Era diventato capoclan senza neanche essersene accorto.
Aveva sempre pensato che sarebbe arrivato ad una veranda
età senza doversi prendere mai la briga di occuparsi dei numerosi familiari dal
cognome Nara che circondavano sempre la casa quando c’era bisogno di qualcosa.
La bellezza di non essere come gli Hyuuga era che almeno non vivevano tutti
vicini in un unico palazzo e questo salvava il capoclan dal voler scomparire in
un posto molto lontano. Shikamaru aveva sempre creduto che ad un certo punto,
il vecchio gli avrebbe ceduto la carica e solo in quel momento lontano sarebbe
stato alla testa del clan.
E invece ora, nella lunga marcia verso Konoha, veniva
continuamente interpellato da vari zii e cugini che, come lui, erano riusciti
sopravvivere alla guerra e all’ultima estenuante battaglia. Alcuni erano
feriti, altri erano stati inviati come messaggeri per annunciare il loro
ritorno e preparare il loro arrivo. Ora lui doveva preoccuparsi di tutto e di
tutti senza poter aver il tempo di pensare a quello che era accaduto.
Suo padre era morto. Aveva dedicato a questo pensiero non
più di due minuti perché c’era stata una battaglia da vincere, perché c’erano
stati tutti i grandi eventi a cui aveva assistito, perché…perché…perché non ci
voleva pensare.
Ora la guerra era vinta, gli amici non erano più in
pericolo e non dovevano essere salvati, ma l’atmosfera festosa dei primi giorni
era svanita. Ora si tornava alla normalità, a casa, ma nulla sarebbe stato
normale, nulla avrebbe avuto lo stesso aspetto
perché non tutti avevano potuto fare ritorno. Anche Neji, come suo
padre, non avrebbe più rivisto casa sua
e molti altri come loro non avrebbero più calpestato la polvere delle vie del
villaggio.
A Kumo avevano
salutato gli shinobi di Iwa, i samurai del Paese del Ferro e i padroni di casa,
tra molti “arrivederci” e “alla prossima volta”. Avevano proseguito nel paese
del Fuoco insieme ai ninja di Kiri prima di separarsi anche da loro e finalmente
erano giunti prossimità del villaggio natio accompagnati dagli inseparabili
alleati della Sabbia che avevano diviso il loro esercito in due parti delle
quali la più piccola li avrebbe accompagnati. Gaara voleva aiutare il nuovo
Hokage a sistemarsi e ad aiutarlo a crearsi una posizione solida, nonché
velocizzare la ricostruzione del paese già molto avanti rispetto a ciò che era
stato pianificato. Anche Tsunade purtroppo
rientrava nella lunga lista di caduti che la pazzia di Madara e Tobi
avevano causato e Gaara le doveva la vita. La sua intenzione era quella di
ripagare subito il grande debito verso
Konoha e verso Naruto Uzumaki.
Shikamaru si scoprì felice di questa notizia. Aveva
realizzato che la compagnia di Temari della Sabbia lo faceva star bene come se
fosse stata un balsamo agli eventi recenti. Non pretendeva da lui più di quanto
non avesse preteso prima e non gli rivolgeva sguardi compassionevoli o parole
accorate come se fosse un appestato. Sapeva come prenderlo e cosa dirgli e cosa
omettere, il che gli permetteva di scambiare qualche parola senza irritarsi o
sentirsi a disagio. Ino e Chouji capivano come si sentisse, ma proprio per
questo non riusciva a starci troppo vicino: parlare con loro avrebbe reso tutto
molto più complicato visto che non c’era solo il suo di dolore, ma anche il
loro. Non riusciva a sopportare le lacrime di Ino perché anche lui avrebbe
voluto piangere e liberarsi, ma ora doveva far vedere a tutti di essere
cresciuto e di valere come capoclan. Non
era riuscito neanche a consolare la sua migliore amica, ma dopotutto non era
mai stato bravo in queste cose e gli davano fastidio coloro che gli mettevano
una mano sopra la spalla e gli dicevano “mi dispiace per tuo padre, deve essere
dura”. Voleva essere lui e lui solo, nella sua mente e nel suo corpo ad
occuparsi della spinosa faccenda di pensare che non aveva più un padre a cui
rivolgersi, un padre da guardare ad esempio.
Il passo gli divenne pesante, come se non volesse tornare
a casa. C’era sua madre lì ad attenderlo, sua madre che aveva ricevuto la
notizia non da lui, ma da qualcuno di
meno importante, di meno vicino, da un estraneo. Se aveva avuto problemi come
Ino, con Yoshino la situazione si faceva molto più difficile: non era pronto a
fronteggiarla, non sapeva cosa avrebbe trovato, come l’avrebbe trovata. Non
aveva mai visto sua madre disperarsi o essere triste senza ogni speranza e
aveva paura di non riconoscere quella donna autoritaria e seccante che era
sempre stata. L’aveva vista preoccupata, arrabbiata, felice e aveva imparato a
trattarla in maniera differente in base al cambiamento di umore, ma ora si
trovava di fronte all’ignoto. Non sapeva quali fossero le parole giuste in una
situazione del genere e non sapeva neanche se ci fossero parole giuste.
In più doveva pensare al funerale, alla tomba, non era
riuscito neanche a riportare il corpo… era lui il capo clan, era lui che
avrebbe dovuto occuparsi di tutto. Man mano che le responsabilità cadevano
sulle sue spalle, il ritmo rallentava fino a quando, in mezzo alla colonna si
fermò.
Non poteva essere, non poteva essere: Shikaku Nara non
poteva essere morto. Era stato troppo veloce e subitaneo come l’era stato per
Asuma. Ora era più grande, era cresciuto e ed era diventato un adulto però
proprio grazie alla sgridata e agli insegnamenti di suo padre. Non c’era più
nessuno ora che lo avrebbe raddrizzato se avesse preso una via sbagliata.
-Che fai?- gli chiese Temari.
Non le rispose, ma
le bastò un solo sguardo in quegli occhi smarriti e increduli per capire
ogni cosa. Erano stati sempre fianco a fianco da quando l’alleanza trai loro
due villaggi era stata ristabilita e in guerra si era spalleggiati in ogni
momento, ormai si conoscevano a mena dito.
Temari gli prese la mano e strettala con forza, si
trascinò il pesaculo per i restanti
kilometri.
Arrivarono alle porte salutati da un’enorme ovazione da
parte degli abitanti del villaggio che li avevano attesi per ringraziarli e
accoglierli nella miglior maniera possibile. C’erano tutti in quella miriade di
volti da Teuchi a Yoshino Nara che batteva le mani insieme alla signora
Yamanaka e alla signora Akimichi.
Le grida e le risate si mischiavano ai pianti ti quella
folla che continuò ad applaudire fino a
quando l’ultimo shinobi non venne abbracciato dalle mura del villaggio. I ninja
vennero congedati dai loro capitani che avrebbero avuto un meeting con i Kage
la mattina seguente. La marcia era stata lunga e stancante e ora che cominciava
ad imbrunire potevano andare ad abbracciare i loro cari e trascorrere
finalmente una notte tranquilla. Shikamaru si congedò da Gaara e trascinò con
sé Temari nella folla che fece un cenno al fratello: sarebbe tornata dopo. Suo
fratello annuì brevemente prima di dirigersi verso il palazzo dell’Hokage.
Yoshino arrivò davanti a suo figlio e con un sorriso
mesto e gli occhi leggermente commossi, gli accarezzò la guancia: -Bentornato a
casa-
Temari si allontanò da lui: non era il suo posto lì, nel
dolore di una famiglia.
S’inchinò:-Le porgo le mie condoglianze signora Nara, suo
marito è stato per me un modello da seguire-
-Ti ringrazio. Temari, giusto? Sei piuttosto famosa a
casa nostra-
Shikamaru le rivolse uno sguardo stranito e un po’
imbarazzato, mai una parola gli era uscita dalla bocca su nessuno dei suoi
incontri con la ragazza.
La kunoichi invece prese i ringraziamenti come un gesto
di congedo e fece per andarsene quando sentì nuovamente Shikamaru arpionarle la
mano. Non voleva rimanere solo, non voleva vedere sua madre piangere, voleva
che ci fossero dei testimoni.
-Andiamo a casa?- propose a Yoshino senza aggiungere
altro. Sua madre guardò con intensità
Temari che cercava di esprimere con gli occhi tutte le scuse per
quell’intrusione insensata: era chiaro come il sole che quella ragazza non
voleva né essere coinvolta in affari non suoi né essere invadente. L’egoismo di
suo figlio l’aveva messa in una posizione spiacevole, ma lo stesso fatto che
non si stesse tirando indietro ,nonostante volesse essere in qualsiasi altro
posto della Terra men che lì, le faceva capire che suo marito ci aveva visto
giusto. Shikaku le aveva raccontato di quella volta in ospedale quando
Shikamaru aveva fallito la sua prima missione come caposquadra, come lei
l’avesse rimproverato per la sua debolezza e come avesse cercato di dargli una
raddrizzata. Ogni volta che a Shikaku era capitato di incontrare
l’ambasciatrice insieme al figlio aveva subito fatto rapporto alla moglie tra
sogghigni e ammiccamenti. “Avrà molte seccature per il resto della sua vita, se
continua di questo passo” aveva commentato una mattina di meno di un anno prima
quando si era accorto che Shikamaru era uscito all’alba per accompagnare Temari
fuori dal villaggio. L’ultima volta che l’argomento era stato toccato, se non
si ricordava male, era stato proprio al suo ritorno dal Paese del Ferro. Non era
stato per niente stupito che Gaara avesse scelto la sorella maggiore come guardia del corpo e consigliera per il Consiglio con gli altri
Kage.
-Come stanno i tuoi fratelli?- chiese dopo un po’ di
tempo non sopportando il silenzio
imbarazzato che si era venuto a creare nella loro piccola combriccola.
-Stanno bene- perché sembrava così indelicato dire che i
suoi fratelli erano sani e salvi? –Alloggeranno insieme dall’Hokage stanotte,
Naruto ha promesso una bella cena per tutti, non che ne sia molto entusiasta-
aggiunse per evitare di sembrare brusca.
-Puoi fermarti a cena da noi!- propose guardando per
qualche nanosecondo il figlio che non sembrava aver nulla in contrario.
-N-non vorrei disturbare- tentò disperata.
-Ma che disturbo, sono abituata a cucinare per tre- il
sorriso della signora Nara era un po’ tirato e Shikamaru incassò le spalle, ma
eccetto questo null’altro venne detto.
La cena più triste e sofferta a cui Temari avesse mai dovuto assistere era
finalmente terminata. Aveva cercato di dare una mano ad apparecchiare, ma
Yoshino aveva spedito il figlio a prepararle un bagno, dopotutto era appena
ritornata da un lungo viaggio, per poi far fare tutto a lui. Ora, Shikamaru era
in cucina che lavava i pianti borbottando qualcosa che somigliava ad un
“anch’io sono appena tornato, dannata seccatura”.
-Mi scuso per tutto questo- le disse Yoshino cogliendola
completamente alla sprovvista. –So che per te non deve essere piacevole- Temari
tentò di discolparsi, non sapeva neanche lei di che cosa, ma non riuscì neanche
ad aprire bocca –Mio figlio è troppo grande per essere consolato dalla mamma. E
anche un po’ codardo alle volte- le lanciò un sorriso un po’ triste, ma che non
nascondeva dell’ironia verso quello smidollato che ci stava mettendo anni per
lavare quattro piatti.
-Suo padre era un po’ più forte sotto quest’aspetto, ma
so che è migliorato tanto in questi ultimi anni e lo devo a te.- Le rivolse un altro mezzo sorriso So tutto di te,
signorina, mio marito ti considerava un’ottima kunoichi e un’ottima persona.-
Ora davvero non sapeva cosa dire tranne mormorare un “Non
ho fatto proprio nulla” a cui Yoshino non badò proprio. Si alzò dopo averla
osservata per bene un’ultima volta, nonostante sembrasse con le spalle al muro,
non esitava a guardarla negli occhi. Ghignò internamente per l’assurdo destino
che univa sua marito e suo figlio nella scelta delle ragazze.
Ottima scelta, ma alla fine forse un po’ seccante .
-Io vado a letto. Stagli vicino per stanotte- e si girò
un’ultima volta prima di sparire dietro alla porta –Tranquilla dopo me lo
riprendo- Quello che Temari non sentì fu
il “ancora per un po’ di tempo” che Yoshino mormorò subito dopo.
Rimase ad osservare la porta pensando a quanto
dovesse essere forte e decisa quella donna per comportarsi con
così grande naturalezza, ma poi le attraversò la mente
anche il pensiero su quanto stesse reprimendo il suo stato attuale a
causa di un’estranea
in casa. Tutto perché il suo unico figlio non voleva trovarsi
davanti a scene
spiacevoli!
-Vuoi smetterla di fare il bambino?- gli disse, una volta
arrivata in cucina, cercando di moderare la voce nonostante fosse piena di
rabbia.
-Eh?-
-Dovresti stare con tua madre in questo momento- lo
rimproverò.
-Ma sto lavando i piatti-
-Non fare il finto tonto. Io non dovrei essere qui e tu
dovresti essere in camera con tua madre-
Non rispose, ma si
tolse i guanti e lasciò il lavoro a metà. –E’ andata letto?-
-Si e…-
Shikamaru tornò in sala per prendere una scatola di legno
sulla mensola sinistra del mobile che si trovava davanti al tavolo e la mise
dentro lo zaino sporco di fango. Allo sguardo interrogativo della ragazza alzò
le spalle, sorridendo leggermente: -Una
cosa tra me e mio padre-
Temari gli si avvicinò:-Shikamaru, tua madre…-
-Mia madre è mia madre, decido io come comportarmi con
lei, ok?- le sbraitò addosso –Perché ti interessa tanto?-
-Perché se io avessi ancora una madre le starai vicino il
più possibile! Soprattutto ora-
Calò il silenzio.
-Scusa- rantolò il ragazzo gettandosi sul divano e
coprendosi gli occhi.
-Non è con me che ti dovresti scusare- dicendo questo gli
si sedette accanto per evitare di parlare ad alta voce. Non avevano acceso la
luce quando erano usciti dalla cucina da dove ora proveniva un debole fascio che illuminava appena un
quarto della stanza.
-Non ce la faccio, non ce la faccio. Qui non è com’è lì, in quel momento. Qui posso vederlo camminare per la stanza,
appoggiarsi allo stipite proprio lì e guardare il bosco in cerca di qualche
cervo. Già per me è…già per me è così, non voglio pensare per mia madre…-
chissà quali erano i ricordi di Yoshino quando vedeva la sedia a cui di solito
si sedeva Shikaku che quella sera era stata occupata da Temari, chissà quali
ricordi l’assalivano vedendo il lato destro del letto vuoto per sempre. Non
voleva pensarci, sapeva che indugiare su questi pensieri l’avrebbe solamente
fatto sentire peggio e lui non voleva. Suo padre si era congedato con il
sorriso, l’aveva sentito nelle pieghe della voce, fiducioso e felice di aver lasciato la prossima mossa a
lui.
Suo padre non aveva avuto rimpianti, né aveva avuto paura della
fine, ma questo pensiero non riusciva a consolarlo del tutto. Sapeva che anche
sua madre avrebbe dovuto sapere tutto questo, ma non riusciva neanche a
guardarla negli occhi per paura di rivedere lo stesso dolore riflesso.
-Non ti sembra di essere un po’ troppo egoista?-
Kizutsuke
wa kowai
no ka
Hai paura di farti male?
Fece per alzarsi e scappare anche questa volta dalle
domande troppo dirette e troppo giuste di quella dannata quando venne riportato
di peso al suo posto.
-Non vorrai parlare più di tuo padre? Farai finta che non
sia successo nulla?- cercò di attirare
la sua attenzione, ma continuava a guardare il pavimento –Te lo dico per
esperienza: non serve a nulla-
Alzò gli occhi per incontrare quelle perle acquamarina
così scure nella penombra –Se provi a dire “scusa” un’altra volta comincio a
picchiarti sul serio-
-Che seccatura…-
-Nella mia famiglia non abbiamo mai parlato di nulla. Mio
padre non parlò mai della morte di mia madre: me lo venne a dire mio zio.
Kankuro era ancora più piccolo di me e non capova di che cosa si stesse parlando.
Per noi fu cancellato tutto perché l’unica persona che poteva raccontarci di
nostra madre era proprio mio zio che passò tutto il tempo con Gaara fino a
quando la stupidità di mio padre non lo uccise. Tu invece hai ancora tua madre
ed è, lasciamelo dire, fantastica.
Shikamaru, è stata la moglie di uno shinobi per anni, sapeva che un giorno come
questo sarebbe potuto arrivare-
-Anche Kurenai-sensei lo sapeva- replicò asciutto –So che
effetto fa una notizia del genere. Le sono stata accanto e so cosa significa
leggere negli occhi la pura disperazione di aver perso metà della tua vita-
La notizia l’aveva colta di sorpresa perché non sapeva
molto dell’affare con Hidan e Kakuzu tranne quello che Shikamaru aveva
raccontato alle riunioni. Pensava forse di parlare ancora al ragazzino che non
voleva più fare lo shinobi perché la sua prima missione era risultato in un
fallimento?
-Ma se l’hai fatto per lei, perché per tua madre no?-
-E’ difficile…-si lamentò.
-Sai cosa direbbe tuo padre vero?- lo incalzò.
-Che ne puoi sapere te di quello che avrebbe potuto
dire…-
-Ti avrebbe detto che è inutile scappare e che anche se
tu non farai nulla, le cose non potranno
migliorare. Invece tu puoi far sentire meglio tua madre-
Era vero, dannatamente vero. Suo padre l’aveva sempre
spronato a non rinunciare e a non abbondare nulla, che fosse la sua vita da
ninja o che la morte del suo sensei rimanesse impunita lasciando due ricercati
a piede libero per il paese. Gli aveva lasciato il comando della missione, ma
forse gli stava dicendo che gli lasciava anche la responsabilità di fare la
cose giusta in ogni situazione. Shikaku si era fidato di lui e gli aveva
lasciato tutto.
Una lacrima solitaria gli scese lungo la guancia, ma
l’asciugò subito senza farsi notare Temari che stava attendendo ancora la sua
risposta.
-Grazie-
Temari rispose con quel suo sorriso particolare tutto
denti, strizzando gli occhi soddisfatta. Ora che aveva fatto capire a quella
larva cosa doveva fare, poteva levare le tende e dormire fino a giorno
inoltrato.
-Hai detto, prima, che mio padre è stato un esempio per
te: è vero?-
-Perché avrei dovuto mentire?- ma la ragazza non
ricevette in risposta altro che un’alzata di spalle –Certo che è vero. Tuo
padre era un uomo formidabile, una mente brillante che sapeva capire la
situazione in un lampo , scegliere la tattica migliore e agire di conseguenza.
L’ho sempre stimato e ammirato da quando…-
Ma lasciò cadere la frase, distogliendo lo sguardo da
Shikamaru per la prima volta in quella serata.
-Da quando?- Non
capiva che cosa potesse averla fatta bloccare e abbassò il capo incrociare il
suo sguardo che si era fatto pensieroso.
-Da quando ti ha rimproverato dopo la missione di
recupero. All’inizio pensavo che fosse stato troppo duro con te, dopotutto era
la tua prima missione e il tuo amico era sotto i ferri, ma poi ho capito quanto
ti volesse bene e quanto neanche lui volesse dirti quelle cose, ma voleva che
capissi e crescessi. Io…involontariamente lo confrontai con mio padre e non sai quanto tu sia
stato fortunato ad avere un qualcuno del genere nella vita. Qualcuno che si preoccupasse di non
farti finire sulla strada sbagliata, guarda cos’era successo a Gaara…-
La verità era che fino a quando non aveva assistito a
quella scena tra padre e figlio, Temari non aveva mai capito l’importanza dei
genitori. Non aveva potuto sapere quale aiuto e guida potessero essere
nell’educazione dei figli e quale supporto nei momenti più difficili. Fino a
quando non aveva sentito Shikaku Nara gridare contro suo figlio nel corridoio di
un ospedale, non aveva realizzato che un genitore non è solo colui che ti mette
al mondo e colui a cui devi obbedire.
-Lo so- Shikamaru sorrise –Era un ottimo esempio vero?
Quello che mi fa…insomma, quello che è strano è che era convinto di essere
stato un pessimo padre, lo sai?- La guardò con gli occhi lucidi ridendo ancora
delle stupidità del suo vecchio –Spero solo di avergli fatto capire che si
sbagliava di grosso-
-Gliel’hai dimostrato- sussurrò Temari colta da un
improvvisa voglia di riposare la testa sulla sua spalla. Gli si appoggiò sul
braccio destro e gli strinse la mano lasciando che si sfogasse come meglio
credeva.
Rimasero in silenzio nel buio per molti minuti o forse
anche ore prima che Shikamaru ricambiasse la stretta. Con quello Temari capì
che il suo ruolo era veramente finito e che poteva tornarsene finalmente dai suoi
fratelli. Fece per alzarsi, ma un’altra volta quel giorno, i suoi movimenti
furono bloccati dallo stesso shinobi. Lo guardò negli occhi e non riuscì a
capire ancora grazie a quale forza comprese quello che le stesse chiedendo. Si
fece guidare al buio per il lungo corridoio passando numerosi fusuma che lasciavano intuire la luce della luna
fino a quando non furono entrati in camera sua. Si tolse coprifronte e
giubbotto in silenzio mentre Shikamaru le lanciava una delle sue magliette. Per
riguardo si era voltato e non assistette al lento srotolarsi della banda bianca
che le aveva contenuto il seno.
Shikamaru era già a letto con il viso rivolto alla
finestra chiusa. Entrò lentamente sotto le coperte e l’abbracciò da dietro
sentendo con un orecchio il battito del suo cuore che rimbombava nella cassa
toracica. Faceva un bel calduccio là sotto e si rannicchiò meglio contro di
lui.
-Togli quei piedi gelati-
-Dormi e stai zitto- sibilò distendendo le labbra in un
sorriso maligno.
La mattina dopo si era alzata come un fulmine conscia di
avere riunioni a cui attendere e fratelli con cui scusarsi. Si assicurò che
anche l’altro fosse sveglio: gli tolse le coperte e le scaraventò nell’altro angolo
della stanza. Uscì di casa lasciandosi dietro di sé il fantasma della sua
ultima frase: -Guarda che iniziamo tra mezz’ora. Muoviti!-
Shikamaru, a dispetto delle così detta “urgenza” della
cosa, se la prese comoda facendo seguire molto lentamente un piede all’altro
nell’approdare sul pavimento. Scese in cucina ritrovandosi sua madre con il
grembiule che gli porgeva una tazza: -Prossima volta falla rimanere anche a
colazione, eh-
Vide nei suoi occhi una nuova luce maliziosa e
canzonatoria che non aveva mai notato.
-Mamma, papà mi aveva detto dirti…-
-Non preoccuparti, so tutto- lo interruppe Yoshino il cui
ghigno si accentuò –E rimetti quella scatola di legno dove l’hai trovata, mi
piace vederla lì-
Ed eccomi qui dopo quasi un mese di assenza da EFP!
Per la festa del papà mi sono sentita in obbligo a scrivere qualcosa che parlasse di Shikaku e del padre di Temari: infatti il titolo Oyaji è il termine con cui sia Temari che Shikamaru si riferiscono ai loro genitori. Potrebbe sembrare strano "dedicare" la fic anche al Quarto Kazekage che non si meriterebbe nulla di nulla, ma volevo proprio mettere a confronto le due figure paterne nel dialogo dei nostri eroi.
Ringrazio Tikkia per aver suggerito il titolo che, come avete visto, cade proprio a pennello!
Alla prossima!