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Autore: UnPanino    17/03/2013    1 recensioni
Questa è la mia prima pubblicazione su EFP.
E' una vecchissima bozza di quattro anni fa che ho ultimamente rifinito, e che dovrebbe costituire uno dei tanti nuclei narrativi di un possibile, improbabile progetto di romanzo. Non la ritengo riuscitissima, anche perché prodotta in un periodo di forte frustrazione, dopo il quale ho abbandonato la prosa per molto tempo, dedicandomi alla poesia.
La trama è molto semplice. Un bimbo di otto anni, Ciel, sbaglia una semplice domanda di matematica, attirandosi sia le ire della sua maestra ( la signorina delle Vigne), sia le risate dei suoi compagni. Quest'ultima però , tentando di correggerlo, non si rende conto che il suo errore non è dettato dall'ignoranza, ma da una profonda trasversalità di pensiero che lo conduce ad un intelligente quanto disarmante relativismo, indipendente persino dalle imposizioni delle leggi matematiche.
Questo racconto vuole essere quindi ( senza pretese, io sono un cretinello in fondo...) sia fonte di emozioni che tentativo di denuncia sociale e proposta di riflessione, spero apprezzata.
A voi il verdetto finale comunque...
Buona lettura ^-^
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E all’improvviso squarciarono il silenzio dell’aula, in un crescendo granuloso di biascichii. Ciel non capiva perché stesse succedendo, ma le vedeva penetrargli l’anima come lame capricciose,   macellando crudelmente tutto ciò per cui, lungo i suoi otto gracili anni, aveva deciso di vivere. Le vedeva e restava lì, inebetito, di fronte a quello stuolo  di occhi larghissimi.  Quell’ infinito oceano di amarezza che  sciabordava graffiante fra le pareti del suo cuore, gonfiandosi e salendo fino ai suoi occhialetti dalla montatura ocra:<< Fa cinque...>> aveva risposto, sicuro, nell’ ovattata innocenza della prima giovinezza; certo, come mai prima, che quella semplice operazione non fosse altro che un altro misterioso simbolo da interpretare e portare alla luce , una delle tante storie su cui costruire vastità immani di fantasie; un’ispirazione, quasi una poesia. Nient’altro. D'altronde è così che funziona la splendida mente dei bambini: si fa strada  a capolavori incompleti e senza autori, irrealizzabili  opere di artisti innominabili; pura genialità riassunta e, purtroppo, troppo spesso incompresa . E la comprensione non era certo il forte della sua maestra, la temuta ed arcigna signorina Delle Vigne, che difatti  si guardò bene dal tentativo di decifrare i suoi  impegnati e sicuramente singolari processi mentali. Per lei, quella risposta era semplicemente una misera incognita, un qualunque indegno errore dettato da un’ ignoranza e una dappocaggine fin troppo elevati anche per un bambino della sua età.
Come, si chiedeva, come quel piccolo, insignificante moccioso poteva aver avuto la sfacciataggine di rispondere con  un’allegria tanto ostentata? Come poteva, perbacco, alzarsi così, sorridendo, di fronte a tutti i suoi compagni, dopo che lei stessa si era prodigata con tanta forza per inscenare l’appello perfetto, per calcolare ogni minimo secondo intercorrente fra il fatidico “oggi interrogo”e l’ancor peggiore pronuncia del nome del prescelto ? Come?! Forse quel piccoletto credeva di potersi permettere, in nome dell’infanzia, il totale rifiuto della serietà e della  disciplina; forse credeva che, delirando  su un’addizione così semplice, su di un così basilare e scontatissimo “due più due”, quella sua patetica shilouette avrebbe potuto emergere dalla profonda melma di banalità in cui fin dalla nascita era stata  sommersa... forse lo credeva, sì, ma nessuno la fa alla maestra Delle Vigne, nessuno, non nella SUA classe:<< Ciel...sei sicuro di quello che dici?>> rispose dopo un poco, inarcando un sopracciglio e soffocando una risata cavallina << Sì maestra... >> rispose Ciel, insicuro.
La reazione della donna l’aveva lievemente sconvolto, e l’iniziale certezza che irradiava stava ora lasciando spazio ad una misera espressione cerula:<< Io...io..credevo...>> tentò di rispondere, ma le parole gli mozzarono la gola, fossilizzandolo un un esacerbante senso di umiliazione.
E le prime umiliazioni, quelle della tenera età, sono sempre fin troppo dolorose:<< Credevi cosa Ciel?>> non era un tono materno, quella della Delle Vigne, ma una vibrante e postulante pallonata di acidità:<<...cosa credevi? >> lo guardò fisso.
L’eco  trucida della sua domanda risuonò per la classe, incastonandosi tra le risa come un insetto fra le ante di una porta. Con uno scatto istrionico, la maestra si alzò in piedi, avvicinandosi all’alunno, inginocchiandosi ed appoggiando una mano sulla sua minuscola spalla rachitica : <> Il tono era improvvisamente cambiato: pacato, caldo, ma pur sempre velato da una sorta di gelo ruggente, di sconsolato bisogno disciplinante:<< Perché infatti tu non puoi...>> Che cosa? Cosa non poteva fare? Ogni secondo era una secchiata  di pura confusione:<< ...decidere che “cosa” fa “cosa” ok? La matematica è leggi, è regole, è una serie di postulati – sai cosa significa postulati Ciel, vero?- decisi tanto tempo fa che tu devi rispettare, capito?>> lasciò sfumare la domanda, sorrise. No, non aveva capito, per niente. Anzi, la sua testa, già abbastanza scombussolata, venne ora intasata da una  libagione di nuove idee e richieste che, purtroppo, la sua novella purezza non ebbe il buon senso di fargli tenere per sé: << Ma...p...perché?>> ed un nuovo boato di risa. Una nuova sensazione di morte vitale: << Non...non capisco maestra. Perché dovrei rispettare delle....queste cose? >> sentiva il naso colmarsi lentamente, le iridi inumidirsi, più tremule ogni attimo:<> << La tua mamma ti ha detto una bugia Ciel...ha sbagliato!!! >> il tono della donna era ormai scevro di ogni dolcezza :<< ...no...la mia mamma non dice bugie no...lei è buona...lei è brava ...lei...>>una lacrima  gli scandagliò una candida guancia: << Ciel! Tu non devi piangere ora !>>  e di nuovo quel tono freddo, arabescato di nervosismo.Non lo poteva più sopportare. Non poteva più reggere quelle manine paffutelle, non  più quell'esserino lagnoso e le sue scemenze. Ma doveva farsi forza. In fondo lei era – o almeno, era convinta di essere-  una buona maestra. Si alzò, sbuffando, e tirò fuori qualcosa dal cassettino della cattedra: << Bene Ciel, vediamo adesso se riesco a farti capire...>> un povero idiota ,quel piccoletto,  non poteva essere altro che questo. E più la  classe  rideva, più lei ne era convinta:<< Allora, le  vedi queste? >> tornò in ginocchio, porgendogli un paio di matite rosse che teneva nella mano sinistra:<< Allora, quante sono?>> Ciel non rispose, qualcosa nell’atteggiamento della donna gli allargava la bocca con violenza, abbozzando sul volto una sorta di smorfia spaventosa che cercava di trattenere:<< Due Ciel... >> e scandiva bene le parole, come si parla con i malati di mente:<< ...sono Due>> strinse forte le matite nel pugno, concentrando su di esse tutta la rabbia accumulata:<< Quindi...>>ancora dolcezza artificiale; piccola pausa, alzò la mano destra:<< ...se aggiungo queste altre due quante ne otterrò?>> secondo di silenzio.
La classe ormai aveva smesso di ridere, curiosa e al contempo  pronta ad afferrare la prossima esca che la lingua troppo lunga di quel povero cretino dai pinocchietto bianchi, la maglietta a righe e gli occhialetti rotondi dalla montatura ocra avrebbe lanciato. E lui ancora a pensarci, incerto. Sapeva la risposta? Certo che la sapeva, semplicemente la sua maestra, la Delle Vigne, ne conosceva un’altra. Respirò, profondamente.
Tentò di ricordare le parole della mamma al parco, circa due o tre mesi fa, quando, guardando le anatre volteggiare sull’acqua, gli aveva somministrato una delle sue tante lezioni intrise di intricatissimi ma spaventosamente semplici ideali:<< Lo sai Ciel, che un tempo gli uomini volavano?>> com’era felice e spensierato quel giorno, appoggiato alla ringhiera e completamente assorto, mentre dava da mangiare alle formiche:<< Volavano?>>  chiese lui velocemente, senza distrarsi dal suo lavoro, con una prosodia tanto melodiosa quanto quella dei miagolii notturni: << E come?>> nel dire ciò aveva anche sgranato un poco gli occhi, e lei  rispose sorridendo, contemplando l’orizzonte:<< Sì, volavano amore mio. Volavano, proprio come queste anatre qui>> e ancora domande:<< Sì ma...come?...perché?>> di risposta la mamma si avvicino a lui, stringendolo forte e portando le labbra al suo orecchio, come scambiando un segreto intimo:<< Perché pensavano il volo,e  pensandolo lo percepivano. Ricordati sempre che quello che tu credi di vedere o sentire sono solo un insieme di stimoli elettrici e sollecitazioni nervose tesoro mio – ne avevamo parlato dei nervi, no? –. I colori? Semplice luce. Le sensazioni tattili? Corpuscoli di Meissner e e di Pacini – anche di questo ti avevo parlato, spero che ti sia rimasto in testa-.E’ tutto qui, , nella tua testa. Dentro di te, non fuori. Credi che i pazzi siano tali perché vedono cose che non esistono?Se è così, allora,  siamo tutti pazzi. Tutti quanti, senza eccezione.  >>.
Ma adesso non c’era nessun laghetto, nessuna libera anatra in volo. Soltanto la sua classe, la pesantezza del mattino, i ruggiti della maestra e quelle sue patetiche rispostine biascicate:<< Dipende maes...>> <>  la Delle Vigne tornò alla cattedra, scagliandovi le matite con una certa forza:<< Dipende  da cosa secondo te, eh  Ciel?!>>  gli stava urlando contro, adesso. Lei, la Delle Vigne, gli stava sbraitando davanti alla faccia. E lui non capiva, non vedeva dove stesse il problema.
Non riuscì più a trattenere il pianto:<< Da...da...da quello che credo...>> risate. Indici puntati. Voce divelta:<< Non capisco maestra...perché...perché quattro? Chi l’ ha ...deciso? Non è vero che è solo quattro, non...>> << Basta Ciel, vai fuori dalla classe!>> Ultimo grido, più forte degli altri:<< E spero tanto che tu mi stia prendendo in giro! >> e quel lungo indice imperioso, rivolto alla porta dell’aula, segnò inesorabilmente i prossimi quaranta minuti della giornata scolastica, come  tutti i successivi anni della sua vita.
Segnò il suo futuro fin da quando, eseguito l’ordine, si appoggiò mollemente contro le giacche appese al muro, abbandonandosi alla cruda violenza del primo sfogo  della sua vita. E mentre piangeva  la sentì chiaramente: una melodia. Una sorta di musica che attraversava il legno biancastro dell’uscio, accentuando i suoi singulti. Una sorta di canzoncina, una canzoncina che chiamava il suo nome: << Ciel è-è stu-pi-do, Ciel è-è stu-pi-do>>  Un crudele, ingenuo agglomerato di sadismo scolpito ad arte dall'angoscia, anticipando la pedagogica svolta di una presa di posizione epocale. Perché in quel giorno di inizio settembre, quel mattino dai risvegli come tanti, Ciel aveva conosciuto il mondo, l’illusione e la sterilità. Di fronte a quella sua intraprendente intelligenza di angelo, ancora una volta l’Uomo aveva instillato il suo germe fastidioso, impadronendosi  delle molteplici Verità assolute che furono dono della sua naturalezza. E adesso, come da sempre nella Storia, mentre il povero fuori di testa scontava i loro peccati, le greggi della razza pasturavano tranquille , tristemente incatenate al sottile vincolo di un ritornello rotante.  Abbandonate ad  un fazioso, ripetitivo inno all’idiozia.  
  
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