Padre
e figlia
Se
fosse stato
il vento che ululava forte all’esterno della
caverna, o il flebile
crepitio del fuoco, oppure lo sguardo caldo e rassicurante di Kohaku a
dare a
Nenshō la forza d’iniziare a parlare, beh, lei non lo sapeva.
Con
fatica raccontò il suo passato travagliato, il
modo in cui la madre la sfruttava unicamente per i suoi scopi, il
dolore che
aveva attraversato durante i secoli che aveva vissuto.
“Ma
se c’è stato un momento felice nella mia
triste vita è stato l’incontro con mio
padre”. Si fermò, con lo sguardo perso
nel vuoto.
Il
tutto era avvenuto nel bel mezzo della
battaglia, con il rumore delle lame incrociate di sottofondo e le urla
assassine dei guerrieri d’entrambe le fazioni.
“Fu
un incontro epico,” la voce della semidea si
fece amara. “Basato su presupposti del tutto sbagliati. Mi
era stato detto che
mio padre mi cercava per uccidermi, per estirpare la feccia che aveva
osato
macchiare la nobile casata della famiglia Taisho. Un errore apparso in
questo
mondo e ora ditemi, Inuyasha, Sesshomaru, se voi aveste saputo
ciò, non avreste
combattuto contro il vostro stesso padre per aggrapparvi alla
vita?”
Nenshō
passò una mano sul fuoco e quello sembrò
animarsi e prendere vita, in modo vivido e chiaro, e due figure, una
bianca e
una rossa, erano l’una di fronte all’altra, intente
a parlare.
All’improvviso
l’essere rosso si scagliò contro il
bianco, quest’immagine catturò
l’attenzione dei fratelli minori della famiglia
Taisho, che ascoltando anche la voce melodiosa della donna,
sembrò loro d’essere
nel bel mezzo della lotta.
“Come
si può credere ad un uomo del quale non ti
hanno raccontato altro che male? Cercò di convincermi, una
volta e un’altra
ancora, ma fui ingenua e credetti a mia madre, per me lei
all’epoca rasentava
la perfezione, ogni parola uscita dalle sue labbra era legge,
incontestabile,
dovevo accettare tutto ciò che lei diceva”.
Ora
le due figure, se prima combattevano in modo
elegante, perfetto e coordinato, adesso non vi era più
traccia di quegli
aggettivi.
Il
modo in cui la spada della semidea s’abbatteva
su quella del demone era violento, costituito solo da forza bruta,
senza un
minimo di strategia, dettato da odio e cecità.
“E
mentre tentavo di togliere la vita a chi me l’aveva
concessa, Inu No Taisho mi parlava, diceva cose che mi ferivano ogni
secondo,
quelle parole sgretolavano ogni mia convinzione, distruggevano le mie
certezze
e diventavo più insicura in ogni movimento, in ogni
azione”.
L’elsa
della spada colpì la figura rossa alla
schiena, facendola capitolare e la figura bianca le puntò
contro la lama della
sua arma, e di colpo le urla cessarono, di sottofondo si sentiva solo
lo
strazio espresso nei gemiti dell’armata sconfitta.
“Inu
No Taisho stava per uccidermi, ecco, lo
sapevo, mentre ci scontravamo non aveva fatto altro che raccontarmi
menzogne,
voleva che cedessi e c’era riuscito”.
Ma
la vista fine d’Inuyasha vide la mano del
bianco scattare verso quella del rosso, nonostante il calore del fuoco
lo
esortasse a non guardare, e Nenshō sorrise a quella vista.
“Mi
disse che andava tutto bene, che era fiero di
me, che non voleva altro che il mio bene”. Sorrise di nuovo,
stavolta con
dolcezza, mentre la figura rossa accettava quella mano.
“Mi
potevo fidare di lui, il nemico vero era mia
madre, che mi rendeva schiava della mia natura non meglio definita e mi
faceva
stare male al solo pensiero di vivere in quel mondo, dove nessuno mi
avrebbe
accettata. Lei diceva”.
Nenshō
inclinò il capo verso destra, osservando
interessata la scena che le si parava davanti, come incantata.
“Mi disse che mi
aspettava qualcuno nella sua casa, qualcuno che avrei dovuto proteggere
e
amare, un qualcuno di simile a me”.
Nenshō
guardò Inuyasha e il mezzo demone rispose
allo sguardo senza distoglierlo e la rossa riprese a raccontare.
“Non
potei venire comunque. Mia madre riuscì a
impedirmelo”. Il demone mostrò un braccialetto che
provvedeva a tenere nascosto
con la tunica del kimono.
“Finché
mio padre fosse stato vivo e al sicuro, ma
soprattutto libero, questo braccialetto mi avrebbe ridotto alla mia
forma umana,
e così fu per anni, fino a quando mia madre non
riuscì ad intrappolarlo e gli
effetti di questo gingillo divennero nulli”.
Il
racconto si concluse e il fuoco tornò alla sua
forma normale, scomposto e naturale.
“Quindi
se nostro padre tornasse libero, tu
ritorneresti normale”. Disse Sesshomaru alzandosi.
“Sì,
ma credo che questo dettaglio sia
trascurabile, con il potere di quelle due spade”, e detto
questo indicò
Tessaiga e Tenseiga. “Non dovrebbe essere un problema rompere
quest’oggetto. Voglio
liberare nostro padre. Allora,
mi
aiuterete?”
Inuyasha
sorrise, alzandosi verso di lei e
porgendole la mano. “A me sta bene, ora
dovrai convincere solo quel testone di mio fratello”.
“Si
tratta di nostro padre, sono costretto ad
accettare”. Disse gelido Sesshomaru uscendo fuori nella
tormenta.
Nenshō
sbatté le palpebre incredula, mentre Kohaku
scoppiò a ridere.
“Ti
saresti risparmiata la fatica, se avessi
chiesto prima”.
Angolo dell’autrice.
Eccomi dopo molto tempo , con un nuovo capitolo
per questa storia.
Pensavate d’esservi liberati di me? Ebbene no,
sarò ancora in questo fandoom a rompere le scatole.
Muahahahah!
Bando agli scherzi, mi dispiace per aver messo da
parte per tanto tempo questa fic, ma avevo bisogno di una pausa, ed
essendo
molto impegnata tra altre tre storie, non ho avuto molto tempo.
Non so quando aggiornerò di nuovo, ma spero di
ricevere almeno due recensioni, giusto per sapere se
c’è ancora chi segue
questa fic.
Non mi resta che salutarvi, al prossimo capitolo!