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Autore: Shan    19/03/2013    1 recensioni
Gellert Grindelwald lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.
Albus era l'unico che potesse capire. L'unico con cui potesse condividere i suoi sogni. L'unico che rispettasse abbastanza. Un suo pari.
L'unico e il solo.
Era un vero peccato che avrebbe dovuto ucciderlo. Proprio un peccato.
* Momenti della vita di Gellert Grindelwald con al centro, ovviamente, una sola persona: Albus Dumbledore.
Perché shippare Grindeldore è per il Bene Superiore :P
Questa storia partecipa al contest "Paddy's Day- Festeggiamo San Patrizio".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald, Voldemort | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Blind

 

                                                                             Don’t go and leave me

                                                                                                and please don’t drive me blind

 

 

Non aveva mai conosciuto nessuno come Albus.

Mai.

Questo pensiero era diventato velocemente un ritornello, mentre camminavano uno accanto all’altro, abbastanza vicini da potersi toccare allungando una mano, ma abbastanza lontani da non sfiorarsi per caso. Quasi un tarlo nella sua mente. Un chiodo fisso.

Non conosceva nessuno come Albus.

Lanciò uno sguardo furtivo verso di lui. Non lo stava guardando, concentrato sulla fitta vegetazione di un brillante verde smeraldo ai bordi del selciato. Un sottile percorso di terra battuta, creato dal passaggio di altri visitatori prima di loro.
Ancora una volta si stupì della confidenza e della fiducia che il ragazzo riponeva nei suoi confronti.
Aveva la guardia completamente abbassata. Non si preoccupava neanche di tenerlo d’occhio.

Sciocco.

Avrebbe potuto attaccarlo. Sopraffarlo, anche. Se in condizioni normali, avrebbe avuto remore a farlo per paura di un esito sfavorevole, adesso avrebbe potuto. E avrebbe vinto, ne era certo.

Ma non l’avrebbe fatto.

E forse lo sapeva anche Albus. Forse, la sua fiducia era stata dettata proprio da questa conoscenza. O magari dalla speranza.

Stizzito, raddrizzò il bavero del cappotto affinché gli coprisse meglio il viso. La lana spessa gli solleticò la pelle delicata della mascella, facendogli storcere il naso.

L’aria era spessa, densa, ma in qualche modo rinvigorente. L’umidità si poteva quasi toccare e le piccole gocce d’acqua, che si raccoglievano sulle foglie delle fronde cascanti, cercavano lentamente lo scontro con il terreno, scivolando verso il basso.
Nonostante fosse metà Agosto, non c’era caldo, ma un fresco pungente. Del resto, le montagne di Wicklow erano famose proprio per il loro clima rigido, e la stessa Irlanda vantava una lunga tradizione di estati piovose e di acquazzoni improvvisi.
Non era sicuro di apprezzarlo, ma ciò non aveva la minima importanza. Erano venuti lì con un intento ben preciso, dopo il quale se ne sarebbe andati. Senza il minimo rimorso per l’abbandono della Terra di Smeraldo, per quello che gli riguardava.

Erano passati dieci minuti scarsi quando arrivarono al piccolo cimitero. Aveva appena cominciato a piovere. Una pioggerellina fitta ma leggera che lasciava sul viso un velo impercettibile. Come il sudario di un moribondo.
Superarono senza una parola le tombe e le imponenti croci celtiche che le vegliavano, così come la piccola chiesetta, ormai in rovina. Dopo poco, giunsero finalmente alla loro meta.

La torre circolare.

Ovviamente i Babbani non sapevano cosa fosse davvero quella costruzione di una trentina di metri, senza nessuna entrata visibile.
Visibile per loro, almeno.

Vide Albus girarvi intorno con fare incuriosito e calcolatore fino a fermarsi d’improvviso di fronte ai mattoncini irregolari su un lato. Li sfiorò delicatamente con una mano e poi si girò verso di lui, un lieve sorriso ad increspargli le labbra sottili.

« Vuoi avere l’onore, Gellert? » chiese affabile, inclinando appena la testa di lato.

Lui spinse in avanti il mento, invitandolo a procedere con un movimento della mano e Albus gli diede di nuovo le spalle, per guadagnare l’entrata alla torre con un paio di decisi e complicati movimenti della bacchetta.
Fu questione di pochi secondi e una serie di mattoncini svanì, rivelando un’entrata stretta che lasciava intravedere alcuni scalini che si perdevano nel buio.
Questa volta Albus non lo interpellò e fece strada, precedendolo nella rampa di gradini stretti e sconnessi che salivano seguendo il moto circolare della torre. L’oscurità non era un problema per lui e, a quanto pareva, neanche per Albus, che procedeva spedito e sicuro, senza appoggiarsi neppure alle pareti in cerca di sostegno.
Una volta arrivati in cima poté liberare un sospiro soddisfatto.
Era esattamente quello che stavano cercando.

La croce di Saint Kevin.

O meglio, la pietra incastonata al centro della grande croce celtica di granito.

Lo splendido artefatto si trovava nel mezzo della piccola stanzetta circolare, posta su un cuscino di velluto. Era l’unico oggetto presente, fra quelle pareti spoglie e chiazzate dall’umidità, ma non era quello il motivo per cui era impossibile distoglierne lo sguardo. Il potere che emanava era quasi percepibile fisicamente. Lo sentiva. Non ad ondate, ma una presenza imponente, ingombrante, quasi solida.
Sentì dei brividi corrergli lungo la spina dorsale di fronte all’evidenza di tanto potere. L’anticipazione di quello che avrebbe potuto finalmente compiere lo eccitava. Era vicino. Così vicino.
Impaziente di raggiungere la pietra, cominciò a controllare gli incantesimi di difesa e si apprestò subito a disfarli.
La mormorata litania in latino fece brillare per un attimo nell’aria delle rune celtiche, che però scomparvero immediatamente.
Questa volta fu lui a precedere Albus e si chinò fluidamente sull’oggetto, studiandolo. L’altro ragazzo gli si accostò silenziosamente e prese ad osservare anch’egli la croce.
Una bruciante vampa di irritazione lo invase dopo pochi secondi. Irritazione e delusione. Delusione e furia.
Solo la voce calma di Albus lo distolse dal prendere la croce e scagliarla contro il muro.

« “Abbiate fede” » recitò, leggendo dall’incisione sotto l’incastonatura.

« Conosci il gaelico, Albus? » mormorò, il tono così piatto da sembrare più un’affermazione che una domanda.

« Ti sorprende? » ritorse lui, un leggero sorrisetto divertito a curvargli le labbra.

« No » fu la secca risposta.

Non lo sorprendeva minimamente, infatti. Aveva già avuto modo di constatare e ammirare i molti talenti di Albus Dumbledore. Non a caso erano lì insieme.

Era l’unico, Albus.

L’unico con cui avrebbe potuto accettare di dividere quella missione, l’unico che avrebbe potuto aiutarlo. L’unico che potesse capire.

L’unico e il solo.

« Lo conosci anche tu. E la cosa non mi sorprende affatto » affermò dolcemente il ragazzo al suo fianco, sempre con quel leggero sorriso. Sembrava che ultimamente, niente potesse cancellarglielo dal viso.

Che cos’era?

Interesse per la ricerca?

Certo, certo. Quello c’era. Lo sapeva bene. Albus era affascinato dai Doni quanto lui. Era ansioso di trovarli. Soprattutto questo.
Soprattutto la pietra. La desiderava come niente prima.
E Gellert intuiva il perché.
Avrebbe potuto  riavere la sua famiglia indietro.
E con loro, la sua libertà.

Ma non era per quello che sorrideva.

Era per lui? Per la sua compagnia?

Era consapevole di cosa Albus provava per lui.
Quell’affetto, quella fiducia nei suoi confronti erano la causa del suo sorriso? Quella fiducia..

Sciocco.

« Fede! » sputò Gellert con disprezzo « Abbiate fede! »

« Non è lei » asserì Albus in tono greve.

« No, infatti! Non lo è! » sibilò lui « E noi abbiamo solo perso tempo! »

Non importava più il potere che proveniva da quella croce. Non contava più che l’artefatto magico lo avesse attirato fino ad un minuto prima con lusinghe e promesse di forza e possibilità. Non poteva più farlo. Non quando era così palese di che tipo di magia, di che tipo di potenza si trattava.

Fede.

Quella era la fede di una piccola e insignificante comunità di monaci Babbani che un mago demente aveva raccolto e racchiuso lì.

Assolutamente inutile.

« E’ sicuramente un oggetto potente, Gellert » considerò invece l’altro ragazzo, il suo consueto sfavillio negli occhi.

Per la prima volta odiò quel luccichio in quei profondi occhi azzurri.
Li aveva sempre, se non ammirati, apprezzati, almeno. Quello sguardo penetrante, rivelatore di un’intelligenza e di un acume fuori dal comune. Di un abilità innata. Quell’azzurro limpido che più volte si era acceso di convinzione ai suoi discorsi più accorati. Lo stesso scintillio che lo aveva accarezzato durante i loro progetti più dolci.
I loro sogni migliori.

In quel momento lo odiò.

Sembrava prendersi gioco della sua disfatta, del suo fallimento.

No.

Era la loro disfatta, ormai. Il loro fallimento.

« Non ci serve. Non possiamo neanche utilizzarla » disse in tono asciutto, trattenendosi dal sottolineare  in tono acido un “e lo sai”.

« Sì. Ma è comunque interessante » osservò il ragazzo, tornando a sorridere.

Ah! Mero interesse scientifico, dunque!

Avrebbe dovuto immaginare che ad Albus sarebbe piaciuto studiare anche questo tipo di magia, per quanto completamente inutile ed inapplicabile alla loro causa.

« Non abbiamo tempo per questo » fece notare, questa volta con un tono più calmo e indulgente.

« No, infatti. Abbiamo questioni più pressanti al momento » commentò il ragazzo, raddrizzandosi con un movimento fluido ed elegante « Andiamo ».

Gellert lo seguì giù per i ripidi scalini, senza riservare un ulteriore sguardo alla croce dietro di sé e alla pietra che rifletteva un cupo bagliore.

 

 

 

 

 

 

Si Smaterializzarono a Godric’s Hollow senza difficoltà, nonostante l’enorme distanza. Non appena toccò il suolo, Gellert Grindelwald riprese a camminare con passo veloce e deciso, quasi una marcia.
C’era vento. Molto più di quanto fosse tollerabile per una passeggiata all’aperto, ma Gellert realizzò che non gli interessava.
Voleva solo muoversi. Magari anche correre. E urlare. Sì. Voleva gridare, strepitare, rompere qualcosa, forse.

La delusione e la rabbia gli stringevano il cuore in una morsa.

Pensava… aveva creduto… gli era sembrata così vicina… così vicina… a portata di mano… lì davanti a lui…

Ma non era lei, si ripeté con frustrazione. Non era lei.

Non tenne conto di dove i piedi e la sua necessità di movimento lo stessero conducendo sino a che non si arrestò bruscamente. Non era minimamente sorpreso della meta raggiunta.
Si trovava al limitare del villaggio, ai bordi del piccolo boschetto di querce che circondava l’antica casa del grande Godric, cofondatore di Hogwarts.
Scorse un angolino appartato, fra le fronde di un albero storto e particolarmente inclinato verso il basso in una linea sinuosa.
Era il loro posto quello.

Il loro rifugio.

Albus ci andava quando non riusciva più sopportare la sua prigionia. Quando stava per scoppiare. Quando era esasperato abbastanza da voler solo urlare la sua frustrazione e fuggire, andare via.

Lo aveva incontrato lì per la prima volta. Ancora prima che sua zia glielo presentasse. Lo aveva visto durante una passeggiata, un ragazzo magro e sottile, appoggiato a quel tronco. Lo aveva sentito respirare profondamente nel tentativo di calmarsi, i lunghi capelli rossi disordinati sul viso.

Si era avvicinato, curioso.

Ed era stato colpito. Trafitto. Perforato da quello sguardo così inadeguato su quel viso dolce, così inopportuno.

Ti leggeva dentro, Albus Dumbledore. E Gellert aveva scoperto di non dispiacersene neanche un po’. Neanche quanto avrebbe dovuto.  

Non si erano parlati, ma quello sguardo non lasciava adito a dubbi.

Albus sapeva. Albus avrebbe capito. Lo avrebbe capito.

Quello era diventato il loro punto di ritrovo. Il custode dell’angoscia di Albus si era mutato in protettore dei loro segreti, benevolo spettatore dei loro progetti. Riparati dalla piega di quel tronco, gli avevano affidato i loro desideri più intimi, le loro brame più nascoste e tutte le ambizioni mai confessate prima.

E ora avrebbe lenito anche le delusioni più brucianti.

Si gettò sul prato, poggiando la schiena sul tronco, la parte anteriore del corpo rivolta alla parte più interna del bosco.
Sentiva l’ira crescere sempre di più invece di scemare e l’irritazione si espandeva ad ondate per tutto il suo corpo. Pulsava, quasi.
Non prestò attenzione al vento che gli gonfiava la veste e gli scompigliava furiosamente i capelli, persino in quell’anfratto riparato, fino a quando questo non cessò di colpo.

Magia.

Non si mosse, lo sguardo fisso davanti a se ma senza mettere a fuoco niente. Non accennò alcun movimento neanche quando sentì qualcuno posarsi delicatamente al suo fianco.

Albus, ovviamente.

Nessuno dei due parlò. In fondo cosa c’era da dire? Il viaggio a Glendalough era stato un fallimento. Fine. E’ solo che ci aveva creduto così tanto..
Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, la presenza dell’altro ragazzo non lo disturbava. In fondo c’erano dentro insieme, no?
Rimasero silenti per un tempo indeterminato, ognuno perso nei propri pensieri. Si accorse di stare disegnando sul terreno con la punta della bacchetta solo quando finì il cerchio. Un cerchio dentro un triangolo, diviso da una linea verticale.

Maledizione.

Un mano leggera si posò sul suo ginocchio.

« Gellert »

Scattò la testa di lato e si trovò di nuovo immerso in quello sguardo. E, di nuovo, per un momento quel luccichio azzurro lo infiammò di rinnovata ira.
Voleva che la smettesse. Voleva farlo smettere. Voleva..

« Gellert » ripeté Albus, il volto serio. Non sorrideva, no. Aveva pronunciato il suo nome con solennità, quasi come un giuramento.

Quel tono calmo sgonfiò il suo moto di risentimento all’istante.

« Lo so, lo so » berciò prima che potesse aggiungere altro « E’ un comportamento stupido! »

« No, non lo è. Sono deluso anche io »

 Non rispose. Sapeva che era vero. Ma lui era l’unico che stava reagendo in quella maniera, no?

Ma del resto non sapeva anche quello? Lui era quello emotivo.

Albus era sempre così calmo, imperturbabile, anche quando quel povero idiota del suo fratellino lo faceva diventare matto. Lo aveva visto al massimo sbuffare e respirare profondamente. Già, lui respirava e ritrovava la pace interiore.

Per un momento provò l’impellente impulso di turbarlo, di fargli sgranare gli occhi in sorpresa, in preoccupazione, di farlo agitare, reagire violentemente. Fargli male, anche.

L’attimo si esaurì immediatamente. Bastò un altro sguardo, un sorriso accennato, la sua voce e qualunque istinto avesse avuto pochi secondi prima scomparve nel nulla.

« Continueremo a cercare. Era normale che una tale ricerca richiedesse tempo ed energie. L’avevamo già considerato, in fondo» disse tranquillamente per poi continuare con più risolutezza e decisione  « Siamo gli unici che possono farlo, Gellert. Gli unici con sufficiente capacità. E quando li troveremo, diventeremo più forti ancora, i soli che avranno le facoltà e la determinazione necessarie per fare quello che va fatto. Lo faremo, Gellert… »

Socchiuse gli occhi.

Lo faremo, Gellert…

Sì. Lo avrebbero fatto. Perché andava fatto. Perché erano gli unici a capire.

« Per il Bene Superiore » sussurrò, accarezzando le parole sulle labbra.

Vide Albus distendere le labbra in un sorriso compartecipe.

« Sì. Per il Bene Superiore »

Non avrebbe saputo dire quanto rimasero così, seduti fianco a fianco. Non avrebbe saputo dire neanche quanto a lungo la mano sottile di Albus rimase leggera sul suo ginocchio. Rimasero così, insieme, cullandosi ancora una volta nel loro vagheggiato sogno.

 

 

 

 

 

 

 

 

Era passata una settimana dal loro ritorno dall’Irlanda e si erano buttati a capofitto nelle ricerche. Era fiducioso, Gellert. Lui ed Albus stavano facendo importanti progressi nel rintracciare il passaggio della bacchetta. Una scia di sangue e morte che prestissimo li avrebbe condotti al più potente, al migliore dei Doni.
Fra poco sarebbero dovuti partire. Era necessario. C’erano tracce che non potevano essere tralasciate e richiedevano un indagine accurata sul campo. Dovevano andare via.

Via da Godric’s Hollow.

Via dall’Inghilterra.

« Albus, è tempo ormai. »

Silenzio. 

« Non possiamo più restare qui. Dobbiamo andare. La ricerca dei Doni è- »

« Lo so » lo interruppe lui « Lo so. Non c’è bisogno di ripetermelo. So cosa bisogna fare »

Gellert annuì, compiaciuto, mentre l’altro ragazzo fissava assorto un angolo del salottino nel quale si trovavano, dove una piccola ragazzina stava scarabocchiando su dei fogli con una piuma colorata.

« Vedrai, Albus. Costruiremo un mondo migliore. Un mondo nel quale non succederà mai più niente di simile a quello che è successo ad Ariana. Noi- »

« Lo so » lo interruppe ancora. Non avrebbe mai accettato un comportamento di questo tipo in altre occasioni, ma sapeva quanto fosse difficile per l’altro ragazzo venire meno a quelle che considerava sue responsabilità verso quanto rimaneva della sua famiglia. Un inutile fratello e una sorella squilibrata.

Per questo ricacciò indietro l’irritazione e si accostò ad Albus. Posò delicatamente una mano sulla sua. Albus ricambiò la stretta, guardandolo con determinazione, un fuoco bruciante nell’azzurro.

« Devi partire, Albus? »

Una voce sarcastica e aspra li fece voltare contemporaneamente verso l’entrata che collegava il salotto alla cucina.

Un adolescente magro e sporco era appoggiato allo stipite della porta e rivolgeva verso di loro lo stesso azzurro penetrante degli occhi di Albus, carico però di biasimo e rancore.

« Aberforth » sussurrò il fratello, socchiudendo gli occhi, quasi avesse appena ricevuto un colpo doloroso. Stava evitando quello sguardo, realizzò Gellert. Non voleva vedere il disprezzo di suo fratello.

Come se un ragazzino mediocre e rozzo come quello potesse  permettersi di giudicarli!

« Albus » ritorse quello, facendosi avanti « Allora, vuoi andartene? Vuoi abbandonarla? » lo incalzò, assottigliando gli occhi con rabbia «  Non credi che abbia sofferto abbastanza, eh? Allora? Rispondimi, fratello! Rispondimi! »

« No! » rispose Albus con un singulto « Non la voglio abbandonare. Io.. »

« Tu cosa? La vuoi portare con te? Non puoi spostarla, lo sai che non sta abbastanza bene per muoversi. Non te la puoi portare dietro, ovunque tu stia pensando di andare, per cercare questi Doni » sputò la parola con disprezzo « o ovunque tu voglia andare per fare i tuoi grandi discorsi su un mondo nuovo, a cercare di convincere le persone a seguirti. Non puoi. E’ meglio che lasci perdere adesso, Albus. »

« No, noi.. » cominciò Albus, la voce incrinata ma Gellert intervenne, allontanandosi dal tavolo dov’erano seduti, per fronteggiare il minore dei Dumbledore.

« Smettila, ragazzino. Tu non capisci niente » sibilò con odio, torreggiando su di lui.

« Io capisco che lui non può lasciarla! » urlò quello in risposta, indicando il fratello un dito.

« Sei solo uno stupido ragazzino! » replicò « Non vedi che la tua povera sorellina non dovrà più nascondersi una volta che avremo cambiato il mondo? Una volta che avremo liberato i maghi dalla clandestinità e messo i Babbani dove spetta loro? Come puoi essere così ottuso? Sarà un mondo migliore! »

« Non mi interessa! E’ nostra sorella! Non sarà un ostacolo nella strada al vostro stupido mondo perfetto, non lo permetterò! » si dibatté, cercando di raggiungere il fratello seduto.

« Tu non farai proprio niente e non intralcerai né me né Albus! » replicò con la freddezza tipica dell’ira più grande.

« La vedremo! » berciò rovistando nella veste.

La bacchetta.

Lo stava minacciando con la bacchetta.

« Levati! » intimò.

« No, Aberforth! » tentò Albus, alzandosi subito in piedi.

Gellert vide rosso. Come poteva quel sudicio e ridicolo ragazzino minacciarlo? Lui! Lui che avrebbe potuto ridurlo in cenere! Lui che-

« Ho detto levati! Stupeficium! »

Deviò l’incantesimo con movimento veloce della bacchetta e gliela puntò al petto, premendo forte. «Crucio!» sbraitò, accecato dalla rabbia.

« NO! Gellert! » gridò Albus da dietro.

Dovette fermare la Maledizione Cruciatus per parare l’incantesimo che gli aveva scagliato contro Albus.

« Basta! »

« Smettetela! »

« No, Ariana! »

Ci furono dei lampi, delle esplosioni, delle grida. E poi solo dei singhiozzi.

« No… no… per favore, per favore, no… no… »

Il ragazzino era in ginocchio, per terra, la bacchetta abbandonata lontano. Stringeva la piccola Ariana tra le braccia, le accarezzava i capelli meccanicamente, gemendo e pregando.

« No, Ariana, no… per favore, per favore no… ti prego… »

Dondolava avanti e indietro, piangendo.

No.

« No »

Un tonfo lo fece girare di scatto.

Albus era crollato per terra, sulle ginocchia, le mani abbandonate ai lati del corpo. La bacchetta giaceva accantonata da un lato. Lo sguardo era vuoto, perso. Disperato.

Spezzato.

« Non può essere » sussurrò flebilmente. Una sola lacrima gli solcò il viso, scendendo lungo il naso aquilino.

Chi? Chi, di loro?

Non importava.

Doveva fuggire. Doveva andare via da lì.

Indietreggiò fino al muro. Con il respiro rotto guardò un ultima volta il ragazzo genuflesso sul pavimento e poi corse via.

 

 

 

 

 

 

 

 

Due uomini stavano ritti uno di fronte all’altro, un cerchio di persone intorno a loro.
Era passato tanto tempo.

Troppo tempo.

« Buon pomeriggio, Albus » recitò in tono limpido e chiaro.

« Buon pomeriggio anche a te, Gellert » rispose l’uomo educatamente, inclinando la testa di lato leggermente , a mo’ di saluto. Aveva i capelli lunghi. Più lunghi di quanto li avesse portati tempo prima.

« Hai scelto proprio una località adorabile, devo ammettere. Davvero, molto »

Trattenne un sorriso alla mondanità del commento. Come se non stessero per affrontarsi in duello.

« Lieto che tu approvi » gli concesse, avanzando di un passo lentamente.

« Davvero » annuì in assenso.

Gellert si rese conto che il mago sembrava assorto, quasi distratto. Preoccupato per il duello, forse?

No. Non credeva che il grande Albus Dumbledore avesse realmente paura di scontrarsi con lui.
Non era quello il motivo per cui aveva aspettato tanto, comunque.

Non voleva scontrarsi con lui.

Ma non aveva paura.

« Vogliamo iniziare, Albus? O preferisci che organizzi una visita al villaggio? » propose in maniera sarcastica, agitando una mano verso il piccolo paesino nel cuore della Foresta Nera, che si intravedeva oltre la folla di persone riunite per assistere allo spettacolo.
Una metà di loro erano suoi seguaci, ovviamente.
Non si sarebbe mai esposto così tanto.

« Oh, no, no. Immagino non ci sia tempo, per quanto la cosa mi piacerebbe » assicurò lui con un sorriso.

L’espressione di Gellert si adombrò. Quella cortesia cominciava ad irritarlo.
Stavano per combattere, per l’amor di Merlino! E ancora lui manteneva la calma! Quella stupida e fastidiosa tranquillità. Era indisponente. Non la sopportava. Non l’aveva mai sopportata. Eppure lo sapeva che non era sempre così. L’aveva visto. Era stato lui. Lui, l’aveva infranta quella serenità una volta…

Stranamente quel ricordo non gli diede alcun sollievo.

« E’ tempo di mettere la parola fine a tutto questo » disse Dumbledore, abbandonando il tono spensierato.

Finalmente.

« Per l’appunto. Ho delle questioni a cui attendere. Preferirei finire in fretta »  lo provocò e con un unico, fluido movimento, estrasse la bacchetta e gli lanciò contro una maledizione.
Ovviamente venne deviata prima ancora che potesse arrivargli anche solo vicino. Non lo vide neanche tirare fuori la bacchetta.
Chiaramente non credeva che quell’incantesimo lo avrebbe  mai raggiunto. Lo stava solo stuzzicando.
Era ben cosciente dell’incredibile forza di Albus Dumbledore.

Un vero peccato che sarebbe dovuto morire quel giorno.

« Ansiosi, eh? Spero che ci metterai un po’ più di convinzione, Gellert. Non vorrei che tutto questo finisse troppo in fretta. Sai fare meglio di così, sono sicuro » ritorse lui, lanciandogli contro un raggio di luce violetta.

Gellert glielo rispedì contro e Albus lo deviò verso un albero ai lati che prese fuoco. Le persone in circolo indietreggiarono freneticamente.

Branco d’idioti.

Credevano che si sarebbero tirati addosso fiorellini?

« Spero di provvederti un po’ di divertimento, Albus » biascicò, continuando a scagliare e deviare incantesimi « Prima di ucciderti, s’intende »

« Credi davvero di riuscirci? »

« Certo » asserì.

Credeva davvero che i loro trascorsi lo avrebbero fermato? Allora era più sciocco di quanto credesse.

« Bene »

Queste ultime battute decretarono un cambio nel loro duello. Lo scambio di fatture divenne più serrato.
Miravano a ferire. Ad uccidere.
Più volte Albus evitò l’ Avada Kedavra. Più volte scansò le maledizioni più pericolose. Altrettanto dovette fare lui.

Contro ogni previsione, si trovò a sorridere nella foga della battaglia. Sentiva una libertà che non provava da molto, molto tempo.

Un suo pari, infine.

Il solo che avesse mai trovato.

Era l’unico, Albus. Sempre stato.

Il ritmo diventò sempre più sostenuto  e cominciarono a ferirsi l’un l’altro. Un taglio non troppo profondo gli solcava una guancia, mentre Albus era rimasto ferito ad una mano.
Diventava sempre più difficile rispondere adeguatamente agli attacchi. E Albus non pareva stancarsi. Anzi, sembrava aumentare la potenza dell’assalto ogni volta di più. Aveva faticato molto anche solo per sfiorarlo, per infliggergli delle piccole ferite.

« Non puoi fermarmi, Albus. Non puoi! » urlò, in preda alla rabbia e al panico.

E poi tutto finì.

Incredibilmente in fretta, improvvisamente.

Un ultimo movimento deciso e violento della bacchetta di Albus sferzò l’aria e il raggio blu elettrico che lo colpì lo immobilizzò senza possibilità di fuga. Prima che potesse rendersene conto non aveva più la bacchetta.

Mentre altri maghi lo portavano via intercettò gli occhi di Albus.

E’ tua, adesso. Finalmente l’hai avuta.

L’unica risposta che lesse in quel profondo azzurro fu infinita tristezza.

E rimpianto.

 

 

 

 

 

 

 

Aveva aspettato tanto questo momento.

Finalmente tutto sarebbe finito.

Un lieve vapore si insinuò nella strettissima fessura nella pietra nera. Si tirò a sedere con fatica, trascinando con se la coperta sottile.

« E così sei venuto. Sapevo che saresti arrivato… un giorno » sorrise alla figura incappucciata davanti a lui «Ma il tuo viaggio è stato inutile. Io non l’ho mai avuta. »

« Tu menti! » sibilò.

Certo che mentiva.
Ora aveva capito.

Aveva capito.

Rise, rise di una risata sprezzante, arida. Ma la più felice che avesse avuto da un lontano Agosto di tanto tempo prima.

« Allora uccidimi, Voldemort, io accetto volentieri la morte! » tossicchiò per recuperare il fiato « Ma la mia morte non ti darà quello che cerchi… ci sono tante cose che non capisci… »

Così tante cose, così tante cose…

Oh, lui le aveva capite. Lui sapeva, adesso.

Era stato così cieco, così cieco…

« Stupido vecchio! Dimmi la verità! Legilimens! » sbraitò.

Occhi rossi. Rossi come il sangue. Solo rosso. Vedeva rosso.
Un muro rosso.

Rise. Rise più forte che poté.

Non l’avrebbe permesso. Non avrebbe sbagliato anche questo.

Guardò la figura curvarsi su di lui. Percepì la rabbia, la furia più nera. Lo avrebbe ucciso.

Bene.

« Uccidimi, allora! » rise ancora. Rise di lui. « Tu non vincerai, non puoi vincere! Quella bacchetta non sarà mai, mai tua… »

Lo vide, vide l’odio e la rabbia e capì che era giunto il momento.

Chiuse gli occhi, in modo che l’ultimo colore che avrebbe visto non sarebbe stato il verde.

No, sarebbe stato l’azzurro.

Il limpido azzurro di uno sguardo inopportuno.

NdA

Ovviamente, il mondo di Harry Potter e tutto quello che ne consegue, non mi appartengono e scrivo solo per mio gusto personale.
Detto ciò, questa one-shot partecipa al contest "Paddy's Day- Festeggiamo San Patrizio". 
L'immagine lì su è stata presa a casaccio su Internet, ragion per cui, ringrazio chiunque ne sia l'autore e qualcunque tipo di diritto gli appartiene. le foto qui sotto invece sono due baldi giovanotti che vedrei piuttosto bene nei panni di Albus e Gellert. Mmm..
Ora, le note vere e proprie:  

1. Il titolo "Blind", il riferimento che fa Gellert alla fine e la citazione all'inizio vengono dalla canzone Blind dei Placebo ( un qualcosa di spettacolare! ) che mi ha ispirato mentre scrivevo.

2. L'ambientazione irlandese della prima parte è ovviamente un omaggio all'Irlanda e ad un contest sull'Irlanda ;) Ad ogni modo, il piccolo villaggio monastico di Glendalough esiste davvero e si trova nelle montagne di Wicklow. La croce di Saint Kevin è in realtà una croce celtica di una tomba nel cimitero e la torre circolare serviva a nascondere gli oggetti preziosi durante le incursioni vichinghe ( o almeno così ci dicono i ricercatori Babbani). 

3. La discussione con Aberforth e quella con Voldemort sono prese dai Doni della Morte con qualche modifica.

4. Ho voluto lasciare il cognome Dumbledore all'inglese. Non me ne vogliate, mi suonava bene! xD

Per la relazione Albus/Gellert ho cercato di attenermi al canon ( cioè che Gellert non ricambiava i sentimenti di Albus ) ma ehi, non sono riuscita a trattenermi. Qualche volta mi sfugge. Sappiate che per me quei due stavano insieme e non penso che cambierò idea ;)

Bene, chi volesse lasciare una recensione è più che ben accetto :)

Elena

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