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Autore: Alice_xD    17/03/2013    2 recensioni
Albus congiunse le labbra con quelle della ragazza, sapeva tanto di addio quel bacio.
“Non è un bacio di addio, Al. Ma di arrivederci perché io ti aspetterò”, disse.
“Fammi aspettare tanto, però”, ridacchiò.
“Ti amo”, disse guardandola negli occhi.
Lei sorrise, un sorriso che sapeva di luce. “Anche io ti amo Albus Severus Potter”.
Si staccarono quel tanto che bastavano per permetter a lei di tirargli un pugno sullo stomaco, molto delicato. “E tratta bene i miei libri perché altrimenti giuro che prendo il corpo di qualcuno e te le do di santa ragione”, disse seria facendolo ridere.
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"T'immagini se si potesse non morire?".
"Allora il nostro amore sarà per sempre".
(storia cancellata per errore e poi ripubblicata)
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Rose Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Se si potesse non morire


"T'immagini se si potesse non morire?".
"Allora il nostro amore sarà per sempre".


Il fuoco scoppiettava nel camino della Sala Comune dei Grifondoro, mentre una ragazza guardava annoiata le fiamme. I capelli rossi erano racchiusi in uno chignon improvvisato con la penna babbana di sua madre, la divisa era stata sostituita da un paio di pantaloncini e una canottiera verde scuro. Era l’unica in quella stanza, non riusciva a dormire gli incubi riuscivano ancora a tenerla sveglia la notte, ma questa volta non c’era la madre che le dava una tazza di latte caldo e le sussurrava parole dolci per farla addormentare come quando era bambina.
Chiuse gli occhi, appoggiando la contro lo schienale della poltrona. Subito l’immagine di lei bianca come un cadavere, sdraiata dentro una bara fece capolino nella sua mente e le fece riaprire immediatamente gli occhi. Il cuore iniziò a battere ancora più forte di prima se possibile.
La fronte sudava freddo, la stanchezza improvvisamente scomparsa, lasciò il posto a tutta l’adrenalina che sentiva circolare nel corpo.
Si alzò di scatto, nervosa con se stessa per la sua debolezza e si affrettò ad uscire dal ritratto. Ovviamente dopo mille proteste da parte della Signora Grassa riuscì ad affacciarsi sul corridoio e, stando ben attenta a non farsi vedere da Gazza e dalla sua gatta, si recò davanti all’entrata della Sala Comune dei Serpeverdi. Sussurrò la parola d’ordine e sgattaiolò dentro sperando vivamente che non ci fosse nessuno.
Sospirò di sollievo quando vide che la sala era completamente vuota, e, più tranquilla, si avviò verso il dormitorio dei ragazzi del settimo anno. Aprì la porta lentamente, sperando di non fare rumore e quindi di non svegliare i quattro ragazzi che dormivano beatamente nei loro letti.
Il primo che riuscì a scorgere fu Nathan Zabini, figli di Blaise e Daphne Zabini, con una mano sotto il cuscino mentre l’altra penzolava giù dal letto.
Il secondo non riusciva a vederlo in faccia, ma sapeva esattamente che era George Nott, figlio di Nott e della Parkinson. Il terzo, invece, non lo guardò nemmeno. L’immagine di Malfoy in mutante la disgustava non poco così tirò dritta fino al quarto letto dove riposava suo cugino Albus Potter.
Lo vide profondamente addormentato con una mano sulla pancia senza maglietta mentre l’altra sistemata dietro la testa; i capelli neri corvini erano più disordinati del solito - se possibile - mentre gli occhi chiusi celavano due incredibili gemme color verde scuro.
Si mordicchiò le labbra indecisa se sistemarsi comodamente nel suo letto oppure fare retromarcia e cercare di dormire. Sospirò e decise di provare a dormire nel proprio letto. Fece per girarsi quando una mano la bloccò il polso con una stretta delicata, ma forte. Lei sussultò per lo spavento e quando si voltò incontrò gli occhi di Albus che sembravano improvvisamente svegli.
"Dove stai andando?", sussurrò.
Lei fece un sorriso tirato. "Ritornavo nel mio dormitorio", rispose semplicemente.
Aggrottò le sopracciglia. "Ancora gli incubi?", domandò ancora.
La ragazza si limitò ad abbassare la testa e a mordicchiarsi le labbra. Lo sentì sospirare e le molle del letto scricchiolarono sotto il peso di Albus.
Non ci fu bisogno di parole: la ragazza si sdraiò sul letto e immediatamente le braccia forti di Albus la circondarono mentre lei posava il capo sul suo petto. Chiuse gli occhi sentendosi finalmente a casa. Albus era l’unico che riusciva a farle cancellare tutto - persino gli incubi - dalla testa e di questo ne era infinitamente grata.
"Rose?", la chiamò lui. Lei alzò gli occhi e non ci fu bisogno di parole, le loro bocche si incontrarono subito unendosi in maniera perfetta. Con un sospiro, Albus passò una mano nei capelli rosso fuoco di Rose per avvicinarla di più a se, quasi avesse paura che lei se ne andasse.
Rose gli conficcò quasi le unghie nelle spalle, per dirgli che il suo posto era lì con lui.
Quando entrambi restarono a corto di ossigeno si separarono di mala voglia e la testa di Rose trovò subito posto nell’incavo della spalla del ragazzo.
"Dormi, Rose", sussurrò Albus cercando anche lui di chiudere gli occhi. Perché altrimenti lui avrebbe ripreso a baciarla anche tutta la notte.
Lei trattenne a stento un singhiozzo sapendo cosa sarebbe successo da lì a poco. Inspirò l’odore del ragazzo cercando, sperando, di riuscire a imprimersi quel profumo di menta e tabacco dentro di sé per portarlo ovunque.
"Albus?", lo chiamò dolcemente sentendo che il tempo scorreva velocemente e tra poco tutto sarebbe finito.
Lui le accarezzò la guancia, le labbra, gli occhi, cercando di imprimersi nella mente i dolci lineamenti della ragazza.
Il cuore di entrambi iniziarono a battere più velocemente fino a quasi volare.
Come ultimo, disperato gesto, Rose si strinse a lui, ricongiungendo le loro labbra desiderando che il tempo si sarebbe fermato in quel momento per far vivere la loro storia d’amore.
Ma il tempo, geloso e possessivo, si riprende sempre le proprie cose e dopo qualche secondo, Rose scomparve e tra le braccia si Albus non rimase che un dolce profumo di camomilla.

"Albus?".
Albus si svegliò all’improvviso, sudato e ansante. Davanti a lui il suo migliore amico, Scorpius lo guardava preoccupato mentre una mano era appoggiata sulla sua spalla.
Il ragazzo distolse lo sguardo non riuscendo a sostenere quegli occhi grigi indagatrici. Si alzò, scostando quasi in malo modo la mano di Scorpius e si rifugiò in bagno e si gettò sotto la doccia sperando di fermare il corso dei suoi pensieri.
Appoggiò la fronte contro le piastrelle fredde e subito i suoi occhi si aprirono di scatto quando l’immagine di Rose tra le sue braccia comparve.
Si lavò di fretta, desiderando di poter pensare ad altro. Invece la sua mente traditrice continuava a ribadirgli, a ricordargli, quello che non aveva, quello che aveva perduto.
Una volta fuori dal bagno con indosso la sua divisa perfettamente in ordine si costruì la solita maschera di freddezza che da qualche tempo era la sua unica espressione.
Scorpius lo aspettava pazientemente seduto sul divano della Sala Comune e quando lo vide si recarono insieme in Sala Grande per fare colazione.
Al loro passaggio molte ragazze si voltavano a guardarli sognanti, sperando di incrociare lo sguardo a due dei ragazzi più belli della scuola. La prassi normale era che Scorpius ricambiava qualche sguardo di alcune ragazze con la promessa di un incontro pomeridiano, ma quel giorno, il biondo, era preoccupato per il suo migliore amico.
Era da troppo tempo che non lo vedeva più sorridere come una volta - anzi se si voleva dire la più dura verità lui non sorrideva affatto - e ogni giorno era sempre peggio.
I primi giorni dopo il fatto, lui era la persona più distrutta dell’intero pianeta. Si poteva leggere il dolore infinito negli occhi, aveva smesso di mangiare e non usciva dalla stanza.
Erano rimasti a guardare che si distruggesse dentro e poi, quando i suoi amici avevano deciso di intervenire, lui aveva ripreso a fare quello che faceva normalmente. Tutti pensavano che lui fosse riuscito a rialzarsi, ma Scorpius sapeva benissimo che lui non si era mai alzato.
Mangiava, studiava, parlava, dormiva, giocava a Quidditch, ma nei suoi gesti si vedeva che c’era solo lo spirito di autoconservazione e non c’era più la voglia, la felicità e l’allegria di un tempo.
Una volta arrivati al loro tavolo, Scorpius lanciò un’occhiata di sbieco al tavolo dei rosso-oro, che comprendeva quasi tutta la famiglia Weasley, e vide che Hugo era nelle stesse condizioni di Albus. Però il ragazzo con i capelli rossi, nonostante sul suo viso si leggesse ancora la sofferenza, si poteva scorgere anche l’ombra di un sorriso e lo stesso valeva per gli altri. Solo Albus non riusciva ad andare avanti, a lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare a vivere e Scorpius era seriamente preoccupato che il suo migliore amico potesse fare qualche sciocchezza.

Albus si posizionò sul tavolo più isolato della biblioteca dove lui e Rose erano solito venire a studiare. Quando fu sicuro che non c’era anima viva, lasciò cadere la sua maschera di freddezza dal viso, sentendo immediatamente gli occhi appannarsi mentre il corpo si afflosciava.
Sentiva il suo respiro comprimersi mentre gli occhi le dolevano da morire a causa del poco sonno. Cercò di massaggiarsi la fronte per cercare di far sparire quel dolore opprimente che sentiva costantemente, senza risultato. Sospirò e iniziò a studiare partendo da Babbanologia; aveva bisogno di disconnettere il cervello e pensare a qualcos’altro perché altrimenti sarebbe scoppiato.
Prese carta, piuma e inchiostro e spense il cervello.
Dopo qualche ora, Scorpius lo trovò nella stessa posizione, con gli occhi fissi sulla pergamena, con la schiena piegata e gli occhi segnati da profondo occhiaie. Chiuse gli occhi per qualche secondo, pensando che se Rose fosse qui sarebbe sicuramente uscita fuori dai gangheri. Sorrise pensando all’espressione che avrebbe fatto la sua migliore amica: le sopracciglia aggrottate, i pugni chiusi e con gli occhi color oro che lanciavano saette da tutte la parti.
Erano diventati subito amici, loro tre, dalla prima volta che si erano incontrati sul treno avevano formato il "nuovo trio", come gli chiamavano le persone.
Albus e Scorpius erano finiti a Serpeverde, mentre Rose era stata smistata in Grifondoro anche se tutti potevano benissimo affermare che lei era una verde-argento mancata, come suo zio Harry.
Trascorrevano molto tempo insieme, in biblioteca, al campo di Quidditch mentre i due ragazzi speravano di convincere la ragazza a provare a salire su una scopa. Inutile dire che niente era riuscito a smuovere una Rose con la fobia del volo.
Avevano passato brillantemente i G.U.F.O. - grazie all’aiuto di chi? - e tutti aveva iniziato a rispettare quella ragazza dai capelli rossi dato che mangiava praticamente a colazione, pranzo e cena al tavolo dei Serpeverdi.
E poi..poi lei e Albus aveva scoperto l’amore, insieme e non avevano avuto paura di dirlo alla famiglia o a tutta la scuola. Camminavano a testa alta con le dita intrecciate, si scambiavano sguardi innamorati ogni volta che si incontravano e si baciavano dietro una colonna..e l’altra pure.
Poi. Poi era successo e lì aveva portato la fine di tutto. La fine dei sorrisi, delle risate e delle mani intrecciate.
Sette rintocchi lo riportarono improvvisamente alla realtà e quando spostò lo sguardo sul tavolo dove Albus stava studiando lo vide ritirare tutto velocemente mentre si affrettava a raggiungerlo.
Dai suoi occhi non traspariva più nessuna sofferenza, i suoi occhi erano freddi e sembravano completamente estranei alla situazione.
"Andiamo?", disse senza nessuna espressione nella voce.
Scorpius annuì e si ritrovarono nel corridoio deserto. Camminarono passo a passo in silenzio e all’improvviso una rabbia repressa scaturì fuori dal biondo.
"Sono passati quattro mesi, Albus", disse.
Vide con la coda dell’occhio il ragazzo fermarsi così si bloccò anche lui posizionandosi davanti per poterlo guardare negli occhi. Occhi che si erano accesi di rabbia. Il biondo ghignò interiormente.
Allora qualche emozione la provava ancora.
"Cosa?", domandò.
"Sono passati quattro mesi ed è ora che tu reagisca", rispose.
Le mani di Albus si chiusero in due pugni, si conficcò le unghia del palmo fino a quando non sentì la pelle strapparsi. "Ho aspettato, Albus ho aspettato che cercassi di risollevarti da solo ma sinceramente ora sono stufo. Sono stufo di vederti distruggerti ogni giorno per qualcosa - qualcuno - che non tonerà più, per vederti soffrire in silenzio. In questi mesi anche io ho sofferto e so che avevi bisogno dei tuo spazi, ma lei era anche la mia migliore amica. Ogni cosa mi fa tornare in mente lei eppure io sono qui e sono andato avanti".
"Se Rose vedesse come ti sei conciato..", Scorpius non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò per terra con il labbro spaccato. Albus, in piedi, invece aveva un’espressione al dir poco furiosa.
"Non pronunciare il suo nome!", urlò con tutto il fiato che aveva in gola. "E’ vero lei era la tua migliore amica, ma io Scorpius, io l’amavo! L’amavo e l’amo ancora adesso nonostante siano passati quattro mesi dalla sua scomparsa perché sono sicuro che neanche fra cento anni io riuscirò ad amare qualcun’altra. Non riesco ad andare avanti".
Scorpius si pulì il labbro con la manica fregandose altamente se la camicia si sarebbe sporcata, era da troppo tempo che desiderava parlare con il suo migliore amico. "E Hugo, invece? Lei era sua sorella eppure sembra che si sia ripreso. Cosa mi dici di lui, Al? Anche lui l’amava con tutto se stesso, come solo un fratello più farlo ma nonostante questo è andato avanti portandosi dietro tutto quello che per lui Rose significava", disse aspettandosi un altro pugno per il nome di Rose che stranamente non arrivò.
Quando riaprì gli occhi davanti a lui c’era il vuoto.

******

"Rose, perché continuo a sognarti?", domandò.
Lei alzò la testa incontrando i suoi occhi e sorrise, un sorrido dolce e allo stesso tempo triste come solo la ragazza sapeva fargli. Erano sdraiati sul letto di lui, abbracciati. La testa di lei sul suo petto, la testa di lui appoggiata ai suoi capelli.
"Perché è l’unico modo per stare insieme", gli rispose.
Gli occhi di Albus divennero improvvisamente lucidi. "Tu mi hai lasciato solo", disse.
Rose si allontanò di scattò dalla sue braccia accoglienti sentendo un vuoto al petto al posto del cuore. "Non avrei mai voluto lasciarti, io volevo stare con te. Non è colpa mia", ribatté con voce tremante.
Albus batté un pugno sul letto. "Invece sì è tutta colpa tua. Te l’avevo detto di non andare a Londra, era pericoloso. Maledizione, Rose! Erano stati avvistati degli ex Mangiamorte e tu sei voluta andare lì lo stesso, da sola per di più".
Rose si alzò dal letto e lo guardò rabbiosa. "E cosa dovevo fare? Smettere di andare in giro, smettere di vivere solo per colpa di quelli?".
"Ma tu sei morta!", urlò alla fine con tutte le sue forze Albus. Dagli occhi ormai scendevano copiose lacrime, al posto del cuore si era creata una voragine. "Tu sei morta", sussurrò ancora e ancora fino a quando la sua voce si spense.
"Sì Albus sono morta, ma tu no, tu sei ancora vivo. E devi farlo, Al. Non lasciare che il mio ricordo ti distrugga".
Albus si avvicinò velocemente alla ragazza abbracciandola stretta, sperando, pregando che lei tornasse da lui. "Albus?", lo chiamò dolcemente sentendo che il tempo scorreva velocemente e tra poco tutto sarebbe finito. Sapevano entrambi, lui sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco.
Le accarezzò la guancia, le labbra, gli occhi, cercando di imprimersi nella mente i dolci lineamenti della ragazza.
Il cuore di entrambi iniziarono a battere più velocemente fino a quasi volare.
Come ultimo, disperato gesto, Rose si strinse a lui, ricongiungendo le loro labbra desiderando che il tempo si sarebbe fermato in quel momento per far vivere la loro storia d’amore.
Dopo pochi secondi, Rose era già scomparsa dalle sue braccia.

"Come va con Amelia?", chiese il giorno dopo a colazione.
Scorpius strabuzzò gli occhi solo per qualche istante prima di ricomporsi. Cercò di nascondere un sorriso mentre gli rispondeva che lui e Amelia si erano lasciati la settimana scorsa.
"Mi dispiace", rispose solamente per poi rinchiudersi nel suo solito mutismo.
Una nuova luce di speranza si accese dentro il biondo e, quando alzò gli occhi verso la Sala Grande, si immaginò la sua piccola Rose che sorrideva mentre li guardava.

Era stata uccisa. Rose Weasley, figlia di due dei migliori Auror d’Inghilterra, Ron ed Hermione Weasley, non aveva potuto fare niente contro tre Mangiamorte ben addestrati.
Nonostante le proteste iniziali da parte di Scorpius e un netto divieto di lasciare la scuola da Albus, Rose si era recata nella Londra babbana per fare degli acquisti di Natale. Era stata seguita e i tre seguaci dell’ormai morto Voldemort, le avevano teso un’imboscata e le avevano lanciato vari Sectumsempra; con le sue ultime forze aveva mandato un Patronus ad Albus, una fenice, che si era subito recato insieme all’amico Scorpius e alcuni Auror sul posto.
Erano subito corsi al San Mungo, ma ormai era troppo tardi, i medici non avevano potuto fare niente perché Rose aveva perso troppo sangue e dopo solo un’ora, la vita di Rose Weasley si era spenta e con lei anche Albus era morto.
Il giorno successivo la Gazzetta del Profeta aveva scritto a lettere cubitali:

Rose Weasley, morta a soli diciassette anni.

Hermione aveva abbandonato il lavoro.
Ron, al contrario della moglie, si era buttato sul lavoro nella speranza di poter trovare quei Mangiamorte che gli avevano portato via la sua bambina.
Hugo piangeva sua sorella ogni notte, e in suo ricordo portava sempre sul polso un braccialetto che gli aveva regalato lei al suo ottavo compleanno.
I suoi parenti, cercavano di andare avanti e di stare vicino ai tre meglio che potevano.
Scorpius aveva iniziato a bere, ma poi dopo un’apparizione di una Rose un po’ incazzata gli aveva fatto passare la voglia di attaccarsi alla bottiglia.
Albus invece, lui fingeva di essere andato avanti, di aver dimenticato. Ma ogni gesto che faceva era come se aspettasse di vedere Rose correre da un momento all’altro tra le sue braccia, di sentire nuovamente il suo dolce profumo e poter baciare quelle labbra ancora per una volta.

Albus camminava per il settimo piano con la bacchetta alla mano. Non vedeva l’ora di tornarsene in camera, ma uno degli obblighi dei caposcuola era quello di fare la ronda notturna e quella sera era toccato a lui; beh in realtà no, aveva sostituito Nott perché non voleva avere un altro scontro con Scorpius. Si comportava da codardo, ma non gli importava, lui non era un Grifondoro, era un Serpeverde e il coraggio non era proprio di quella casa.
Aprì un'altra porta per vedere se c’era qualcuno quando sentì dei passi dietro di sé. Si voltò, pronto a togliere punti a qualche casa, quando vide un viso famigliare.
I suoi occhi si allargarono immediatamente stupiti e il cuore iniziò ad accelerare velocemente.
"Rose", sussurrò incredulo.
Lei lo guardò e sorrise. Si avvicinò velocemente e lo strinse a sé mentre catturò velocemente le sue labbra in un bacio mozzafiato.
Albus non ci pensò due volte e rispose al bacio. Non pensò nemmeno per un secondo che tutto quello era impossibile perché Rose non poteva essere veramente lì, ma riconobbe in lei ogni minima curva, ogni angolo nascosto che solo lui aveva esplorato. La riconobbe perché solo la sua Rose sapeva di camomilla.
Quando si separarono lei appoggiò la fronte contro la sua mentre con le mani gli accarezzava delicatamente i capelli. Lui le strinse maggiormente i fianchi e sentì la carne sotto le sue mani.
"Ma..cosa?..", lasciò in sospeso la domanda troppo stupito per poter dire qualcosa di sensato.
Rose rise, con la sua risata cristallina. "Lo so, neanche io riesco ancora a crederci", disse.
"Quindi..sei tornata?", domandò mentre sentiva il suo cuore ritornare a battere.
Lei fece un sorriso amaro. "No, non per molto. Mi hanno consesso un po’ di tempo da passare con te", rispose.
"Concesso..chi?", chiese. Lei alzò le spalle senza rispondere e un silenzio naturale calò tra di loro.
"Ho visto zio Fred", disse lei ad un certo punto.
"Sì?". Rose annuì. "E’ uguale a zio George, solo più giovane ma..ho visto in lui la stessa tristezza che ha zio George", disse.
"Sono divisi, Rose. E sinceramente li capisco, zio George è stato l’unico che ha capito il mio dolore quando te ne sei andata. Abbiamo fatto la stessa fine", sussurrò.
Gli occhi della rossa si annebbiarono un attimo, ma scosse la testa decisa. Quello non era il momento di piangere. "Al..dobbiamo parlare", iniziò.
Lui si staccò velocemente come se fosse scottato. "Sei venuta a dirmi addio?", domandò.
Lei abbassò la testa, annuendo. Le gambe del ragazzo divennero improvvisamente molli, non riusciva a sentire la terra sotto i suoi piedi. Di solito gli piaceva volare, ma quel vuoto gli dava la nausea e gli faceva paura.
"Non puoi", sussurrò. Lei alzò gli occhi incontrando i suoi ed entrambi vi lessero tanto amore, ma altrettanta sofferenza.
"Stai morendo, Albus", disse lei dopo qualche secondo di silenzio.
"Io sono già morto", la contraddisse. "Sono morto quando sei morta anche tu", continuò.
"No. E’ qui che ti sbagli. Io sono morta, tu invece hai ancora tutta la vita davanti e non devi sprecarla così".
"E cosa dovrei fare, Rose? Dimmelo te perché io non so più cosa fare. Sono perso, eri la mia luce che mi guidava, eri il mio fare nella tempesta. Senza di te io sono un cieco che viaggia sperando che la sua luce ritorni".
"Sii una fenice, Al", gli disse.
Lui aggrottò le sopracciglia senza capire. "Una fenice?", domandò.
Rose annuì. "Rinasci come una fenice. Lei muore nel dolore e poi rinasce dalle sue stesse ceneri", rispose. "Tu la fai tutta facile", commentò lui.
"Non ho detto che non sarà difficile. Ma guarda zio George. Quando ha perso zio Fred pensava che la sua vita fosse finita lì e poi..poi ha trovato qualcosa per cui vale la pena lottare; qualcosa per cui combattere il dolore che prova ogni giorno", disse.
"Io non voglio nessun’altra", disse Albus aspramente.
"Non mettermi parole che non ho mai pronunciato, Severus".
"Allora è una maledizione", sussurrò. "Che cosa?", chiese lei perdendosi nei suoi occhi.
"Il mio secondo nome lo portava un eroe, un eroe che ha perso l’amore della sua vita. La storia si ripete", rispose.
"Severus Piton", sussurrò lei. "L’ho visto, sai. E’ felice adesso, vicino a tua nonna. Ha detto che come lui puoi riuscire ad andare avanti anche tu. Soprattutto se porti il nome di Albus Silente, il miglior mago di tutti i tempi", sorrise.
Lui ricambiò il sorriso e si avvicinò a lei e la strinse fra le sue braccia. "Ho paura", disse.
"Non devi averne, non sei solo Al. C’e Scorpius e la nostra famiglia, nessuno di loro ti abbandonerà mai. E poi..ci sono anche io, veglierò sempre su di te".
"Ho paura anche per te", disse. Lei sorrise e congiunse le sue mani dietro al collo di lui.
"Non devi averne. C’è tanta luce dall’altra parte e non sarò mai sola, soprattutto perché ho te con me", disse sulle sue labbra.
Albus congiunse le labbra con quelle della ragazza, sapeva tanto di addio quel bacio.
"Non è un bacio di addio, Al. Ma di arrivederci perché io ti aspetterò", disse.
"Fammi aspettare tanto, però", ridacchiò.
"Ti amo", disse guardandola negli occhi.
Lei sorrise, un sorriso che sapeva di luce. "Anche io ti amo Albus Severus Potter".
Si staccarono quel tanto che bastavano per permetter a lei di tirargli un pugno sullo stomaco, molto delicato. "E tratta bene i miei libri perché altrimenti giuro che prendo il corpo di qualcuno e te le do di santa ragione", disse seria facendolo ridere.
"Questa cosa mi alletta parecchio", disse malizioso. Lei divenne rossa come un peperone, beh forse un po’ meno.
Fece un sorriso triste. "Ora devo andare", sussurrò triste.
Lui la strinse immediatamente tra le sue braccia e le accarezzò delicatamente i capelli.
"Dì a tutti gli voglio bene. Oh dimenticavo..dai un calcio a Scorpius da parte mia e digli che Amelia è la ragazza giusta per lui", sussurrò.
Albus rafforzò la stretta. "Mi sento a casa", la sentì dire prima di scomparire.
Quando aprì gli occhi, Albus stava stringendo solo aria.


Scorpius vide entrare il suo migliore amico in Sala Comune. Era sdraiato sul divanetto in pigiama intendo a leggere una vecchia rivista di Quidditch che aveva trovato nell’armadio, giusto per passare il tempo e non pensare all’enorme ritardo di Albus.
Si alzò immediatamente pronto per dirgliene quattro, ma non poté dire niente perché le braccia del moro lo circondarono in un abbraccio. Dopo una sorpresa iniziale ricambiò l’abbraccio, sentendo che il suo migliore amico era tornato.
"Mi dispiace di averti fatto preoccupare", sussurrò.
Lui rafforzò la stretta come per fargli capire che era tutto dimenticato, che niente aveva importanza. Dopo qualche secondo si separarono imbarazzati e si sedettero sul divano.
Restarono in silenzio, tra di loro non c’era mai stato bisogno di parole, era Rose quella che parlava sempre senza mai tacere un secondo. Ci pensava Albus a farla stare zitta, e quel modo piaceva a tutti, tranne forse al piccolo Scorpius che doveva vederli ogni giorno.
"Ho deciso che diventerò un Auror", disse.
"Lo so, e io ti seguirò amico mio".
Si strinsero la mano come a suggellare quell’accordo e si alzarono per andare a letto.
Erano quasi arrivati al dormitorio quando Albus si ricordò di qualcosa che doveva assolutamente fare. Rose gli aveva detto di dargli un calcio da parte al bel biondino, ma non aveva specificato dove. Un urlo di dolore soffocato e molte imprecazioni che avrebbero fatto impallidire anche il più grande dei loro compagni - e minacce di morte verso un certo, quasi defunto, Albus Potter - il biondo si accasciò per terra, pensando che suo padre doveva arrabbiarsi con Potter se non avrebbe potuto avere degli eredi.

Rose rise di gioia vedendo il biondo piegarsi in due dopo un bel calcio sugli stinchi di parte di Albus. "Si è guadagnato un posto qui da parte mia", disse una voce maschile dietro di lei.
Si voltò e sorrise. Davanti a lei c’erano tutti: Sirius, zio Fred, James, Lily, Severus, un certo Regulus e Colin; tutti quelli che erano morti nella battaglia. Anche Albus Silente.
Erano tutti lì con lei che brillavano di luce propria.

"Albus?", lo chiamò lei.
Lui mugugnò qualcosa nel suo stato di dormiveglia, e si girò con il volto verso di lei. "Dimmi", buttò fuori con un sospiro.
"T’immagini se si potesse non morire?", domandò.
Lui aprì gli occhi. "Rose la morte è un fatto della vita, è normale morire. Ma perché fai questi pensieri a quest’ora della notte? E’ normale poi che hai gli incubi", rispose.
Rose lo ignorò. "Ma t’immagini?", richiese.
Albus la circondò con le mani i fianchi, avvicinandola a sé. "Se si potesse non morire?", chiese.
Lei annuì. "Beh, se si potesse non morire allora il nostro amore sarà per sempre", rispose baciandola.

 
  
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