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Autore: Arisu95    20/03/2013    1 recensioni
Romano ed Antonio si sono lasciati bruscamente, mentre Feliciano sembra vivere un sogno.
... Ma la disperazione di Romano, porterà presto disordine anche nella vita del fratello, fino a stravolgere la sua vita sentimentale e quella di altre persone.
- Il Rating potrebbe alzarsi ad Arancione;
- Alcune coppie sono destinate a sciogliersi;
- Alcuni personaggi muoiono;
- Presenti coppie sia Hinted che Crack;
- Presenti scene sia romantiche che di sesso;
- Le scene di sesso non sono molto esplicite e tendono ad essere tagliate.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE. Eccomiii! Mi scuso infinitamente per la lentezza con cui aggiorno, ma tra impegni e mancanza d'ispirazione, ultimamente questa storia me la sto  un po' trascinando! >.< Con questo capitolo in particolare, ho avuto un po' di difficoltà, soprattutto nel strutturarlo ... Per questo, non ne sono molto soddisfatta, mi sarebbe piaciuto poter fare di meglio ... Ma questo è quello che sono riuscita a partorire ^^;
Spero di metterci meno tempo a scrivere il prossimo, e soprattutto spero che questo non vi annoii! Buona lettura! C:'
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- Capitolo 12 -

 

' Romano sta male. Ho chiamato l'ambulanza, siamo al reparto di Pronto Soccorso. Vieni ... Ti prego, Feli. '


Feliciano rilesse il messaggio per l'ennesima volta.
Alzò gli occhi verso la strada, che il Sole calante iniziava a dipingere d'oro e d'arancio.
Fece un grande sospiro e strinse le dita attorno alla maniglia, per tenersi meglio in equilibrio sull'autobus.
Non aveva voluto accettare il passaggio di Francis, benché il ragazzo avesse insistito.
Cominciava a sentirsi un peso ... Un peso per tutti.
Lo stomaco parve quasi salirgli in gola all'ennesima curva, e lo ricacciò giù in una nuvola di fiato e saliva.

Romano.


Romano.
Quel messaggio era stato inviato dal suo cellulare.
Così, l'italiano non sapeva neppure chi si sarebbe dovuto aspettare, al Pronto Soccorso.
Il timore di trovarsi di fronte Gilbert lo pervadeva, ma del resto non poteva lasciare Romano al suo destino.

No, non poteva.
Nonostante tutto ...
Era suo fratello.
La sua famiglia.
La famiglia non si abbandona.
Mai.

Feliciano non ci poteva fare nulla.
Aveva un animo canino, lui, e finiva sempre per perdonare quelli a cui voleva bene.
Dimenticando torti e calci.
Dimenticando insulti e sangue.
... Solo a tenere le distanze dall'albino, a volerlo fuori dalla sua vita, stava facendo un grandissimo sforzo.
Non poteva fare lo stesso con suo fratello.
Non era giusto ...
Due fratelli darebbero la vita per salvare quella dell'altro ...
Giusto?

Ripose finalmente il cellulare in tasca, e fece l'ennesimo respiro.
L'ossigeno gli ricadeva nei polmoni come un pesante macigno.
Vedeva lo smog perdersi sull'asfalto grigio e friabile.
L'erba morente scottarsi coi raggi di fuoco.
Tutto sembrava tremendamente desolato.

"Romano ..."


Pensò in un sospiro, e la sua mente volò tra mille pensieri.
Mai avrebbe pensato di finire così.
Su di un autobus diretto all'Ospedale, ad assicurarsi che suo fratello stesse bene.
Quello stesso fratello che poco prima gli aveva spezzato il cuore.
Quello stesso fratello che mai aveva lontanamente pensato di poter odiare, nemmeno per un istante.
Quello stesso fratello che lo portava a spasso nelle strade di campagna, dapprima lamentandosi della presenza del fratellino, poi giocandoci insieme tra prati e fossi.
Quello stesso fratello che aveva scaldato le sue mani più piccole in una nuvola di fiato nebbioso ogni volta che scordava i guanti d'Inverno.

Non importava quanto male gli avesse fatto.
Immaginando bene e male su di una bilancia, non avrebbe potuto dire quale dei due piatti sarebbe pesato di più.
Gli aveva fatto davvero male, questo era vero, ma non poteva dimenticare gli anni passati.
Non poteva dimenticare che era suo fratello.
Il suo primo amico.
Il più intimo.

"Chiamami quando arrivi ..."


Era l'unica cosa che Francis gli aveva detto, prima di chiudere la porta di casa.
Forse sarebbe stato meglio che il francese fosse andato con lui ...
Per un istante si maledisse per non aver accettato il suo passaggio.
Ma se quel messaggio l'avesse inviato davvero Gilbert ... Allora sarebbe stato meglio così.
Non voleva mostrare la sua reazione.
Nemmeno a Francis.

Scese dall'autobus e prese immediatamente in mano il cellulare.
Si guardò attorno e vide l'ospedale ergersi poco più avanti.
Attraversò il parcheggio e si fermò vicino ad un cartello pubblicitario logoro e scolorito.
Chissà da quanto tempo quel manifesto era lì appeso ...
Il film che pubblicizzava era uscito da così tanto tempo che Feliciano neppure si ricordava da quanto.
Non che fosse poi così patito di film, del resto ... Ma Gilbert lo era.

...!
Quel nome gli sferzò il cuore per l'ennesima volta.
Sì ... Lui amava andare al cinema.
Lo trascinava sempre in ogni sala cinematografica, ogni mese, almeno due volte ...

...!
Scosse la testa come a volersi liberare di un peso.
No ... Non voleva pensare all'albino.
Non ora.
Non dopo.
Mai più.
Prese a cercare nella rubrica telefonica, nella speranza di impegnare la sua mente in qualcos'altro.

"Allô?"


"Francis! Uhm, sono arrivato."

"Ah, c'est bon. Puoi dirmi dove sei esattamente, per favore..?"

"Ho appena passato il parcheggio ... Una manciata di minuti ed entro."

"Parfait."


Il francese interruppe la chiamata e si guardò attorno, tirando un sospiro.
Non sapeva se aveva avuto una buona idea, a lasciar andare Feliciano in autobus da solo anziché accompagnarlo, ma del resto non era la prima volta che lo faceva, e l'italiano si era opposto al passaggio offertogli per più volte.
Doveva avere un'aria davvero idiota, ora ...
Immobile ed in piedi in mezzo ad una sala.
Eppure nessuno pareva farci caso ...
Anzi, gli sembrava quasi di avere mille occhi addosso che lo fissavano affascinati.

Ah, quante belle prede~
Si era trovato a pensare, per poi abbandonare l'idea sorridendo.
No ... Non era più quella la vita che faceva per lui.
Il suo unico amore lo stava aspettando.
Sapeva che stava pensando a lui.
Poteva quasi sentire il calore del suo cuore sopra il suo.
Era una sensazione meravigliosa, eppure l'inglese non era nemmeno davanti ai suoi occhi.

Ah, l'Amour~


Incurvò le labbra rosate in un sorriso enigmatico.
Non aveva mai pensato di potersi sentire così, senza nemmeno poterlo toccare.

... C'est mieux du sexe.


Tra le persone prese a correre da ogni parte, scorse finalmente chi stava aspettando.
Era appena entrato, lasciando chiudere dietro di sé la spessa porta di vetro.
Aveva le guance gonfie di incertezza e preoccupazione, quando si fermò un attimo, come smarrito.

"Feli!" - Esclamò Francis, agitando una mano sopra la testa per farsi scorgere, ed andandogli incontro.

"..." - L'italiano rimase incredulo nel vederlo, e i suoi grandi occhi ambrati si spalancarono di colpo, ora meno smarriti ma con un perenne velo di tristezza. - "Fratellone ...?!"

"Sorpreso, ein?~" - Lo accarezzò scompigliandogli un poco i capelli, sorridendo. Poi, la sua espressione si fece più seria. - "... Ho pensato che a Romano avrebbe fatto piacere vedere anche me ... E' da un po' che non ci vediamo, in fondo."

"Mmh ..." - Feliciano annuì, sebbene non del tutto sicuro.

Non sapeva neppure Francis cosa lo avesse spinto a seguire il cugino.
Voleva assicurarsi che Romano stesse bene, certo.
Anche lui era suo cugino, sebbene avesse sempre mantenuto un atteggiamento più distaccato rispetto a Feli ...
Da quando era successo quel disastro con Gilbert, il francese non aveva avuto nemmeno modo né tempo di parlargli.
Sapeva che sarebbe servito a poco, conoscendo la testa di Romano, ma era certo che anche lui aveva bisogno di essere rassicurato ...
In fondo, Romano poteva dirsi scusato: era stato appena lasciato, in preda ad alcool e sigarette, e perdipiù era tutto fuorché una persona calma e tranquilla.
... Quello che aveva sbagliato era Gilbert.
Si era comportato come un ragazzino che aveva appena varcato la soglia della pubertà.
Si era lasciato andare ai sensi, richiamato da essi, senza pensare a chi a casa lo attendeva, con il cuore in mano e l'anima piena di lui.
... Aveva sbagliato, e non aveva nulla da dire o dimostrare a sua discolpa.
Aveva sbagliato ... Punto.

"Allora ... Uhm, andiamo?" - La voce preoccupata di Feli lo distolse dai suoi pensieri.

Il francese fece un cenno con la testa, per poi avviarsi insieme al cugino verso il reparto ospedaliero.


Arthur non aveva avuto voglia di aspettare il ritorno di Francis a casa.
... Era stufo.
Capiva perfettamente che quella situazione non aveva fatto altro che aggravarsi, con i due cugini dal cuore infranto ed ora uno all'ospedale, ma non poteva non essere egoisticamente geloso.
Voleva Francis lì con lui ...
Voleva chiudere la porta di casa e lasciare fuori i problemi, come avevano sempre fatto da quando, per qualche strana e stupida fatalità, erano finiti sotto lo stesso tetto.

Non che ad Arthur importasse più di tanto ...
Oh no, non era certo il tipo da ingelosirsi per un idiota come Francis!
Era geloso ... Del tempo.
Era geloso del tempo rubato.
Del tempo che lui stesso rubava.
Del tempo ... Passato con Francis.
Del tempo passato insieme, come due criminali.

Era geloso di Feli, sì.
Ed era anche geloso di Francis.
Non di lui direttamente, certo che no.
Era geloso del modo di fare spontaneo che lo contraddistingueva.
A lui, baciarlo in pubblico o dargli la mano, non dava la minima preoccupazione.
Era Arthur a farsi mille problemi, e sentirsi un criminale.

Perché era sbagliato ...
Sì, era sbagliato, e basta.
Se Francis e suo cugino erano tanto sfacciati da ostentare la loro natura in pubblico, era un problema loro.
Sì ... Un problema.
Farsi vedere in pubblico era un problema.
Chissà cosa passava per la testa di chi li vedeva ...

Qualsiasi fossero i loro pensieri, avevano ragione.
Arthur non sapeva perché, ma avevano ragione.
La società aveva ragione.
Che mai ci sarebbe dovuto essere di giusto, in due uomini che si congiungono come se in essi risiedessero entrambe le metà che compongono il cielo?
Era naturale che Arthur si vergognasse di tutto cio'.
Anche Francis e suo cugino avrebbero dovuto fare lo stesso.
Ne era certo ...
Sì, davvero certo ...

"E' buono, mi amor?"


Una voce lo fece distogliere dai suoi pensieri, riportandolo finalmente alla realtà, al tavolino del locale, davanti ad un bicchiere di John Collins.
Alzò un attimo lo sguardo, per ritrovarsi una coppietta poco più in là.

Il ragazzo indicava sorridente il bicchiere davanti alla ragazza, e lei ne prese un sorso, prima di sorridendere ed annuire dolcemente.
Lui aveva allungato la mano sul tavolino, e lei si era lasciata prendere, le sue dita più chiare intrecciate a quelle più scure dell'altro.

Tsk, coppiette.
Tsk, gesti piccoli, dolci ed inutili.
Tsk, sorrisini complici e idioti.
Tsk, fidanzatini che si scambiano mezze effusioni in pubblico.
Tsk ... Era forse invidioso?

Francis gli aveva sorriso, di fronte a lui.
Lui aveva sorriso dolcemente a sua volta, quasi intimidito, e non si ritrasse quando il francese gli sfiorò la mano.
Le dita insicure e tremanti, si toccavano timide con quelle più lunghe e decise dell'altro, con una voglia riservata e tenuta nascosta tra le falangi ansiose.
La sua pelle ebbe un fremito, quando infine le mani furono congiunte, come la stretta maglia di un tessuto, come a non volersi lasciare mai.
Il cuore di Arthur batteva forte, e senza alcuna paura, si era ritrovato ad accennare un sorriso.
Francis gliene aveva scambiato uno ben più largo e rassicurante, specchi d'oceano riflessi in specchi di prato ...

"No!"


No!
Non ci stava pensando!
Non era ciò che desiderava!
Perché mai avrebbe dovuto pensare ad una cosa così sdolcinata e patetica?!
Fuck, forse stava impazzendo.
O forse stava ...
... Rinsavendo?

"Hai più saputo niente ...?"


Arthur sentì la ragazza parlare, ma era ormai troppo preso dai suoi dubbi per darle ascolto.


"Porqué me lo preguntas?" - Antonio sfuggì con le belle iridi verdi, mentre all'improvviso le dita presero a sudargli.

"..." - Lo sguardo sospettoso di Bella, per un momento svanì, lasciando posto ad un sospiro e ad un volto ambiguamente rilassato. - "Sono felice."

"Anch'io ..." - Lo spagnolo sorrise, eppure il suo cuore ebbe un gemito.

Pulsò più forte, per un istante, rituonando nella cassa toracica come un forte colpo contro una porta.
Era felice, davvero.
Però ... Non amava l'atteggiamento di Bella di fronte al suo passato.
Sapeva bene che, il più grande desiderio della belga, sarebbe stato quello di vedere tutti i suoi amici sparire per sempre.
Beh, non tutti.
Ma tutti quelli che sapevano di lui, e di Romano.

Alla donna non era mai andato giù.
Si era innamorata, davvero.
Ma ogni tanto lo guardava muta, immobile e pensierosa, e nella sua mente si affollavano pensieri oscuri.

"Finalmente é mio, solo mio. Sono riuscita a farlo innamorare di me. Prima stava ... Con un uomo."


Quel pensiero le lasciava sempre un amaro in bocca ed un sospiro presuntuoso nei polmoni.
Era riuscita a farlo innamorare di lei.
E prima non stava con una donna.
Amava un uomo.
'Doppio merito, no?'
Commentava tra sé e sé la bionda, ironica ed orgogliosa.

A volte non ci poteva credere.
Lo guardava, e faticava a comprendere il suo passato.
La sapeva amare davvero bene, e questo le scatenava perfidi dubbi.
Forse non aveva amato davvero quel ragazzo.
Come si chiamava ...? Romano, sì.
Forse non aveva amato davvero Romano.
Forse era stato semplicemente confuso, o viziato.
O entrambi.
Non poteva credere che, a suo tempo, avesse potuto amare un uomo con quella stessa foga con cui la amava.
Rimaneva così, coperta da dubbi e lenzuola, a scorgerlo dormiente.
Avrebbe voluto chiedergli di più dell'argomento, del suo passato, del suo rapporto con Romano.
Ma era una questione difficile da approfondire, dolce come il miele e tagliente come una spada.

Antonio voleva parlarle di Romano, a volte.
Non per il legame che li aveva uniti negli ultimi anni, non sarebbe stato così insensibile.
Ma l'italiano era stato per lui non solo un amante, ma anche un amico.
Tante erano le belle cose che aveva vissuto, in sua compagnia e non solo, a prescindere dal loro rapporto, che si era fatto via via più intimo con lo scorrere dei mesi e degli anni.

Antonio voleva parlarle di Gilbert e Francis.
Non per le loro notti trascorse insieme, né per le loro sporche scommesse e gare.
Ma i tre erano stati molto amici, ed indimenticabili erano stati alcuni momenti passati insieme.
Si ricordava di quando Francis li aveva portati in montagna, durante il breve periodo in cui gli era venuta la mania delle stelle, ed era rimasto a fissarle e descriverle per tutta la notte, accorgendosi solo molto tardi di come lui e Gilbert fossero già sprofondati nel sonno da ore.
Si ricordava di questo, e di mille altre giornate, in cui erano solo e semplicemente grandi amici, e i momenti intimi passati insieme non attraversavano la mente di nessuno di loro.

Antonio voleva parlarle di Feliciano.
Il fratellino di Romano era sempre stato un angelo.
Eppure ... La sera prima, in quel negozio, gli era parso preoccupato.
Un velo sottile di tristezza appannava i suoi begli occhi ambrati, e lo spagnolo si era subito domandato se non c'entrasse la sua rottura con Romano.
Doveva essere così ...
Certo era che doveva avere davvero a cuore suo fratello maggiore, per soffrirne così tanto.
Sembrava davvero che quello tradito fosse stato lui.
O forse ... Qualcos'altro agitava il suo spirito?
Antonio proprio non ne aveva idea.

"Allô? Mi senti, Tonio?"

"...!" - Antonio rivolse gli occhi alla belga, con aria interrogativa.

"Oh! Ti sei svegliato, finalmente!" - Sorrise, e gli accarezzò appena la mano. - "Dicevo, mia mamma ha detto se possiamo passare da lei stasera. Ha preparato dei Gracht Brood e voleva darceli da assaggiare ..."

"Ah ... Vale. Allora andiamo."

"..." - Sorrise di nuovo, ed i suoi occhi parvero davvero sinceri.
 

"Gilbert?!"


Francis fu l'unico a trovare il coraggio di parlare.

"... Francis!"


L'albino si era limitato a voltarsi di scatto, allarmato, senza nemmeno alzarsi dalla sedia, ma lasciando leggermente visibile il corpo di Romano, sul lettino dietro di lui.

"Feli ..." - Aggiunse poi, in un tono più basso, come un'implicita richiesta di perdono, abbassando la testa e guardandolo intensamente.

Faceva male.
Faceva davvero male.
Vederlo faceva male ...
Faceva male ad entrambi.

"...!"


A Feliciano parve di sentire il cuore balzargli in alto, quasi fuori dalla bocca.
Aveva smorzato un sospiro di stupore, combattendo l'istinto di correre dal fratello, abbracciarlo e scuoterlo, fino a svegliarlo e dirgli che gli avrebbe perdonato ogni cosa.

Eppure, rimase immobile.
Non una lacrima attraversò le candide guance, mentre le labbra rosate si erano dischiuse.
Due occhi da preda grandi ed ambrati si erano spalancati, e fissavano l'albino in stato di allarme.

"..." - Gilbert si voltò di nuovo verso Romano, e la sua voce parve davvero affranta. - "... Era svenuto."

"No ..." - Sospirò preoccupato Francis. - "Non di nuovo ..."

'Di nuovo...?'
L'albino si domandò a cosa il francese si riferisse, ma non osò chiedere.
Lui e Francis non erano arrabbiati, in fondo ...?
Sentì dei passi e qualcuno farsi più vicino.

Il biondo non aveva certo voglia di incontrare l'albino.
Eppure, avrebbe certo messo da parte gli ultimi eventi per il bene di Romano.
Ma, sentire Feliciano ancora immobile dietro di lui, lo angosciava e lo faceva stare male.
Non era previsto che Gilbert fosse lì ...
Anche se quasi se lo sentiva.
Era stato anche questo presentimento, a spingerlo a seguire Feli all'ospedale.
Guardò l'espressione indifferente sul volto assopito di Romano, per poi voltarsi verso l'altro cugino.

Feliciano fece timidamente qualche passo in avanti, verso di loro.
No ...
Gli era venuta la nausea.
Non voleva vedere Gilbert ...
Un misto di emozioni, dal perdono alla rabbia, alla semplice tristezza, fece tremare il suo cuore nel petto fragile.

"Romano ...?" - Cercò di ignorare la presenza di Gilbert, e scostò i capelli dalla fronte del fratello, ancora inerme. - "Roma..."

Sentiva la sua voce lontana.
La sentiva nascergli in petto, e poi dissolversi ancor prima di lasciare il suo corpo.
Era come in una bolla, in un sogno.
Anzi, in un incubo.
No ... Gilbert non era vicino a lui.
Gilbert non aveva portato Romano all'ospedale.
Romano stava bene ...
Lui e Antonio si amavano ancora, e Gilbert ...
Gilbert era ancora suo.

"Feli ..."


L'albino aveva una gran voglia di chiamarlo.
Aveva una gran voglia di vedere il suo dolce sorriso.
Aveva voglia di abbracciarlo, baciarlo, di rassicurarlo e dirgli che Romano si sarebbe ripreso ...
Eppure ...
Sapeva che, se il volto di Feliciano era ora così disperato e sciupato, era anche colpa sua.
Era stato davvero stupido.
Per non dire di peggio.

"Gilbert, cos'è successo esattamente?" - La voce di Francis era distaccata.

Era la voce di chi voleva mantenere le distanze.
Il francese non aveva voglia di discutere con Gilbert.
Sapeva che farlo avrebbe portato solo nuove tensioni.
Ma, d'altro canto, non voleva nemmeno fargli credere di averlo perdonato.
Non ancora ...
Era ancora troppo presto, e il tedesco doveva ancora riflettere sui suoi errori.

"Mmh, beh ..." - L'albino non aveva mai sentito Francis così distante, e per un attimo ne ebbe timore. - "Avevo dimenticato ..."

'Avevo dimenticato la mia collana a casa sua.'


Quella frase aveva riportato tutti nella più misera realtà.
Con quella frase, Gilbert ne aveva implicitate mille altre.
Aveva sottinteso che, in quella casa, ci era già stato una prima volta, e quella prima volta era stata l'inizio della fine.
Quella volta, fu quel maledetto Venerdì sera, quando Feliciano aveva dovuto fare gli straordinari.
Quando Francis aveva rifiutato di fare compagnia a Romano, per capriccio di Arthur.
Quando Ludwig si era trovato a dover rifiutare la medesima richiesta, poiché stava già badando a Lily.
... Quando Gilbert si era ritrovato a casa di Romano, e la sua mansione di sorvegliarlo affinché non facesse pazzie, si era trasformata nel peccato più grande che avesse potuto compiere contro chi amava.
Quel maledetto Venerdì sera bruciava ancora nel petto di tutti.

Feliciano si era bloccato per un istante, come colpito dritto al cuore con una lancia di ghiaccio, ma riprese immediatamente ad accarezzare la fronte e le spalle del fratello.
Doveva fare qualcosa ...
Doveva impegnare le mani, nella speranza di tenere occupata anche la mente.
Nella speranza di distrarsi da Gilbert e da tutto quello che dalla sua bocca poteva uscire ...
Eppure, nel profondo della sua anima, sapeva di volerlo ascoltare.
Era di Romano che si stava parlando ... Dopotutto.

Il francese avvertì Feli farsi d'un tratto più rigido, e lanciò all'albino uno sguardo freddo e tagliente.
Per la prima volta il tedesco, non aveva visto negli occhi dell'amico un oceano calmo e sereno, ma un cielo che promette tempesta.
'Attento a quel che dici...' sembravano dire, mentre la sua bocca si era incurvata in una smorfia, con i denti bianchi serrati sul labbro inferiore.

"... Insomma, Romano era disperato ... Per l'accaduto." - Abbassò volutamente la voce, e le parole sembravano uscirgli come gemiti, mentre un vago senso di nausea e colpa iniziava a pervaderlo. - "A un certo punto si é come irrigidito ... Ha ... G-Gridato il mio nome ..."

'Eppure ricordo quando a gridare il tuo nome ero io ...'
Non poté fare a meno di pensare Feliciano, ora arrestatosi nei suoi movimenti, col volto pallido e stanco verso di lui, gli occhi preoccupati fissi sulla parete scrostata della stanza.

Il nome di Gilbert era ora come un nodo alla gola.
Avrebbe voluto farlo uscire, gridarlo ancora un'ultima volta, come per liberarsi da un demone che ancora lo stava possedendo.
Invece, non aveva nemmeno la forza di guardarlo negli occhi.
Forse non era stato abbastanza bravo.
Forse era anche colpa sua.
Forse era solo colpa sua ...

"E poi é ..." - Tirò un sospiro, come per cacciare via un peso dai polmoni, ma ne guadagnò solo di più consistenti. - "... E' svenuto tra le mie braccia. Ho chiamato l'ambulanza. E poi ti ho ... Ti ho mandato quel messaggio, Feli."

"..." - Feliciano non disse nulla.

Erano tanti i pensieri che percorrevano la sua mente ed il suo cuore, come bestie selvatiche e diverse, talune timide ed altre feroci, qualcuna triste e suicida, qualcuna furiosa ed assassina.
Eppure, non disse nulla.
Ebbe l'istinto di incurvare appena la schiena all'indietro, quel poco che bastava per sfiorare il petto di Francis, come a cercarne la presenza e la protezione.
Voleva sparire ... Voleva sparire, piangere, addormentarsi.
Magari non svegliarsi mai più.

Gilbert trattenne quasi il respiro per non fare rumore.
Nel silenzio, avrebbe voluto divenire trasparente.
Avrebbe voluto trasformarsi in un fantasma, solo per occultare la vista del suo corpo traditore a Feliciano, come ultimo tentativo di restituirgli un sorriso.
Avrebbe dato la vita per vedere l'italiano sorridere ancora una volta.

Francis si era incurvato leggermente in avanti, quel poco che bastava per far sentire a Feli la sua presenza.
Con gli occhi, continuava a guardare Gilbert, mentre quest'ultimo aveva ancora i suoi indegni sguardi scarlatti rivolti verso l'italiano.

Il silenzio faceva paura.
Il silenzio portava pensieri.
Il silenzio portava ricordi.
Il silenzio portava domande.
Il silenzio portava la voglia di infrangerlo.
Il silenzio portava la voglia di fare rumore, di dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di mandarlo via.
Il silenzio faceva a tutti paura.

"Cos'hanno detto i medici?" - Decise infine di chiedere il francese, addentrandosi nell'aria densa e fitta, con la voce quasi roca usata come un coltello.

"Ancora nulla." - Sospirò, stringendosi le gambe nelle mani, in un gesto nervoso. - "Beh, a dire il vero mi hanno--"

"Siete i parenti di Vargas?"


Un medico interruppe Gilbert, avanzando qualche passo all'interno della stanza.

"S-Sono il fratello!" - Rispose subito Feliciano, allarmato. La sua stessa voce gli ferì quasi i timpani.

"Io il cugino ..." - Aggiunse Francis.

"E...?" - Il dottore guardò Gilbert, come a chiedergli chi fosse.

"Sono ..." - Inspirò nervosamente dell'ossigeno, fino a riempirsene i polmoni. - "... Sono un amico."

"..." - L'uomo annuì, e si voltò. - "Seguitemi."

"Ma ... Lasciamo Romano qui da solo?" - Si chiese ad alta voce Feliciano, voltandosi verso il fratello.

"Voi due andate ..." - Si azzardò a dire Gilbert, mentre le sue mani iniziarono a sudare. - "... Resto io. Infondo ... Non sono nemmeno un parente."

"..."

Feliciano lo guardò con un nuovo misto di emozioni.
I suoi grandi occhi ambrati, ora non esprimevano rabbia, né disperazione.
Erano velati dalla malinconia che li aveva caratterizzati in quegli ultimi giorni, ma in più, questa volta, c'era un certo senso di ... Clemenza.
Un certo senso di pietà.

No ...
Non doveva cedere.
Non sarebbe mai tornato da Gilbert.
Eppure ...
Nel suo cuore affranto, stava cominciando a maturare l'idea di perdonarlo.
Il loro rapporto non sarebbe mai stato come quello di prima ...
Ma odiare le persone, o tenerle fuori dalla sua vita per sempre, dopo che con lui avevano condiviso così tanto, era una cosa che Feliciano faticava a comprendere.

Ora era lì, e sembrava quasi pentito.
Sembrava aver capito i suoi errori ...
Eppure avrebbe dovuto odiarlo ...
Eppure, una parte di lui, sotterranea e nascosta, avrebbe voluto ucciderlo.

"Andiamo, Feli ..." - La voce calda di Francis, sulla porta della stanza, lo fece tornare alla realtà.

"S-Sì ..."

"..." - Il francese diede un ultimo sguardo al tedesco, tutto fuorché rassicurante, per poi allontanarsi.


"..." - Gilbert tirò un grosso sospiro, per poi posare gli occhi su Romano, ancora addormentato.

Il petto del ragazzo si alzava e abbassava, ritmicamente ma in modo piuttosto debole.
Dal lenzuolo bianco spuntava giusto un polso olivastro, percorso dalla cannula della flebo, nella quale scorreva pigra ma inesorabile una sostanza trasparente.

La bocca era appena schiusa, giusto quel poco che bastava per intravederne gli incisivi.
Il volto era come addormentato, ma preso da incubi e cattivi pensieri.
Benché ad un primo sguardo potesse sembrare inespressivo, a ben guardare le sue sopracciglia erano leggermente incurvate verso il centro della fronte, in un misto di disperazione e tristezza.

Era forse prigioniero dei suoi sogni?
O forse dei suoi incubi..?
Le ciglia nere, lunghe ed immobili, sovrastavano gli zigomi appena visibili, sotto la pelle giovane ma un po' sciupata dall'ultimo periodo.
I capelli castani riflettevano la luce artificiale del neon, oltre agli ultimi raggi del crepuscolo che sgattaiolavano nella stanza, aggirando la tenda di lino.

Così disteso e indifeso, ricordava Feliciano più che mai.
In fondo, Romano non aveva nessuna colpa ... Era stato usato e tradito, e aveva reagito in un modo consono al suo carattere aggressivo ed impulsivo.
Quello immaturo, quello stupido, era solo Gilbert.
L'albino avrebbe voluto fare qualcosa per Romano.
Voleva rassicurarlo, stargli vicino.
Voleva che si sentisse ancora amato.

Benché di carattere opposto, Feliciano e Romano si somigliavano.
Feliciano sorrideva alla vita.
Romano la malediceva ogni giorno.
Eppure, entrambi erano fragili.
Entrambi avevano bisogno di qualcuno con cui condividere la loro esistenza.

Feliciano non avrebbe avuto alcun problema, né ad ammetterlo, né a gettarsi tra le braccia di un cuore sincero.
Romano lo avrebbe negato fino all'ultimo, avrebbe insultato colui che cercava il suo amore fino a spingerlo a rinunciare.
Ma vedere qualcuno rimanere al suo fianco, nonostante tutti gli insulti e i torti, era per quest'ultimo la più grande dimostrazione d'amore.
A lui non importava litigare.
Sembrava quasi che ci provasse gusto.
Ma, erano proprio i litigi l'occasione in cui metteva alla prova l'amore di Antonio.
Non solo il suo, l'amore di chiunque.
Vedersi perdonato dalla persona insultata, che l'accoglieva ancora a braccia aperte dimostrando ancora una volta il suo amore, era la cosa a cui teneva di più.
L'unica cosa che scioglieva il suo cuore apparentemente di pietra.

No ...
I cuori dei due fratelli erano più simili di quanto si potesse pensare.
Erano forti ma fragili, allegri ma tristi.
Erano i due lati della stessa moneta.

"Romano ..." - Mormorò affranto Gilbert, mentre prese il coraggio di accarezzargli una guancia.

Il sole stava tramontando dietro le colline.
I suoi raggi caldi stavano dando un ultimo saluto ai campi di granoturco, mentre due ragazzi sedevano sull'erba, uno di fronte all'altro.
Si guardavano sereni, con un dolce sorriso sulle labbra, e senza parlare si dicevano tutto.
Il pauroso temporale che aveva segnato la terra per giorni, non era che un vago ricordo.
Rimaneva giusto qualche pozzanghera, dove il cielo rosso si specchiava sovrano, e delle gocce di pioggia rigavano qualche filo d'erba e pannocchia.
La paura degli ultimi giorni era scomparsa, e con il sole di nuovo al suo posto nel cielo, tramontato sul suo regno di fiori e frutti, il cuore di Romano era tornato più quieto.
Il ragazzo di fronte a lui gli sorrideva ancora dolce, allungando una mano verso di lui, accarezzandogli una guancia.
Lui chiuse gli occhi sereno, lasciandosi guidare dalle sue sensazioni, senza temere più nulla
.
 

"A... Antonio..."


"...!"

La mano di Gilbert si bloccò, come congelata, ancora sulla mano del ragazzo, che cominciava a riprendere conoscenza.

"... Mmh..." - Aspettò qualche secondo, affinché la sua vista si riabituasse al mondo e riuscisse a distinguere la persona di fronte a lui. - "... G-Gilbert...?"

La voce di Romano era debole.
Il suo sguardo confuso.
Quanto si ricordava di cio' avvenuto in precedenza...?

"Romano!" - Gilbert decise infine di ritrarre la mano. - "Ti sei svegliato, finalmente ..."

"..." - Fece per muovere un braccio, e si accorse della flebo. Produsse un suono di lamento con la gola, per poi poggiarsi l'altra mano sulle tempie - "D-Dove sono?"

"All'ospedale ... Eri svenuto." - Spiegò l'albino un po' nervoso, continuando a fissarlo.

"..." - Romano lo fissò a sua volta, come a cercare nella mente qualche ricordo, finché essi non lo colpirono tutti insieme, facendolo voltare di scatto. - "Mmhf ... N-Non ti avevo detto di andartene?"

"Come avrei potuto?"

"Era meglio se mi lasciavi morire." - Rispose sconsolato l'italiano. - "Dopo quello che ho fatto ..."

"Sei impazzito?" - Gilbert non riusciva a capacitarsene. Anche in quella situazione, non aveva perso il suo modo di fare. - "Non importa quello che hai fatto ..."

"..."

"Non ho rancore verso di te." - L'albino si sforzò di sorridere, combattento l'istinto di accarezzargli di nuovo il volto. - "Voglio solo che tu ti riprenda ..."

"...?" - Romano lo guardò negli occhi, con uno sguardo a metà tra l'arreso, il triste e l'orgoglioso, per poi nascondere il volto girandosi, appiattendosi il più possibile sul cuscino. - "... Grazie."

'Grazie', aveva mormorato.
Era stato quasi impercettibile, ma l'aveva detto.
Gilbert non pensava di aver mai sentito Romano dire quella parola.
All'improvviso, sentì il cuore nel petto battergli più forte.
Voleva che tornasse a stare bene ...
Voleva che dimenticasse Antonio.
Voleva rivederlo di nuovo sereno.
Così come voleva rivedere sereno Feliciano.
E, se a Romano occorreva dimenticare Antonio, a Feliciano occorreva dimenticarsi di lui.

Il pensiero gli arrivò allo stomaco come una fitta.
Per quanto gli sarebbe piaciuto tornare con lui, sapeva di non esserne più degno.
Sapeva che Feliciano non avrebbe mai accettato.
Ma, se doveva rendere la sua esistenza migliore allontanandosi da lui, avrebbe potuto almeno alleviare le sofferenze di Romano standogli vicino.
... E poi ...
Non aveva forse detto di amarlo, quel maledetto Venerdì?
Il ricordo lo intrigava ed impauriva al tempo stesso.


"Fratellone ... Posso aiutare?" - Chiese Lily, aprendo la porta collegata al garage e muovendovi timidamente qualche passo.

"...?" - Lo svizzero alzò lo sguardo, quel poco che bastava per incrociare quello della sorellina. - "No Lily. Torna in casa, non sono lavori per una ragazzina."

"Fratellone ..." - La biondina rimase un attimo a guardarlo, con un'espressione dispiaciuta in volto.

Sentì il motore dell'auto partire, e la sua espressione mutò, ed assunse un sorriso lieto.

"Ci sei riuscito...!" - Mormorò, con la voce dolce e calma, guardando all'interno dell'auto.

"Ecco fatto!" - Commentò Ludwig, aprendo la portiera ed uscendo. - "Come sospettavo, la batteria dell'auto era un po' scarica."

Vash rimase rigido e immobile ad ascoltare l'amico, come gli ordini di un generale.
Neppure la gioia che aveva effettivamente provato nel sentire la sua auto funzionare, gli aveva donato un sorriso spontaneo in volto.
No ... A farlo sorridere sereno, solo la sua Lily ne era in grado.

"... Vash, dovresti ..." - Sapeva le condizioni in cui lo svizzero viveva, ma il tedesco non poteva fare a meno di consigliare la giusta soluzione al problema di quell'auto, da bravo professionista. - "... Dovresti cambiare la batteria più spesso. O almeno controllarne la carica."

"Grazie." - Rispose freddo lo svizzero, allungando la mano nella tasca. Non amava spendere soldi, soprattutto dal momento che non navigava nell'oro, ma ripagare qualcuno dei suoi sforzi, era un dovere. - "Quanto ti devo?"

"...?" - Ludwig gli sorrise, cercando di essere il più naturale possibile. - "Te l'ho già detto, Vash, non é necessario che tu mi paghi..."

Avrebbe detto lo stesso a qualsiasi suo amico o conoscente, indipendentemente dalla condizione economica.
Ma sapeva che Vash odiava questi favoritismi.
E non dipendeva dalle sue possibilità economiche.
Era proprio l'ideologia con cui viveva ogni giorno, e la si percepiva in ogni sua azione...

"Lily, torna in casa." - Ordinò, e la sorellina obbedì senza fiatare, chiudendo la porta dietro di lei. - "Pensi che non possa permettermelo? Quant'é? Dimmelo."

"Non é per questo ... Non farei pagare nessuno dei miei amici ..." - Spiegò il tedesco, sospirando ed alzando le spalle.

"Allora non farai mai dei soldi." - Rispose lo svizzero, severo con gli altri quanto con sé stesso. - "Nessuna persona che mi presta un servizio esce da questa casa senza essere retribuita. E' la mia regola. Dimmi una cifra"

"..." - Ludwig rimase qualche secondo a riflettere, con lo sguardo abbassato, finché, finalmente, non si pronunciò. - "Quindici euro."

Lo svizzero prese il portafoglio, estrasse due banconote e gliele consegnò.
Si maledisse per aver mentalmente tirato un sospiro di sollievo, dopo aver sentito l'importo.
Benché fosse troppo rigido ed orgoglioso per abbassarsi a non pagare per qualcosa, aveva segretamente sperato che il tedesco non chiedesse una cifra troppo alta.
Odiava ammetterlo e darlo a vedere, ma infondo era vero ... Di soldi non ne giravano molti, in casa sua.

Il tedesco ripose i soldi in tasca, per poi prendere il cellulare per controllarlo.
Macché ...
Nessuna chiamata persa.
Nessun messaggio.
'Fratellone, fatti vivo ...'

"Qualcosa non va?" - Chiese Vash, leggendo la preoccupazione negli occhi azzurri dell'amico.

"Gilbert ..." - Ludwig ricordò di non aver ancora detto nulla allo svizzero, riguardo agli ultimi avvenimenti. Non amavano spettegolare o parlare di queste cose, del resto. Si sarebbe limitato a dire il necessario. - "Era andato a casa del fratello di Feliciano, e pare che gli sia svenuto tra le braccia. Ora sono all'ospedale. A proposito ... Mio fratello e Feliciano non stanno più insieme."

Feliciano...
Perchè quel nome lo faceva sentire sempre così ... Strano?
Strano e vuoto.
Come se, da solo, si sentisse un po' smarrito.

"Ah ..." - Non che allo svizzero interessasse poi molto di intrighi amorosi e quant'altro, del resto.

"Più tardi lo chiamerò ... Non si fa sentire da qualche ora, ormai." - Concluse il tedesco, alzando le spalle.

"Vuoi qualcosa da bere?"

"No ... Penso che tornerò a casa e inizierò a preparare la cena. Mio fratello potrebbe arrivare a momenti." - Spiegò Ludwig, mentre Vash aveva già aperto il portone del garage, per lasciarlo andare.

Erano uomini di poche parole, in fondo.
Erano grandi amici, e si somigliavano.
Non avevano bisogno di grandi discorsi, per capirsi.
Si volevano bene, e non avevano bisogno di dirselo o mostrarselo in altro modo, se non sostenendosi a vicenda nel momento del bisogno.
 

"Per favore, uscite dalla stanza. Devo visitare il ragazzo."


Sbattuti fuori.
Era incredibile come un uomo potesse sentirsi in potere di comandarne altri, solo perché indossava uno stupido camice bianco.
Così, Gilbert, Feliciano e Francis si ritrovarono nel corridoio, con la porta della stanza chiusa, ad aspettare.
Aspettare cosa, poi ...?
Che un uomo col camice finisse di visitare Romano?
Chi gli dava il diritto di dire loro cosa fare?
Era forse una specie di leone, in dovere di cibarsi della preda prima dei figli e della compagna?
Era semplicemente stupido.

"Cosa vi ha detto?" - Disse infine Gilbert, per spezzare la tensione accumulata nel susseguirsi dei suoi pensieri.

"Lo terranno qui almeno per stanotte, per degli accertamenti." - Rispose Francis, la voce fredda e insensibile, quasi come un medico. - "Ha i valori del sangue alterati. Colpa dell'ultimo periodo, immagino ..."

"Sì ... Me l'avevano anticipato. E' il motivo per cui ... Gli hanno messo la flebo ..." - Replicò l'albino, preoccupato. - "Ma é il motivo per cui è svenuto ...?"

"Probabile." - Confermò Francis, ma la sua espressione si fece all'improvviso più umana, quasi sofferente. - "... E' stato un attacco di panico."

"Attacco di panico?!" - Ripeté sorpreso Gilbert, guardando Francis con gli occhi scarlatti spalancati.

"Sì. Romano ne soffre ... Anche se ultimamente era migliorato molto." - Svelò il francese, abbassando lo sguardo verso il pavimento.

"Da quando aveva cominciato a vivere con Antonio, gli attacchi erano quasi spariti ..." - Aggiunse Feli, in un filo di voce, dapprima con lo sguardo assente, poi raccogliendo il coraggio nel cuore e nella gola, per guardare il tedesco negli occhi. - "Mio fratello non puo' vivere da solo ..."

"...!" - Il cuore di Gilbert sobbalzò, mentre i suoi occhi di rubino rimasero fusi in quelli d'ambra dell'altro.

Lo sguardo di Feliciano era serio, quasi supplichevole.
Le pupillle puntavano quelle dell'albino, ma il mare di miele in cui erano immerse pareva voler far cambiare loro rotta, disperdendosi tra i mille pensieri affollati dell'italiano.
Le labbra rosee e serrate parlavano e supplicavano rimanendo fisse e immobili.

'Mio fratello non può vivere da solo. Ha bisogno... Di te'
Questo pensò di intendere il tedesco, scritto tra le righe invisibili delle guance soffici e le belle labbra ormai chiuse, e la gola gli parve congelarsi.
Feliciano voleva forse intendere questo ...?
Voleva che se ne occupasse lui?
Perché?
Non avrebbe voluto odiarlo? Fuori dalla sua vita? Lontano da tutti quelli che conosceva?
Perché lo avrebbe voluto al fianco del fratello?
Benché confuso, Gilbert si compiacque del muto permesso dell'italiano.
Perché stava dichiarando il suo consenso a ...
A stare vicino a Romano? Giusto?
'Eppure Feli, se solo tu mi perdonassi, tornerei da te ...'

"Potete rientrare."


Sorrise il medico, andandosene.

Feliciano fu il primo ad entrare, correndo verso il lettino del fratello come una lepre smarrita.

"Romano!" - Lo chiamò, vedendolo sveglio, e senza aggiungere altro, solo il tono disperato riuscì ad esprimere la sua stupida voglia di perdonarlo.

"Fratellino..." - Rispose con la voce un po' debole l'altro, girando appena la testa verso Feliciano.

"Romano, come ti senti?" - Chiese preoccupato Francis, raggiungendolo e posandogli una mano sulla fronte, sotto i capelli, come un padre in apprensione ma troppo orgoglioso per darlo a vedere del tutto.

"Insomma..." - Rispose ancora, in un tono quasi sarcastico nonostante la situazione, per poi aggiungere, affranto: - "Feli ... Ho fatto una cazzata ..."

"Non preoccuparti, Roma ..." - Lo rassicurò Feliciano con un dolce sorriso, benché il suo cuore stesse gridando e piangendo. - "Ora pensa a riprenderti."

"Ma sono imperdonabile!" - Romano alzò la voce, benché avesse un nodo alla gola. - "Vi ho rovinato la vita ... Perché siete ancora qui? Avreste dovuto lasciarmi morire, cazzo!"

L'italiano avrebbe voluto sul serio sparire.
Avrebbe voluto strapparsi quella fastidiosa flebo dal braccio, scendere dal letto, correre verso il muro e schiantarsi con una forza tale da rompersi il cranio.
Avrebbe voluto morire, uccidersi.
Come poteva vivere dopo quello che era successo?
Come poteva vivere dopo quello che il bastardo gli aveva fatto?
Come poteva vivere dopo aver rovinato la vita al suo caro fratellino?
Come poteva vivere dopo aver rovinato la vita a ... A Gilbert?

Ci pensò, e le sue iridi verdi ricaddero verso di lui.
L'albino taceva, più staccato, quasi ai piedi del letto, e lo guardava pensieroso.
'Non guardarmi così ... Non é colpa tua. La colpa é solo mia.'
Avrebbe voluto dirgli, ma non era tipo da fare certe affermazioni.
Soprattutto, non l'avrebbe mai detto di fronte a suo fratello e suo cugino.

Feliciano sentì il cuore riempirsi di una strana sensazione, come una colata di miele, che aveva all'improvviso addolcito e cancellato ogni veleno.
Lasciarlo morire?
Era semplicemente insensato.
Mai avrebbe lasciato morire qualcuno, figuriamoci suo fratello!
I ricordi facevano ancora male, e forse avrebbero fatto male per sempre, ma di fronte a quella frase, tutto pareva stupido e superfluo, rispetto alla vita di Romano.
L'unica cosa importante, in quel momento, era la sua salute.

"Siamo qui perché ti vogliamo bene ..." - Rispose il fratellino, e non poté fare a meno di avvicinarsi di più, fino a toccargli la guancia con la sua e le spalle con le mani, in una specie di abbraccio. - "Ti voglio bene fratellone, del resto non mi interessa ..."

"..." - Romano sentì il cuore contrarsi in un brivido, che lo irrorò di uno strano e confuso benessere, mentre i suoi occhi rimasero fissi sul soffitto, come ipnotizzati dalle parole del fratello.

Come poteva essere così buono?
Come poteva perdonargli una cosa del genere?
C'erano tante cose, del suo fratellino, che aveva sempre faticato a capire.
Ma mai come in quel momento, fu felice di saperlo migliore di lui.
Romano non sapeva se, al suo posto, avrebbe mai trovato la forza di fare lo stesso.

"Nessuno merita di essere abbandonato, Roma." - Sorrise paterno Francis, guardandolo con uno sguardo calmo e rassicurante.

Gilbert avrebbe voluto dire qualcosa, ma si sentiva di troppo.
Sentiva di stonare pensantemente, in quel dolce quadro famigliare, come una pennellata nera al centro di un bellissimo dipinto dai colori tenui e leggeri.
Si limitò a guardarlo, sforzando uno sguardo il più rassicurante possibile, rimanendo zitto ai piedi del lettino.

Romano si ritrovò a sorridere.
Ancora tra le braccia del fratellino, sentì la bocca incurvarsi in un piccolo sorriso.
Non era da lui sorridere.
Non era da lui sentirsi così amato.
Eppure, in quel momento, capì come nessuno lo odiava.
Capì come la sua famiglia lo aveva perdonato, nonostante quel gesto orribile, e si inorgoglì di essere imparentato con persone così meravigliose.

E poi ...
Poi c'era Gilbert.
C'era Gil.
Romano non sapeva cosa si sarebbe dovuto aspettare, o cosa il futuro gli avrebbe riservato.
Non sapeva se, dopotutto, era destinato all'Inferno o al Paradiso.
Non sapeva se Gilbert lo amava.
Ma, almeno, sembrava averlo perdonato.
Se non fosse stato per lui, sarebbe rimasto incosciente sul pavimento dimenticato dal mondo.
Doveva almeno essergli grato.
Doveva ... Ringraziarlo.


La luna stava ormai illuminando il mare blu del cielo, tra le stelle luminose come gioielli e le sporadiche nuvole di velluto scuro.
Nell'aria, c'era ancora profumo di festa, di dolci ed incenso, mentre le persone si affollavano per le strade, e i mercanti osannavano le loro merci.

"Roddy! Guarda questo che carino!!" - Esclamò Elizaveta, come una bimba in un negozio di dolci e peluches, avvicinandosi ad una bancarella.

"... Sì, é carino." - Rispose pacatamente Roderich, sorridendo e dando un veloce sguardo al vestitino da bambina che sua moglie aveva tra le mani.

Aspetta ...
Perché un vestito da bambina?

"..." - L'ungherese strinse al petto l'abitino, abbassando la testa ed arrossendo un poco, alzando gli occhi per scorgere il volto dell'austriaco e vedere la sua reazione a... - "Pensa se avessimo una bambina..."

"...!" - Roderich ebbe un brivido, in un misto di emozioni contrapposte.

Il suo cuore aveva avuto un fremito, e lo aveva sentito quasi allargarsi, pronto a ricevere l'amore che Elizaveta aveva messo e implicitato in quella frase.
Aveva battuto più forte per un attimo, preso dall'emozione, prima che la sua mente lo riportasse alla dimensione angosciante delle domande ed insicurezze a cui l'essere umano è sempre e da sempre sottoposto.

Sarebbe stato in grado di assolvere un simile compito ...?
In quanto professore di musica, aveva già avuto modo di confrontarsi con bambini e ragazzi, ma questo era totalmente diverso ...
Giusto?
Un momento.
Elizaveta lo aveva detto per scherzare.
Lo aveva detto senza pensarci.
Massì, erano quelle cose che tutte le bambine dicevano, fantasticando sul proprio futuro di spose e di mamme,
Sul proprio futuro.
Questo non aveva nulla a che fare con il presente, vero?
La sua Elizaveta non ...

"Hey, ti ho zittito?" - Chiese l'ungherese scherzosamente, posando il vestito dove l'aveva trovato e avvicinandosi al marito, sfiorandogli le labbra con le sue. - "Tranquillo, non sono incinta."

"..." - Lui le accarezzò appena un fianco, corrucciando le sopracciglia ed incamminandosi verso la altre bancarelle. - "Non sarebbe ... Un problema."
Mormorò, sicuro che la donna non avrebbe sentito.

'Non sarebbe un problema?'
Questo fu quello che ad Elizaveta parve di aver sentito, ed avvertì il cuore battere più forte ed il petto scaldarsi d'amore, mentre prese a seguire l'austriaco.

Sì ... Lei ci aveva già pensato.
Ci aveva già pensato, e si sentiva pronta.
Aveva un buon lavoro, una bella casa e un marito splendido.
Cos'altro avrebbe dovuto aspettare?
In lei cresceva ogni giorno di più la voglia di vedere il suo amore per l'amato farsi carne.
Aveva un desiderio d'amore, un amore strano e diverso, platonico ma più forte di qualsiasi altra cosa nel mondo.
Voleva che il suo amore per Roderich non fosse più fatto solo di parole e di baci, ma che i loro battiti all'unisono si trasformassero in fiori sull'albero, pronti a farsi frutti d'Estate.

'Non sarebbe un problema.'
Perché aveva risposto così?
Era stato più forte di lui.
Benché il pensiero gli generasse una certa ansia, un certo timore di non essere all'altezza delle aspettative di Elizaveta, quella risposta gli era nata spontaneamente dal cuore.

Elizaveta lo desiderava così tanto...?
O lo aveva detto tanto per dire?
Aveva forse inseguito un pensiero effimero e passeggero, o aveva svelato, per la prima volta, il frutto ultimo di giorni e mesi di dialoghi interiori?
Roderich non sapeva come reagire.
Da qualche tempo sentiva un certo vuoto in lui, ma ancora non aveva capito da cosa derivasse.
Aveva un lavoro redditizio e piacevole, una bella casa, una moglie meravigliosa.
Cos'altro poteva volere ...?
Aveva immaginato che quel vuoto fosse l'effetto del successo inaudito che ancora non era arrivato, o che forse era destinato a non arrivare mai.
Ma ora ...
Ora non lo sapeva più.
E se quel vuoto fosse dovuto allo stesso desiderio che forse inziava ad ardere nel petto dell'ungherese?

Roderich odiava non sapere.
Roderich odiava non conoscere.
Roderich odiava le insicurezze umane, che erano causa della sua imperfezione.
Era per questo che amava la musica.
La musica era la cosa che più si avvicinava alla perfezione, e talvolta, riusciva forse ad eguagliarla.
Forse la musica era l'unico mezzo che gli uomini avevano, per avvicinarsi alla perfezione.
Eppure, paradossalmente la stessa vicinanza alla perfezione, e la consapevolezza di non poterla mai raggiungere a propria volta, li rendeva ancora più fragili e infelici.

Gli uomini componevano musica e la suonavano per avvicinarsi alla perfezione.
Gli uomini parevano inorgoglirsi per cio' che creavano con le note, con le lettere e con i pennelli.
Eppure, segretamente si angosciavano ancora di più, consci della distanza che avevano dalle loro opere.

Le opere dell'uomo si avvicinavano alla perfezione nel momento stesso in cui, dalle loro mani, si protendevano verso l'esterno e da egli si staccavano.
Era la distanza dalla stessa creatura che le aveva prodotte, a renderle più perfette.
L'uomo non poteva fare altro che ammirare le proprie opere dal basso, vederle diventare più perfette, vantandosene con gli altri uomini, esseri imperfetti in un mondo perfetto.

Roderich suonava perché amava la musica.
Amava liberare le note dall'imperfezione della sua mente e dalla prigionia degli strumenti.
Amava sentirle danzare ordinate nell'aria, mentre divenivano una melodia sempre più perfetta.
Sentire le note libere di esprimere la loro perfezione, libere dalla limitatezza dell'uomo, lo inorgogliva come un padre.

Roderich non poteva essere perfetto.
Roderich non poteva conoscere tutto.
Roderich non poteva sapere tutto.
Ma, almeno, poteva angosciarsi, bearsi di un orgoglio paterno, liberando le note sue figlie dalla limitatezza del suo corpo, e vedendole lasciarlo e farsi grandi e perfette sopra di lui, dove mai avrebbe potuto raggiungerle.

 

Continua...

  
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