltami, quando ero in attesa di Haruka e mi si sono rotte le acque sono stata in travaglio per quasi dieci ore". Sapeva che non era una regola e che anzi dalla rottura delle acque nei casi normali le ore erano cinque o sei, ma non voleva neanche immaginare una possibilità del genere.

"Ma come è potuto succedere... proprio stanotte e nello stesso momento!", pianse Akemi tentando di rialzarsi.

Già, come era potuto succedere? Possibile che la birra avesse dato una sveglia improvvisa ai due nascituri che avevano già voglia di festeggiare? Era inutile, però, perdersi in quei pensieri: non era la causa a preoccuparla, adesso, ma le conseguenze. Cosa avrebbero fatto se fossero state costrette a partorire in casa? Pur avendo avuto già una figlia non credeva affatto di essere in grado di provvedere da sola a un bambino prematuro, tantomeno a farne nascere un secondo. Doveva fare qualcosa, chiamare Yusaku e pregarlo di venire ad aiutare. Si alzò lentamente e, appoggiandosi al muro, si diresse di nuovo verso il telefono.

"Dove vai?", strillò Akemi, isterica.

"Chiamo Yusaku", rispose.

"Ma se è bloccato all'asilo! E non ha nemmeno una macchina, come pensi che possa aiutarci?". Non ci aveva pensato; stava seguendo il proprio istinto ma non aveva riflettuto affatto sulla possibilità concreta che aveva suo marito di fare qualcosa. L'avrebbe solo allarmato, magari inducendolo a uscire a piedi in quella tormenta e facendogli rischiare a sua volta di dover chiedere soccorso.

Si lasciò ricadere in ginocchio, tentando di mettere in ordine le idee. "Ogni quanto le hai?".

La rossa la fissò senza capire.

"Le contrazioni! Ogni quanto le hai?". Almeno poteva fare una stima approssimativa di quanto tempo avessero o se dovesse cominciare a prendere seriamente in considerazione l'idea di partorire in casa.

"E che ne so? Mica mi sono messa a contare!". Ormai Akemi era fuori controllo, così le si avvicinò, tentando di calmarla.

La guardò negli occhi e parlò lentamente come se dovesse insegnarle una lingua sconosciuta: "Ok, adesso respira e ascoltami, se ti agiti fai male a te e al bambino". Attese qualche secondo e solo quando l'altra annuì continuò: "Adesso devi, anzi dobbiamo prendere il tempo che passa tra una contrazione e l'altra. Solo così possiamo capire quanto tempo manca, indicativamente, al parto".

"E meno tempo passa meno manca, giusto? Come quando si avvicina un temporale e si calcola l'intervallo tra il lampo e il tuono". L'esempio era abbastanza calzante, notò con piacere, per cui poteva ufficialmente dichiarare che aveva ricollegato il cervello.

"Esattamente! Ora rilassati e guarda l'orologio sulla parete, intesi?". Akemi annuì di nuovo e Kyoko le sedette accanto, pregando tutti i suoi antenati e perfino l'ex marito che tutto finisse nel migliore dei modi.

***


Dannato telefono rotto! Dovevano ridargli la linea almeno due giorni prima e invece era ancora isolato! Quanto ci voleva a risolvere quel maledetto guasto? Scosse la testa: non avrebbe dovuto lasciare che Akemi lo convincesse, quella volta, non con meno di sette giorni alla scadenza del termine. Invece l'aveva accompagnata in macchina fino alla Maison Ikkoku, quella mattina, nonostante le previsioni meteo fossero tutt'altro che buone.

"Puoi venirmi a prendere verso sera, voglio proprio farmi un'ultima bevuta di buon auspicio con Kyoko prima del lieto evento!", gli aveva detto con un sorriso al quale non aveva saputo dire di no; quando, nel pomeriggio, la nevicata aveva cominciato ad assumere dimensioni importanti, Hideo si era precipitato in macchina con l'intenzione di riportarla a casa prima che accadesse l'impensabile e aveva constatato con orrore che la batteria dell'auto era completamente scarica, complice il gelo.

"Forza, muoviti! Fino a stamattina funzionavi, disgraziata!", aveva imprecato girando la chiave e schiacciando la frizione in modo convulsivo, ottenendo solo un borbottio sfiatato dal motore che diventava sempre più flebile a ogni tentativo. Si era fermato, aveva fatto riposare il veicolo e aveva riprovato dopo qualche minuto, ma il risultato era stato di volta in volta meno efficace, finché l'unico rumore che ottenne fu quello della chiave che girava a vuoto: un 'click' insignificante che non si trasmetteva neanche debolmente a un motore ormai non più alimentato. Aveva sbattuto i pugni sul cruscotto insultando l'auto con improperi che neanche immaginava di conoscere fino a un'ora prima, dopodiché si era arreso all'evidenza ed era tornato a casa con l'intenzione di provare nuovamente il telefono: se Akemi fosse dovuta rimanere a Casa Ikkoku, voleva avere almeno la certezza che stesse bene.

La verità era che aveva un pessimo presentimento: la nevicata, l'auto che non andava, il telefono rotto e non ultimo il rametto di the andato a fondo nella sua tazza qualche ora prima (1). Tutti segni nefasti di una tragedia imminente.

Sbatté il telefono sulla forcella, maledicendo il fato, quindi si mise a fissare la natura che urlava gelo e vento dietro i vetri: non si sarebbe dato pace fino a che non avesse saputo che sua moglie stava bene. Poteva assicurarsene se avesse trovato un telefono pubblico! L'idea lo colpì come una benedizione e si dispose a coprirsi per uscire nella tempesta. Nulla l'avrebbe fermato.

***


"Tesoro? Quando stavi per partorire, ogni quanto avevi le contrazioni?". Era una domanda bizzarra quella che le aveva appena posto suo marito. Fuori imperversava una tempesta di neve che sembrava voler buttare giù le mura di casa e i bambini erano eccitatissimi all'idea di costruire un pupazzo di neve gigante, il giorno dopo. Le era costato una certa fatica metterli a letto e aveva dovuto raccontare loro la fiaba della Signora delle Nevi per farli addormentare; stava pensando di andare a fare un bel bagno caldo quando era squillato il telefono.

"Vado io!", aveva urlato Shun precipitandosi all'apparecchio. Grata delle sue premure, Asuna si era infilata nel suo accappatoio più morbido mentre la vasca si riempiva e aveva sbirciato in corridoio per capire chi chiamasse a quell'ora. immaginava potesse essere sua madre o lo stesso zio di suo marito, preoccupati che non fossero in casa con quel tempo.

Ma quando udì la domanda che Shun le poneva con una certa apprensione rimase basita e anche un po' confusa. "All'inizio le pause erano di circa venti minuti, poi sono diventate sempre più frequenti, ma perché me lo chiedi?". Fu mentre parlava che si rese conto di chi potesse trovarsi dall'altra parte del telefono.

Le si gelò il sangue nelle vene, come se si trovasse fuori nella tormenta piuttosto che dentro casa avvolta in un accappatoio. Spalancò gli occhi, leggendo la risposta in quelli di suo marito: Akemi e Kyoko erano in dirittura di arrivo rispettivamente del primo e del secondo figlio, chi delle due era così disperata da chiamare Shun in una notte come quella? All'amministratrice di casa Ikkoku mancava ancora qualche settimana, se ricordava bene, perciò...

"Va bene, Akemi, ora stai calma e ascoltami: non hai altro modo per metterti in contatto con tuo marito?". Stava dicendo tentando evidentemente di calmare la sua interlocutrice. Aveva ragione: si trattava di Akemi. E doveva essere anche particolarmente agitata, poverina, perché sentiva la sua voce uscire dalla cornetta nonostante si trovasse ad almeno due metri di distanza. Shun dovette allontanarla dall'orecchio e lei colse le parole 'piccione viaggiatore'; Kami, era davvero confusa!

"Ok, ascoltami bene: ho un fuoristrada in garage, il tempo di mettere le catene e sono da voi. Va bene. A presto". Adesso Asuna era davvero sconvolta: dove voleva andare con quel tempaccio, suo marito? Era davvero una situazione così grave? Non c'erano ambulanze per situazioni come quella?

Shun dovette leggerle tutte quelle domande negli occhi, perché rispose a tutte: "Akemi e Kyoko sono intrappolate a Casa Ikkoku; anche Godai è bloccato sul luogo di lavoro. Sono sole e non ci sono mezzi di soccorso disponibili".

"Oh...", riuscì solo a dire, consapevole che il gesto quasi eroico di suo marito era davvero necessario; sapeva che era abile alla guida e se quella poveretta aveva bisogno di aiuto era ben lieta che potesse averlo trovato. Tentò perciò di nascondere la propria apprensione ma non poté fare a meno di domandare: "Suo marito non ha la macchina?".

"Sì ma il loro telefono è fuori uso e non riescono a mettersi in contatto con lui. Inoltre con la sua utilitaria, in questa tempesta, rischierebbero di rimanere bloccati". Stava già vestendosi con maglioni pesanti e scarponi da neve, mentre parlava. Si rese conto di essere quasi più preoccupata per la donna che si trovava per la prima volta di fronte a un evento importante come quello senza l'appoggio del suo uomo, che per Shun.

"Ogni quanto ha le contrazioni?", domandò porgendogli cappotto e sciarpa.

"Entrambe ogni dieci minuti circa", rispose infilandoseli velocemente.

"Oh, ma allora è proprio ora!". Sbatté le palpebre, improvvisamente conscia delle sue parole. "Entrambe?".

Shun stava già aprendo la porta di casa e i primi fiocchi di neve vorticarono fino all'ingresso. "Non te l'ho detto? Anche Kyoko è in travaglio".

***


Kyoko riaprì gli occhi e tentò di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava: non le pareva di essere nella propria e non ricordava neanche di essersi addormentata. Mentre cercava di ricostruire il puzzle degli eventi fu colta da una fitta lancinante che le tolse il respiro, impedendole persino di urlare.

Ora ricordava! Lei e Akemi erano sole in casa e, caso piuttosto raro nonché sfortunato, erano entrate in travaglio quasi nello stesso momento. Ricordava di averle detto di guardare l'orologio per capire ogni quanto arrivavano le contrazioni e doveva essere stato quando si era resa conto che per tutte e due la pausa era di circa dieci minuti che aveva perso i sensi, attanagliata dal terrore.

Avrebbero partorito in Casa Ikkoku, da sole, in una notte di tempesta.

Gemette, disponendo la mente alle prossime mosse, con l'imperativo di non perdere il controllo e di fare del proprio meglio perché tutto andasse nella maniera migliore che si potesse sperare in un momento come quello e fu sorpresa quando non trovò Akemi accanto a sé. Invece la sentì urlare nel corridoio: evidentemente era al telefono.

"Mitaka-san, la prego, si sbrighi! Cosa? No, abbiamo il telefono rotto e una macchina stravecchia che non ci porterebbe da nessuna parte con un tempo del genere! Sì... che? E come pensa che possa fare, con un piccione viaggiatore?!".

Mitaka? Oh, dei, stava davvero scomodando Mitaka per.... però non ci aveva pensato, lui era l'unico motorizzato con il quale potessero mettersi in contatto e la situazione stava assumendo un'urgenza vitale. Per la prima volta la sfacciataggine di Akemi le parve più che giustificata e si ritrovò a pregare che il suo ex corteggiatore avesse un mezzo adeguato per soccorrerle.

Udì la rossa tornare nella stanza con passi pesanti e alzò lo sguardo ad incontrare il suo. "Oh, Kyoko, hai ripreso i sensi? Mitaka-san verrà con il fuoristrada, siamo salve!".

Annuì stringendo i pugni e rimpiangendo che il ricco allenatore di tennis non avesse piuttosto un gatto delle nevi. "Per quanto sono stata priva di sensi?".

"Qualche minuto: quando ho visto che eri svenuta sono corsa al telefono, ma i soccorsi non rispondono neanche più alle chiamate, devono avere le linee sovraccariche. Così ho pensato al signor Mitaka...". Si interruppe, colta da una contrazione. La vide trattenere il respiro e le vene le si gonfiarono sulla fronte.

"No, no! Non devi spingere, anche se senti che devi, il tuo bambino non può nascere ora, capito?", proruppe allarmata.

"E cosa faccio, uso un coperchio?!", Strillò agitata.

Sapeva che non era la regina della finezza, ma quella battuta per poco non la fece scoppiare a ridere nonostante tutto. "Ma no, sciocchina, evita solo di aiutarlo a uscire, va bene?".

Akemi annuì e le sedette di nuovo accanto. Erano entrambe impegnate a controllare il respiro e i nervi, per cui ci pensò un poco prima di dirle ciò che le girava per la mente da un po'. Attese che passasse l'ultima, quasi contemporanea contrazione per parlare: "Anche se Mitaka sta arrivando, dobbiamo tenerci pronte a tutto, d'accordo?".

"Ma come? Poco fa hai detto...".

"Lo so cosa ho detto!", quasi urlò, voltandosi a guardarla. "Ma dobbiamo essere preparate anche all'evenienza che lui stesso sia bloccato dalla neve. Quindi ascoltami e cerca di stare calma".

La donna annuì, tremante: non le era mai sembrata tanto vulnerabile. "Stai per dirmi che avremo bisogno di acqua calda, asciugamani, forbici e fuoco per sterilizzarle come nei film?".

Le sorrise debolmente. "Qualcosa del genere".

***


Non credeva che il vento potesse essere così forte: continuava a sospingerlo indietro con una violenza tale che un paio di volte si era ritrovato per terra. Gelidi fiocchi di neve gli erano entrati nelle narici e persino in bocca e temette seriamente di rischiare l'assideramento. Quando Hideo vide la cabina telefonica gli parve quasi di essere vittima di un miraggio; ci mise qualche minuto prima di riuscire a sgomberarne l'entrata dalla neve e chiudersi dietro la porta. Si concesse qualche secondo per riprendere fiato e si rese conto di quanto fosse stato difficile respirare fino ad allora; per un attimo temette che le sottili pareti della cabina non avrebbero retto, ma s'impose di non pensarci e fu veloce a inserire le monete e alzare la cornetta.

La linea era muta.

Hideo scaraventò la cornetta contro il telefono; quella rimbalzò un paio di volte rompendosi, prima di ciondolare inutilmente attaccata al filo. Aveva di nuovo il fiatone: era assurdo che le cose andassero così storte e lui non si era mai sentito tanto in apprensione in vita sua, neanche quando aveva dovuto separarsi dalla sua prima moglie.

Ripensò ad Akemi col pancione e l'aria annoiata sul viso e prese una decisione: se non poteva telefonarle, sarebbe andato da lei a piedi.

***


"Il telefono è isolato, credo che le linee siano interrotte a causa della tormenta. Riteniamoci fortunate ad avere ancora la luce". Il tono era controllato, ma le mani non smettevano di tremarle e anche i denti sbattevano tra loro.

"Non portare più sfortuna di quanta ne abbiamo avuta finora, Akemi, e cerca di rimanere seduta. Più ti muovi e più acceleri le cose". La voce dell'amministratrice era flebile, poco più di un sussurro, e per la prima volta rifletté che era in una situazione peggiore della sua. Se avessero davvero dovuto cavarsela da sole, chi avrebbe accudito per le prime ore di vita un bambino prematuro di cinque settimane?

Akemi sedette accanto a Kyoko con movimenti lenti e si ritrovò ad osservare gli asciugamani e gli altri oggetti di prima necessità che avevano sistemato in un angolo. Soichiro li stava annusando ma, resosi conto che non era cibo, era tornato ad accucciarsi vicino alla stufa. "Ormai Mitaka-san dovrebbe essere già qui, come mai ci mette tanto?".

"Anche se ha un fuoristrada non è facile guidare con un tempo del genere, dovrebbe avere una slitta. Prego solo affinché non rimanga bloccato a metà strada". La vide lanciare uno sguardo fugace al loro kit di emergenza e le lesse in volto una preoccupazione maggiore di quella che mostrava: era letteralmente terrorizzata.

Ebbe un brivido e contemporaneamente un'altra contrazione; strinse la mano di Kyoko e lottò con la respirazione per quasi un minuto intero. Quando il dolore finì, era in un bagno di sudore ed ebbe la spiacevole sensazione di qualcosa che premeva nel ventre con più insistenza di prima. Con cautela, portò una mano in basso, timorosa di quello che avrebbe potuto trovare. Si esaminò brevemente, piegandosi in avanti. "Kyoko... sento qualcosa quaggiù in fondo...", balbettò.

Con la coda dell'occhio vide Kyoko lottare contro la propria, personale contrazione, ricomporsi non appena ebbe respiro e scostarle la gonna senza tanti complimenti; era troppo terrorizzata per vergognarsi della visita ostetrica che stava subendo improvvisamente dalla sua padrona di casa di un tempo. "È la testa del bambino che sta scendendo. Dobbiamo farlo nascere ora".

Il mondo ondeggiò davanti ai suoi occhi mentre annaspava alla ricerca di parole che non volevano articolarsi; non aveva mai pensato seriamente che avrebbero dovuto ricorrere a quello. La telefonata a Mitaka risaliva a quasi un'ora prima e, neve o no, ormai doveva essere questione di minuti prima che arrivasse. "Aspettiamo ancora cinque minuti, ti prego!", pigolò con una voce che non riconobbe come propria.

"Non possiamo aspettare, credo di essere giunta al termine anche io e se prima non facciamo nascere il tuo bambino rischiamo di non poterci aiutare a vicenda. E io ho bisogno che tu mi aiuti". Kyoko era pallida come la morte e ansimava vistosamente.

"Va bene, facciamo nascere mio figlio, allora".

***


Si svegliò di soprassalto, con il fiato corto e il cuore che sembrava aver lasciato il posto a un tamburo enorme: l'incubo era stato talmente vivido da sembrargli reale. Kyoko era nuda sulla neve e stava partorendo il loro figlio maschio in mezzo alla tormenta. Lui allungava un braccio correndo verso di lei ma non arrivava mai, come nella peggior tradizione dei sogni con risvolti tragici.

Haruka dormiva accanto a lui e quando guardò l'ora si stupì di vedere che non era neanche mezzanotte. Improvvisamente fu preso dal bisogno irrazionale di chiamare la Maison Ikkoku, per accertarsi che fosse tutto okay, ma scacciò l'idea, conscio di essere stato solo sconvolto dall'incubo.

Si alzò dal futon, rimboccando le coperte alla sua bambina e indossando a sua volta uno yukata pesante: nonostante i riscaldamenti, il gelo gli penetrava fin nelle ossa. Andò in direzione della mensa con l'idea di farsi un the bollente ma si bloccò davanti al telefono.

Mentre tentava di controllare le proprie emozioni, ripetendosi che avrebbe svegliato sua moglie allarmandola inutilmente, le sue mani avevano già afferrato la cornetta e l'indice stava già componendo il numero a memoria. Fu solo dopo qualche secondo che realizzò che la linea era muta.

***


Mentre si lavava accuratamente le mani, Kyoko non pensava a nulla: la mente era un vuoto buio. La priorità era far sopravvivere i loro bambini e nessuna preghiera le avrebbe aiutate.

Erano sole, con quattro braccia e una tormenta che le tagliava fuori dal mondo. Tuttavia se si fosse soffermata troppo su questa consapevolezza sarebbe impazzita, per cui era concentrata sulle azioni pratiche: lavarsi accuratamente le mani, controllare le proprie doglie e aiutare Akemi nel parto.

Avrebbe afferrato il bambino per la testa quando fosse stato abbastanza fuori, poi doveva portargli le mani sotto le ascelle e farlo ruotare. A quel punto doveva eliminare dalle vie respiratorie qualunque residuo gli impedisse di prendere aria e quando avesse cominciato a piangere l'avrebbe avvolto negli asciugamani puliti prima di clampare il cordone ombelicale con la molletta da bucato e....

"Kyokooooooo!", Akemi urlava fuori controllo ormai e non c'era più tempo. Corse come poté dalla donna e tentò di calmarla in ogni modo, facendola stendere nella posizione più comoda possibile. "Mi spezzo in due!", ringhiava tra i denti.

"Benvenuta tra le partorienti, vuoi un altro cuscino?", le domandò con una freddezza che la stupì. Bene, era così che doveva sentirsi, glaciale e risoluta: se fosse ricaduta nel vortice della disperazione sarebbe stato un disastro su tutta la linea.

"Voglio un ospedaleeee!", strillò mentre le faceva assumere, non senza difficoltà, la posizione migliore per aiutarla. Non aveva mai amato la vista del sangue e il mestiere medico non le era mai parso più lontano dalle sue corde come in quel momento. Ma doveva assolutamente...

Una contrazione, lunga e dolorosa, la colpì all'improvviso con violenza inaudita.

Poco prima era inginocchiata di fronte ad Akemi, ora si ritrovò sul pavimento a faccia in avanti, le mani lavate accuratamente si contorcevano spasmodicamente sul tatami.

"Kyokooo...?". Non sentiva niente, né il vento, né Akemi che la chiamava, solo il dolore sordo e insopportabile che le trafiggeva il ventre per quaranta, cinquanta secondi, prima che riprendesse a respirare regolarmente.

Non ce la faremo mai... Soichiro, oh, ti prego, aiutami tu...

Era stata proprio lei a pensare, solo pochi minuti prima, che nessuna forza superiore le avrebbe aiutate? Che erano sole e da sole avrebbero dovuto agire? Beh, fortunatamente doveva essersi sbagliata, perché qualche istante dopo aver formulato quella preghiera al suo ex marito, udì bussare alla porta d'ingresso.

***


Quando Kyoko gli aprì la porta, non somigliava affatto alla donna di cui era innamorato solo pochi anni prima. Gli parve piuttosto una creatura sparuta in preda a un terrore e a una sofferenza che ne fiaccavano lo spirito umano e la rendevano più simile a un animale in trappola.

Sul volto cereo gli occhi spiccavano, spalancati e scintillanti, e le labbra avevano assunto quasi lo stesso colore del viso. Fece appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle prima che balbettasse il suo nome e gli si gettasse letteralmente tra le braccia.

Avrei dato chissà cosa per un tuo abbraccio, una volta...

Impedita dal pancione, si abbarbicò comunque al suo cappotto zuppo di neve, singhiozzando senza controllo. Shun si chiese se non stesse avendo una specie di crisi isterica e se sarebbe stato costretto a schiaffeggiarla. Invece l'afferrò per le spalle, fissandola fino a catturarne lo sguardo. "Guardami, Kyoko: va tutto bene, io sono qui, capito?".

Gli parve finalmente di scorgere la lucidità in lei, mentre annuiva e rallentava il respiro. "Dov'è Akemi? Infilate i cappotti, vi porto subito in ospedale".

"Mitaka-saaaan!", gridò la rossa dall'altra stanza, facendolo trasalire.

"Io, lei... noi volevamo partorire qui, la testa del bambino di Akemi è già in posizione e stavo per...". Deglutì a vuoto e si rese conto che erano molto oltre il tempo che aveva calcolato basandosi sull'esperienza con Asuna. Pensava di trovare due donne alle prese con le doglie, ma che avessero ancora qualche ora; invece si ritrovava davanti ad almeno un parto imminente.

"Tu come stai?", le chiese mentre si adoperava per aiutarla con il cappotto.

"Ho le contrazioni quasi all'unisono con lei. Mitaka-san, pensi di riuscire a portarci in ospedale entro mezz'ora al massimo? Altrimenti temo che rischiamo di partorire sul tuo fuoristrada". Solo ora si rendeva conto che, nonostante avesse ripreso il controllo, Kyoko tremava violentemente.

"Ce la farò", le disse, anche se non ci credeva neanche lui. La situazione era doppiamente critica.

Aiutarla a far vestire Akemi in fretta e furia fu impegnativo: le due donne dovettero fermarsi all'arrivo di una contrazione e dovette sorreggerle per impedire che cadessero. Si sentiva sperduto e inadeguato, ma era l'unica speranza che avevano. Doveva fare in fretta, tuttavia non poteva rischiare un incidente: aveva la responsabilità di quattro vite potenzialmente in pericolo.

Prima che il coraggio minacciasse di scemare o una contrazione di bloccarle, le trascinò quasi a forza sull'automobile, lottando col vento e col terreno quasi impraticabile. Non seppe come, ma finalmente riuscì a chiudere lo sportello e ad avviare la macchina.

Dopodiché pregò di arrivare in tempo.

***


Quando era estate, Akemi aveva spesso fatto a piedi la strada che separava il Chachamaru dalla Maison Ikkoku; solitamente, a sua detta, non ci impiegava più di dieci minuti.

Quella notte, Hideo ci mise più di mezz'ora per trascinarsi nella tormenta: sentiva i baffi rigidi come se gli si fossero congelati e lottò per coprirsi il più possibile con la sciarpa che continuava a scivolare. Gli sembrava di respirare direttamente dal freezer dove teneva le birre di scorta e i gelati e di camminare nel ghiaccio. A ben pensarci non sentiva neanche più i piedi; camminava dentro a parecchi centimetri di neve trascinandoli per tenersi ancorato al terreno mentre lottava col vento, forse erano congelati anche quelli.

L'entrata del vialetto di casa Ikkoku era un fantasma ondeggiante nel vortice dei fiocchi: quello era un miraggio e sarebbe scomparso, a differenza della cabina telefonica. Non sapeva perché fosse così pessimista, ma la preoccupazione era diventata una specie di artiglio gigante saldamente ancorato allo stomaco e l'istinto gli suggeriva di addormentarsi per non doverlo sopportare oltre.

Che idea balzana, addormentarmi qui fuori! E con mia moglie a pochi passi da me!

Ma come mai le palpebre erano così pesanti? Forse tutto quello non era che un sogno: era talmente stanco che non si era mai mosso da casa e l'inconscio lo guidava nel luogo dove voleva trovarsi nell'istante prima di addormentarsi. Però doveva aver lasciato aperta la finestra, perché il freddo era reale come il dolore dei suoi passi nella neve e come la solidità della maniglia gelata che si abbassava a vuoto.

Che stupido, devo bussare, si saranno chiuse a chiave!

Ma certo, era un cosiddetto sogno lucido... dov'è che lo aveva letto? Si potevano guidare le proprie azioni anche nel mondo onirico e lui decise di fare esattamente quello. Si appoggiò alla porta, sfinito, e bussò più forte che poté. Non venne ad aprirgli nessuno, anche le luci erano spente. Udì qualcosa che sembrava l'abbaiare di un cane all'interno, forse era Soichiro, ma era difficile dirlo col vento che gli urlava a gran voce nelle orecchie e nei vestiti.

Staranno dormendo. Non hanno tutti i torti, con un freddo del genere...

Mentre si lasciava cadere sulla soglia della Maison Ikkoku e sprofondava nel sonno, si sorprese a riflettere su quanto fosse buffo addormentarsi in sogno. E meno male che tutto quello non era reale, o sarebbe morto sicuramente assiderato!



(1) Nella tradizione giapponese, se un rametto di the galleggia dritto nella bevanda è di buon auspicio, mentre se va a fondo è di cattivo augurio.
   
 
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