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Autore: Beauty    17/03/2013    9 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dreams Never Come True

 
Elizabeth si arrestò improvvisamente, indietreggiando di qualche passo. La borsa in cui teneva conservato il libro di favole fortunatamente non le era sgusciata via dal collo durante l’impatto con l’acqua, ma ora era completamente zuppa, e il suo peso notevolmente aumentato. La tracolla le graffiava la pelle della clavicola. Elizabeth fu sul punto di togliersela di dosso e abbandonarla sulla terra bruciata, ma non aveva scordato le parole della Fata Turchina: Salvatrice o non Salvatrice, mondo delle favole in rivolta o no, lei e sua sorella – chissà dov’era Anya, a proposito… – erano nei guai fino al collo, e insieme a quella profezia, il libro di favole era l’unica via per uscire da quel pasticcio. Non poteva liberarsene così su due piedi.
Si afferrò le spalle con le mani nel tentativo di riscaldarsi; indietreggiò di un passo ancora, guardandosi intorno con aria spaurita. Tutto era un cumulo di macerie: i mattoni delle case erano bruciati e anneriti, le porte e le finestre scardinate lasciavano aprire all’interno delle voragini scure. La sola vista le faceva correre un brivido lungo la schiena. Le pareva quasi di essere divenuta la protagonista di uno di quei film horror di serie B, in cui la bella ragazza viene scannata dal mostro sanguinario.
Elizabeth non vedeva nessuno intorno a lei, anche se non avrebbe saputo dire se questo fosse un bene o un male. Ciò che era successo con Biancaneve e quel lupo umanoide avrebbe dovuto metterla in guardia nei confronti di qualunque cosa si muovesse, ma la ragazza s’impose di ragionare con buon senso. Era vero che Biancaneve era stata ben diversa da quanto chiunque si sarebbe potuto aspettare, ma era anche vero che qualcuno di normale ancora c’era – bastava pensare alla Fata Turchina e a quanto era stata gentile con lei e Anya. Semplicemente, doveva tenere le antenne ben dritte e non lasciarsi infinocchiare come aveva fatto con Biancaneve.
In quelle condizioni, incontrare qualcuno non le avrebbe fatto male, avrebbe potuto chiedere aiuto. Il fatto che quel villaggio fosse disabitato era una sfortuna; tuttavia, Elizabeth preferiva di gran lunga che non ci fosse nessuno, piuttosto che invece ci fosse una qualche presenza e si mantenesse celata. Si guardò lentamente intorno, indagando ogni angolo.
Si sentiva osservata.
Se veramente c’era qualcuno, allora non doveva avere delle buone intenzioni. In mezzo a tutte quelle rovine, solo un disperato o un malintenzionato avrebbe potuto nascondersi. E lei non poteva sapere chi si sarebbe ritrovata di fronte.
La peggiore cosa dell’essere soli è scoprire di non esserlo.
Elizabeth sentì che le sue mani avevano preso a tremarle. Non sapeva dov’era, non sapeva dove andare, non sapeva che fine avesse fatto Anya, era sola, inerme, indifesa.
Indietreggiò nuovamente. La sensazione di essere osservata non era sparita.
Un fruscio, forte, udibile. La colse così all’improvviso che quasi non riuscì a trattenere un grido. Elizabeth si voltò repentinamente, ma non abbastanza per riuscire a vedere l’ombra scura che aveva appena attraversato la strada alle sue spalle, scomparendo in una via laterale.
La sensazione di non essere sola aumentò vertiginosamente.
Elizabeth indietreggiò più in fretta che poteva, sentendosi improvvisamente inerme e indifesa. Come se qualcosa di tremendo stesse per accadere da un momento all’altro.
Sbatté inavvertitamente la schiena contro qualcosa di solido, presumibilmente di legno, riuscì a pensare. Il fruscio si ripeté. Elizabeth voltò il capo nella sua direzione, sgranando gli occhi inorridita non appena scorse un’altra ombra poco distante da lei.
Prima che potesse formulare alcun pensiero, o farsi prendere dal panico, sentì il sostegno alle sue spalle scomparire, e perse l’equilibrio. Elizabeth cercò di urlare, ma una mano giunse a tapparle la bocca prima che il grido ne fuoriuscisse. La ragazza vide la porta contro cui si era appoggiata chiudersi di fronte ai suoi occhi; si ritrovò distesa a terra, la mano di uno sconosciuto premuta sulla bocca. Tutt’intorno era immerso nell’oscurità, fatta eccezione per un barlume di luce che filtrava da una finestrella dai vetri rotti appena al di sopra della sua testa. Elizabeth sentì che la mano sulla sua bocca era scivolata via; sollevò lo sguardo, incrociando un volto semi illuminato nella penombra, mentre gli occhi dello sconosciuto incrociavano i suoi.
Chi l’aveva trascinata in quella casa si portò l’indice all’altezza delle labbra, facendole segno di tacere.
Elizabeth vide che si trattava di una ragazza. Una ragazza all’incirca della sua stessa età, con i capelli biondi e un bel viso, per quel che riusciva a vedere. La lasciò andare, accucciandosi al di sotto della finestra; Elizabeth si tirò su dal pavimento, tentando di rialzarsi, ma la sconosciuta la trattenne per un braccio, facendole segno di non muoversi. La trascinò verso di sé, in modo che si mettesse seduta al suo fianco. Elizabeth riudì quel fruscio di poco prima, seguito da un rumore di passi molto simile al rimbombo di un tuono. Era certa che si trattassero di passi, ma a mano a mano che questi si facevano più vicini le pareva quasi che la terra tremasse come se fosse in corso un terremoto.
Non erano passi umani.
Elizabeth fece appena in tempo a formulare quel pensiero che una lunga ombra scura si stagliò al di sopra delle loro teste, gettando buio completo nella stanza. Un verso a metà fra un ringhio sommesso e un grugnito giunse dall’esterno.
Elizabeth si sentì afferrare un polso; fece per urlare dalla sorpresa, ma soffocò il grido quando la ragazza accanto a lei si portò nuovamente l’indice all’altezza delle labbra. Chiuse gli occhi, cercando di non respirare così affannosamente e di far calmare le pulsazioni furiose del suo cuore, mentre Dio santo! quella cosa che stava là fuori aveva iniziato ad annusare l’aria, come un segugio da caccia.
Il ringhio sommesso si ripeté, quindi l’ombra iniziò a ritirarsi, finché la luce tornò a filtrare nella stanza. Il rimbombo di passi si ripeté, divenendo sempre più lontano fino a scomparire.
Solo in quel momento, Elizabeth trovò il coraggio di guardare la sconosciuta accanto a sé.
Il gioco di luci e ombre non l’aveva ingannata, e la ragazza aveva veramente i capelli biondi, lunghi, anche se seminascosti da un vecchio foulard allacciato dietro la nuca. Aveva un bel viso, giovane, a forma di cuore, ma stranamente stanco, gli occhi azzurri cerchiati come se fossero notti intere che non dormiva. Elizabeth vide che era molto magra, quasi anoressica. Indossava una camicetta bianca più larga di almeno una taglia, e una gonna marrone scuro dall’orlo sbrindellato.
- Siamo state fortunate…- soffiò la ragazza, sollevandosi appena sulle ginocchia e sbirciando fuori dalla finestra.- Gli orchi hanno un olfatto molto fino…
 

***

 
New York, ore 19:50 p. m.
 
Gaston passò velocemente di fronte a una fotografia che ritraeva due bambini sorridenti, notando appena che era l’ultima arrivata in mezzo ad altre due, ma non si curò troppo del fatto che fra gli annunci delle persone scomparse fosse andato ad aggiungersi, fra il sorriso di Joey Mitchell e il broncio di Sarah Hammonds, anche il volto dei due fratellini Katie e Toby MacPherson, sei e otto anni, come recitava la scritta. Si limitò a fissare il marciapiede digrignando i denti, gettando il mazzo di fiori appassiti a causa del troppo rigirarseli fra le mani in un cassonetto della spazzatura poco distante.
Anya Hadleigh lo stava facendo incazzare, e parecchio. Chi si credeva di essere, quella puttanella?
Gli aveva dato buca centinaia di volte in maniera che definire poco educata nel suo vocabolario sarebbe stato un cortese eufemismo, ma era comunque passato sopra alla sua arroganza perché, a conti fatti, la ragazza aveva un fondoschiena e un paio di tette che lui fino a quel momento aveva visto solo nei suoi sogni.
E poi, a dirla tutta, Anya Hadleigh gli era sempre piaciuta. Pure se era una stronza.
Non le era bastato piantarlo in mezzo alla strada sotto la pioggia come l’ultima volta, no. Adesso aveva anche pensato bene di non farsi più vedere. Era andato al Once Upon a Time Café e quando non l’aveva trovata, Juliet e Doris gli avevano spiegato che era quasi due giorni che non si faceva vedere, senza alcun preavviso. Bowen era imbestialito; se non stava attenta, rischiava di farsi licenziare.
Gaston, allora, con quel mazzo di fiori in mano come un imbecille, aveva suonato al campanello del suo appartamento ma nessuno gli aveva risposto; aveva fatto un ultimo disperato tentativo alla centrale di polizia dove lavorava il padre di Anya, ma l’usciere lo aveva liquidato a male parole.
E ora lui era lì, come un povero scemo, che girovagava nei pressi della centrale bagnato fradicio a causa di quel tempaccio di merda che da giorni non la smetteva di impestare su Manhattan.
Gaston si sollevò il colletto della giacca di pelle, i capelli biondi bagnati e appiccicati al cranio, svoltando l’angolo sul retro della centrale di polizia e infilandosi in un vicolo buio nella speranza – più illusione, a dire il vero – di trovare un riparo dalla pioggia, fosse stato anche un fottuto tetto spiovente; rimase di stucco quando si ritrovò di fronte a una porta.
Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse abitare in un posto così squallido, o erigerci un negozio. Anche se, osservò, quella non aveva l’aria di essere nessuna delle due. Era semplicemente una porta in un muro non verniciato, senza neppure l’ombra di una finestra. Gaston fece spallucce, avvicinandosi. Probabilmente era nient’altro più che un magazzino, ma forse per qualche minuto sarebbe potuto essere un ottimo riparo. Doveva solo sperare di non incappare in qualche barbone inferocito…
Gaston non ci stette a pensare molto, e aprì la porta.
 

***

 
Elizabeth trovò il coraggio di sollevare il fondoschiena dal pavimento solo quando la sconosciuta che le aveva salvato la pelle si fu prima rialzata, spiando un’ultima volta fuori dalla finestra per assicurarsi che non ci fosse più nessuno. La ragazza la vide scheggiare immediatamente alla porta e afferrare una grossa trave abbandonata sul pavimento, per poi fissarla con decisione aggiungendola al catenaccio arrugginito avvolto intorno alla maniglia. Dopo aver fatto ciò, parve più tranquilla.
Elizabeth sbuffò, rialzandosi a fatica.
- E togliti dalla finestra!- bisbigliò la sconosciuta, strattonandola rabbiosamente lontano dai vetri.- Vuoi farci ammazzare tutt’e due?
Elizabeth si liberò dalla presa, sentendo la clavicola dolorante a causa dello strattone. La sconosciuta sospirò, scuotendo il capo.
- Ringrazia la tua buona sorte che sei tutta bagnata…- mormorò.- Se così non fosse stato, quell’orco ci avrebbe certo fiutate…
- Quello era un…orco?- fece Elizabeth, un po’ frastornata.
La sconosciuta annuì.
- Credevo se ne fossero andati tutti, ma a quanto pare mi sbagliavo…- la sconosciuta sbirciò brevemente la finestra.- Immagino si tratti di qualcuno che è rimasto indietro, oppure di un disperso…gli orchi non sono un gruppo molto coeso…
Elizabeth boccheggiò, alla ricerca di una risposta adatta, ma non la trovò. L’unica infarinatura in fatto di orchi era Shrek, oppure quel coso verde grande e grosso di Harry Potter e la pietra filosofale…no, un momento, quello era un troll…
Ma che accidenti stava farneticando?!
Si riscosse, tentando di darsi un contegno; quello che era appena successo, dalla separazione da Anya fino a quel momento, l’aveva scossa parecchio, senza contare che il trovarsi in un mondo di cui neanche ventiquattr’ore prima sospettava l’esistenza non aiutava di certo, e ora il fatto che avesse appena scampato l’attacco di un orco e fosse in un villaggio distrutto, in compagnia di…
- Ehi, mi stai ascoltando?
Elizabeth si riprese del tutto, incrociando lo sguardo spazientito della sconosciuta. La bionda incrociò le braccia al petto.
- Scusami, ero…ero soprappensiero…- pigolò Elizabeth, nel tentativo di salvarsi la faccia.
- Ho detto che è meglio sbarrare le imposte, almeno per un paio di ore…- ripeté l’altra, avviandosi verso la finestra e accostando le persiane. Elizabeth si trovò per un attimo disorientata nell’oscurità, ma sbatté le palpebre non appena la ragazza accese una candela posta su un tavolinetto poco distante.
- Stai bene?- s’informò la bionda, guardandola brevemente; Elizabeth annuì, sulla difensiva. Le pareva quasi di avere una sorta di déjà-vu, in quella situazione…in particolare, rivedeva se stessa e sua sorella inseguite da una Biancaneve armata di mannaia. Scrutò attentamente la sconosciuta, alla ricerca di un qualche indizio, magari un tic nervoso, che ne rivelasse qualche anomalia, ma non ne trovò. La bionda pareva ancora agitata dal pericolo appena scampato, un po’ in subbuglio, ma comunque lucida e senza traccia di particolari stranezze.
A parte, naturalmente, l’essere un personaggio delle favole.
- Sai, non credevo che fosse rimasto ancora qualcun altro, qui…- mormorò la sconosciuta.- Dopo che gli orchi del Nord hanno attaccato, tutti sono fuggiti o sono morti…- la guardò.- Non ti ho mai vista da queste parti…chi è tuo padre? Oh, che sciocca!- la ragazza parve ricordarsi improvvisamente di qualcosa, e afferrò un mantello abbandonato malamente su una seggiola poco più in là. - Tieni, asciugati!- disse, lanciandolo a Elizabeth; lei lo afferrò al volo, avvolgendoselo cautamente intorno alle spalle e iniziando ad asciugarsi un poco i capelli, senza staccare gli occhi dalla bionda.
- Perché sei tutta bagnata?- chiese la sconosciuta; si morse il labbro inferiore.- E, non per essere indiscreta, ma…perché sei vestita da uomo?- aggiunse, lanciando un’occhiata agli abiti di Elizabeth e soffermandosi in particolare sui suoi jeans fradici.
Elizabeth non rispose, continuando a tamponarsi le punte dei capelli per prendere tempo. La bionda sospirò, sedendosi al tavolo.
- Cos’è successo qui?- chiese Elizabeth dopo qualche istante.
- Gli orchi - rispose semplicemente la bionda.- Hanno attaccato circa un mese fa…Ci erano giunte notizie sul fatto che avessero già compiuto razzie nei villaggi circostanti, ma…beh, non so, il sindaco pareva essere convinto del fatto che a noi non sarebbe toccata la stessa sorte. E invece…- la ragazza allargò le braccia indicando l’ambiente.
Elizabeth abbassò lo sguardo, pensierosa. Non ricordava nessuna favola in cui vi era una rivolta degli orchi…
Male. Molto male.
Fece vagare lo sguardo per tutta la stanza; pareva abbastanza ampia, anzi, forse grande quasi quanto il salotto del suo appartamento e la camera sua e di Anya messi insieme. Era quasi completamente avvolta nell’oscurità, ma la ragazza riusciva comunque a distinguere un tavolo, qualche seggiola spaiata, un grande camino in pietra con un pentolone annerito posto su delle braci spente. Ad occhio e croce, doveva trattarsi di una cucina.
La sconosciuta sospirò nuovamente, scostando una sedia accanto a sé.
- Prego, siediti…- soffiò, facendole un cenno. Elizabeth si morse il labbro inferiore, avanzando un passo incerto, diffidente.
­- Io ora dovrei andare…- mormorò, in tono di scuse; era vero, in fondo, non solo uno stratagemma per andarsene da lì. Lo sguardo folle di Biancaneve le aveva insegnato qualcosa, dopotutto. E poi, doveva trovare Anya.
La bionda scosse il capo.
- Mi spiace, ma non credo sia sicuro…- disse.- Cosa c’è, non ti fidi?- inarcò un sopracciglio, notando l’espressione diffidente di Elizabeth. La ragazza non rispose, presa in contropiede; l’altra scosse il capo.
- Credimi, con tutto quello che è successo in questi ultimi tempi, qui dentro è il posto più sicuro in cui saresti potuta capitare…Comunque, se vuoi andartene, fa’ pure. Non sarò io a fermarti.
Elizabeth rimase un attimo pensosa, quindi annuì, e si sedette; in fondo, pensò, qualunque cosa fosse là fuori un attimo prima, orco o no, non aveva l’aria di essere particolarmente amichevole, e quella ragazza l’aveva salvata, dopotutto. La bionda non aveva niente che riconducesse all’espressione folle di Biancaneve, o allo sguardo furbo e malvagio di Tremotino, e lei si era ripromessa di non farsi prendere più da eccessivo entusiasmo e non ricascare nella trappola della capanna dei sette nani.
Sperò solo che il suo buon senso non si rivoltasse contro di lei.
- E’ meglio non uscire per almeno un paio d’ore - proseguì la sconosciuta, seria, ravvivando la fiammella della candela.- Gli orchi non sono poi così stupidi come li si crede…è incredibile come siano riusciti ad affinare la loro arte. Prima si limitavano ad attaccare direttamente, sai, assalti alle abitazioni, scontri frontali…ora invece, sembra che abbiano imparato a tendere degli agguati - la bionda fece una smorfia.- E’ meglio stare attenti.
- Già, questo l’ho capito…- soffiò Elizabeth, ancora un po’ frastornata.- Un paio d’ore, hai detto? E poi?
- Poi, non lo so…diamo un’occhiata a com’è la situazione, e decidiamo il da farsi.
- Io devo andarmene da qui al più presto - dichiarò Elizabeth.- Devo trovare mia sorella.
La sconosciuta la guardò per un lungo istante, quindi le prese inaspettatamente la mano.
- Ascoltami - mormorò.- Lungi da me voler essere indelicata o darti una brutta notizia, ma credo che, visto come stanno le cose, sia il caso di avvertirti. Se hai perso di vista tua sorella in mezzo alla folla di tre giorni fa, allora…beh, ecco…credo che dovresti considerare la possibilità che potresti non rivederla mai più.
Elizabeth ridusse le labbra a una fessura e ritrasse di scatto la mano, innervosita.
- Mia sorella non è morta!- dichiarò.
- Non sto dicendo che sia morta…Se fosse stata uccisa, allora forse le sarebbe andata bene. Non hai idea di quante donne sono state rapite per essere, beh…di conforto ai soldati, oppure fatte schiave dagli orchi…
Elizabeth scosse il capo.
- No, so per certo che non è così. Ho perso mia sorella…beh…credo siano dieci minuti fa…- spiegò, un po’ imbarazzata a causa dello sguardo incredulo e stralunato della bionda.- Credo di essere incappata in un qualche passaggio segreto, o non so che…Insomma, lei è rimasta indietro, suppongo, e io sono arrivata qui. Non so come…
- Certo, è perfettamente chiaro - sussurrò la sconosciuta, seria. Elizabeth la guardò, sorpresa: dopo una storia del genere, si sarebbe aspettata come minimo un briciolo di ironia da parte sua. E invece, a quanto pareva, ciò che aveva raccontato aveva un senso, almeno per quella ragazza.
Uno spiffero d’aria entrò nella stanza da chissà dove, ed Elizabeth, ancora fradicia, rabbrividì.
- Ti darei dei vestiti asciutti, se potessi - disse la bionda, notando che aveva freddo.- Ma, beh…i miei sono un cumulo di stracci, e non mi fido a darti quelli della mia matrigna o delle mie sorellastre. Non ho ancora avuto il tempo di bruciarli tutti, e ho paura che siano infetti…
- Infetti?- fece eco Elizabeth.
- Di colera.
La ragazza sgranò gli occhi, arretrando istintivamente. La bionda alzò le mani come per calmarla.
- Tranquilla, va tutto bene. Io non sono malata. Se così fosse, sarei già morta da un pezzo…
- Hai detto colera?- fece Elizabeth.
La bionda annuì.
- Si sono ammalate all’improvviso, anche se credo che fosse destino…Sai, loro non hanno mai avuto una costituzione molto forte, erano poco abituate al lavoro duro e agli stenti, e qui il cibo e la legna mancano da settimane, così come l’acqua pulita. Era inevitabile che in queste condizioni si ammalassero. La mia matrigna, che la sua anima riposi in pace, è morta nella notte la settimana scorsa; non ce ne siamo neppure accorte, poveretta…Mentre le mie sorellastre se ne sono andate due giorni fa. Ho dovuto seppellirle tutt’e tre nell’orto dietro casa, sotto il ciliegio; mi dispiace che abbiano dovuto avere una sepoltura così misera, ma proprio non potevo fare altrimenti. E’ per questo che sono ancora qui - la bionda si strinse nelle spalle.- Molti se ne sono andati dopo aver perso i propri averi durante le razzie dei soldati, e poi, quando gli orchi hanno attaccato, tutti sono fuggiti. Ma io ho dovuto rimanere. Madame Tremaine era già morta, ma Anastasia e Genoveffa erano malate e non riuscivano neppure ad alzarsi dal letto…E’ per questo che sono rimasta. Non potevo abbandonarle.
Elizabeth scosse il capo, frastornata, cercando di scacciare la parola colera e tutto ciò che essa significava lontano dalla sua mente e nel contempo di ricollegare i fili del discorso della bionda.
Aveva parlato di una matrigna…di due sorellastre di nome Anastasia e Genoveffa…
Sta’ a vedere che…
- Come ti chiami?- sorrise la bionda.
- Elizabeth Hadleigh. Ma puoi chiamarmi Liz - boccheggiò.- E tu?
La ragazza abbassò lo sguardo, un poco vergognosa.
- Puoi chiamarmi Cenerentola, se vuoi.
 

***

 
Doveva ammettere di aver sottovalutato quella ragazza, ma ora poteva affermare senza alcuna ombra di dubbio di essere riuscito a fiaccare ogni sua resistenza. E ci era riuscito tutto sommato abbastanza in fretta. Erano bastati quattro o cinque spintoni e un paio di calci dati con forza, per farla stare buona.
Forse aveva capito che con lui non era il caso di scherzare. O semplicemente, era più debole di quanto volesse dare a vedere.
Il Primo Ministro distolse per un attimo lo sguardo dal coniglio selvatico che stava arrostendo sopra quel fuoco di fortuna, un surrogato di una cena, e puntò gli occhi azzurri sulla ragazza. Anya era accovacciata a diversi metri da lui, raggomitolata su se stessa contro il tronco di una quercia, i polsi e le caviglie legate. Il Primo Ministro pensò che dovesse avere ancora le gambe doloranti dalla frustata che le aveva dato per fermare la sua fuga.
Beh, peggio per lei. Se l’era cercata.
Il Primo Ministro la guardò meglio. Non era niente di speciale, in fondo. Si era fatto puttanelle ben più degne di nota di lei. Se fosse stato meno esperto, avrebbe detto che quella ragazza somigliasse alla Regina Cattiva, oppure a Biancaneve, ma a un occhio attento non sfuggiva che quella sgualdrina da quattro soldi non avrebbe potuto lucidare le scarpe né all’una né all’altra.
Sì, certo, tutte e tre avevano una chioma di capelli corvini lunghi e splendidi, ma la somiglianza si esauriva lì. Biancaneve era considerata la più bella del reame, e non per niente; e poi, il suo volto era quello roseo e pieno di una quindicenne, i suoi movimenti aggraziati e sprigionava bellezza e vitalità da tutta la sua persona – questo, almeno, prima che il Principe Azzurro le avesse dato una ripassata e lei fosse impazzita, chiaramente.
Mentre la Regina, beh, anche lei era bella, anche se non al livello di Biancaneve. La bellezza della sovrana era più matura, più intrigante e tentatrice di quella acerba e ingenua della più bella del reame; forse non era alla sua altezza, ma il corpo formoso e il suo carisma la rendevano una degna competente.
Quella ragazzina, invece, era troppo magra e troppo pallida, con i lineamenti troppo seri, duri e spigolosi, per poter competere con loro. Non era né bella né brutta; non si sarebbe preso nemmeno la briga di portarsela a letto, tanto era insignificante.
Ecco, proprio così. Quella era la parola che cercava. Il modo migliore per definire quella ragazza era insignificante.
Non era bella, e tantomeno aveva l’aria dell’eroina. Il Primo Ministro non avrebbe scommesso un soldo sul fatto che fosse lei la famigerata Salvatrice.
Già, la Salvatrice…quello era il suo problema principale, in quel momento. Aveva catturato una delle due possibili candidate come gli era stato ordinato, ma si era lasciato scappare l’altra. Per un pelo, dannazione! Se quella maledetta non si fosse scansata proprio quando la sua freccia…
Il Primo Ministro si passò una mano inguantata sulla fronte, togliendo il coniglio selvatico dal fuoco e addentandone un grosso boccone. Aveva portato a termine il lavoro solo a metà; avrebbe anche potuto strappare il cuore alla sua prigioniera, ma non avrebbe potuto consegnarlo alla Regina se prima non avesse avuto anche l’altro. Si era lasciato scappare un bersaglio fondamentale, una pedina decisiva nella scacchiera; se non avesse rimediato, non l’avrebbe passata liscia.
Doveva trovare l’altra ragazza, e alla svelta. Quanto all’altra…
Maledizione, che doveva fare con lei?
La soluzione più veloce e pratica sarebbe stata quella di ammazzarla lì, seduta stante; non era un problema, l’aveva già fatto altre volte, e si sarebbe risparmiato un peso inutile da trascinarsi dietro. Ma forse non era la misura più adatta da adottare.
In fondo, aveva a che fare con una potenziale Salvatrice, nonché una patetica ragazzina del tutto intenzionata a ritrovare anche l’altra, scommetteva. Se non altro, avrebbe potuto tornargli utile nella ricerca. Sì, c’erano degli effetti collaterali, questo era vero…Ad esempio, il fatto che fosse un peso morto e la possibilità che gli indizi che conducevano alla Pietra del Male spuntassero fuori, durante il loro cammino. L’aveva vista uscire dalla casa della Fata Turchina, certamente doveva conoscere la profezia.
Ma questo poteva essere un altro vantaggio, a pensarci bene. Se avesse consegnato alla Regina le due ragazze e nel frattempo fosse riuscito a recuperare anche qualche traccia per la Pietra…
Oh sì; certamente la ricompensa sarebbe stata alta.
Il Primo Ministro udì un fruscio; senza smettere di masticare la carne, si voltò nuovamente verso Anya, la quale ora stava tentando di abbracciarsi le ginocchia nonostante i polsi legati. L’uomo sorrise con aria canzonatoria.
- Hai fame?- chiese, guardandola dall’alto in basso; Anya non rispose, ma non distolse lo sguardo rabbioso da lui.
- Sai, è davvero delizioso…- proseguì il Primo Ministro, noncurante, accennando al coniglio.- Davvero, è veramente buono…
Anya si strinse ancora di più le gambe al petto, senza smettere di fissarlo. Al Primo Ministro non piaceva il suo sguardo; c’era paura, sì, ma era mista a una sorta di furia.
- Sai, è normale avere fame, dopo tutte queste ore di cammino - ghignò, estraendo il pugnale dalla cintura.- Sul serio, non c’è nulla di cui vergognarsi. Capisco che tu sia affamata. Se ne vuoi un po’, non hai che da chiedere.
La ragazza non rispose, né distolse lo sguardo. Sembrava quasi che volesse ucciderlo.
- Davvero, non ne vuoi?- chiese il Primo Ministro, brandendo il coltello.- Credimi, non devi vergognarti…- posò il coniglio arrosto sull’erba. - Ho capito, sei timida…Vedrò di provvedere io stesso…
Anya sussultò quando il Primo Ministro sollevò il pugnale, calandolo un attimo dopo sul coniglio. La ragazza sentì il crack dell’osso quando l’uomo mozzò la testa dell’animale.
Il Primo Ministro rise, afferrando la testa del coniglio e lanciandola in direzione di Anya. La ragazza vide gli occhi morti della bestia avvicinarsi a lei mentre il capo mozzato rotolava nella terra.
- Prego, ingozzati pure!- rise l’uomo, addentando un altro pezzo di carne; Anya lanciò un gemito rabbioso, allontanando la testa del coniglio con un calcio.
- Sei un bastardo!- ringhiò, fissando l’uomo in cagnesco.
Il Primo Ministro ricambiò lo sguardo, improvvisamente tornato serio. Non era stato l’insulto a colpirlo; aveva sentito anche di peggio, nella sua vita. Quello che non tollerava era quello sguardo; gli occhi verdi della ragazza lo scrutavano con tanto rancore e tanto odio che lui non poteva sopportare. Era troppo; chi lo guardava implorava pietà oppure lo temeva. Erano finiti i tempi in cui la gente mostrava disprezzo nei suoi confronti.
Per quanto male avesse fatto, era da più di dodici anni che nessuno lo guardava così. Con lo stesso sguardo di chi non ti voleva accanto a sé, di chi ti avrebbe voluto vedere morto, di chi non sopportava neppure la tua esistenza…
 
- Tieni gli occhi aperti! Mi senti? Andiamo, avanti!
- Dannazione, portatemi delle bende!
- Lasciatelo crepare!
- Ehi, amico? Forza, guardami! Guardami, sono qui!
- Bisogna fermare il sangue!
- Non merita di vivere!
- Zitta, strega!
- Vi prego! Morirà dissanguato se non facciamo qualcosa!
- Forza, non mollare! Te la caverai, amico mio…Mi hai sentito? Te la caverai!
- Come potete volerlo salvare?!
- Non può vivere!
- Merita di morire!
 
Il Primo Ministro digrignò i denti, gettando nella terra il pezzo di carne e alzandosi di scatto. Raggiunse Anya con furiosa rapidità, strappandole un gemito di dolore quando l’afferrò alla radice dei capelli.
- Credi di farmi paura con un insulto?- sibilò, scrollandola con violenza.
Anya lanciò un grido, sgranando gli occhi. Di nuovo, il verde tornò a incontrare l’azzurro.
Il Primo Ministro sussultò, rendendosi improvvisamente conto di ciò che stava succedendo. Non c’era più quella furia negli occhi di Anya, anzi, ora era solo paura, ma lo stava fissando negli occhi.
- Che hai da guardare?- ululò.
Sentì le mani completamente sudate; non era successo niente, si disse. Era solo il tramonto, la notte non era ancora calata. Quella sgualdrinella non poteva aver visto nulla. Non era successo niente.
Lasciò la presa, allontanandosi da Anya. Si sedette a diversi metri da lei, dandole appena le spalle.
Non era successo niente, si ripeté. E poi, se anche ciò di cui aveva avuto paura fosse accaduto, che importanza aveva? Quella ragazza era solo la sua preda, niente di più. Se anche avesse visto…
Non avrebbe dovuto importargli se avesse visto o no. In fondo, non era nulla, non più.
Ma non voleva comunque. Non voleva che una stupida ragazza vedesse i residui di ciò che era stato. Non voleva e basta.
La notte stava calando; il Primo Ministro s’impose di riacquistare la calma e l’autocontrollo. Se avesse avuto paura, allora sarebbe divenuto lui stesso una preda. Doveva restare vigile: aveva due problemi a cui far fronte, quella notte.
Uno era quella ragazza; non poteva dormire, non finché lei era lì. Avrebbe potuto scappare.
L’altro, era l’Uomo Nero.
Ancora non riusciva a credere che la Regina l’avesse liberato per davvero; avrebbe certamente potuto trovare un’altra soluzione per raggiungere i suoi fini, quella era solo una volgare esibizione di potere!
Ma ormai, l’Uomo Nero era libero, e a lui non restava altro da fare se non sperare che la sovrana fosse in grado di tenerlo sottocontrollo. E restare vigile.
L’Uomo Nero ubbidiva solo a chi lo comandava; per tutti gli altri, non avrebbe avuto pietà.
Strinse l’impugnatura del pugnale, pronto alla veglia. Si voltò appena per non dover incrociare lo sguardo della sua prigioniera.
Non voleva che lo guardasse negli occhi.
 

***

 
- Cioè…tu saresti una specie di chiromante?
- Non esattamente…- sospirò Elizabeth, al colmo dell’esasperazione. Avrebbe dovuto pensarci due volte, prima di raccontare la storia di Cenerentola a Cenerentola stessa!
- Ma conosci il mio futuro!- protestò Cenerentola.- Sai chi sono, sai della mia famiglia…Sei una strega?
- No!- Elizabeth estrasse il libro di favole dalla borsa, posandolo pesantemente sul tavolo.- Ho letto la tua storia…ecco, aspetta…
Quasi come per magia, il libro si aprì di colpo, esattamente sulla favola che Elizabeth stava cercando. Le due ragazze si sporsero per poter vedere; Elizabeth sospirò. Proprio come aveva previsto, l’inchiostro era sbavato e illeggibile. C’era da aspettarselo, con villaggio di Cenerentola attaccato dagli orchi e matrigna e sorellastre morte per il colera!
- Io non riesco a leggere niente…- Cenerentola fece una smorfia.- Mi stai forse prendendo in giro?
- No! Senti, le cose stanno così…- Elizabeth si sporse verso di lei.- Io vengo da un mondo in cui tu esisti in forma…beh, diciamo letteraria. Fatto sta che sei la protagonista di una favola, a un certo punto arriva una fata madrina e tu vai a ballare con un principe, poi perdi una scarpetta e…
- Questo lo so!- Cenerentola incrociò le braccia al petto.- Non m’inganni, signorina. Questa storia è stata sulla bocca di tutti per settimane. Sono diventata il pettegolezzo del villaggio.
Elizabeth la guardò, stralunata.
- Cioè…tu hai già incontrato la fata?
- Se ti riferisci alla Fata Turchina, sì - rispose Cenerentola; improvvisamente, il suo sguardo si fece carico di amarezza.- Sai, credevo davvero che avrebbe potuto aiutarmi…Volevo tanto andare a quel ballo, e lei mi ha dato un bel vestito, delle scarpette di cristallo…Ma poi, beh, tutto è finito a mezzanotte.
- E sei ancora qui?- fece Elizabeth, incredula.- Non hai sposato il principe?
- Il Principe Azzurro, dici?- Cenerentola parve sorpresa.- Certo che no. Abbiamo solo ballato per una sera, ma niente di più. Perché un principe avrebbe dovuto sposare una sguattera?
- Ma…ma…ma non hai perso la scarpetta?
- La scarpetta?
Elizabeth annuì; si rese improvvisamente conto di quanto fosse difficile quella situazione. Cenerentola non era al livello di Biancaneve, ringraziando la buona sorte, ma si trovava comunque a che fare con una realtà completamente stravolta rispetto a quella che conosceva.
Avrebbe dovuto stare molto attenta a ciò che diceva o faceva.
- Oh, sì!- Cenerentola sorrise, alzandosi dalla seggiola; Elizabeth la vide rovistare su una mensola poco distante, quindi la ragazza ritornò da lei, reggendo in mano una scarpetta completamente trasparente, elaborata, e molto piccola.
- Stranamente, questa non è svanita insieme all’incantesimo…- sorrise Cenerentola, tornando a sedersi.- E’ tutto quello che mi rimane, da quella notte. Sai, ho sperato tanto che qualcuno scoprisse chi ero, che ritrovasse l’altra scarpetta…chissà dove sarà, ora…probabilmente in qualche bordello…
- Quindi…- Elizabeth si umettò le labbra.- Mi stai dicendo che il Principe Azzurro non è mai venuto a cercarti?
- No, non l’ho più rivisto da quella sera.
Elizabeth abbassò lo sguardo, e non rispose. Non riusciva a capire se Cenerentola fosse dispiaciuta per il suo non-lieto fine, anche se non conosceva la sua vera storia. Ma probabilmente, se si era innamorata del Principe Azzurro e lui l’aveva abbandonata in quella topaia, doveva starci male.
- Posso tenerla un attimo?- chiese, sperando di farle piacere.- Prometto che non la romperò…
- Non preoccuparti, credo che questo cristallo sia magico…Se non si è rotta dopo una fuga disperata…- ridacchiò Cenerentola, porgendole la scarpetta.
Elizabeth la prese con attenzione fra le mani; non fece in tempo a sentirne la superficie fresca e liscia a contatto con le dita, che improvvisamente il libro di favole si spalancò, e le pagine iniziarono a scorrere come mosse dal vento. Elizabeth e Cenerentola sgranarono gli occhi quando l’intera scarpetta s’illuminò, brillando fino a nasconderne la forma.
Elizabeth puntò lo sguardo sul libro: era aperto su una pagina bianca. Lentamente, iniziarono a formarsi alcuni segni neri.
 
Vicina è l’ora, lenta l’agonia,
dei fratelli creatori il malvagio ritorno s’avvicina.
Vicina è l’ora, della Luna di Sangue il momento è giunto,
tredici volte la purezza verrà corrotta,
tredici volte l’innocenza violata,
tredici volte la speranza infranta.
Lenta sorge la Luna, l’Oscurità s’appresta,
del lieto fine l’ombra volerà via.
I peccati dei padri saranno purificati,
del traditore la progenie a salvezza giungerà.
La Salvatrice, guerriera senz’armatura, Regina senza corona,
colei che la Pietra della discordia porta nella sinistra,
e la Spada della Verità impugna nella propria destra.
A libertà giungerà, i cinque tesori ella conquisterà.
Solo un sogno infranto guarirà la ferita,
solo la bellezza nella morte riporterà la vita.
Denso di bugie è il cammino, di inganni è costellata la via,
solo il riflesso della verità le mostrerà la scia…
 
- La profezia!- esclamò Elizabeth.- La profezia è cambiata…
- Ma che stai dicen…
Così come si era formata, la scritta svanì. Al suo posto apparve una circonferenza al cui interno vi era inscritto un triangolo che, a sua volta, conteneva un altro cerchio.
La scarpetta di cristallo svanì fra le mani di Elizabeth; un attimo dopo, sulla circonferenza più grande era spuntata una piccola pietra preziosa, color azzurro pallido.
La scritta della profezia riapparve. Le parole sogno infranto erano state cancellate.
Elizabeth comprese immediatamente tutto.
- Ma cos’è successo?- fece Cenerentola, frastornata.
- La…la tua scarpetta…- boccheggiò la ragazza.- La tua scarpetta era il sogno infranto…
- Che cosa?
Un violento colpo squarciò l’aria, seguito immediatamente da un altro. Le due ragazza sobbalzarono, mentre un terzo colpo si fece sentire. Pareva quasi il rimbombo di un cannone.
Elizabeth tese l’orecchio; in lontananza, si udiva il suono di una marcia, dieci, cento, mille passi che si muovevano in contemporanea.
- Oh, no!- esclamò Cenerentola, scattando in piedi. Corse alla porta, assicurandosi che il catenaccio fosse ben saldo, quindi fece lo stesso con le imposte delle finestre. I passi si avvicinavano.
Elizabeth si alzò, andandole incontro.
- Che sta succedendo?
Cenerentola si voltò; il suo volto era una maschera di terrore.
- I soldati…- soffiò.- Stanno arrivando…
 
Angolo Autrice: Questo capitolo forse è un po’ lunghetto, lo so, ma se l’avessi diviso non avrebbe avuto alcun senso. Anyway, spero vi sia piaciuto :).
Dunque, Elizabeth ha trovato il primo oggetto, il secondo, come ricorderete, è in mano a Tremotino, ne mancano solo tre all’appello…quattro, se contiamo che uno dovrà essere sgraffignato al nostro mago oscuro, il quale non è esattamente il tipo che getta la spugna tanto facilmente…
So che in non happy ending di Cenerentola è molto più soft rispetto ad altri come Biancaneve, ma non sarà così per tutti…ho già in mente un piano diabolico per la Bella Addormentata, a proposito…XD.
Gaston ha trovato il passaggio segreto per il Regno delle Favole e, per la serie un nome, una garanzia, penso sia inutile precisare che farà un bel po’ di danni…
Passiamo ora all’identità del Primo Ministro. Nelle possibili risposte abbiamo:
Il Principe Azzurro;
Robin Hood;
Il Cacciatore;
Il Lupo Cattivo;
…si accettano scommesse XD. Grazie per la partecipazione, ragazzi, comunque la sua identità non sarà rivelata se non fra un po’ di tempo, quindi potete proporre altre soluzioni, se volete :).
Nel prossimo capitolo, vedremo come se la caveranno Elizabeth e Cenerentola, cosa farà il Primo Ministro con Anya e la messa in atto del suo piano, inoltre daremo un’occhiata a come se la cavano Tremotino, Gaston, il padre delle ragazze (vi ricordate della spia nel Dipartimento?) e il nostro Cacciatore, che è ancora prigioniero della Regina…ma non per molto…
Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite e ValeryJackson, Aoinee, LadyAndromeda, kiaky89, cleme_b, Nymphna e Sylphs per aver recensito :).
Ciao a tutti, al prossimo capitolo!
Dora93

  
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