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Autore: anqis    17/03/2013    8 recensioni
Sul vetro appannato erano state tracciate delle curve fatte delle dita creando così un disegno. Il ragazzo allontanò il viso per ammirare quell’intrinseco di forme vaghe e poco chiare: una ragazza in piedi di fronte a quella che doveva essere una fermata dell’autobus, il volto rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi. I capelli lunghi le scendevano - bagnati, dedusse lui dalla rigidità - sul viso, la figura di lei, minuta e magra.
[..] A grandi e lenti passi attraversò la strada, non consapevole del sorriso che gli increspava le labbra. Aveva disegnato un ombrello. Sulla ragazza del disegno aveva disegnato alla meglio un ombrello per proteggerla dalle gocce di pioggia che le cadeva pesantemente addosso alle quali lei sembrava avesse deciso di non proteggersi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza dell'autobus.
Parte I.




Seduto su una vecchia e consunta panchina della fermata dell’autobus, la schiena appoggiata contro il vetro freddo bagnato dai rivoli delle gocce che cadevano silenziose, aspettava. Entrambe le cuffie infilate nelle orecchie, un piede allungato che picchiettava sul marciapiede a tempo di una canzone sconosciuta, lo sguardo perso sulla strada ancora vuota, così diversa da quella in cui si imbatteva al ritorno. Le nebbia si diramava da ogni direzione, la sentiva entrare nel giubbotto verde militare che indossava, attraversargli le vene e congelargli il sangue, gli arti. Seduto, picchiettava il piede a tempo.
Volse lo sguardo verso l’incrocio dove vide la luce arancione di una scritta che preannunciava l’arrivo dell’autobus. Aspettò che si arrestasse di fronte a lui prima di decidersi di alzarsi, scrollarsi di dosso le poche tracce di nebbia rimaste sulle spalle e avviarsi verso le porte che impazienti lo aspettavano, pronte per richiudersi immediatamente e partire.
L’autobus era mezzo vuoto, una signora anziana sedeva al posto dei disabile accanto alla finestra, il viso rivolto sulla strada, qualche ragazzo seduto nei primi e ultimi posti intenti a ripassare con il naso affondato tra le pagine di libri troppo pesanti che Harry non si era mai preoccupato di aprire. Erano a casa a calduccio sulla mensola, proprio dove sarebbe voluto esserci lui in quel momento. A casa ovviamente, non sulla mensola.
Harry si sistemò il berretto di lana grigio, il suo preferito tra tanti, sui riccioli scuri che ribelli gli si riversavano sul viso, sugli occhi. A volte veniva travolto dall’impulso di prendere il rasoio del suo patrigno e raderseli, completamente come Liam, il suo compagno del corso di algebra e geografia che gli faceva sempre copiare i compiti, anche se spesso neanche glieli chiedeva. Poi però si passava una mano tra i capelli e pensava a quanto sarebbe stato non sentire niente tra le dita, e allora riappoggiava lo strumento e riponeva l’idea in qualche cassetto della sua testa.
Il mezzo ripartì nel momento in cui lui fece un passo facendolo avanzare troppo velocemente instabile sui suoi stessi passi. Si attaccò ad un gancio mentre una risatina attirava la sua attenzione. Era una ragazza che frequentava il suo stesso corso di spagnolo, una biondina tutti sorrisi con cui non ci voleva avere nulla a che fare. La ignorò continuando a camminare e alzando il volume della canzone, mentre sentiva lo sguardo di lei scrutare la sua figura da cima a fondo. Come un predatore, pensò Harry prendendo posto.
Si sedeva sempre lì da quando aveva cominciato il liceo. Probabilmente qualcuno dei pochi presenti lo giudicava strano dato che si appropriava del posto peggiore di tutti: all’angolo, tra la finestra e la porta, attaccato al retro dell’autobus dove il rombo del motore, il calore e l’odore del fumo era più pesante. Lui però si era abituato, anche a quell’odore stagnante  o il freddo che filtrava dalla porta mal funzionante e le folate di vento ogni volta che si apriva ad ogni fermata. Harry pensava che il conducente lo facesse apposta ad aprire la porta, perché era a conoscenza del fatto che nessuno salisse mai da lì, ma questo non sembrava curarsene.  Harry sapeva che era una piccola rivincita per ogni volta che perdeva tempo di proposito per salire su quella mezza carretta, ma non gli importava. Era giusto, infondo.
Scivolò sullo schienale e fece cadere lo zaino dello zaino sul sedile accanto, sempre vuoto. Appoggiò il viso contro il vetro freddo della finestra e solo in quel momento si accorse di un piccolo cambiamento. Sul vetro appannato erano stati tracciate delle curve fatte delle dita creando così un disegno. Il ragazzo allontanò il viso per ammirare quell’intrinseco di forme vaghe e poco chiare: una ragazza in piedi di fronte a quella che doveva essere una fermata dell’autobus, il volto rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi. I capelli lunghi le scendevano - bagnati, dedusse lui dalla rigidità - sul viso, la figura di lei, minuta e magra.
Era un disegno semplice eppure non da niente per esser stato disegnato su due piedi con delle dita. Harry continuò a guardare quella bozza, poi preso da un impulso dettato dal suo strano subconscio allungò le dita e cominciò anche lui a tracciare delle linee. Quando ebbe finito, era ormai giunto alla fine della sua playlist preferita, “Echoes” era ormai giunta alle ultime note. Fece un sorriso e in tempo notò l’immensa figura dell’edificio dove lo rinchiudevano per lunghe ore della sua vita che lui avrebbe potuto spendere in cause più giuste – come dormire, e prenotò la sua fermata. Lanciò un ultimo sguardo alla sua opera e saltò giù dall’autobus, in tempo per non consentire all’antipatico autista di incastrarlo tra le ante della porta.
A grandi e lenti passi attraversò la strada, inconsapevole del sorriso che gli increspava le labbra. Aveva disegnato un ombrello. Sulla ragazza del disegno aveva disegnato alla meglio un ombrello per proteggerla dalle gocce di pioggia che le cadeva pesantemente addosso alle quali lei sembrava avesse deciso di non proteggersi.
 

***

 
Quando Harry con la testa china e la mani nelle tasche dei pantaloni stretti aveva messo piede  nell’autobus, lo stesso che aveva preso la mattina, i suoi occhi si puntarono immediatamente sulla finestra. Durante il corso della giornata, con la testa china sui quaderni usati come cuscini aveva più spesso vagato con la testa su quel mezzo immaginandosi la reazione che avrebbe avuto la ragazza vedendo il piccolo intervento che aveva fatto. Ovviamente sapeva perfettamente che quel disegno poteva esser stato cancellato anche alla fermata seguente alla sua da qualche altra persona, ma non gli importava e aveva continuato ad immaginarsi un viso che sorrideva alla vista dell’ombrello abbozzato.
E attonito si era seduto cautamente su quel sedile snobbato da tutti, la fronte corrugata e le labbra tese in una riga dura e stupita. Non sapeva se doveva sentirsi più offeso o stupito.
La ragazza e le nuvole cariche di pioggia erano state lasciate intatte, il suo ombrello invece era stato malamente cancellato. Corrucciò le labbra in una smorfia infastidita e sbuffò lasciandosi cadere sul sedile. Alzò il volume per sovrastare le chiacchiere e gli squittii degli studenti della sua stessa scuola e chiuse gli occhi. Cosa aveva fatto di sbagliato?
 

***

 
Alla fermata dell’autobus, la panchina fredda e vecchia solitamente occupata da una figura slanciata e alta era vuota. Il ragazzo che giornalmente sedeva lì era immobile sul bordo del marciapiede, le vans nere consumate dai passi e dalle strade percorse insieme erano leggermente esposte in avanti. La destra picchiettava con un incalzante ritmo sul terreno seguendo una canzone ignota, ma talmente forte che si poteva leggermente sentire se intorno calava il silenzio.
Harry emise un lamento e affondò maggiormente il lungo naso nel giubbotto verde militare imprecando sottovoce. Perché non aveva ascoltato i consigli di sua madre e non aveva indossato la sciarpa e il giubbotto più pesante? La sentiva, con quella sua voce materna ma tagliente ripetergli nella mente “quando poi starai saltellando dal freddo per riscaldarti e compiangerei il calore che può dare la sciarpa di lana calda che ti ho regalato per Natale, non venire a lamentarti da me con il moccio e il naso rosso e sproporzionato”e più il solco tra le sopracciglia sembrava affondare nella pelle. E perché diamine l’autobus sembrava stesse impiegando ore per arrivare? Che quel dannato autista sapesse che stava congelando? Doveva esser per forza così, pensò tirando un calcio all’aria per scaricare la tensione e riprendere la sensazione di possedere una gamba.
Tirò fuori dalla tasca il cellulare che segnava solamente le 7.30 di mattina. Il conducente non era in ritardo, era lui quello in anticipo. Sbuffò nuovamente e l’aria si condensò creando cerchi di aria calda che scomparvero nell’arco di pochi secondi repressi dal gelo. Cosa l’aveva portato a svegliarsi prima del solito quel giorno? A lasciare le calde coperte? La risposta la sapeva perfettamente e quando i suoi occhi distinsero l’enorme numero dell’autobus gli salì un groppo in gola.
Fece finta di non vedere l’espressione di sorpresa che aveva assunto l’uomo pelato sulla cinquantina che cercava ogni giorno di togliergli la vita incastrandogli una gamba tra le ante della porta, e in un attimo salì su. Ignorò la risatina e gli sguardi espliciti della biondina, il borbottare della signora anziana sulla maleducazione dei giorni nostri – anche se nessuno sembrava le avesse neanche rivolto la parola - e accorse a passi svelti verso il suo posto.
Lasciò cadere lo zaino sul posto mentre in piedi ammirava il nuovo disegno. Si sedette non appena si accorse di aver attirato l’attenzione dei pochi passeggeri presenti rimanendo in piedi come pietrificato e si tolse il berretto di lana. Non si aspettava di trovarne un altro, credeva che dopo il giorno prima l’autrice si fosse sentita offesa, ed invece contro ad ogni sua aspettativa aveva dato il meglio di sé nel ritratto di un piccolo gatto chino su una ciotola di latte, dedusse Harry che possedeva anche lui un gatto, solo più grosso e meno carino.
Che le avessero appena regalato un gatto? O magari l’aveva raccolto, con il pelo bagnato fradicio dentro una scatola di cartone abbandonata sul ciglio della strada e avesse deciso di tenerlo con sé, contro la decisione dei genitori. Scosse la testa e sorrise imbarazzato, forse stava un tantino esagerando.
Sapeva però che non stava sorridendo per quello. Che fosse un gatto o qualunque altra cosa, era felice perché era come se lei avesse preso la decisione di condividere con lui, uno sconosciuto che aveva il coraggio di pochi come lei di prendere posto su quella sedia della tortura, quel piccolo motivo di felicità.
Stranamente sorridente per essere solo le 7.50 del mattino, Harry si tolse il guanto della mano destra e lasciò nuovamente un segno del suo passaggio. Un piccolo gomito di lana, più simile ad una palla informe, accanto al gatto per fargli compagnia.
Il trillo della prenotazione della fermata gli fece alzare la testa. La ragazza bionda era di fronte alla porta, il che significava che era giunto il momento anche per lui di scendere.
 

***

 
Avevano continuato così per due settimane intere. Ogni mattina, Harry si svegliava prima del solito e cinque minuti dopo si trovava sul ciglio del marciapiede, il naso affondato nella sciarpa bianca cucita da sua madre -  che invece di rimproverarlo quando era tornato con il naso gonfio e otturato, aveva riso sommessamente di lui - e gli occhi verdi rivolti verso la strada, in trepida attesa dell’arrivo dell’autobus.
L’autista ormai aveva preso anche l’abitudine di sorridergli quando lo vedeva lì, ritto e infreddolito con un piede già sospeso nell’aria pronto ad annullare la distanze. Una volta, quando la portiera di dietro aveva preso l’autonoma decisione di prendersi una giornata di riposo, costringendo così Harry a salire da davanti, gli aveva addirittura fatto un occhiolino, lo stesso vecchio che aveva cercato più volte di incastrargli la gamba tra le ante e trascinarlo fino alla fermata seguente, o più, senza curarsi del corpo che penzolava e lo seguiva. Non era successo, ma Harry sapeva perfettamente che gli sarebbe piaciuta l’idea, prima che diventassero passeggero-conducente preferiti.
Si sedeva e guardava il disegno che quel giorno gli aveva lasciato, passando i minuti del tragitto dopo a pensare come risponderle, scarabocchiando solo all’ultimo un qualcosa di simpatico o utile. E sapeva che lei vedeva i segni che lasciava lui perché quando saliva al ritorno, una piccola faccina sorridente lo aspettava.
Harry non ne aveva parlato a nessuno perché sapeva quanto fosse strana la faccenda e quanto si sarebbero divertiti i suoi amici, in particolare il suo migliore amico Louis. Quando però quest’ultimo lo aveva messo alle strette dopo l’ora di motoria chiudendolo nel bagno dei maschi ancora in mutande in attesa di farsi spiegare il perché alla fine della scuola scappava immediatamente fuorisenza neanche aspettarlo, Harry si era dovuto arrendere e riluttante gli aveva raccontato di quegli scambi. E come previsto, Louis era scoppiato in una sonora risata. Solo dopo si era conto di quanto quei disegnini sembravano davvero importanti per Harry.
E gli aveva rivolto la domanda che Harry aveva cercato notti e notti di reprimere, dimenticare: “Non vorresti sapere chi è la ragazza che ti lascia quei disegni?” rendendo reale il suo bisogno di sapere chi fosse lei, chi si nascondeva dietro le faccine sorridenti che gli lasciava, le nuvole di pioggia, la ragazza che si era arresa alla gocce. 


 

- all'angolo della strada.

Buonasera a tutte, mie care lettrici! 
Eh sì, non vi siete ancora liberate di me, finita la fan fiction eccomi qua con una one shot piuttosto lunga. Dunque, ecco a voi la prima parte di tre capitoli. Spero che vi colpisca, spero di non risultare banale, spero di non aver fatto troppi errori perché mi sono impegnata abbastanza. Ho messo una parte di me, lo faccio sempre, ma questa volta un pizzico di più nel personaggio di lei. E mi sono completamente ispirata a.. me. Stavo tornando da scuola e il vetro dell’autobus era appannato, allora ho cominciato a disegnarci su. Un po’ di passeggeri hanno cominciato a guardarmi, ma me ne sono fregata altamente. Non riuscivo a smettere, neanche di fronte alla porta d’uscita alla mia fermata, haha.

Okay, ho finito di torturarvi con i miei strani comportamenti da pazza. Spero di non farvi attendere troppo, alla prossima!
Alice.


 

 ps. Harry Styles nei perfetti panni di Harry Styles della one shot "La ragazza dell'autobus", lol.
Sempre perfetto, il bastardo.

 

   
 
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